Tutto è bene quel che finisce bene

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WILLIAM SHAKESPEARE

TUTTO BENE QUEL CHE FINISCE BENe

Commedia in 5 atti

Traduzione e note di Goffredo Raponi

Titolo originale: ALLS WELL THAT ENDS WELL


NOTE PRELIMINARI

1) Il testo inglese adottato per la traduzione quello delledizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare, The Complete Works, Collins, London & Glasgow, 1951-1960, pp. XXXII-1370) con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare la pi recente edizione dellOxford Shakespeare curata da G. Welles e G. Taylor per la Clarendon Press, New York, U.S.A., 1988-94, pp. XLIX -1274; questultima contiene anche I due nobili cugini (The Two Noble Kinsmen), che manca nellAlexander.

2) Il traduttore ha aggiunto di sua iniziativa didascalie e indicazioni sceniche (stage instructions) laddove sono sembrate pi opportune per la migliore comprensione dellazione scenica alla lettura, cui questa traduzione essenzialmente concepita ed intesa, il traduttore essendo convinto della irrappresentabilit del teatro di Shakespeare sulle moderne ribalte.

Si lasciata comunque invariata, allinizio e alla fine di ogni scena, come allentrata ed uscita dei personaggi nel corso della scena, la rituale indicazione Entra/ Entrano (Enter) ed Esce/ Escono (Exit/Exeunt), avvertendo peraltro che non sempre essa indica movimenti di entrata/uscita del personaggi, potendosi dare che questi si trovino gi in scena allapertura della stessa, o vi restino alla chiusura.

3) Il metro lendecasillabo sciolto, alternato da settenari; altro metro si usato per citazioni, canzoni, proverbi, cabalette e altro, quando, in accordo col testo, sia stato richiesto uno stacco di stile.

4) I nomi dei personaggi che vi si prestino sono resi nella forma italiana.

5) Il traduttore riconosce di essersi avvalso di traduzioni precedenti (in particolare della prima versione di Giulio Carcano, e di quella del Bandini, del Melchiori, del Lodovici, del Lombardo, del dAgostino e diversi altri), dalle quali ha tratto in prestito oltre alla interpretazione di passi oscuri o controversi, intere frasi e costrutti; di tutto ha dato opportuno credito in nota.


PERSONAGGI

A Rossiglione

La vedova CONTESSA DI ROSSIGLIONE

BERTRAMO, conte di Rossiglione, suo figlio

ELENA, giovane gentildonna orfana di Gerardo di Narbona, sua pupilla

PAROLLES, compagno di Bertramo

RINALDO, maestro di casa della contessa

IL LAVA, buffone della contessa

UN PAGGIO

Alla corte di Francia a Parigi

IL RE DI FRANCIA

LAFEU, vecchio gentiluomo

DUE CORTIGIANI, due fratelli, gentiluomini francesi al seguito di Bertramo, poi CAPITANI

UN SOLDATO FRANCESE, in funzione di interprete

UN GENTILUOMO, falconiere reale

A Firenze

IL DUCA DI FIRENZE

LA VEDOVA CAPILETI

DIANA, sua figlia

MARIANA, amica della vedova Capileti

Gentiluomini, ufficiali, soldati e altri personaggi francesi e fiorentini

SCENA: a Rossiglione, a Parigi, a Firenze, a Marsiglia


ATTO PRIMO

SCENA I - Rossiglione, il palazzo del conte.

Entrano il giovane BERTRAMO, la CONTESSA sua madre, ELENA, LAFEU,

tutti vestiti a lutto

CONTESSA -

Lasciare ora andar via da me mio figlio

come seppellire mio marito

una seconda volta.

BERTRAMO -

E per me, madre,

piangere mio padre unaltra volta,

andando via: ma devo sottostare

a un ordine del re,

al quale sono tanto pi soggetto

ora che sono sotto sua tutela.

LAFEU -

Signora, voi troverete nel re

un marito, ed un padre voi, signore.

Egli, che sempre s buono con tutti,

non potr non aver proprio con voi

questa virt: ch anzi, i vostri meriti

non che scemarla dove s abbondante,

riuscirebbero a destarla l

dovessa fosse del tutto mancante.

CONTESSA -

Che speranze ci sono

per il suo male? Il re potr guarire?

LAFEU -

Ahim, signora, ha licenziato i medici,

dopo aver inseguito tanto tempo,

sotto le loro cure, la speranza,

senza ritrarne alfine altro vantaggio

che sentirla scemar di giorno in giorno.

CONTESSA -

(Indicando Elena)

Questa giovane donna aveva un padre

- ahim, quanta tristezza in questo aveva! -

la cui perizia nella scienza medica

quasi era pari alla sua onest;

e dico quasi, ch se fosse giunta

ad eguagliarla in tutto,

avrebbe reso la natura umana

non pi mortale e lasciato la Morte

in ozio, per mancanza di lavoro.

Che fortuna sarebbe per il re,

sei fosse ancora vivo!

La sua vita avrebbe potuto essere

la morte della malattia del re.

LAFEU -

Che nome aveva, mia signora, luomo

di cui parlate?

CONTESSA -

Un nome assai famoso

nella sua professione, e a buon diritto:

Gerardo di Narbona.

LAFEU -

Ah, s, signora, veramente bravo.

Ne parlava anche il re, ultimamente,

con alta ammirazione e gran rimpianto;

era di tal perizia nel suo ramo,

che di certo sarebbe ancora in vita

se fosse dato allumano sapere

di far baluardo alla mortalit.

BERTRAMO -

Di che malanno soffre il re, signore?

LAFEU -

Dun fistola.

BERTRAMO -

Un male mai sentito.

LAFEU -

Cos vorrei lo fosse per nessuno!

E questa nobile madamigella

figlia di Gerardo di Narbona?

CONTESSA -

La sua unica figlia, mio signore,

e rimasta affidata alle mie cure.

Su di lei nutro tutte le speranze

promesse dalla sua educazione;

grazie alla quale rifulgono in lei

ancora pi i suoi doni di natura;

ch laddove virtuose qualit

si sposano a una mente ineducata,

non si pu che apprezzarle con rammarico,

e si rivelano bens virt

in chi le ha, ma anche traditrici.

In lei, per contro, sono sublimate,

perch sposate a una grande schiettezza:

sella infatti deriva da natura

i sentimenti nobili dellanimo,

deriva da se stessa la virt.

LEFEU -

Vedo, contessa, che le vostre lodi

le strappano le lacrime.

CONTESSA -

il miglior sale con cui una vergine

pu condire le lodi che riceve.

Ogni volta che le ritorna al cuore

il ricordo del padre,

il dolore tiranno viene a suggere

vita dalle sue gote.

(A Elena che piange in silenzio)

Orvia, Elena, basta, ch altrimenti

si potrebbe pensar, da chi ti vede,

che palesi un dolore non sentito.

ELENA -

vero, lo paleso, ma lo sento.

LAFEU -

Un contenuto compianto dei vivi

un diritto dei morti;

ma un dolore eccessivo

nemico del vivere.

CONTESSA -

Tant.

Se il vivere non nemico al duolo,

e ne frena leccesso, il troppo duolo

divien nemico al vivere e luccide.

BERTRAMO -

(Inginocchiandosi alla madre)

Madre, vi chiedo, prima di partire

il vostro santo augurio.

LAFEU -

(A parte)

Come intendere questo desiderio?([1])

CONTESSA -

Bertramo, figlio mio, sii benedetto,

e possa tu, nei modi e nellaspetto,

mostrarti degno figlio di tuo padre;

e possa in te la nobilt del sangue

gareggiare con lonest di vita,

e la bont spartirsi la corona

col tuo alto lignaggio.

Abbi amore per tutti, fede in pochi;

non far torto a nessuno.

Col nemico ti devi confrontare

piuttosto moralmente che di fatto;

conservati lamico sotto chiave

con la chiave della tua stessa vita.

Lasciati biasimar pel tuo silenzio

piuttosto che pel tuo troppo parlare.

Scendano sul tuo capo

quanti doni vorr largirti il cielo

ed intercederti le mie preghiere.

Addio. Signor Lafeu, questo ragazzo

ancora troppo acerbo cortigiano,

consigliatelo voi, mio buon signore.

LAFEU -

Non pu mancar di ricevere il meglio

chi si prodigher con devozione.

CONTESSA -

Che Dio lo benedica. Addio, Bertramo,

(Esce)

BERTRAMO -

(Rialzandosi)

Vi secondino quanti pi bei voti

la vostra mente possa formulare.

(A Elena)

Siate voi di conforto ora a mia madre,

vostra signora, e abbiatene assai cura.

LAFEU -

Vi saluto, graziosa damigella;

conservatevi degna della stima

goduta dallinsigne vostro padre.

(Escono Bertramo e Lafeu)

ELENA -

Ah, fosse solo questo!

Non a mio padre io penso ora piangendo,

se pur queste mie lacrime lo onorino

pi di quelle versate allor per lui

Comera? Non me lo ricordo pi.

Nella memoria mia c solo un volto,

il volto di Bertramo

Per me finita. Con Bertramo via,

no, no, non vivo pi;

tanto varrebbe chio minnamorassi

dun astro risplendente,

- ch come un astro ei splende su di me -,

e pretendessi di farlo mio sposo;

e dovessi soltanto accontentarmi

di contemplar la sua luce rifratta,

come in unorbita collaterale,

senza poter entrare in quella sua.

Cos trova in se stesso il suo castigo

il mio amore ambizioso: la cerbiatta

bramosa daccoppiarsi col leone

destinata a morire damore.

Cos dolce era stato fino ad ora,

se pur dolce tortura,

poterlo veder sempre, a tutte lore,

poter stare seduta a disegnare

con la mente sul foglio del mio cuore

la bella arcata delle sue sopracciglia,

il suo occhio di falco, le sue ciocche

di riccioli ah, mio cuore,

troppo sensibile a lasciarti imprimere

da ogni linea, ogni curva, ogni tratto

del suo volto armonioso! E se n andato,

e la mia fantasia che lidolatra

deve ora adorar le sue vestigia

Ma chi arriva qui ora?..

Entra, dal fondo, PAROLLES

Questi uno che parte insieme a lui;

per questo m simpatico;

anche se so ch un vero trappolone,

un vanesio ed un fiore di codardo;

tuttavia questi vizi congeniali

gli si attagliano s perfettamente

da trovar sempre facile indulgenza,

mentre in lui la virt,

malgrado le sue vertebre dacciaio,

sembra rabbrividire al vento gelido.

cos che vediamo tante volte

linfreddolita saggezza al servizio

della sovrabbondante balordaggine!

PAROLLES -

Salute a voi, leggiadra reginella!

ELENA -

E a voi, monarca.

PAROLLES -

Eh, no!

ELENA -

Nemmeno io!([2])

PAROLLES -

Meditavate forse

sulla verginit?

ELENA -

S, giustappunto.

Anzi, voi che avete

una patinatura di soldato,

vi voglio fare una domanda: luomo

nemico della verginit:

come si fa noi donne a barricarsi

contro di lui?

PAROLLES -

Chiudendogli la porta.

ELENA -

Grazie tante, ma lui vi d lassalto,

e la verginit, ch femminile,

per valorosa che possa mostrarsi,

sempre debole nella difesa.

Istruiteci voi

in qualche strategia di resistenza.

PAROLLES -

Non ce n. Luomo vi cinge dassedio,

vi piazza qualche mina sotterranea,

e vi far scoppiar come un pallone.([3])

ELENA -

La nostra povera verginit!

Dio la salvi da mine sotterranee

e da chi ci vuol far saltare in aria!

Non c nessuna strategia di guerra

con la quale le vergini

possano far saltare in aria gli uomini?

PAROLLES -

Eh, una volta che la verginit

messa spalle a terra,

tanto pi luomo pu saltare in aria;

e poi, per farlo scaricare a terra

vi lascerete aprire una tal breccia

che addio la vostra bella cittadella!

Nella repubblica della natura

non v cittadinanza alla politica

di preservare la verginit.

La perdita della verginit

, in natura, un acquisto razionale;

e mai vergine venne generata

senza che prima la verginit

fosse state perduta.

Anche voi siete fatta della lega

con la quale si coniano le vergini.

Per ciascuna verginit perduta

se ne possono ritrovare dieci;

verginit conservata per sempre

per sempre perduta. Liberatevene.

una compagna troppo freddolosa.

ELENA -

E invece io vorrei tenerla ancora,

a costo di dover morire vergine.

PAROLLES -

C ben poco da dire

a voler perorare in sua difesa:

essa contro la legge di natura.

A perorar per la verginit,

si mette sotto accusa nostra madre:

che chiara prova di disobbedienza.

Verginit e suicidio son tuttuno;

la vergine che vuol restare vergine

una che decide dimpiccarsi,

e dovrebbe trovare sepoltura

ai bordi delle grandi vie maestre,

lontano da ogni terra consacrata,

come una disperata peccatrice

contro natura. La verginit,

come il formaggio, genera dei vermi,

si consuma da s fino alla crosta

e muore divorando le sue viscere.

Inoltre la verginit stizzosa,

ambiziosa, superba, neghittosa

e soprattutto intrisa di egoismo,

il pi proibito fra tutti i peccati

dai canoni delle scritture sacre.

Badate a non tenervela ben stretta:

non potreste che rimanere in perdita.

Datela via! Ed in capo ad un anno,

garantito, lavrete raddoppiata:

un interesse davvero cospicuo,

e per nulla intaccando il capitale.

Vi convien liberarvene!

ELENA -

E che dovrebbe fare allora una,

che la vorrebbe perdere a suo gusto?

PAROLLES -

Vediamo un po Eh, s, trattarla male,

magari offrendola a chi non la vuole.

una merce che perde il proprio smalto

se lasciata a giacere in magazzino:

pi ce la tieni, pi cala di prezzo.

Smerciarla fino a tanto che vendibile;

soddisfar la domanda di mercato

a tempo giusto. La verginit,

simile ad un anziano cortigiano,

porta in testa un cappello fuori moda,

un vestiario sontuoso ma impossibile,

come i fermagli e gli stuzzicadenti,

che non sono pi in uso in societ.([4])

meglio un dattero nel vostro porridge

che una data sopra la vostra guancia.([5])

E la verginit, la vostra buona

vecchia verginit,

somiglia tanto a quelle pere vizze

di Francia, brutte fuori e dentro acide;

eh, s, perdio, proprio una pera vizza,

che un tempo sar stata anche assai buona,

ma adesso vizza. Che volete farci?

ELENA -

Quella mia, non ancora Il tuo padrone

trover mille amori dove va:

una gli sar madre, amante e amica;

qualcunaltra sar la sua fenice,([6])

sua capitana e insieme sua nemica;

unaltra la sua dea, la sua sovrana;

una, da lui amata ma infedele,

sar la sua umile superbia,

e insieme la superba sua umilt,

il suo discorde accordo

e la sua armoniosa dissonanza,

la sua fede, la sua dolce rovina;

con tutto un mondo di nomi e nomignoli,

graziosi e pazzi, tenuti a battesino

da Cupido bendato E allora lui

che far, non lo so Dio lo protegga!

La corte un tal cosa, ed egli uno

PAROLLES -

Uno che cosa?

ELENA -

uno al quale io auguro

tutto il bene del mondo.

Per peccato

PAROLLES -

Peccato che cosa?

ELENA -

Che gli augri non abbiano in se stessi

corporea consistenza, s che a noi,

che siamo di pi umili natali,

da meno nobili stelle protetti,

sia concesso di offrire ai nostri amici

anche gli effetti di quei nostri auguri,

e di mostrare loro tutto ci

che, rimanendo chiuso nel pensiero,

mai ci procurer ringraziamenti.

Entra un PAGGIO

PAGGIO -

Monsieur Parolles, vi vuole il padrone.

(Esce)

PAROLLES -

Elena, arrivederci.

Se a corte mi ricorder di te,

ci far volentieri un pensierino.

ELENA -

Voi siete nato sotto buona stella,

monsieur Parolles.

PAROLLES -

Io? S, sotto Marte.

ELENA -

Proprio come pensavo: sotto Marte.

PAROLLES -

Perch sotto? Intendete sottoposto?

ELENA -

Le guerre vhan tenuto tanto sotto

che dovevate nascere per forza

sotto Marte.

PAROLLES -

Ah, s, Marte ascendente.

ELENA -

Direi piuttosto Marte rientrante.

PAROLLES -

Perch rientrante?

ELENA -

Perch nel combattere

retrocedete sempre.

PAROLLES -

una mia tattica

per prendere vantaggio.

ELENA -

Anche la fuga pu recar vantaggio

quando a salvar la pelle

consigliera la fifa. E in voi, monsieur,

fifa e coraggio sono fusi insieme

in maniera davvero prodigiosa

nella virt di metter lali ai piedi;

ed apprezzo comessa vi si addice.

PAROLLES -

Son troppo indaffarato

per stare qui a competere darguzia

con te; ma al mio ritorno

sar un perfetto cortigiano in tutto,([7])

e la mia esperienza servir

ad istruirti alla naturalezza,

s che tu sia matura a ben accogliere

quello che ti consiglia un cortigiano

ed a capirne il senso e la portata;

se poi di tanto non sarai capace,

ti uccida la tua ingratitudine,([8])

e ti distrugga la tua ignoranza.

Addio. Quando ti resta un po di tempo,

di le tue orazioni;

e quando non ne hai, pensa agli amici.

Pigliati un buon marito,

e con lui prtati allo stesso modo

che lui con te. E cos, ti saluto.

(Esce)

ELENA -

Spesso i rimedi che ascriviamo al cielo

stanno in noi stessi. Il fatidico cielo

ci lascia piena libert di agire,

e sol fa pigre le nostre intenzioni

se pigri siamo noi ad eseguirle.

Che potenza mai questa

che attrae lamore mio a tanta altezza

da far chio veda cosa

di cui il mio occhio mai pu dirsi sazio?

La natura fa unire e combaciare

da pari a pari come nate insieme

sostanze fra le quali la fortuna

ha aperto spazi immensi.

Le grandi imprese son solo impossibili

a chi misura fatica ed impegno

che sono necessari a realizzarle

col metro del raziocinio comune,

e ritiene che ci ch gi successo

non possa pi ripetersi nel tempo.

Ci fu mai donna innamorata al mondo

che, avendo fatto tutto il suo possibile

per mostrar quanto vale,

non si sia poi conquistato lamore?

La malattia del re

Forse limpresa mia potr fallire,

ma le mie intenzioni sono ferme,

n mi verranno meno a porla in atto.

(Esce)

SCENA II - Parigi, il palazzo reale.

Fanfara di cornette. Entra il RE DI FRANCIA,

con in mano una lettera, e con CORTIGIANI.

RE -

Fiorentini e senesi sono in guerra.

Finora han combattuto a sorti pari,

e seguitano a darsele di brutto.

PRIMO CORTIGIANO -

Cos ci viene riferito, sire.

RE -

E c da crederci. Lo d per certo,

daltronde qui nostro cugino Austria,

(Mostra la lettera)

e ci avverte altres che i Fiorentini

ci chiederanno aiuti; al qual proposito

il nostro caro parente, mi sembra,

anticipando ogni nostro giudizio,

vorrebbe che opponessimo un rifiuto.

PRIMO CORTIGIANO -

Il suo affetto per voi e la saggezza

di cui vha dato spesso prove, sire,

perorano per lui il pi alto credito.

RE -

Il suo consiglio infatti ci ha convinti

della risposta che dobbiamo dare:

e Firenze([9]) savr da noi un no

prima ancora di farci la richiesta.

Ci non toglie che tutti i nostri nobili

che intendano combattere in Toscana

possano aver da noi ampia licenza

di schierarsi con luna o laltra parte.

SECONDO CORTIGIANO -

Ci potr ben servir da addestramento

pei nostri nobili, cos bramosi

di respiri e dazione allaria libera.

Ma chi arriva?

PRIMO CORTIGIANO -

il giovane Bertramo,

conte di Rossiglione, mio signore.

Entrano BERTRAMO e PAROLLES

RE -

(A Bertramo, scrutandolo dallalto in basso)

Giovane, tu hai il volto di tuo padre:

la prodiga natura,

pi provvida e studiosa che avventata,

tha conformato bene.

Possa tu derivare da tuo padre

anche le belle sue virt morali.

Benvenuto a Parigi.

BERTRAMO -

Grazie, sire.

Voffro la piena mia disposizione.

RE -

Ah, riaver nelle membra quel vigore

di quando ci cimentavamo insieme

da amici, nelle prime prove darmi!

Egli saddentr poi pi pienamente

nellarte militare di quel tempo,

alla scuola dei pi grandi strateghi,

e ci rimase a lungo; ma let,

questa infernale perfida nemica,

scese furtiva poi sui nostri corpi,

e ci ridusse entrambi fuori duso.

Mi reca proprio gran sollievo al cuore

parlare di quellottima persona

che fu tuo padre: egli ebbe, in giovinezza,

quello spirito, vivido, frizzante

che possiamo bens ben osservare

nella giovane nobilt di adesso;

ma costoro sesercitano invano

nellarte dellarguzia: i lor motteggi

non saranno notati da nessuno

e si ritorceranno su di loro

fino a quando non si decideranno

a nasconder la loro leggerezza

col merito, sul campo dellonore.([10])

Cortigiano perfetto,

erano in lui fierezza ed ardimento

completamente scevri tuttavia

da rudezza o alterigia;

e sera in lui di queste qualche volta

alcuna traccia, nerano motivo

persone del suo rango, e il suo onore,

in quei casi, clessidra di se stesso,

conosceva lesatto modo e tempo

in cui dar voce al biasimo, e la lingua

si faceva obbediente alla sua mano.

Gli inferiori trattava come pari,

chinando al lor livello la sua altezza,

e, umiliato dallumile lor lode,

sinorgogliva della sua umilt.

Un tal uomo potrebbe esser modello

a questi nostri pi giovani tempi,

e, ben seguito, ci farebbe accorgere

quanto siano involuti e in declino.

BERTRAMO -

Vedo, maest, che in voi la sua memoria

splende pi viva e ricca

che sopra la sua tomba; il suo epitaffio

non lo dipinge l altrettanto vero

quanto questi regali vostri accenti.

RE -

Potessi averlo ancora qui con me!

Diceva sempre (mi par di sentirlo:

le sue parole, sempre s sagaci,

non le versava solo negli orecchi,

le innestava negli animi degli altri

perch crescessero e fruttificassero),

diceva sempre, quando lumor triste

lo prendeva alla fine e come seguito

dei momenti di gran spensieratezza:

Non fatemi pi vivere,

quando ad alimentare la mia fiamma

non ci sar pi olio sufficiente;

chio non abbia a restare lo stoppino

fumoso in mezzo a pi giovani spiriti

i cui vigili sensi hanno a disdegno

tutto che non sia nuovo,

e i cui cervelli altro non san fare

che inventar nuove mode,

che duran meno della stessa moda.

Questo augurio faceva egli a se stesso;

e questo ora il mio, dopo di lui:

poich non posso pi portare a casa

cera o miele, chio possa scomparire

rapidamente dal mio alveare,

per lasciar posto alle nuove operaie.

SECONDO CORTIGIANO -

Voi siete amato, sire.

E coloro che vamano di meno

sentiranno per primi la mancanza

di vostra altezza, se ci mancherete.

RE -

Certo, occupo un posto.

(A Bertramo)

Conte, da quanto tempo deceduto

il medico di casa di tuo padre?

Era un nome famoso.

BERTRAMO -

Son circa sei mesi, mio signore.

RE -

Se fosse ancora vivo,

avrei potuto forse far ricorso

con migliore speranza alle sue cure

Datemi il braccio Gli altri mhan consunto

a forza di provare e riprovare

Ormai in me natura e malattia

baruffano a lor pieno piacimento.

Sii benvenuto conte,

non mi sei meno caro tu di un figlio.

BERTRAMO -

Grazie a vostra maest.

(Escono)

SCENA III - Rossiglione, il palazzo del conte.

Entrano la CONTESSA, RINALDO e IL LAVA([11])

LA CONTESSA -

Ora posso ascoltarvi: che mi dite

di questa gentildonna?([12])

RINALDO -

Mia signora,

la mia sollecitudine costante

nel soddisfare i vostri desideri

spero si trovi scritta nel curriculo

dei miei servizi resi fino ad oggi;

ch a metterci a vantare noi per primi

i nostri meriti, facciamo torto

in primo luogo alla nostra modestia,

e insozziamo la loro limpidezza.

CONTESSA -

(Verso il buffone)

Che ci sta a fare qui questo gaglioffo?

Via, via, messere! solo per pigrizia

che non do credito alle lamentele

che sento numerose sul tuo conto;

perch so che sei stupido abbastanza

da combinare ogni sorta di guai

ed abbastanza abile

da commettere certe birbonate.([13])

LAVA -

Non v ignoto, signora,

chio sono un poveraccio.

CONTESSA -

Bene, Lava.

LAVA -

Eh, no, non tanto bene chio sia povero,

anche s vero che son molti i ricchi

che si dannano; ma se vostra grazia

mi d il permesso di metter su casa,

Isbl ed io (Isbl la mia donna)

ce la potremo cavare alla meglio.

CONTESSA -

Ti vuoi ridurre a chieder lelemosina?

LAVA -

Comincio intanto a chieder lelemosina

del vostro beneplacito, nel caso.

CONTESSA -

Quale caso?

LAVA -

DIsbl e mio, signora.

La servit non ereditaria,

e credo che non avr mai dal cielo

la sua benedizione fino a tanto

che non avr una prole dei miei lombi;

i figli sono infatti, come dicono,

sante benedizioni.

CONTESSA -

Ma il motivo

per il quale tinduci a prender moglie?

LAVA -

Lo richiedono i poveri miei lombi,

signora; mi ci pungola la carne,

e se il diavolo pungola, signora,

non c niente da fare, ci si va.

CONTESSA -

Tutti qui i motivi che sa addurmi

vossignoria?

LAVA -

Oh, in coscienza, signora,

ce n altri, ed altrettanto sacri.

CONTESSA -

Pu conoscerli il mondo dei mortali?

LAVA -

Signora, sono stato un peccatore

come voi, come tutti in carne e sangue,

e mi sposo perch possa pentirmi.

CONTESSA -

Ti pentirai di esserti sposato

prima di tutti gli altri tuoi peccati.

LAVA -

Non ho amici, signora; e spero bene

poterne avere in grazia di mia moglie.

CONTESSA -

Gli amici che ti fa in grazia sua,

brutto furfante, sono tuoi nemici.

LAVA -

Vedo, signora, che in fatto di amici

non ne capite molto:

quei furfanti faranno al posto mio

quello chio sono ormai stufo di fare.

Chi ara la mia terra al posto mio

fa risparmiare fatica ai miei buoi

e lascia poi a me tutto il raccolto.

Se mi tiene per becco,

lui il mio bracciante tuttofare;

chi diverte mia moglie fa un servizio

a pro della mia carne e del mio sangue;

e chi della mia carne e del mio sangue

si d premura, vuol dire che lama;

e chi ama la mia carne e il mio sangue

vuol dire ch mio amico:

ergo chi fa lamore con mia moglie

mi fornisce una prova damicizia.

Se tutti gli uominifossero paghi

e soddisfatti di quello che sono,

il matrimonio non avrebbe rischi.

Il giovin Cotoletta puritano

ed il vecchio papista Mangiapesce,([14])

per divisi che siano i loro cuori

in quanto alla lor fede religiosa,

in quanto a comprendonio son tuttuno:

potrebbero scornarsi lun con laltro

come due cervi dello stesso branco.

CONTESSA -

Quando la smetterai, grossa canaglia,

dessere uno sboccato maldicente?

LAVA -

Sono un profeta, signora, un profeta

che dice il vero senza mezzi termini:

Io vi ricanter qui la ballata

che luomo sempre vera ha ritrovata:

i matrimoni il fato li procura,

ma il cuc cant sempre per natura.([15])

CONTESSA -

Adesso va; ne riparliamo dopo.

RINALDO -

Vi piaccia incaricare lui, signora,

di dire ad Elena di venir qui,

perch di lei che vi dovrei parlare.

CONTESSA -

Messere, andate a dire alla mia dama,

Elena, intendo, che vorrei parlarle.

LAVA -

(Cantando)

Lei disse: fu per questa bella faccia

che i Greci andarono a bruciare Troia?

Fu certo unazionaccia.

Fu ella forse di Priamo la gioia?

Su questo sospirando si ferm

e poi cos parl:

se in mezzo a nove una buona ce n,

una buona su dieci sempre c.

CONTESSA -

Che! Una buona su dieci?

Sciagurato, mi stroppi la canzone!

LAVA -

Non la stroppio, signora, ve la spurgo,

dicendo che su dieci almeno una

ce n di buona. Dio cos volesse

provvedere di anno in anno il mondo!

Sio fossi il loro parroco,

con una tale decima di donne

non avrei proprio nulla da ridire.([16])

Una su dieci, dice, eh? Che pacchia!

Ne nascesse una buona

solo ad ogni passaggio di cometa

o sol magari ad ogni terremoto,

se nalzerebbe subito la media

nellurna della loro lotteria;([17])

oggigiorno ad un uomo pi facile

estrarre dal suo petto il proprio cuore

che estrarre da quellurna quella giusta.

CONTESSA -

Adesso per va, messer briccone,

a fare quello che tho comandato.

LAVA -

Guarda un po come deve andare il mondo!

Che un uomo debba esser comandato

da una donna, senza che il mondo crolli.

Lonest se non sol puritana,

non fa male a nessuno;

basta che si rassegni ad indossare

la cotta candida dellumilt

sulla tonaca nera dun gran cuore.([18])

Va bene, me ne vado!

Dir ad Elena di venir qui.

(Esce)

CONTESSA -

Bene. Allora sentiamo. Dicevate?

RINALDO -

Io so, signora, quanto voi amiate

questa giovane vostra nobil dama.

CONTESSA -

S, molto, in fede mia, lo posso dire.

Suo padre lha lasciata a me affidata,

e, del resto, pur senza altra cagione,

ella, di per se stessa, ha pieno titolo

a ricevere quanto affetto trova;

merita pi di quanto le vien dato,

ed io far che le sia sempre dato

pi di quanto ella possa domandare.

RINALDO -

Signora, vi dir, mi son trovato,

non visto, poco fa vicino a lei,

pi chella, penso, non desiderasse.

Era sola e parlava con se stessa

ad alta voce, per le proprie orecchie,

convinta, giurerei, che nessun altro

stesse l ad udir le sue parole.

Il cui tenore, si capiva bene,

era lamore suo per vostro figlio.

La Fortuna - ho sentito che diceva -,

non una dea, se ha posto tra noi due

tanta disparit di condizioni;

nemmeno un dio Amore,

se usa esercitare il suo potere

solo tra due che son di pari rango;

n Diana la patrona delle vergini,

se lascia che una povera sua adepta

venga colta indifesa al primo assalto,

senza speranza poi desser da lei

riscattata. E diceva tutto questo

con un amaro accento di dolore

quale mai profferire avevo udito

dalle labbra di vergine fanciulla;

e ho creduto che fosse mio dovere

portarvene senzaltro a conoscenza,

perch se danno dovesse venirne,

voi non foste senzesserne al corrente.

CONTESSA -

E bene avete fatto ad informarmene.

Tenetelo per solo per voi.

Della faccenda mero gi avveduta

per molti segni, ma cos oscillanti

sulla bilancia del mio sospettare,

da non saper se crederlo o non crederlo.

Ora andate pei fatti vostri, prego,

e grazie per il vostro onesto zelo.

Pi tardi avr qualcosa ancor da dirvi.

(Esce Rinaldo)

accaduto anche a me, in giovent;

son cose di natura,

e noi della natura siamo figlie.

Questa spina appartiene giustamente

alla rosa dellet nostra giovane;

nostro sangue, ed nata con esso.

della realt della natura

segno e sigillo lamorosa impronta

ch stampata nellanimo dei giovani.

A ricordare i nostri giorni andati,

tali erano altres i peccati nostri,

che non erano tali allor per noi.

Entra ELENA

(A parte)

E quel peccato lei, lo vedo bene,

ora, ce lha nellocchio.

ELENA -

Mi volevate parlare, signora?

CONTESSA -

Tu sai chio sono, Elena, una madre

per te.

ELENA -

La mia onorata signora.

CONTESSA -

No, una madre. Perch non una madre?

Quando ho detto una madre m sembrato

che avessi visto un serpe!

Che cosa c nella parola madre

da farti trasalire in questo modo?

Dico che son tua madre,

perch ti annovero fra le creature

che ho portate nel grembo.

Non di rado si vede ladozione

stare al pari con la paternit,

e unestranea sementa

riprodurci un indigeno virgulto.

Tu non mhai fatto gemere di doglie

e tuttavia per te ho mostrato sempre

le cure duna madre per la figlia.

Ragazza mia, per carit di Dio,

ti senti proprio raggelare il sangue

al sentir dire che sono tua madre?

Che hai? Perch ti cerchia le pupille

Iride variopinta, linclemente

messaggera di pianto?

Tanto ti duole desser mia figlia?

ELENA -

Di non esserlo, anzi.

CONTESSA -

Ma se ti dico che sono tua madre!

ELENA -

Dovrei chiamare allora mio fratello

il conte vostro figlio?

No, signora, dovete perdonare,

ma questo non pu essere. Il mio nome

umile, il suo chiaro ed illustre;

nessuno della mia famiglia nobile,

della sua tutti; egli il mio padrone,

il mio caro signore, ed io sua serva:

e tale voglio vivere e morire.

Non pu essere egli mio fratello.

CONTESSA -

N io tua madre?

ELENA -

Voi, lo siete, s,

e vorrei tanto lo foste davvero,

purch il mio signore vostro figlio

non fosse mio fratello! Vorrei, s,

che voi foste la madre sua e mia,

nulla pi ardentemente chiedo al cielo:

vostra figlia, senza esser sua sorella.

Non pu darsi altrimenti

che, essendo tuttavia io figlia vostra,

egli non debba essermi fratello?

CONTESSA -

S, Elena, se tu fossi, mia nuora.

Dio non voglia che tu sia refrattaria

a un tal pensiero!([19]) Tanto ti sconvolgono

questi due nomi di madre e di figlia?

Impallidisci ancora? I miei timori

scopron la tua passione. Ora m chiaro

il mistero della tua solitudine,

e la fonte delle tue salse lacrime.

Ora mi appare del tutto lampante:

tu sei innamorata di mio figlio.

Fantasiose menzogne

con le quali cercassi di negare

un sentimento cos manifesto

non valgono. Pertanto sii sincera,

e dimmi che cos, ch le tue guance,

vedi?, se lo confessano a vicenda;

e i tuoi occhi, che parlano a lor modo,

lo vedono mostrato s palese

nel tuo contegno; solo il tuo peccato

e una colpevole ostinazione

ti legano la lingua

a far sospetta ancor la verit.

Parla, cos? Se davvero cos,

hai ingarbugliato una bella matassa;

e se non , giurami che non ;

comunque tordino, dinnanzi al cielo

che potr anche servirsi di me

per il tuo bene: di la verit.

ELENA -

Perdono, mia signora!

CONTESSA -

Ami mio figlio?

ELENA -

Voi non lamate?

CONTESSA -

Non tergiversare:

il mio amore per lui

viene da vincolo a tutti noto.

Avanti, su, rivelami il tuo animo,

perch le tue reazioni

lhanno gi pienamente denunciato.

ELENA -

Ebbene, s, confesso qui in ginocchio

innanzi al cielo e a voi,

che pi di voi e solo al ciel secondo,

amo perdutamente vostro figlio.

La mia gente era povera ma onesta;

cos il mio amore. Ma non vi adombrate,

ch non gli porta danno essere amato

da una come me. Non lo perseguo

con nessun segno di corteggiamento

presuntuoso, n lo vorrei per me

fin quando non lo avessi meritato,

se pur ancor non so per qual mio merito.

Io so di amare invano,

e di sperare contro ogni speranza;

eppure seguito a riversare

dentro questo ingannevole crivello

incapace di contenerla tutta

la piena straripante del mio amore,

sapendo chessa se ne va dispersa;

cos, al pari dun idolatra indiano,

vivo adorando il sole

che volge i raggi sopra il suo devoto,

ma non per questo sa chi esso sia.

Mia signora carissima,

non fate che il vostro odio prenda larmi

contro lamore mio, solo perch

amo colui che anche voi amate;

ma se voi stessa, il cui maturo onore

attesta una virtuosa giovinezza,

provaste al vostro tempo una tal fiamma

avvivata da casto e puro affetto,

s che la vostra Diana era anche Venere,([20])

abbiate compassione, vi scongiuro,

duna il cui stato non offre altra scelta

che prestare e donar nella certezza

di non avere mai restituzione;

duna che non va in cerca per trovare

quello di cui va in cerca,

ma, come nellenigma della favola,([21])

vive la gioia che la fa morire.

CONTESSA -

Non avevi intenzione ultimamente

di recarti a Parigi?

ELENA -

S, signora.

CONTESSA -

A far che cosa? Di la verit.

ELENA -

Ve la dir, signora, innanzi a Dio.

Voi sapete che, prima di morire,

mio padre mi lasci delle ricette

di prodigiosa e provata efficacia

che gli studi e la sperimentazione

gli avevano permesso di comporre

come rimedi di sovrano effetto;

e che mi comand, per testamento,

di custodirle con estrema cura

siccome contenenti propriet

superiori alla indicazione esterna.([22])

Tra le altre indicato uno specifico,

di gi provata sperimentazione,

che pu curare il male disperato

di cui si dice stia morendo il re.

CONTESSA -

Era questo il tuo unico motivo

per andare a Parigi? Parla franco.

ELENA -

S, signora. E lidea di questo viaggio

venne dal mio signore vostro figlio;

se no, probabilmente sia Parigi,

che quella medicina per il re

sarebbero rimasti ben lontani

dai miei pensieri.

CONTESSA -

E tu ritieni, Elena,

che andando tu a offrirgli il tuo rimedio,

il re accetterebbe di provarlo?

Su una cosa daccordo coi suoi medici:

chessi non possono fargli pi niente,

cosa di cui anchessi son convinti.

Come potranno dunque prestar credito

a una povera vergine profana

di medicina, quando le lor scuole,

sviscerato lintero lor sapere,

abbandonano il caso al suo destino?

ELENA -

Ebbene c qualcosa in questo farmaco

che trascende perfino la perizia

del padre mio, che pure, lo sapete,

era al vertice della professione:

un qualcosa per cui la sua ricetta

per essermi venuta come lascito

a dispiegar leffetto suo benefico,

, come potrei dire?, resa sacra

dallinflusso degli astri pi benigni;

e sio potessi, col consenso vostro,

provarla sulla malattia del re,

sarei disposta, a rischio della vita,

a impegnarmi a ridargli la salute

entro un determinato giorno e ora.

CONTESSA -

Ne sei proprio convinta?

ELENA -

S, signora,

e in assoluta e completa coscienza.

CONTESSA -

Se davvero cos come tu dici,

Elena, allora non potr mancarti

il mio affetto insieme al mio consenso,

e i mezzi e lassistenza necessari.

Va, porta i miei saluti pi affettuosi

ai miei congiunti a corte. Io resto qui

a pregar Dio per questa tua impresa.

Parti domani, e sii certa di questo:

avrai da me ogni aiuto possibile.

(Escono)


ATTO SECONDO

SCENA I - Parigi, il palazzo reale.

Fanfara di trombe.([23]) Entra il RE con diversi giovani NOBILI in partenza per la guerra in Toscana; da unaltra parte entrano BERTRAMO e PAROLLES con un altro gruppo; i due gruppi si dispongono uno di fronte allaltro intorno al re.

RE -

(Al primo gruppo)

Addio, dunque, miei giovani signori.

Cercate di non far che si disperdano

queste vostre pugnaci aspirazioni.

(Al secondo gruppo)

Ed anche a voi, signori, il mio saluto.

(A tutti)

Spartitevi tra voi il mio consiglio,

dalluna allaltra parte;

se ciascuna se ne far tesoro,

questo mio dono sallungher tanto

che ciascuno ne avr quanto gli basta.

PRIMO NOBILE -

Sire, vivissima nostra speranza,

dopo aver fatto buon uso dellarmi,

di trovare, al ritorno, vostra altezza

ristabilita nella sua salute.

RE -

No, questo ormai non sar pi possibile;

pure in cuore ancor non mi confesso

linfermit che massedia la vita.

Buona fortuna, giovani signori;

chio viva o muoia, siate degni figli

della migliore nobilt di Francia.

Fate che lalta nobilt dItalia

- esclusa quella sol rimasta erede

dello sfacelo dellultimo impero -([24])

sia testimone che non siete andati

a corteggiar lonore, ma a sposarlo.

Anche quando il pi bravo dei segugi

rinunci ad inseguirla, siate voi

a scovare la preda ed acciuffarla,

e ne salga alto leco della fama.

PRIMO NOBILE -

Possa, maest, obbedire la salute

ai desideri vostri.

RE -

Le ragazze dItalia! State in guardia:

proverbiale che al nostro francese

manchino le parole

per dir di no alle loro richieste.

State attenti, perci,

a non far che cadiate prigionieri

prima ancora di scendere sul campo.

PRIMO e SECONDO NOBILE -

Terremo in cuore i vostri ammonimenti.

RE -

Addio.

(Ai suoi del seguito)

Accompagnatemi di l.

(Si ritira, sorretto, con il seguito)

PRIMO NOBILE -

(A Bertramo)

un peccato, che voi restiate qui,

amabile signore.

PAROLLES -

Non per colpa sua, messer Snobetti.([25])

SECONDO NOBILE -

Che bella cosa, per, queste guerre!

PAROLLES -

Magnifica! Ne ho viste io, di guerre!

BERTRAMO -

E io costretto a rimanere a casa,

con la solita solfa: troppo giovane,

lanno venturo, ancora troppo presto

PAROLLES -

Per, ragazzo, se hai quellidea,

coraggio e sguscia via. Vai anche tu.

BERTRAMO -

Eh, purtroppo m forza restar qui

a tirar la carrozza duna femmina

come un cavallo alla testa dun tiro,

ed a sentirmi le scarpe scricchiolare

sopra un piancito lucidato a cera,

fin quando poi non ci sar pi onore

da potersi acquistare con la spada,

e sar sol portata al fianco

per ornamento alle feste da ballo.

Perdio, io me la svigner di furto!

PRIMO NOBILE -

C onore anche nel furto.

PAROLLES -

S, fallo, conte.

PRIMO NOBILE -

Ed io vi sar complice.

Per ora posso dirvi solo addio.

BERTRAMO -

Son diventato una parte di voi,

ed ora il separarmi una tortura.

PRIMO NOBILE -

(A Parolles)

Salute, capitano!

SECONDO NOBILE -

Caro monsieur Parolles!

PAROLLES -

Nobili eroi,

la mia spada parente delle vostre:

lustre, brillanti, insomma, buona tempra.

Nel reggimento dei duchi di Spina([26])

incontrerete un certo capitano,

Spurio il nome, con una cicatrice,

un distintivo di combattimento,

sulla guancia sinistra.

stata opera di questa spada.

Ditegli che son vivo, e state attenti

a tutto quello che dir di me.

PRIMO NOBILE -

Sar fatto senzaltro, capitano.

PAROLLES -

Che Marte vi largisca le sue grazie

come sue nuove reclute.

(A Bertramo)

Tu che vuoi fare?

BERTRAMO -

Zitto, arriva il re.

Rientra il RE dal fondo

PAROLLES -

Mostrati di maniere pi espansive

con quei giovani nobili signori;

ti sei tenuto a un troppo freddo addio.

Devi esser pi cordiale con costoro,

quelli son gente al passo con i tempi;([27])

sanno sfoggiare il giusto portamento,

sanno mangiare, discorrere, muoversi

sotto linflusso dellastro pi in voga,

e con loro bisogna pur ballare,

fossanche il diavolo a guidar la danza.

Va loro dietro e da loro un addio

con pi calore.

BERTRAMO -

quello che far.

PAROLLES -

Sono degne persone,

sapran mostrarsi buoni spadaccini.

(Escono Bertramo e Parolles)

Entra LAFEU e singinocchia al re

LAFEU -

Chiedo il vostro perdono, maest,

per me e per la notizia che vi porto.

RE -

Lavrai se non mi stai l inginocchiato.

LAFEU -

(Rialzandosi subito)

Eccomi allora in piedi e perdonato.

Avrei tanto voluto, mio signore,

che foste stato voi a inginocchiarvi

e a chiedere perdono in vece mia

ed a balzare in piedi al mio comando.

RE -

Lavrei voluto anchio, e perch no,

per spaccarti magari quella zucca

e poi poterti chiedere perdono.

LAFEU -

Proprio spaccata in due! Povero me!

Mio signore, la mia notizia questa:

volete che qualcuno vi guarisca

del vostro male?

RE -

No.

LAFEU -

Oh, oh! Non vuole dunque mangiar luva

la mia volpe reale?

Eh, ma li mangerebbe certamente

la mia volpe reale i miei bei grappoli,

se gli riuscisse di arrivare a coglierli.([28])

Insomma, ho conosciuto un certo medico([29])

ch capace di dar vita in un sasso,

danimare una roccia, e far che voi

vi mettiate a ballare una canaria([30])

con tutto il fuoco e la mozione giusta;

che col semplice tocco delle dita

pu far resuscitare Re Pipino;

che possiede, vi dico, un tal potere

da porre in mano al grande Carlomagno

tanto di calamo, per fargli scrivere

versi damore dedicati a lei.

RE -

Lei chi?

LAFEU -

Diamine, sire, il dottor Lei!

test giunta a corte, mio signore,

se voleste degnarvi di riceverla.

Ora, sulla mia fede ed il mio onore,

se m lecito esprimer seriamente

quello che penso in tal scherzosa forma,

ho parlato, vi dico, con persona

che pel suo sesso, per let sua giovane,

per la saggezza delle sue teorie

e la costanza con cui le sostiene

mha stupito ben pi chio possa dire

dincolparne la mia credulit.

Volete compiacervi di riceverla,

ch questo ella vi chiede, e dascoltarla?

Dopo, ridete pure alla mie spalle.

RE -

Ebbene, buon Lafeu, falla passare

questa tua decantata meraviglia,

s chio possa spartirla insieme a te,

o almeno fartene disincantare,

meravigliandomi poi della tua.

LAFEU -

Va bene. E ne sarete soddisfatto

vi dico, prima che tramonti il giorno.

(Esce)

RE -

Il solito suo prologo a qualcosa

che si dimostra poi non esser niente.

Rientra LAFEU con ELENA

LAFEU -

(A Elena, che indugia davanti al re)

Venite avanti, prego.

RE -

Eh, che rapidit, questo Lafeu!

LAFEU -

(A Elena)

Venite avanti Questi sua maest.

Ditegli pure quel che avete a dirgli.

Allapparenza vi si prenderebbe

per un cospiratore;

ma da cospiratori come voi

il re non avr proprio da temere.

Io mi faccio ora lo zio di Cressida,([31])

e vi lascio qui soli. Arrivederci.

(Esce)

RE -

Dunque, bellezza, par che avete a dirmi

cosa che mi riguarda?

ELENA -

S, signore.

Mio padre era Gerardo di Narbona,

ben noto qui nella sua professione.

RE -

Lo conoscevo bene.

ELENA -

Tanto meglio:

ci mi risparmia di farne le lodi:

conoscerlo bastava.

Sul suo letto di morte il padre mio

maffid molte delle sue ricette

una in particolare, chera il frutto

il pi pregiato delle sue ricerche,

e delle sue esperienze di molti anni,

mordin di tenerla custodita

come la terza delle mie pupille,

anzi meglio e di pi delle mie due.

Io cos ho fatto. Avendo adesso udito

che vostra maest proprio afflitta

da quel male per cui pi efficace

quellonorato dono di mio padre,

son venuta ad offrirlo a vostra altezza

con tutta la mia umile assistenza.

RE -

Ti ringrazio, fanciulla;

ma non possiamo aver troppa fiducia

ormai dalcuna cura al nostro male,

quando i nostri dottori pi famosi

han tutti desistito,

ed il collegio medico riunito

ha pur concluso che la scienza medica

incapace, per quanti sforzi faccia,

di riscattare la natura umana

da processi che sono irreversibili.

Io devo aggiungere che non lecito

a noi macchiare il nostro raziocinio

o avvilire le nostre aspettative

fino a prostituire il nostro male

inguaribile a empirici rimedi,

n dissociar la nostra alta persona

dalla reputazione chessa gode,

accettando rimedi irrazionali,

quando consideriamo irrazionale

sperare ormai in qualsiasi rimedio.

ELENA -

Quand cos, signore,

sar giusto compenso alle mie pene

il dovere compiuto. Non insisto

ad imporvi per forza i miei servigi;

vi chiedo solo, umilissimamente,

di poter riportare con me indietro

soltanto un vostro modesto pensiero.

RE -

Meno di questo non potrei concederti

senza passare da irriconoscente.

Ti sei offerta di recarmi aiuto,

ed io ti rendo quei ringraziamenti

che pu offrire chi prossimo a morire

a chi ha desiderato chei vivesse.

Ma del mio male, che conosco a fondo,

tu non conosci nulla;

io so qual il mio stato di pericolo,

tu non conosci larte.

ELENA -

Quand cos, non vi pu recar danno

chio tenti tutto quel che posso fare,

dal momento che avete ormai puntato

tutta la posta contro ogni rimedio.

Colui che fa le opere pi grandi

molte volte si serve, ad eseguirle,

del pi piccolo e debole ministro.

Le Divine Scritture ci tramandano

di bambini dotati di giudizio,

quando giudici si son dimostrati

bambini; immensi fiumi spesso sgorgano

da minuscole polle;

grandi mari si sono prosciugati

quando i grandi negavano i miracoli.

Spesso le aspettative son deluse

proprio laddove meglio esse promettono;

e savverano dove la speranza

morta e cede alla disperazione.

RE -

Non posso darti ascolto.

Addio gentil fanciulla. Le tue cure

non fruite, te le dovrai pagare

di tasca tua; le offerte non fruite

non possono ricevere altro compenso

che un grazie a voce.

ELENA -

Un alito di voce

pu respinger cos un beneficio

ispirato da cielo. Non cos

con Colui che conosce ogni cosa.

Noi formiamo le nostre convinzioni

sullapparenza; e, troppo presuntuosi,

consideriamo laiuto del cielo

alla stregua dei nostri fatti umani.

Caro signore, date il vostro assenso

a questo tentativo: sar il cielo

non io a compiere lesperimento.

Non son tale impostore

da proclamare daver fatto centro

prima ancora daver preso la mira;

ma so di credere, e credo per certo,

che la mia arte ha il suo potere,

e il vostro male non senza cura.

RE -

Sei cos fiduciosa?

E in quanto tempo speri di guarirmi?

ELENA -

Se la Grazia celeste mi fa grazia,

sar prima che i cavalli del sole

abbian fatto percorrere due volte

al fiammeggiante lor torciere-auriga([32])

il diurno suo giro intorno al mondo,

e prima che due volte Espero rorido([33])

abbia stemprato lassonnata lampada

nellumido caliginoso occaso;

prima che la clessidra del nocchiero

abbia segnato ventiquattro volte

lo scorrere furtivo dei minuti,

ci che di voi infermo

lascer laltre vostre membra sane,

la salute vivr libera in voi

e il vostro male si dileguer.

RE -

Quale posta sei tu pronta a rischiare

su questa tua fiduciosa certezza?

ELENA -

La condanna di femmina impudente,

di temeraria sfacciata sgualdrina,

il generale pubblico ludibrio,

il mio nome di vergine

fatto argomento di oscene ballate

e marchiato dinfamia; o peggio ancora

che la mia stessa vita si concluda

tra le pi vili e infamanti torture.

RE -

Mi pare di sentir parlare in te

la voce duno spirito divino

in un esile organo,

onde ci che al buon senso pare assurdo,

acquista senso su un diverso piano.

La tua vita preziosa,

poich in te raccolto ed esaltato

tutto quello pu chiamarsi degno

del nome vita: giovent, bellezza,

discernimento, dignit, coraggio

tutto ci che felicit e freschezza

di giovent possono dir felice.

Per metterla a tal rischio,

tu devi possedere la certezza

duna perizia quasi illimitata,

o una mostruosa temerariet.

Prover dunque, dolce guaritrice,

il tuo farmaco; ma, se morir,

ricordati: sar per te la morte.

ELENA -

Se andr al di l del termine indicato,

o mancher altrimenti a quel che ho detto,

mi sia pur data morte,

senza piet: lavr ben meritato:

sar questa la giusta mia mercede,

se non sar riuscita a guarirvi.

Ma se riesco, che mi promettete?

RE -

Chiedilo tu.

ELENA -

Ma voi lo manterrete?

RE -

S, su questo mio scettro

e sulle mie speranze di salvezza.

ELENA -

Allora, con la tua mano regale,

mi darai qual marito in tuo potere

io ti richieder. Rimanga escluso

chio sia tanto arrogante da pretendere

di sceglierlo fra la regal progenie

di Francia, con lintento di innestare

il mio modesto ed umile casato

ad un qualsiasi ramo o simulacro

del tuo ceppo; ma uno, un tuo vassallo,

chio sappia desser libera di chiedere,

come tu di concedere.

RE -

Daccordo,

eccoti la mia mano.

Attuate che avrai le tue promesse,

il tuo volere mi trover pronto

a soddisfarlo. Scegli tu il momento,

ch ormai son ben deciso

ad affidarmi a te e alle tue cure.

Di te vorrei per saper di pi,

anche se ci non gioverebbe molto

ad accrescere in te la mia fiducia:

da dove vieni, con chi sei venuta

Ma no, rimani pur la benvenuta

senza interrogatorio, e benedetta

senza sospetto.

(Ai servi)

Ehi, voi, sorreggetemi.

(A Elena)

Se il tuo procedere nei miei riguardi

sar allaltezza della tua parola,

i miei atti saranno ad esso pari.

(Trombe. Escono)

SCENA II - Rossiglione il palazzo del conte.

Entrano la CONTESSA e IL LAVA

CONTESSA -

Ors, voglio vedere, signor mio,

fino a che punto sei bene istruito.

LAVA -

Ben nutrito potrete ben vedermi,

signora; bene istruito, un po meno.

Del resto tutto quel che devo fare

se non si tratta che dandare a corte

CONTESSA -

E gi, a corte! Perch, c altro luogo

che consideri pi altolocato,

per parlarne con tanta degnazione?

Se non si tratta che dandare a corte

LAVA -

Bah, signora: se uno ha avuto in dono

dal Padreterno un po di gentilezza,

unita a un poco di buone maniere,

gli sar facile spacciarle a corte;

ma chi non sa come fare un inchino,

scoprirsi il capo, baciarsi le dita

e spiccicare due parole insieme,

vuol dire che non ha ginocchia, mani,

labbra o cappello, e, a dirla francamente,

a corte se la caverebbe male.

Ma io, per me, ho una risposta a tutto.

CONTESSA -

Vergine santa, chi sa che risposta

sar, di quanto abbondante in larghezza,

per adattarsi a tutte le domande!

LAVA -

come il seggiolone del barbiere

che va bene per tutti i deretani:

il pizzuto, il robusto, lo spianato,

qualsiasi deretano.

CONTESSA -

Sarebbe a dire che la tua risposta

sadatta bene a qualsiasi domanda?

LAVA -

S, come dieci grosse([34])

alla mano di un basso mozzorecchi,

o la corona francese([35]) alla zucca

duna sgualdrinelluccia in taffett;

o lanello di giunco di Pierina

al dito di Pierino;

o come la frittella al Carnevale;

o come la moresca al primo maggio;([36])

il chiodo al buco, le corna al cornuto,

la bisbetica alluomo attaccabrighe,

come le labbra duna monachina

alla bocca dun frate che dir pi?

come la carne insaccata alla pelle.

CONTESSA -

Insomma, dico, avresti una risposta

per chiunque ti faccia una domanda?

LAVA -

Dal duca in gi, fino allultimo sbirro.

CONTESSA -

Devessere davvero una risposta

di dimensioni quanto mai mostruose,

per adattarsi a tutte le domande.

LAVA -

Macch, una bagattella, vassicuro,

se fosse un istruito a definirla.

Eccola a voi, con annessi e connessi:

chiedetemi se sono un cortigiano;

non vi far alcun danno ad impararla.

CONTESSA -

Vediamo: tanto per tornare giovane

- magari lo potessimo! - da sciocca

ti faccio allora io quella domanda

nella speranza che la tua risposta

mi comunichi un grano di saggezza:

Signore, prego, siete un cortigiano?

LAVA -

(Imitando i modi leziosi di un cortigiano)

Oh, l l, mio signore! Questo niente,

un primo assaggio Ancora, ancora, cento

CONTESSA -

Signore, sono un vostro umile amico

che vi vuol bene

LAVA -

(c.s.)

Oh, l l, mio signore!

Su, su, incalzatemi, senza risparmio!

CONTESSA -

Credo, signore, che non mangerete

di questo cibo troppo casalingo.

LAVA -

Oh, l, l Sotto, sotto, sempre pi,

mettetemi alle strette, e sentirete.

CONTESSA -

Vhanno frustato bene ultimamente,

credo, signore.

LAVA -

Oh, l l, signore!

Su, su non risparmiatemi! Insistete!

CONTESSA -

Sicch a uno che ti fustigasse

risponderesti: Oh, l, l, signore!

con laggiunta di : Su, non risparmiatemi?

Quel l l segue bene le frustate,

risponderesti bene alle frustate,

se volessi tenerti a quelle frasi.

LAVA -

Questo Oh, l l, signore!

non m andato mai male in vita mia

come ora con voi;

certe cose, bisogna riconoscerlo,

possono funzionare anche per molto,

ma non per sempre ed in ogni occasione.

CONTESSA -

Ma io sto recitando con il tempo

la parte della nobile anfitriona,

passandolo cos svagatamente

con un buffone.

LAVA -

Oh, l l, signora!

Ecco, stavolta ha funzionato bene!

CONTESSA -

Basta, torniamo a quel che devi fare.

Rcati a corte([37]) e porta questo ad Elena,

(Gli consegna una lettera chiusa)

e di che ti dia subito risposta.

Salutami mio figlio e i miei parenti.

Non mi pare poi molto.

LAVA -

Non molto che cosa: il salutarli?

CONTESSA -

No, tutto quanto quel che devi fare.

Hai capito il concetto?

LAVA -

Pienamente.

Sono gi l, prima delle mie gambe.

CONTESSA -

E ritorna con pari speditezza.

(Escono da parti opposte)

SCENA III - Parigi, il palazzo reale.

Entrano BERTRAMO, LAFEU e PAROLLES;

questi sfoggia intorno al collo sciarpe di colori diversi

LAFEU -

Dicono che i miracoli

son cose che avvenivano in passato,

ora che abbiamo i nostri sapientoni

a renderci correnti e quotidiane

cose che un tempo gli uomini tenevano

per soprannaturali ed inspiegabili.

Sicch oggid noi ci facciamo scherno

dei terrori dei nostri padri antichi,

rifugiandoci in una conoscenza

che tuttavia soltanto apparente,

quando sarebbe giusto sottostare

comunque alla paura dellignoto.

PAROLLES -

Eh, s, in coscienza, questa guarigione

la pi straordinaria meraviglia

di cui si sia parlato tra la gente

nel mondo da gran tempo a questa parte.

BERTAMO -

Infatti, s.

LAFEU -

Dopo che tutti i medici

lavevano gi dato per spacciato

PAROLLES -

Gi, i vari Galeno e Paracelso

di casa nostra

LAFEU -

e tutti i pi sapienti

e addottorati

PAROLLES -

Eh, no? Lo dico anchio.

LAFEU -

che lo consideravano incurabile

PAROLLES -

Gi, questo il punto.

LAFEU -

irrimediabilmente.

PAROLLES -

come se ormai non gli restasse pi

LAFEU -

La vita incerta e sol la morte certa.

PAROLLES -

Eh, me lavete tolto dalla bocca.

LAFEU -

Posso affermare in tutta verit

che mai si vide al mondo cosa simile.

PAROLLES -

Appunto; ed a volerne la conferma,

si pu leggerla in quel come si chiama

LAFEU -

(Citando a memoria)

Dimostrazione di un divino effetto

su soggetto terrestre.

PAROLLES -

Per lappunto:

lavevo sulla punta della lingua.

LAFEU -

Eccolo l, pi vispo di un delfino.

In quanto a me, parlando con rispetto

PAROLLES -

strano, molto strano, questo il fatto,

detto in parole povere;

e sarebbe perverso non vederci

LAFEU -

la mano stessa del cielo

PAROLLES -

S, giusto.

LAFEU -

che s manifestata nel pi debole

PAROLLES -

e nel pi umile dei suoi ministri

con tal potere, con tal trascendenza

da indurci a ripensare dimpiegarla

oltre la guarigione dun sovrano,

s da poter riscuotere, io dico

LAFEU -

un riconoscimento universale.

Entra il RE con ELENA e seguito

PAROLLES -

Giusto, cos dicevo. Ma ecco il re.

LAFEU -

Lustig,([38]) come direbbe un olandese.

Finch avr denti in bocca, giuraddio,

voglio amare le donne alla follia.

Guardalo l, sarebbe ora capace

di ballare con lei una corrente!([39])

PAROLLES -

Mort du vinaigre!([40]) Quella non Elena?

LAFEU -

Perdio, direi di s.

RE -

(A uno del seguito)

Va a dire a tutti i nobili di corte

di radunarsi qui, davanti a me.

(Esce il servo)

(A Elena)

Siedi, mia salvatrice, accanto a me,

vicino al tuo paziente risanato,

e da questa mia mano

i cui perduti sensi hai richiamato

ricevi unaltra volta ufficialmente

la conferma del dono a te promesso.

Devi soltanto pronunciare il nome.

(Entrano alcuni giovani NOBILI)

Bella fanciulla, gurdati ora intorno:

questa accolta di giovani signori

pende dalla mia bocca

di sovrano e paterno lor tutore

per prender moglie. Sono tutti scapoli.

Scegli liberamente tra di loro.

Da me tu hai la facolt di scegliere,

non essi quella di dirti di no.

ELENA -

A ciascuno di voi possa toccare,

quando nel vostro cuore spiri amore,

sposa bella e virtuosa. Tranne ad uno.

LAFEU -

(A parte)

Darei il mio baio e tutti i finimenti

per avere la dentatura sana

e la barba di questi giovanotti

cos poco spinosa.

RE -

(Ad Elena)

Guardali bene. Non ce n nessuno

tra loro che non abbia un padre nobile.

ELENA -

Gentiluomini, il cielo, per mio tramite

ha ridonato la salute al re.

PRIMO NOBILE -

Ne siamo consapevoli,

e ne rendiamo grazie a Dio e a voi.

ELENA -

Io non sono che una fanciulla vergine,

e in questo sta tutta la mia ricchezza:

nel dichiararmi una fanciulla vergine.

Piaccia a vostra maest, io ho finito.

Il rossore che avvampa le mie guance

sento che mi sussurra: Sono qui,

perch tu sei di fronte ad una scelta,

ma se sarai respinta, al posto mio

scenda per sempre sopra le tue guance

il bianco della morte.

RE -

Fa intanto la tua scelta. Poi vedremo.

Chi respinge il tuo amore

respinge insieme ad esso il mio favore.

ELENA -

Diana, ecco, io fuggo dal tuo altare,([41])

e volgo i miei sospiri

allAmore, imperiale, eccelso iddio.

(Al Primo Nobile)

Signore, siete pronto ad ascoltare

la mia richiesta?

PRIMO NOBILE -

Ed anche ad esaudirla.

ELENA -

Grazie, signore. Il seguito silenzio.([42])

LAFEU -

(A parte)

Perdio, mi giocherei la vita ai dadi,

a costo di buttare gi due assi,

per potermi trovare in mezzo a loro!([43])

ELENA -

(Al Secondo Nobile)

La fierezza che varde, mio signore,

in quei begli occhi prima ancor chio parli,

una risposta troppo minacciosa.

Amore faccia le vostre fortune

venti volte al disopra di colei

che qui ve laugura e del suo umile

modesto amore.

SECONDO NOBILE -

Non chiedo di meglio.

ELENA -

Vogliate dunque accettare i miei voti

e il cielo li esaudisca. Vi saluto.

LAFEU -

(c.s.)

Possibile che tutti la ricusino?

Fossero figli miei li frusterei,

o li manderei tutti dal Gran Turco,

per farne eunuchi per il suo serraglio.

ELENA -

(Al Terzo Nobile)

Non abbiate timore, cavaliere,

chio voglia prendere la vostra mano.

Vho riguardo. Non vi far mai torto.

Il cielo benedica i vostri voti,

e possiate trovar nel vostro letto

pi vaga sorte, se vi sposerete.([44])

LAFEU -

(c.s.)

Questi ragazzi son fatti di ghiaccio:

non la vuole nessuno. Son bastardi

di padre inglese, costoro, sicuro.

I Francesi non fan figli cos.

ELENA -

(Al Quarto Nobile)

Voi siete troppo giovane,

troppo gioviale e troppo altolocato

per regalarvi un figlio dal mio sangue.

QUARTO NOBILE -

Non lo credo, bellezza.

LAFEU -

(A parte, osservando Bertramo)

Resta un chicco dal grappolo,

e tuo padre, son certo, amava il vino;

e tu non sei un asino, lo so,

comio non sono pi uno scolaretto

quattordicenne: ti conosco gi.

ELENA -

(A Bertramo)

Non oso dir: Vi prendo,

ma che dono me stessa e i miei servigi

per tutta la mia vita al tuo potere

e alla tua guida. Sire, questo luomo.

RE -

Bertramo, prendila, dunque, tua moglie.

BERTRAMO -

Mia moglie, sire! La vostra maest

vorr concedermi in questa faccenda

chio mi faccia aiutare dai miei occhi.

RE -

Non sai quello che ha fatto ella per me?

BERTRAMO -

S, signore, lo so;

ma non spero di poter mai sapere

perch la dovrei prendere per moglie.

RE -

Sai che mha fatto alzare

dal mio letto di atroce sofferenza.

BERTRAMO -

E dovrebbe discenderne,

che laver fatto ella alzare voi

dovrebbe far calare in basso me?

Io la conosco bene: ella cresciuta

in casa mia, a spese di mio padre.

Io, prenderla per moglie!

Sia causa il mio rifiuto di costei

piuttosto di perenne mia disgrazia

mio signore!

RE -

S solo la mancanza

in lei dun titolo che tu disdegni,

io posso facilmente rimediarvi.

ben strano che il sangue di noi uomini,

per colore, per peso e per calore

in tutti identico, se mescolato

lun con laltro sarebbe indistinguibile,

e si debbano invece attribuire

ad esso tali e tante differenze.

Sella assomma in se stessa ogni virt

salvo quella che dici di sdegnare

(esser lei figlia dun povero medico)

tu sdegni la virt per un blasone.

Non farlo. Quando opere virtuose

procedono da origine modesta

la loro origine trae dignit

da chi le compie, non dai suoi antenati.

E dove in titoli gonfi e sfarzosi

non alberga virt, lonore idropico.

Il bene bene da s, senza nome;

cos il male; la qualit stimata

per quel che , non pel nome che porta.

Ella giovane, giudiziosa, bella,

e questi doni ha tutti ereditati

direttamente da madre natura,

e son essi che generano onore.

un onore da burla, per converso,

quello di chi si vanta desser figlio

dellonore, e non come suo padre.

Fiorisce onore quando dai nostri atti

ci viene, pi che da quelli degli avi.

Onore termine anche spregevole,

quando buttato, mendace epitaffio,

su ogni pietra tombale, su ogni tomba;

e spesso muto laddove la polvere

e un maledetto oblio coprono ossa

veramente onorate. Che pi dirti?

Se ti senti di amar questa creatura

per la fanciulla semplice che ,

io, per lei, sono pronto a fare il resto.

Ella e la sua virt son la sua dote;

ricchezza e titolo li avr da me.

BERTRAMO -

Non mi sento di amarla,

e non voglio forzar me stesso a farlo.

RE -

Ma fai torto a te stesso

se pretendessi di scegliere altrove.([45])

ELENA -

Io son felice di avervi guarito,

signore. Al resto non pensiamo pi.

RE -

in gioco il mio onore,

e per difenderlo sono deciso

ad usare la mia autorit.

Su, prendila per mano,

orgoglioso e protervo giovinotto,

indegno dun tal dono prelibato,

che cerchi, con spregevoli pretesti,

di mettere alla gogna lonor mio

e i meriti di lei; non pensi tu

che se mettiamo la nostra persona

sul suo pi alto piatto, la bilancia

farebbe tracollare quello tuo

fino al soffitto? Sai ch in noi il potere

di piantare la pianta del tuo onore

sul terreno sul quale piace a noi

di farlo crescere. Vedi perci

di saper contenere il tuo disprezzo.

Obbedisci alla nostra volont

che sadopra soltanto pel tuo bene.

Non dar retta allorgoglio;

rendi alle tue fortune lobbedienza

che il dovere di suddito timpone

e che la nostra potest reclama,

chio non abbia ad escluderti per sempre

dalle mie cure, e lasciarti in bala

dellincurante e vacillante gorgo

dellignoranza e della giovent,

scatenando su te la mia vendetta

e il mio odio, nel nome della legge,

senza il minimo senso di piet.

Parla. La tua risposta.

BERTRAMO -

Mio grazioso signore, perdonatemi;

assoggetto il mio interno impulso

al vostro modo di vedere, sire.

Consapevole del potere vostro

di procurare grandezza ed onore

a pro di chi e dovunque lo vogliate,

io scopro che colei che ancor pocanzi

il mio nobile animo pensava

infima, ora leccelsa del re;

cos nobilitata, ella ai miei occhi

lo stesso che fosse nata nobile.

RE -

E allora avanti, prendila per mano,

dille che tua, e lei la mia promessa

di titoli di propriet e di grado

far pesare almeno quanto te,

se non di pi.([46])

BERTRAMO -

Accetto la sua mano.

RE -

La buona sorte e il favore del re

sorridano benigni a questo patto

che sar celebrato senza indugio,

con rito breve, senza cerimonie,

stasera stessa. Il ritual festino

potr aver luogo pi in l, a suo tempo,

in attesa di amici ora lontani.

(A Bertramo)

Se tu lami, il tuo amore per me sacro;

se no, sei un eretico.

(Escono tutti meno LAFEU e PAROLLES)

LAFEU -

Una parola, monsieur mascoltate?

PAROLLES -

Vascolto, monsignore.

LAFEU -

Bene ha fatto il signore tuo padrone

a rimangiarsi tutto.

PAROLLES -

Rimangiarsi!

Il mio signore, eh? Il mio padrone!

LAFEU -

S, il tuo padrone: che linguaggio parlo?

PAROLLES -

Un linguaggio assai scabro, che a comprenderlo

avrebbe conseguenze sanguinose.

Il mio padrone!

LAFEU -

Che volete dire?

Siete voi pari al conte Roussillion?

PAROLLES -

A quello e a tutti i conti,

io sono pari, a tutto ci che uomo.

LAFEU -

A tutto ci che sia uomo del conte;

il padrone del conte altra roba.

PAROLLES -

Eh, siete troppo vecchio, signor mio,

rassegnatevi, siete troppo vecchio.

LAFEU -

Sono un uomo, messere, e dico un uomo,

un titolo che a te manco let

potr dare, campassi anche centanni!([47])

PAROLLES -

Mi trattengo dal far verso di voi

cosa che mi sarebbe troppo facile.

LAFEU -

Per quel paio di volte,

che ci siamo trovati insieme a tavola,([48])

tho creduto persona di buon senso;

facevi tollerabilmente vanto

dei tuoi viaggi: il che pu anche andare.

Ma le troppe fusciacche e bandierine

di cui sei sempre tutto pavesato

mhan dissuaso dal considerarti

un vascello di troppo grossa stazza.

Adesso poi ti sei scoperto tutto

e se ti perdo, non mi metto a piangere;

perch sei uno che non sa far altro

che porre cervellotiche domande,

ed anche in questo vali poco assai.

PAROLLES -

Se non vi proteggesse il privilegio

della vecchiaia

LAFEU -

Non scaldarti troppo,

se non vuoi affrettare la tua prova,

altrimenti Che Dio abbia piet

di te e delle galline come te!

meglio che ci salutiamo: addio,

faccione da vetrina di taverna!([49])

Non ho bisogno daprir le tue ante,

ch ti vedo attraverso. Qua la mano.

PAROLLES -

Signore, voi mi fate villania

in sommo grado.

LAFEU -

E con tutto il mio cuore,

sempre meno di quanto ne meriti.

PAROLLES -

Non ne merito punto.

LAFEU -

Ah, s, in coscienza,

fino allultimo decimo di grammo,

e non te ne torr nemmeno un briciolo.

PAROLLES -

Bene, vuol dire che star pi accorto.

LAFEU -

E deciditi a farlo senza indugio,

perch dovrai mandar gi qualche rospo.

Quando con una di quelle tue sciarpe

sarai legato e picchiato a dovere,

allora capirai che voglia dire

farsi bello con tutti quei legacci.

Voglio restar comunque in relazione

con te, voglio anzi conoscerti meglio

s che quando ti troverai nei guai

io possa dire: uno che conosco.

PAROLLES -

Voi mi trattate in modi insopportabili,

monsignore.

LAFEU -

Vorrei, per il tuo bene,

che fossero le pene dellinferno,

ed io a propinartele in eterno;

ma sono ormai fuori combattimento;

per cui ti pianto in asso,

con la pi premurosa speditezza

consentitami dalla mia et.

(Esce)

PAROLLES -

Va va, mi rifar verso tuo figlio

di questi insulti, vecchio bofonchioso

ed immondo signore!

Per ora mi conviene pazientare,

non possibile mettere in ceppi

lautorit. Ma gliele suoner,

se mi capita loccasione giusta,

fossegli il doppio del doppio pi nobile!

Rientra LAFEU

LAFEU -

Ci sono novit per te, messere.

Il tuo padrone, nonch tuo signore,

ha preso moglie. Una buona notizia!

Ora avrai anche una nuova padrona.

PAROLLES -

Debbo sinceramente scongiurare

unaltra volta vostra signoria

di trattenersi dal recarmi offesa.

Il conte il mio signore.

Il padrone che servo sta pi in alto.

LAFEU -

Chi, Dio?

PAROLLES -

Appunto.

LAFEU -

Il tuo padrone il diavolo.

Perch ti leghi quelle giarrettiere

alle maniche? Porti certe maniche

che paiono due braghe.

Fan cos anche gli altri servitori?

Tanto varrebbe che ne andassi in giro

col deretano al posto della faccia.([50])

Fossio pi giovane, non dico tanto,

dun paio dore, ti bastonerei.

Perch tu, a mio avviso, in quellarnese,

sei davvero unoffesa universale,

e le dovresti prendere da tutti.

Tu sei stato creato, a mio parere,

perch il mondo salleni a schiaffeggiarti.

PAROLLES -

Questo un brutale modo di parlare

chio non merito affatto, monsignore.

LAFEU -

Va l, messere, chio so che in Italia

lhai prese sode per aver rubato

un acino da un melograno, un chicco;

tu sei un vagabondo,

altro che il grande e noto viaggiatore

che ti vanti di essere. Coi nobili

e con laltre persone dalto rango

ti permetti di prenderti licenze

pi di quanto non te diano titolo

la tua nascita e quello che tu vali.

Se volessi sprecare la parola,

ti chiamerei canaglia. Ti saluto.

(Esce)

PAROLLES -

Bene, benissimo dunque cos.

Pel momento, facciam finta di niente

Entra BERTRAMO

BERTRAMO -

Rovinato! Inguaiato per la vita!

PAROLLES -

Che succede, dolcezza?

BERTRAMO -

Succede che bench labbia giurato

solenne e sacrosanto avanti al prete,

quella, a letto con me, non ce la porto!

PAROLLES -

Come, come, dolcezza?

BERTRAMO -

Parolles, amico mio, mhan dato moglie!

In Toscana io vado, a far la guerra,

ma quella, a letto io non me la porto!

PAROLLES -

Oh, hai ragione, s, via dalla Francia!

una buca da cani, questa Francia,

e non merita pi che piede umano

la calpesti. Alla guerra, s, alla guerra!

BERTRAMO -

Ho qui una lettera da casa mia.

di mia madre, non lho ancora aperta.

PAROLLES -

Ci sar tempo a leggerla.

Ora si va alla guerra, giovanotto.

Custodisce lonore in un astuccio

chi resta ozioso a casa a non far altro

che stringer tra le braccia la sua bella,

sprecando in braccio a lei quel vigor maschio

che dovrebbe servirgli a controllare

gli scarti e le impennate del destriero

rutilante di Marte. Ad altre prode!

Questa Francia una stalla,

e noi che ci restiamo dei ronzini.

Perci, alla guerra!

BERTRAMO -

Ed io cos far.

La rispedisco a casa da mia madre,

non senza aver informato costei

di quanto io detesti quella donna,

e che appunto per questo son partito.

E da lontano poi scriver al re

tutto quello che non ho avuto lanimo

di dirgli in faccia. Cos apprender

che questo bel servizio che mha fatto

sar solo servito a incoraggiarmi

a partire per quei campi italiani

dove si scontrano nobili spiriti.

La guerra cosa di poca fatica,

a fronte di una casa manicomio

in compagnia duna moglie aborrita.

PAROLLES -

Sei sicuro che questo tuo capriccio

ti durer nel tempo?

BERTRAMO -

Vieni con me in camera e consigliami.

La spedisco via subito. Domani,

io alla guerra, e lei al suo rammarico

di zitella.

PAROLLES -

Eh, l, l, palla e rimpallo!

Un bel pasticcio! Giovane ammogliato,

uomo inguaiato. Perci via, coraggio,

piantala e va! Il re tha fatto torto?

Cos , zitto e mosca!

(Escono)

SCENA IV - Parigi, altra sala del palazzo reale.

Entrano ELENA leggendo una lettera e IL LAVA

ELENA -

Mia madre mi saluta. Ben gentile.

Sta bene?

LAVA -

Proprio bene non direi;

ma sta in salute, tutta vispa e allegra;

per bene non sta; ma, grazie al cielo,

sta benissimo e non le manca nulla.

Per, bene non sta.

ELENA -

Se sta benissimo,

che cosha, da non farla stare bene?

LAVA -

Ecco, in coscienza, starebbe benissimo,

tranne che per due cose.

ELENA -

Quali cose?

LAVA -

Una, che non in cielo;

e piaccia a Dio di chiamarcela presto;

e due, che invece in terra,

donde Dio voglia toglierla al pi presto.

Entra PAROLLES

PAROLLES -

Fortunata signora, Dio vi salvi!

ELENA -

Spero trovarvi sempre premuroso

della mia buona fortuna, signore.

PAROLLES -

Ho pregato perch cos laveste,

e seguito a pregare

chessa cos vi duri conservata.

(Al Lava)

Ehi l, tu qui, furfante?

E la mia vecchia dama come sta?

LAVA -

Sta cos: che se avessimo noi due

voi le sue rughe in faccia,

io i suoi soldi, avrei tanto piacere

che stesse come avete detto voi.

PAROLLES -

Io non ho detto niente.

LAVA -

E avete fatto bene a non dir niente,

perch pi dun padrone

stato rovinato dalla lingua

dei suoi servi. Dir niente, fare niente,

niente sapere, niente possedere

sono gran parte del vostro blasone,

di nobilt, ch assai vicino a niente.

PAROLLES -

Va, va, che sei il solito gaglioffo.

LAVA -

Sarebbe stato meglio che diceste:

Sei un gaglioffo in faccia ad un gaglioffo,

ossia: Gaglioffo tu, gaglioffo io,

che sarebbe la santa verit.

PAROLLES -

Va va, sei un buffone sotto spirito:

ecco che cosa sei; tho ben scoperto.

LAVA -

E mavete scoperto da voi solo,

o ve lha indicato qualcun altro?

PAROLLES -

Da me, furfante.

LAVA -

Ah, s, in casa vostra?

La ricerca vha dato buoni frutti,

allora, perch proprio in casa vostra,

un tal buffone da spassare il mondo

e far crepare tutti dalle risa.

PAROLLES -

(A Elena)

Una buona canaglia, e ben nutrito.

Signora, il conte parte questa sera:

lo reclamano affari molto seri.

cosciente dei grandi privilegi

e dei riti damore che questora

imporrebbe siccome a voi dovuti;

ma indifferibili necessit

lo costringono ora a rinviarli;

questo differimento dar al tempo

di meglio distillar nel suo alambicco

le dolcezze, sicch lora ventura

trabocchi di letizia e di piacere.

ELENA -

Che cosaltro comanda il mio signore?

PAROLLES -

Che prendiate congedo istantemente

dal re, dicendogli che questa fretta

vien solo dalla vostra volont,

corroborandola con quelle scuse

che pensiate la renda pi plausibile.

ELENA -

Che altro mi comanda?

PAROLLES -

Che, una volta ottenuta tal licenza,

attendiate ulteriori sue istruzioni.

ELENA -

Far tutto secondo il suo volere.

PAROLLES -

Glielo riferir.

ELENA -

S, ve ne prego.

(Escono)

SCENA V - La stessa.

Entrano BERTRAMO e LAFEU

LAFEU -

Voglio sperare che vossignoria

non lo consideri un buon soldato.

BERTRAMO -

Oh s, e di valore a tutta prova.

LAFEU -

A prova solo delle sue parole.

BERTAMO -

E daltri testimoni irrefutabili.

LAFEU -

Allora la mia bussola va male:

ho scambiato il fringuello per lallodola.([51])

BERTRAMO -

Eppoi, signore, uomo assai istruito

per quanto valoroso, vassicuro.

LAFEU -

Avr peccato contro il suo sapere

e trasgredito contro il suo valore,

allora: anima mia, sei in pericolo,

perch non sento proprio di pentirmi.

Ma eccolo. Vi prego intervenite

a far che mi diventi buon amico,

e io coltiver questamicizia.

Entra PAROLLES

PAROLLES -

(A Bertramo)

Sar tutto sbrigato, monsignore.

LAFEU -

(A Bertramo)

Signore, ditemi, chi il suo sarto?

PAROLLES -

Signore!

LAFEU -

Ah, lo conosco. Gi, signore,

lui, s, buon artigiano, un bravo sarto.

BERTRAMO -

(A parte a Parolles)

andata poi dal re?

PAROLLES -

S.

BERTRAMO -

Partir?

PAROLLES -

Stasera, come le hai ordinato.

BERTRAMO -

La lettera a mia madre lho gi scritta,

fatto il bagaglio e ordinato i cavalli;

sicch stanotte, quando dovrei prendere

possesso della sposa,

avr finito prima diniziare.

LAFEU -

(A parte)([52])

Un grande viaggiatore

che al levar delle mense ti racconta

le avventure di viaggio, meno male;

ma uno che racconta fanfaluche

per due terzi del tempo, e ci rintrona

le orecchie di banalit arcinote

per gabellar le mille sue scemenze,

da starlo a sentir solo una volta

e picchiarlo altre tre Cos costui.

(Forte a Parolles)

Salute, capitano!

BERTRAMO -

(A Lafeu)

C stato forse qualche dissapore

fra voi e questo signore, Monsieur?

PAROLLES -

Non so comio possa aver meritato

di cadere in disgrazia con monsieur.

LAFEU -

Vi ci siete buttato anima e corpo,

con stivali, speroni e tutto il resto,

come uno chabbia voluto tuffarsi

in un mare di crema zabaione;

e adesso vi precipitate a uscirne

piuttosto che aspettar che vi si chieda

che diavolo ci state a far l dentro.

BERTRAMO -

Forse lo avete giudicato male.

LAFEU -

E tale lo giudicher per sempre,

dovessi pure coglierlo in preghiera.

Buona fortuna, conte, e, date retta:

sono noci senza gheriglio, queste.

Costui per anima ha il suo vestito:

non fategli fiducia,

almeno nelle cose pi importanti.

Sono stato a contatto con pi duno

di questi smidollati, e li conosco.

(A Parolles)

Addio, monsieur, ho parlato di voi

meglio di quanto abbiate meritato

o di quanto possiate meritare

chio lo faccia in futuro. Ma tant:

si deve rendere bene per male.

(Esce)

PAROLLES -

Un cervello un po ottuso, giurerei.

BERTRAMO -

Non m sembrato.

PAROLLES -

Che! Non lo conosci?

BERTRAMO -

Altro se lo conosco! E posso dirlo:

di lui parlano tutti con rispetto.

Entra ELENA

Ecco il mio piombo al piede.

ELENA -

Mio signore, ho parlato con il re,

secondo che mavete comandato

ed ottenuto da lui la licenza

di partire da qui immediatamente.

Desidera per parlar con voi

in privato.

BERTRAMO -

Obbedisco al suo volere.

Non dovete meravigliarvi, Elena,

del mio contegno, che vi pu sembrare

certamente non cnsono al momento,

n adempie alle funzioni ed ai doveri

che so dessere miei. In verit

non ero preparato a un tale evento,

e sono stato colto alla sprovvista.

Ci minduce a pregarvi di partire

subito per la nostra residenza;

non domandatemi il perch di questo,

fatevene piuttosto una ragione

in voi stessa; perch le mie ragioni

son migliori di quanto non appiano,

ed i miei impegni sono pi pressanti

di quanto pu sembrare a prima vista,

a chi ne alloscuro, come voi.

Date questa a mia madre.

(Le d una lettera)

Non ci vedremo prima di due giorni,

perci vi affido alla vostra saggezza.

ELENA -

Signore, altra risposta non so darvi

che son la vostra umilissima serva

BERTRAMO -

Su, su, basta cos.

ELENA -

e che sempre, con piena devozione,

cercher di supplire a tutto ci

che lumili mie stelle mhan negato

con la nascita, per mostrarmi degna

della mia grande fortuna.

BERTRAMO -

Su, su,

lasciamo stare adesso. Ho molta fretta.

Tornate presto a casa. Arrivederci.

ELENA -

Di grazia, perdonate

BERTRAMO -

Che c ancora?

ELENA -

Io non son degna di tanta ricchezza,

non oso dir nemmeno che sia mia

per lo ma come un ladro timido,

mi struggo dalla voglia di rubare

sol quello che per legge mappartiene.

BERTRAMO -

Che cosa, per esempio?

ELENA -

Qualcosa, o anche meno nulla, nulla.

Non voglio dirvi quello che desidero,

mio signore ma s, s, ve lo dico:

solo estranei e nemici, mio signore,

si separano senza darsi un bacio

BERTRAMO -

Su, su, prego, non state ad indugiare,

mettetevi a cavallo.

ELENA -

Come volete voi, mio buon signore.

Dove sono i miei servi?

(A Parolles)

Addio, Monsieur.

(Esce)

BERTRAMO -

Va, va, vattene a casa,

dove sicuramente io non verr

fintanto che potr impugnare spada

ed udire un tamburo. A noi, andiamo.

PAROLLES -

Bravamente. Coraggio!

(Escono)


ATTO TERZO

SCENA I - Firenze, sala nel palazzo ducale.

Fanfara. Entrano il DUCA DI FIRENZE con scorta e due NOBILI francesi.

DUCA -

Cos punto per punto avete udito

quali sono le cause essenziali

di questa guerra che gi tanto sangue

ha fatto spargere, e che daltro ha sete.

PRIMO NOBILE -

Sacrosanta ci pare la querela

di vostra grazia; nera ed infernale

quella accampata dalla parte avversa.

DUCA -

Perci non senza grande stupore

da parte nostra apprendere, signori,

che il nostro caro cugino di Francia

di fronte ad una causa tanto giusta

abbia chiuso il suo cuore alla richiesta

da parte nostra di mandarci aiuti.

SECONDO NOBILE -

Mio nobile signore,

io, in coscienza, di ragion di stato

non so parlare, se non nella veste

di un qualunque comune cittadino

che sta al di fuori delle procedure

del Consiglio del re

e pu configurarsi nella mente

inadeguate o false congetture;

perci non oso dire quel che penso,

perch mi son trovato troppe volte,

per scarsa conoscenza delle cose,

a indovinare e sbagliare di grosso.

DUCA -

Bah, faccia come vuole.

PRIMO NOBILE -

Sono certo per che molti giovani

che condividono le nostre idee,

stufi di starsene a poltrire in pace,

accorreranno qui di giorno in giorno

per la voglia di ritemprar le membra

nella guerra.

DUCA -

E saranno i benvenuti,

ed avranno da noi tutti gli onori

ch in nostra facolt di conferire.

Voi conoscete gi i vostri gradi;

quando se ne faranno di pi alti,

saran per voi. Domani tutti in campo.

(Fanfara. Escono)

SCENA II - Rossiglione, il palazzo del conte.

Entrano LA CONTESSA con in mano una lettera e IL LAVA

CONTESSA -

andata proprio come io volevo,

solo chegli non torna qui con lei.

LAVA -

A dir vero, il mio giovane signore

m apparso assai dumore malinconico.

CONTESSA -

Da quali segni lo avresti capito?

LAVA -

Bah, sapete: si guarda gli stivali,

e canticchia; saggiusta la risvolta,

e canticchia; ti chiede qualche cosa,

e poi canticchia; si stuzzica i denti

e canticchia. Ho conosciuto un tale

che aveva questo umore malinconico

e s venduto un fastoso maniero

per una canzonetta.

CONTESSA -

Vediamo un poco che cosa mi scrive

e quando conta di tornare a casa.

(Apre con qualche difficolt la lettera)

LAVA -

(A parte)([53])

Da quando son tornato da Parigi,

Isbel non mi va pi.

I nostri baccal e le nostre Isbel

qui di campagna, non son proprio niente

appetto ai baccal ed alle Isbel

l della corte. Al mio bravo Cupido

saltato il cervello, ora le donne

comincio veramente a vagheggiarle

come un vecchio il denaro: alla svogliata.

CONTESSA -

(Ha aperto la lettera e saccinge a leggere)

Che dice qui?

LAVA -

Dice quello che dice!

(Esce)

CONTESSA -

(Legge)

Vho mandato una nuora:

ha risanato il re,

e rovinato me.

Lho sposata, ma non lho posseduta,

e giuro che il mio no sar per sempre.

Vi diranno che son fuggito via:

sappiatelo da me

prima che ve ne giunga altrui notizia.

Se per me ci sar abbastanza spazio

nel vasto mondo, mi terr lontano

pi che potr. Con tutto il mio rispetto,

Bertramo, vostro sfortunato figlio.

Non per niente bello,

precipitoso e sbrigliato ragazzo,

fuggir cos dai favori dun re

tanto buono, attirando sul tuo capo

il suo sdegno per aver tu sdegnato

una fanciulla fin troppo virtuosa

per il rispetto dun imperatore.

Rientra IL LAVA

LAVA -

Signora, brutte notizie in arrivo:

due soldati e la mia giovane dama.

CONTESSA -

Che c?

LAVA -

Per c qualcosa di buono

nelle notizie, qualcosa di buono:

che vostro figlio non sar ammazzato

cos presto comio avrei creduto.

CONTESSA -

E perch dovrebbessere ammazzato?

LAVA -

quel che dico anchio,

dato che, come dicono, scappato.

Il pericolo sta nel farsi avanti,

perch cos che si perdono gli uomini,

anche s quello il modo di far figli.([54])

Eccoli, ne saprete pi da loro.

Per parte mia, tutto quello che so

che scappato e basta.

(Esce)

Entra ELENA con due NOBILI francesi

PRIMO NOBILE -

Che Dio vi salvi, amabile signora.

ELENA -

Madama, il mio signore

se n andato, per sempre.

SECONDO NOBILE -

Oh, non cos!

CONTESSA -

(A Elena)

Abbi pazienza.

(Ai nobili)

Signori, vi prego

ho dovuto sentire in vita mia

troppe fitte di gioia e di dolore,

perch al sopravvenir delluna o laltro

non mi comporti pi da vera donna.

Dov mio figlio, prego?

SECONDO NOBILE -

Signora, andato a mettersi al servizio,

in Italia, del Duca di Firenze;

lincontrammo chera diretto l,

donde veniamo e dove torneremo

dopo sbrigati alcuni affari a corte.

ELENA -

(Leggendo la lettera)

Quando tu sarai in grado

dinfilare al mio dito quellanello

che mai pi dovr togliere,

e di mostrarmi un figlio da te nato

e da me generato,

solo allora potrai dirmi tuo sposo;

ma io scrivendo allora scrivo mai.

una condanna a morte.

CONTESSA -

Avete voi recato questa lettera,

signori?

PRIMO NOBILE -

S, signora,

e sentendone ora il contenuto,

ci duole molto che cos sia stato.

CONTESSA -

(A Elena)

Ti prego, cara, cerca di far cuore;

se ti accaparri tu tutta la pena,

me ne rubi met. Era mio figlio.

Ma ne cancello il nome dal mio sangue,

e adesso tu sei lunica mia figlia.

(Ai nobili)

A Firenze diretto?

PRIMO NOBILE -

S, signora.

CONTESSA -

Per arruolarsi?

SECONDO NOBILE -

Tale il suo proposito;

e il Duca gli conferir, credetemi,

ogni onore che a lui si converr.

CONTESSA -

Voi tornate in Italia?

PRIMO NOBILE -

S, signora,

al pi presto che ci sar possibile.

ELENA -

(Seguitando a leggere la lettera)

E fino a quando non avr pi moglie,

in Francia non avr nulla di mio.

Quale amarezza!

CONTESSA -

C scritto cos?

ELENA -

Proprio cos, signora, letterale.

PRIMO NOBILE -

Questa forse soltanto avventatezza

della sua mano, alla quale il suo cuore

non consentiva.

CONTESSA -

Non ha nulla in Francia,

fintanto che non avr pi una moglie!

Qui non c nulla che sia troppo buono

per lui tranne costei, che per marito

meriterebbe un nobile signore,

cui venti ragazzacci come lui

potrebbero far solo da valletti,

chiamando lei, ad ogni ora, padrona.

E, ditemi, chi andava insieme lui?

PRIMO NOBILE -

Un suo servo ed un certo gentiluomo

che mi pare daver visto altre volte.

CONTESSA -

Parolles?

PRIMO NOBILE -

S, buona signora, lui.

CONTESSA -

Un individuo molto scostumato,

e pieno di perfidia.

Mio figlio sotto la sua influenza

corrompe la bennata sua natura.

PRIMO NOBILE -

Certo, gentil signora,

il personaggio ha molto di quel troppo

che gli conviene per trarne profitto.([55])

CONTESSA -

Benvenuti, comunque, miei signori.

Vi prego, quando vedrete mio figlio,

ditegli che la spada

non potr riacquistargli quellonore

chegli perde cos; molte altre cose

gli dir per iscritto in una lettera

che pregher voi stessi di recargli.

SECONDO NOBILE -

Disponete di noi, signora, in questo

e in tutto quanto vi piaccia affidarci.

CONTESSA -

Ma solo a patto che mi sia possibile

ricambiarvi le vostre cortesie.

Seguitemi, vi prego.

(Escono la contessa e i due nobili)

ELENA -

E fino a quando non avr pi moglie,

non avr nulla in Francia

Finch non avr pi una moglie in Francia

Non avrai pi una moglie, Rossiglione,

nessuna moglie in Francia, sta tranquillo,

cos potrai riavere tutto il tuo!

Son io dunque, mio povero signore,

che ti costringo fuor dal tuo paese,

che espongo le tue membra delicate

agli eventi rischiosi duna guerra

che nessuno risparmia?

Son io la causa che ti fa fuggire

la vita ed i piaceri della corte

doveri sol bersaglio di begli occhi,

per renderti bersaglio di moschetti

dalle bocche fumanti?

O voi, violenti plumbei messaggeri,

che cavalcate i corsieri del fuoco,

deviate la vostra traiettoria,

colpite solo laria invulnerabile

che canta quando voi la trapassate,

e lasciate intoccato il mio signore!

Chiunque sparer contro di lui,

son io la responsabile

daver fatto di lui il suo bersaglio;

chiunque lo potr colpire in petto,

son io la sciagurata

che lo costringe l; e se ad ucciderlo

non sar io, sar io sempre stata

la causa di sua morte.

Quanto meglio per me sarebbe stato

affrontare un leone

ruggente sotto i morsi della fame;

quanto meglio per me,

se tutte le disgrazie di natura

fossero riversate sul mio capo!

No, Rossiglione, no,

torna a casa da l, dove lonore

pu conquistarsi tanto una ferita,

quanto perdere tutto. Me ne andr.

Se ci che ti costringe a star lontano

soltanto la mia presenza qui,

come possio restare, a questo prezzo?

No, no, spirasse pur su questa casa

aura di paradiso e fossero angeli

tutti i suoi servitori! Me ne andr,

s che voci pietose, a tuo conforto,

possano riportare ai tuoi orecchi

il lieto annuncio della mia scomparsa.

Cala, notte; finisci presto, giorno.

Al calar delle tenebre, furtiva

nel buio, come una povera ladra,

Elena si dileguer.

(Esce)

SCENA III - Firenze, davanti al palazzo ducale.

Trombe. Entrano il DUCA DI FIRENZE, BERTRAMO, PAROLLES

e soldati con tamburi e bandiere

DUCA -

Ti abbiamo nominato generale

della nostra cavalleria, Bertramo,

e, pieni di speranza,

noi riponiamo in te il nostro affetto

e la nostra fiducia

sulle promesse della tua fortuna.

BERTRAMO -

Troppo pesante compito, signore,

per le mie forze, ma ci adopreremo

ad assolverlo per il vostro onore

fino allestremo limite del rischio.

DUCA -

Avanti dunque! E possa la fortuna

giocare sul tuo elmo prosperoso

come la tua propiziatoria amante.

BERTRAMO -

Eccelso Marte, io entro nei tuoi ranghi

oggi stesso, e ti chiedo solo questo:

rendi il mio braccio pari ai miei pensieri,

ed io mi mostrer del tuo tamburo

amante e dellamore spregiatore.

(Fanfara. Escono tutti)

SCENA IV - Rossiglione, il palazzo del conte.

Entrano la CONTESSA e RINALDO; questi ha in mano una lettera.

CONTESSA -

Ahim, e ti sei prestato suo latore

di questa lettera? Non hai pensato

che avrebbe fatto quello chella ha fatto

dandoti quella lettera per me?

Leggimela di nuovo.

RINALDO -

(Legge)

Mi faccio pellegrina di San Giacomo,

col mi reco. Un amore ambizioso

ha s peccato in me, chio ora scalza

calpesto il freddo suolo ad emendare

con sacri voti questo mio errore.

Scrivete ora, scrivete a vostro figlio,

mio diletto padrone, che ritorni

dal sangue e dai perigli della guerra.

E quando sar a casa, beneditelo,

mentrio, lontana, in fervoroso zelo

invocher in preghiera il nome suo.

Chiedete voi per me il suo perdono

per i duri disagi cui s esposto,

chio sola fui, sua sdegnosa Giunone,

a spingerlo lontano dalla corte

per accamparsi tra nemiche schiere,

l dove rischio e morte

azzannano i calcagni del valore.

Troppo egli buono e bello

per la morte e per me, che morte abbraccio

per ridonargli intera libert.

CONTESSA -

Ah, quali acuti spilli pel mio cuore

anche le sue pi tenere parole!

Rinaldo, mai sei stato s maldestro

come adesso, a lasciarla andar cos!

Se le avessi potuto parlare io,

sarei ben riuscita a dissuaderla

dal porre in atto simili propositi;

comella invece ha fatto.

RINALDO -

Signora, perdonatemi.

Se vavessi potuto consegnare

questa sua lettera di prima sera,

forse cera ancor tempo per raggiungerla;

per anche cos, da quanto scrive,

sarebbe stato inutile inseguirla.

CONTESSA -

Quale angelo mai benedir

questo indegno marito?

Non gli potr venire nessun bene,

a meno che le preghiere di lei,

che son s accette al cielo, non riescano

a proteggerlo dalla giusta collera

della superna giustizia.

Scrivi, scrivi, Rinaldo, a quel marito

davvero indegno duna tale moglie,

ed abbia ogni parola che tu scrivi

tutto il peso dei meriti di lei,

chei valuta con troppa leggerezza.

Esprimigli la mia immensa ambascia,

anche se in lui non avr molta presa.

Spedisci il pi veloce dei corrieri.

Forse quando sapr che se n andata,

far ritorno a casa;

e io spero che anchella, nellapprenderlo,

ritorner al pi presto, qui sospinta

dal suo amore sincero.

Quale di loro due mi sia pi caro

non so. Procura tu questo corriere.

Ho un grande peso al cuore,

che la debole et mia non sopporta;

il dolore vorrebbe solo lacrime,

ma lambascia mimpone di parlare.

(Escono)

SCENA V - Firenze, davanti alle mura della citt.

Entrano lanziana VEDOVA fiorentina con la figlia DIANA,

le amiche VIOLENTA e MARIANA e altri cittadini.

Squillo di tromba in lontananza.

VEDOVA -

Sbrighiamoci. Se entrano in citt

ci perderemo tutto lo spettacolo.

DIANA -

Ho sentito che quel conte francese,

s fatto grande onore in questa guerra.

VEDOVA -

Si dice che abbia preso prigioniero

il comandante in capo dei nemici,

e che abbia ucciso il fratello del duca.

(Altro squillo di tromba allinterno, pi vicino)

Ah, fatica sprecata!

Se ne vanno in unaltra direzione.

Sentite, si capisce dalla tromba.

MARIANA -

Non ci rimane che tornare indietro

e contentarci che ce lo raccontino

Diana, tieniti in guardia,

mi raccomando, dai corteggiamenti

di quel conte francese; una ragazza

non possiede altro onore che il suo nome,

e lonest la pi ricca dote.

VEDOVA -

(A Diana)

Ho raccontato alla nostra vicina

di come un gentiluomo suo compagno

abbia tentato approcci su di te.

MARIANA -

Lo conosco quel tipo, che limpicchino!

Certo Parolles: un basso paraninfo

degli osceni capricci del padrone!

Gurdati, Diana, da loro: promesse,

lusinghe, giuramenti, regalucci

e simili strumenti di lascivia

sono ben altro da quello che appaiono.

Sono molte a lasciarsene sedurre;

ed il tragico che certi esempi

di come facilmente si distrugga

una verginit, pur s terribili,

non valgono per nulla a dissuadere

tutte laltre dal farlo ed a cadere

anche loro invischiate nella pania.

Ma voglio proprio sperar che per voi

non abbisognino altri consigli:

spero cio che la vostra onest

vi faccia rimanere come siete,

anche se ci comporti il solo rischio

di apparire immodesta e invereconda.

DIANA -

Quanto a me, non avete da temere.

Entra ELENA vestita da pellegrina

VEDOVA -

Lo spero bene Toh, una pellegrina!

So che cercher alloggio a casa mia:

si passano la voce Glielo chiedo.

(A Elena)

Il cielo vi protegga, pellegrina!

Dove siete diretta?

ELENA -

A San Giacomo Grande.([56]) Per favore,

dov che alloggiano qui i pellegrini?

VEDOVA -

A San Francesco, qui, presso la porta.([57])

ELENA -

Da quella parte?

VEDOVA -

S, giusto, di l.

(Marcia militare da lontano)

Sentite? Vengono da questa parte.

Se aspettate, devota pellegrina,

finch vediamo passare i soldati,

poi vaccompagno io al vostro alloggio;

tanto pi perch credo di conoscere

quanto me stessa chi deve ospitarvi.

ELENA -

Sareste voi?

VEDOVA -

Con vostra buona pace.

ELENA -

Vi ringrazio. Star quanto vi piaccia.

VEDOVA -

Venite dalla Francia, mi figuro?

ELENA -

Infatti.

VEDOVA -

Qui vedrete ora sfilare

un cavaliere vostro conterraneo

che s portato valorosamente.

ELENA -

Come si chiama?

DIANA -

Conte Rossiglione.

Lo conoscete?

ELENA -

Per averne udito,

e se ne parla molto nobilmente;

ma di persona non lho visto mai.

DIANA -

Chiunque sia, qui considerato

un prode combattente.

Si dice sia fuggito dalla Francia

perch quel re gli aveva dato moglie

contro sua volont. Pu esser vero?

ELENA -

Verissimo, conosco la sua sposa.

DIANA -

Un gentiluomo al seguito del conte

dice di lei tutto il male possibile.

Elena -

Sapete il nome?

DIANA -

S, monsieur Parolles.

ELENA -

Son daccordo con lui,

ch in quanto a doti personali e meriti

se confrontata col nobile conte,

ella davvero di troppo inferiore,

perch si debba solo nominarla.

Suo unico pregio, questo s,

una intemerata castit

su cui, chio sappia, non c da ridire.

DIANA -

Ah, povera signora!

Devessere ben dura schiavit

esser sposata ad uno che laborre!

VEDOVA -

Chiunque sia, la povera creatura,

deve portare un grosso peso al cuore

Per questa ragazza, se volesse,

(Indica Diana)

potrebbe renderle un bel servizio.

ELENA -

Che intendete? Che il conte, infatuato,

la tenterebbe con proposte illecite?

VEDOVA -

Appunto. E fa ricorso a tutti i mezzi

adatti in simili corteggiamenti

a corrompere la fragilit

duna fanciulla. Ma, per sua fortuna,

ella ben corazzata e sa tenersi

con lui in onestissima difesa.

MARIANA -

E Dio ne guardi se cos non fosse!

Entrano, sfilando con tamburi e bandiere, BERTRAMO, PAROLLES con tutto lesercito

VEDOVA -

Eccoli, arrivano! Quello Antonio,

il figlio primogenito del duca.

Quellaltro Escalo.([58])

ELENA -

Qual il Francese?

DIANA -

Eccolo, quello col pennacchio in testa.

Uno assai coraggioso. E vorrei tanto

che volesse anche bene alla sua moglie!([59])

Se fosse anche pi onesto,

sarebbe un uomo davvero adorabile.

Non un bel tipo?

ELENA -

S, mi piace molto.

DIANA -

Peccato che non sia altrettanto onesto.

E quellaltro il furfante ch con lui

e che gli fa da guida in certi posti.

Fossio sua moglie, darei del veleno

a quel fior di canaglia.

ELENA -

Ma qual ?

DIANA -

Quello scimmiotto, l, con quelle sciarpe

che gli svolazzano di qua e di l.

Per lo vedo alquanto rabbuiato.

ELENA -

Forse stato ferito combattendo.

PAROLLES -

(Sfilando, come parlando a se stesso)

Noi perdere il tamburo! Dannazione!

MARIANA -

Devesser dispiaciuto per qualcosa.

Ci ha viste.

VEDOVA -

(A Parolles che sfila)

Impiccati, accidenti a te!

MARIANA -

Te e le tue smancerie, ruffianaccio!

(Escono marciando Bertramo, Parolles e soldati)

VEDOVA -

Son passati. Venite, pellegrina,

vi guido dove troverete ostello.

In casa mia ce ne son gi quattro o cinque,

anche loro diretti in penitenza

a San Giacomo Grande.

ELENA -

Vi ringrazio.

Non vorreste dividere con me

la cena? Ed anche voi, gentil fanciulla.

un picciol segno di riconoscenza

che voffro; e, ad ulteriore ricompensa,

vedr di dare a questa brava giovane

un qualche non inutile consiglio.

VEDOVA e DIANA -

Accettiamo di cuore il vostro invito.

(Escono tutte)

SCENA VI - Accampamento davanti a Firenze.

Entrano BERTRAMO e DUE NOBILI francesi

PRIMO NOBILE -

Eh, no, mio buon signore, questa volta

voi lo dovete mettere alla prova,

e lasciare che faccia a modo suo.

SECONDO NOBILE -

E se alla fine vostra signoria

non scoprir che quello un gran cialtrone,

mi neghi pure tutto il suo rispetto.

PRIMO NOBILE -

Parola mia, signore, un bubbolone.

BERTRAMO -

Diamine, mi sarei tanto ingannato

sul suo conto?

PRIMO NOBILE -

Credetemi, signore,

per mia propria diretta conoscenza,

lo dico senza alcuna cattiveria

e come se parlassi di un parente:

quello un fior di vigliacco,

un grosso, inesauribile bugiardo,

mancator di parola a tutte lore,

sprovvisto di qualsiasi qualit

per cui si possa dire meritevole

di conservar la vostra simpatia.

SECONDO NOBILE -

Sarebbe bene che lo conosceste

per quel che ; se no, facendo credito

ad una integrit che non possiede,

vi potreste trovare a mal partito

a causa sua in qualche grossa impresa

o in circostanze di grave pericolo.

BERTRAMO -

Gi, metterlo alla prova; ma in che modo?

SECONDO NOBILE -

Il miglior modo di lasciarlo andare

a riprendersi in campo il suo tamburo,

come lo avete udito menar vanto

di voler fare con tanta baldanza.

PRIMO NOBILE -

E l io, con tre - quattro fiorentini,

gli salteremo addosso di sorpresa;

sceglier uomini che non conosce,

s che si creda in mano di nemici.

Lo legheremo, lo incappucceremo,

da fargli creder desser trasportato

verso laccampamento del nemico,

e sar invece nelle nostre tende.

Vossignoria dovr soltanto assistere

allinterrogatorio che faremo:

segli, davanti alla nostra promessa

di fargli salva la vita, se parla,

punto da vil paura, non dir

desser pronto a tradirvi e a spiattellarci

tutte le informazioni in suo possesso

sopra di voi, giurando e spergiurando

sulla salvezza dellanima sua,

non fidatevi pi del mio giudizio.

SECONDO NOBILE -

Oh, ci sar da ridere.

Mandiamolo a riprendersi il tamburo.

Lui dice gi davere sottomano

un suo particolare stratagemma.

Quando avrete assistito, monsignore,

al fallimento di questa sua impresa

e constatato di che falsa lega

composta questa pepita doro,

se non lo caccerete a bastonate([60])

come lospite pi indesiderato,

vuol dire che la vostra compiacenza

proprio immarcescibile. Ma eccolo.

Entra PAROLLES

PRIMO NOBILE -

Ah, se volete farvi due risate,

non impeditegli di aver lonore

di attuare il suo piano; in ogni caso,

che si vada a riprendere il tamburo.

BERTRAMO -

(A Parolles)

Ehil, monsieur! Allora il tuo tamburo

t rimasto davvero in gola, eh?

SECONDO NOBILE -

Al diavolo! Non ci pensate pi!

Alla fine non poi che un tamburo.

PAROLLES -

E un tamburo per voi non vuol dir niente?

E perduto, per giunta, in questo modo?

Che razza di comando!

Dare lordine alla cavalleria

di far impeto contro le stesse ali

del nostro schieramento, e sbaragliare

in tal modo le nostre stesse truppe!

SECONDO NOBILE -

Non se ne pu far carico al comando:

sono di quegli incerti

che cpitano in tutte le battaglie;

nemmeno Cesare avrebbe potuto

impedire che si verificasse

se fosse stato lui il comandante.

BERTRAMO -

Beh, non possiamo troppo lamentarci

del successo ottenuto, dopo tutto;

solo la perdita di quel tamburo

non ci ha recato onore; ma tant,

recuperarlo ormai sar impossibile.

PAROLLES -

Poteva essere recuperato.

BERTRAMO -

Poteva; il fatto che non lo stato.

PAROLLES -

Quel tamburo devessere ripreso.

Se non fosse che in guerra

raramente lonore di unimpresa

attribuito a colui che la compie,

io, quel tamburo o un altro qualsivoglia,

mi sentirei capace di riprenderlo,

a costo dun hic jacet.([61])

BERTRAMO -

Bene, monsieur, se proprio te la senti,

forza! Se pensi che la tua maestria

in materia di arcani stratagemmi

possa far ritornare alla sua sede

quello strumento donore, sii grande,

gettati nella grande impresa e va!

Onorer questo tuo tentativo

come una degna azione. Se riesce,

il Duca ne far pubblico elogio

e ti dar fino allultima sillaba

tutti i dovuti riconoscimenti

che si convengono alla sua grandezza.

PAROLLES -

Giuro su questa mano di soldato

che sono pronto a farlo.

BERTRAMO -

Bravo, per senza dormirci sopra.

PAROLLES -

Subito; questa sera. E fin da ora

maccingo a buttar gi le alternative

per rinsaldarmi nelle mie certezze

sul risultato e prepararmi lanima

- non si sa mai - ad una buona morte.

Per mezzanotte avrete mie notizie.

BERTRAMO -

Posso arrischiarmi ad informar sua grazia

che ti stai accingendo a questimpresa?

PAROLLES -

Non so qual esito avr, monsignore,

ma giuro che mi ci cimenter.

BERTRAMO -

So che sei valoroso,

e sulla tua perizia militare

posso ben garantire io stesso. Addio.

PAROLLES -

Non mi piacciono le parole inutili.

(Esce)

PRIMO NOBILE -

Ah, s, come non piace lacqua a un pesce!

(A Bertramo)

Monsignore, ma non vi sembra strano

un tipo che con tanta sicurezza

ha laria dintraprendere unazione

che sa che non pu farsi,

e si danna giurando di intraprenderla,

e preferisce dannarsi che compierla?

SECONDO NOBILE -

Voi non lo conoscete, monsignore,

come lo conosciamo noi.

certo che ha la grande abilit

dinsinuarsi nelle grazie altrui

riuscendo, per una settimana,

ad evitare dessere scoperto,

ma una volta scoperto,

sar per sempre, spero.

BERTRAMO -

Come, come?

credete dunque che non far nulla

di tutto ci che s impegnato a fare

con tanta seriet?

PRIMO NOBILE -

Nulla di nulla.

Si ripresenter con qualche scusa

e vi rifiler senza scomporsi

due, tre panzane pi o meno attendibili.

Ma ormai lo abbiamo quasi nella rete.

Stanotte ne vedrete la caduta;

non uomo costui da meritare

il rispetto di vostra signoria.

SECONDO NOBILE -

Ah, vi faremo divertire un po,

prima di catturarla quella volpe!

Il primo a farlo uscire allo scoperto

stato il vecchio buon monsieur Lafeu.

Quando lo avremo messo tutto a nudo

mi direte che fior di galantuomo

si cela sotto il suo travestimento;

e lo vedrete questa notte stessa.

PRIMO NOBILE -

Io vado a preparare le mie trappole.

Deve caderci dentro.

BERTRAMO -

Vostro fratello invece vien con me.

PRIMO NOBILE -

Come piace a vossignoria. Io vado.

(Esce)

BERTRAMO -

Vi condurr alla casa che vho detto,

e vi far vedere la ragazza.

PRIMO NOBILE -

Ma dite chella onesta.

BERTRAMO -

E questo il guaio.

Ho parlato con lei solo una volta

e lho trovata fredda come ghiaccio;

le ho anche mandato, a pi riprese,

per tramite di questo bellimbusto

che stiamo smascherando, doni e lettere,

ma me lha puntualmente rimandati.

Finora non ho combinato altro;

ma lei una creatura deliziosa.

Non vorreste venir con me a vederla?

SECONDO NOBILE -

Con immenso piacere, mio signore.

(Escono)

SCENA VII - Firenze, in casa della vedova.

Entrano la VEDOVA ed ELENA

ELENA -

Se dubitate che sia proprio io

quella, non so come potrei convincervi

se non facendo crollare alla base

ledificio che vado costruendo.([62])

VEDOVA -

Io, signora, se pure decaduta,

sono di buona ed onesta famiglia,

e mai mi son trovata a che fare

con simili faccende;

non vorrei perci correre il pericolo

di macchiare la mia reputazione

ed il mio nome.

ELENA -

N io voglio questo.

Per prima cosa dovete convincervi

che il conte mio marito,

e che quanto vi ho detto su di lui,

con limpegno del vostro giuramento

di tenerlo nel massimo segreto,

parola per parola tutto vero.

Cosicch nel prestarmi quellaiuto

che chieder alla vostra cortesia

non dovete temere di far male.

VEDOVA -

In coscienza, dovrei prestarvi fede,

perch mavete ben dato la prova

dessere una signora dalto grado.

ELENA -

Ecco, accettate questa borsa doro

per laiuto amichevole

che mavete prestato fino ad ora

e come anticipata garanzia

di pi preziosi riconoscimenti,

quando ne avr riconosciuto il frutto.

Il conte, che vagheggia vostra figlia,

e stringe dun assedio licenzioso

la sua bellezza, deciso ad averla;

lasciate chella alla fine acconsenta:

per seguendo le nostre istruzioni

sul modo come debba comportarsi.

Lui, nella foga del suo sangue caldo

non le rifiuter, sono sicura,

qualunque cosa gli possa ella chiedere.

Il conte porta al suo dito un anello

che si trasmettono da padre in figlio

da quattro, cinque, sei generazioni

i vari membri della sua casata,

a partire dal loro capostipite.

Il conte custodisce quellanello

con la pi scrupolosa gelosia,

e tuttavia, nella sua pazza foja,

non gli sembrer prezzo troppo caro

per acquistare ci cui egli anela,

anche se dopo se ne pentir.

VEDOVA -

Adesso vedo chiaro e fino in fondo

il vostro intento.

ELENA -

E vedrete anche allora

quanto legittima sia la sua causa.

Vostra figlia non dovr fare altro,

con lui, prima di far finta di cedere,

che chiedergli di darle quellanello.

Gli fissi quindi lora del convegno,

al quale sar castamente assente,

e lasci a me dandare al posto suo.

Dopo di che, aggiunger al gi dato,

per la sua dote tremila corone.

VEDOVA -

Daccordo, cara, mavete convinta.

Date pure a mia figlia le istruzioni

su quel che deve fare: tempo e luogo,

cos che questo legittimo inganno

riesca. Il conte viene qui ogni sera

con vari musici a far serenate

che si direbbero composte ad arte

per cantar meriti chella non ha;

ed a nulla son valsi fino ad ora

i nostri sforzi per allontanarlo

dalle nostre finestre; egli persiste,

quasi fosse per lui question di vita.

ELENA -

Bene, stanotte metteremo in opera

il nostro piano; che, se avr successo,

sar servito a far dun rio disegno

un atto di giustizia;

e, dando il giusto senso a questimpresa,

a far di due peccati intenzionali

unazione senzombra di peccato.

Ma mettiamoci allopra.

(Escono)


ATTO QUARTO

SCENA I - Presso laccampamento fiorentino.

Entra il PRIMO NOBILE francese con alcuni soldati

NOBILE -

Lunica strada da cui pu venire

qui, dallangolo di questa siepe.

Quando gli salterete addosso, urlate,

terribilmente, quello che volete;

se non vi capirete tra di voi

non importa; essenziale finger noi

di non capire quel che dice lui,

tranne quello di noi che incarichiamo

di far da interprete.

UN SOLDATO -

Lo faccio io, capitano, da interprete.

NOBILE -

Lo conosci? Conosce la tua voce?

SOLDATO -

No, signore, vi posso assicurare.

NOBILE -

E con che razza di strano linguaggio

pensi di corrispondere con lui?

SOLDATO -

Lo stesso che userete voi con me.

NOBILE -

Bisogna fargli credere

che siamo una masnada di stranieri

mercenari al servizio del nemico.

E, siccome ha una certa conoscenza

dei dialetti parlati di qui intorno,

dobbiam parlar ciascuno nella foggia

che ci viene alla mente in quel momento,

incomprensibili luno dellaltro,

purch facciamo finta di capirci;

sar cos raggiunto il nostro scopo:

un parlar da cornacchie, ben gracchiato,

e sufficientemente convincente.

In quanto a te, che ci farai da interprete,

devi apparire molto diplomatico

Gi tutti! Eccolo che sta arrivando,

per farsi un pisolino di due ore

e poi tornare a gabellare il prossimo

e a giurare su tutte le sue frottole.

(Si nascondono)

Entra PAROLLES

PAROLLES -

Son le dieci. Tre ore basteranno

per tornare da loro e raccontare

Che dir daver fatto in questo tempo?

Devessere qualcosa di plausibile

per convincerli, pure se inventato.

Hanno gi cominciato a sospettarmi,

e le disgrazie, da alcun tempo in qua,

bussano troppo spesso alla mia porta.

Ho una lingua che corre a briglia sciolta,

ma il cuore ha una paura maledetta

di Marte e sue creature, e non sarrischia

a fare quel che promette la lingua.

NOBILE -

(A parte)

Questa la prima vera verit

di cui si sia macchiata la sua lingua.

PAROLLES -

Qual diavolo mha indotto ad impegnarmi

dandare a raccattare quel tamburo,

quando son certo che non possibile,

e che non ne ho la minima intenzione?

Mi dovr procurar qualche ferita

e dir che le ho toccate nellazione.

Ma leggre non serviranno a niente:

Con cos poco te la sei cavata?,

mi diranno; produrmene di grosse,

francamente, per, non me la sento.

Cos, che prove mai potr esibire?

Lingua mia, ti dovr trovare alloggio

in bocca ad una donna burro e latte,

e comprarmene unaltra al posto tuo

dal muto del sultano Bajazet,([63])

se col tuo maledetto chiacchierare

non fai che mettermi in questi pasticci.

NOBILE -

(c.s.)

mai possibile che questo tanghero

sia conscio dessere quello che ,

e si ostini a continuare ad esserlo?

PAROLLES -

Forse mi basterebbe, alla bisogna,

produrmi qualche sgarro nel vestito

o spezzare la mia lama spagnola.

NOBILE -

(c.s.)

Non ti permetteremo di cavartela

cos alla buona.

PAROLLES -

o rasarmi la barba,

e dir chera con questo stratagemma

NOBILE -

(c.s.)

Non ti funzionerebbe.

PAROLLES -

o restar nudo,

e gettare i vestiti nel canale,

dicendo che cos mhanno spogliato

NOBILE -

(c.s.)

Non ti servir a niente.

PAROLLES -

oppur giurare

desser saltato gi dalla finestra

della lor cittadella

NOBILE -

(c.s.)

Quanto alta?

PAROLLES -

Trenta braccia.([64])

NOBILE -

(c.s.)

Tre grandi giuramenti

non ti varrebbero a darcela da bere.

PAROLLES -

Poter aver magari tra le mani

un qualsiasi tamburo del nemico

NOBILE -

(c.s.)

Uno lo sentirai rullar tra poco.

(Tamburo fuori scena)([65])

PAROLLES -

Un tamburo nemico

(A questo punto, escono i soldati, gli saltano addosso, lo legano, lo incappucciano, gridando):

NOBILE -

Throca, movusus, cargo, cargo, cargo!

TUTTI -

Cargo!

Cargo!

Villianda!

Corbo!

Cargo!

PAROLLES -

Oh, riscatto, riscatto! Non bendatemi!

SOLDATO INTERPRETE -

Boskos, thromuldo, boskos!

PAROLLES -

Ho capito,

siete del reggimento dei Musks,([66])

e io che non conosco quella lingua

dovr perder la vita

Se fra voi c un tedesco, un olandese,

un danese, un francese, un italiano,

che mi parli, gli sveler segreti

da infligger la disfatta ai fiorentini.

SOLDATO INTERPRETE -

Boskos vauvados. Io so la tua lingua,

e ti capisco. Kerelybont.

Raccomndati lanima, compare,

perch contro il tuo petto son puntati

diciassette pugnali.

PAROLLES -

Oh, mamma mia!

SOLDATO INTERPRETE -

Malka revania dulke. Prega, prega!

NOBILE -

Oscorbidulchos, voli-volivrco.

SOLDATO INTERPRETE -

Il generale dice che disposto

a risparmiarti, e bendato cos,

ti vuole trasferire in altro luogo

per sottoporti ad interrogatorio.

Forse ci puoi fornire informazioni

ed avere cos salva la vita.

PAROLLES -

Oh, lasciatemi vivere,

e vi riveler tutti i segreti

del nostro campo: la lor consistenza,

i loro piani; s, vi dir cose

da sbalordire.

SOLDATO INTERPRETE -

Ma sarai sincero?

PAROLLES -

Se no, chio sia dannato.

SOLDATO INTERPRETE -

Acordo linta.

Vieni, ti si concede dilazione.

(Esce Parolles scortato)

(Breve rullo di tamburo allinterno)

NOBILE -

Vada intanto qualcuno ad informare

il conte Rossiglione e mio fratello

che abbiamo catturato il beccaccione

e lo teniamo qui, incappucciato,

in attesa di udirli.

SECONDO SOLDATO -

Vado io, capitano.

NOBILE -

E digli pure

che questi pronto a tradirci a noi stessi.

SECONDO SOLDATO -

Bene, signore.

NOBILE -

E che io nel frattempo

lo tengo qui bendato e sottochiave.

(Escono)

SCENA II - Firenze, in casa della vedova.

Entrano BERTRAMO e DIANA

BERTRAMO -

Mhan detto che ti chiami Fontibella.

DIANA -

No, Diana, monsignore.

BERTRAMO -

Il nome duna dea. E ne sei degna,

pi che degna! Ma, anima squisita,

non ha nella tua vaga personcina

un posto amore? Se la viva fiamma

di giovinezza non taccende lanimo,

tu non sei una vergine fanciulla,

ma una statua tombale.

Cos rigida e fredda dovrai essere

da morta; ma alla tua et devi essere

quel che stata tua madre

al tempo che dovette partorire

la soave creatura che tu sei.

DIANA -

Ella era onesta.

BERTRAMO -

Anche tu lo saresti.

DIANA -

No, mia madre compiva il suo dovere,

quel dovere, signore, che anche voi

dovreste compiere con vostra moglie.

BERTRAMO -

Non parliamo di questo, te ne prego.

Non contrastare i miei voti per te.

Lei, lho sposata contro il mio volere,

per costrizione, ma te chio amo

per dolce costrizione dellamore,

e rimarr per sempre, totalmente,

tuo servitore.

DIANA -

Gi, voi ci servite

fino a tanto che vi serviamo noi;

clte che avete poi le nostre rose,

non ci lasciate che le nude spine

a far che ci pungiamo da noi stesse

e a rider della nostra nudit.

BERTRAMO -

Ma io ho giurato!

DIANA -

Mille giuramenti

non creano una fede; ma uno solo,

basta chesso sia semplice e sincero.

Noi giuriamo su ci che non sacro,

ed invochiamo a testimone Iddio.

Ditemi allora: sio pur vi giurassi

che vamo in nome dei grandi attributi

dellamore,([67]) ci credereste voi,

se vamassi in peccato? Non ha senso

giurare in chi si sostiene di amare

se si vuole il suo male.([68])

E dunque tutti i vostri giuramenti

sono parole e povere promesse

mai soddisfatte. Questo il mio pensiero.

BERTRAMO -

Cambialo, cara, cambialo!

Non esser pi tale santa-crudele!

Santo amore, e la mia integrit

non ha mai conosciuto le male arti

di cui tu accusi gli uomini.

Non restartene pi cos sdegnosa,

ma abbandnati ai miei desideri

ammalti di te, fammi guarire.

DIANA -

Vedo che gli uomini sanno s bene

invilupparci nella loro rete,

che ci dimentichiamo di noi stesse.

Datemi quellanello.

BERTRAMO -

Anima mia,

te lo posso prestare, se ti piace,

ma separarmene proprio non posso.

DIANA -

Me lo negate, dunque, mio signore?

BERTRAMO -

Questanello un emblema dellonore

della mia casa, trasmesso in retaggio

a me da lunga serie di antenati,

e sarebbe la pi turpe vergogna

sio lo perdessi.

DIANA -

E cos il mio onore;

anche la nostra casa ha il suo gioiello:

la mia castit, retaggio anchessa

di lungo ordine davi, e gran vergogna

sarebbe per me il perderla.

E le vostre parole di saggezza

portan dalla mia parte, a mio campione,

lOnore contro i vostri vani assalti.

BERTRAMO -

E sia, ecco lanello.

Tienilo, tuo. E tuoi sian con esso

la mia casata, il mio nome, il mio onore,

la mia vita: io sono ai tuoi comandi.

(Si sfila lanello e lo d a Diana)

DIANA -

Allo scoccare della mezzanotte

date solo un colpetto alla finestra

della mia camera; far in maniera

che mia madre non possa udire niente.

Pongo per una sola condizione

alla vostra lealt di gentiluomo:

conquistato il mio letto virginale,

non dovete restarci pi di unora,

e senza mai rivolgermi parola.

Ho per questo gravissimi motivi;

e li saprete quando questanello

vi sar reso. Vi metter al dito

nel buio della notte un altro anello

che, accada quel che accada nel futuro,

possa valere da testimonianza

di quel che avremo fatto questa notte.

Fino ad allora addio. Ma non mancate.

Avete conquistato in me una moglie,

pur se, proprio per questo,

pi non potr sperar desservi moglie.

BERTRAMO -

Ho conquistato, corteggiando te,

un paradiso in terra.

(Esce)

DIANA -

Per il quale

possa tu viver tanto, Rossiglione,

da ringraziare il paradiso e me!

Alla fine sar forse cos.

Maveva ben prevenuta mia madre,

su come egli mavrebbe corteggiata,

quasi che fosse stata nel suo cuore.

Ella dice che gli uomini

fanno tutti gli stessi giuramenti.

Costui a me ha giurato

di sposarmi alla morte di sua moglie;

e perci io andr con lui a letto

non prima dessere morta.

Questi francesi son tutti fedifraghi;

se li sposi chi vuole. Quanto a me,

piuttosto vivere e morire vergine.

Solo che in questo gioco dellinganno,

non mi sembra peccato

ingannar chi per vincere ha barato.

(Esce)

SCENA III - Laccampamento fiorentino.

Entrano i due fratelli NOBILI francesi con alcuni soldati

PRIMO NOBILE -

Hai consegnato al conte

la lettera che ci affid sua madre?

SECONDO NOBILE -

S, circa unora fa.

Ci devessere scritto qualche cosa

che lha scombussolato,

perch nel leggerla s trasformato

da non parer pi lui.

PRIMO NOBILE -

Lo credo bene;

s tirato sul capo, da sua madre,

molti rimproveri per quel che ha fatto,

e giustamente: ripudiar cos

una s degna moglie

ed una s squisita gentildonna.

SECONDO NOBILE -

Soprattutto maldestramente incorso

nel permanente sfavore del re,

che aveva gi intonato il proprio cuore

a una tal liberale simpatia

verso di lui da fargli prospettare

tutto il bene possibile.

Voglio dirti una cosa sul suo conto,

ma che resti nel buio del tuo animo.

PRIMO NOBILE -

Come me lavrai detta sar morta

e chiusa in me come dentro una tomba.

SECONDO NOBILE -

riuscito a sedurre, qui a Firenze,

una nobil fanciulla, reputata

di grande e costumata illibatezza,

e pascer stanotte le sue voglie

con le residue spoglie dellonore

di quella. Le ha donato, in contraccambio,

lanello di famiglia,

e se ne va contento ed orgoglioso

dellosceno baratto.

PRIMO NOBILE -

Ah, voglia Dio

mantenerci costantemente immuni

dalla rivolta della nostra carne!

Che cosa siamo noi,

quando ci abbandoniamo ai nostri istinti!

SECONDO NOBILE -

Ci facciam traditori di noi stessi;

e come accade in tutti i tradimenti,

che quando sono in atto,

finch non han raggiunto il loro fine

rivelan la natura degli autori,

cos costui, con questa prava azione

tradisce la sua nobile natura

travolto dalla piena di se stesso.

PRIMO NOBILE -

E non forse una nostra condanna

il farci noi gli stessi banditori

delle illecite nostre inclinazioni?

Sicch allora stanotte non godremo

del piacere della sua compagnia?

SECONDO NOBILE -

Non fino a unora dopo mezzanotte,

perch non pu restarci pi di unora.

PRIMO NOBILE -

Ci manca poco. Ma sarei contento

che presenziasse alla vivisezione

che noi faremo di quel suo compagno,

cos chegli abbia modo di ricredersi

su quanto errato fosse il suo giudizio

che lha indotto a prestare tanto credito

a un personaggio di tanta doppiezza.

SECONDO NOBILE -

Daccordo, allora non faremo niente

delluno senza laltro, aspetteremo;

perch la sua presenza

ha da servir da frusta per il primo.

PRIMO NOBILE -

Nel frattempo, che sai di questa guerra?

Che si dice?

SECONDO NOBILE -

Da quanto ho udito in giro,

ci sarebbero approcci per la pace.

PRIMO NOBILE -

Anzi, da quanto so, la pace fatta.

SECONDO NOBILE -

Che far ora il conte Rossiglione?

PRIMO NOBILE -

Vedo bene, da questa tua domanda,

che non sei della cerchia dei suoi intimi.

SECONDO NOBILE -

Dio non voglia; dovrei sentirmi complice,

del suo modo dagire sconvenevole.

PRIMO NOBILE -

Sua moglie era fuggita di nascosto

circa due mesi fa dalla sua casa,

per ritirarsi, come pellegrina,

a San Giacomo Grande: un santo rito,

compiuto con austera devozione;

ma l la sua natura delicata

stata preda del suo crepacuore,

s che infine ella ha reso in un lamento

lultimo suo respiro,

ed ora canta in cielo insieme agli angeli.

SECONDO NOBILE -

E tutto questo come si saputo?

PRIMO NOBILE -

Gran parte dalle lettere di lei,

che documentano tutta la storia

fino al momento della sua scomparsa.

E la sua morte che, naturalmente,

non poteva annunciare ella per lettera,

stata puntualmente confermata

dal superiore di quel sacro luogo.

SECONDO NOBILE -

Di tutto questo il conte a conoscenza?

PRIMO NOBILE -

Punto per punto, e dogni altro dettaglio

che possa confermarlo.

SECONDO NOBILE -

Mi dispiace che possa esser contento

di tutto questo.

PRIMO NOBILE -

Troppe volte gli uomini

sono contenti delle loro perdite!

SECONDO NOBILE -

E quante volte invece ci succede

di dover piangere sui nostri acquisti!

La grande fama che gli ha procurato

la sua grande bravura di soldato

qui in Italia dovr scontrarsi in patria,

con altrettanto grande disonore.

PRIMO NOBILE -

La ragnatela della nostra vita

un intreccio di fili buoni e mali;

le nostre sole buone qualit

ci farebbero troppo presuntuosi

se non ci fossero i nostri difetti

a fustigarle; ed i nostri difetti

cindurrebbero alla disperazione

se non trovassero alcun lenimento

nelle nostre migliori qualit.

Entra un SERVO di Bertramo

Beh, che ci dici? Che fa il tuo padrone?

SERVO -

S incontrato per strada con il Duca

e se n congedato ufficialmente.

Partir domattina per la Francia.

Il Duca gli ha consegnato una lettera

di raccomandazione per il re.

SECONDO NOBILE -

Non credo che gli giover gran che,

lass, fosse pur piena di pi lodi

di quante egli ne possa meritare.

(Esce)

PRIMO NOBILE -

Dovranno esser davvero ultra-mielate

per addolcire lamaro del re.

Ecco sua signoria.

Entra BERTRAMO

Dunque, signore?

Mezzanotte passata da un bel pezzo.

BERTRAMO -

Oh, questa notte ho dovuto sbrigare

in poco tempo un monte di faccende,

che avrebbero richiesto, in altro tempo,

sicuramente non meno di un mese.

In breve: ho preso congedo dal Duca

e salutato quelli del suo seguito;

ho dato sepoltura ad una moglie,

e preso il lutto per lei;([69])

e ho scritto alla mia signora madre

per annunciarle il mio ritorno a casa;

nel tempo poi fra luna e laltra cosa

di queste cherano le pi importanti,

ho sistemato varie altre bisogne,

lultima delle quali, la maggiore,

rimasta tuttora non conclusa.

SECONDO NOBILE -

Se cosa di difficile disbrigo

e dovete partire domattina,

bisogner che la facciate in fretta.

BERTRAMO -

Ho detto non conclusa

perch ho paura che avr qualche strascico

dopo la mia partenza da Firenze.

Ma non vogliamo goderci il dialogo

fra il Matto-finto-tonto([70]) ed il Soldato?

Suvvia, portatemelo qui davanti

questo modello di furfanteria

che mha ingannato da ambiguo profeta.

SECONDO NOBILE -

(Ai soldati)

Andate, voi, e menatelo qui.

(Escono due soldati)

Ha passato tutta la notte in ceppi

il nostro povero eroe manigoldo.

BERTRAMO -

Non gran male. Lhan bene meritato

i suoi calcagni che per tanto tempo

hanno portato a torto gli speroni.

E come s portato?

SECONDO NOBILE -

Lho gia detto,

signore: sono i ceppi a portar lui.

Ma per rispondervi a miglior tono,

dir che piange come una mocciosa

che ha versato il suo latte. Ha fatto a Morgan,

che crede un frate, la sua confessione,

raccontandogli tutta la sua vita,

dai primi albori della sua memoria

alla presente sua malaventura

del ritrovarsi relegato in ceppi.

E che credete chabbia confessato?

BERTRAMO -

Spero nulla su me.

SECONDO NOBILE -

La confessione

stata tutta e messa per iscritto

ed ora verr letta in sua presenza;

per sapere se vostra signoria

v menzionata, dovrete ascoltarla

pazientemente, stando qui con noi.

Rientrano i due soldati con PAROLLES incappucciato con il PRIMO SOLDATO come interprete

BERTRAMO -

Accidenti! Bendato e incappucciato!

Di me non pu dir nulla.

PRIMO NOBILE -

Zitti, zitti!

Arriva il nostro uomo incappucciato.

Port-tart-ross.

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Il nostro generale sta chiamando

quelli che devon farti la tortura;

che cosa sei disposto a confessare

senza il loro intervento?

PAROLLES -

Confesser tutto quello che so,

senza coercizioni.

Se mi pestate come carne trita,

non potr dirvi una parola in pi.

PRIMO SOLDATO -

(Al primo nobile)

Bosko chimurco.

PRIMO NOBILE -

Boblindo chicrmuco.

PRIMO SOLDATO -

Siete molto clemente, generale.

(A Parolles)

Il nostro generale ti comanda

di dare una risposta alle domande

che ti porr leggendole da un foglio.

PAROLLES -

Ed io risponder la verit,

per quanto so di scampare la pelle.

PRIMO SOLDATO -

(Legge)

Primo, precisi di quanti cavalli

consiste la cavalleria del Duca.

PAROLLES -

Cinque-seimila, ma son tutti brocchi

e inservibili e tutti sparpagliati,

e i loro rispettivi comandanti

sono tutti dei poveri straccioni.

Lo giuro sulla mia reputazione

e sul mio credito, per quanto vero

che spero solo di scampar la pelle.

PRIMO SOLDATO -

Devo scriver cos la tua risposta?

PAROLLES -

Esattamente. E vi ci giuro sopra,

nella forma e nel modo che volete.

BERTRAMO -

(A parte, al primo nobile)

Lui non fa differenza!

Razza dincorreggibile furfante!

PRIMO NOBILE -

(A parte a Bertramo)

Oh, vingannate su di lui, signore!

Questi monsieur Parolles, il valoroso

uomo darme - cos si definito -

che porta tutta la teoria di guerra

nel nodo della sciarpa, e la sua pratica

in punta al fodero della sua spada.

SECONDO NOBILE -

Non mi fider pi dora in avanti

di chi tiene la spada sempre lucida,

n creder un esempio di prodezza

chi porta una divisa cos in ghingheri.

PRIMO SOLDATO -

Bene, ho verbalizzato.

PAROLLES -

Ho detto cinque-seimila cavalli

scrivete circa, per la verit;

voglio esser preciso.

PRIMO NOBILE -

(c.s.)

Su questo punto assai vicino al vero.

BERTRAMO -

(c.s.)

Non mi sento per di ringraziarlo

per il genere di verit che dice.

PAROLLES -

(Al soldato)

Ho detto pure poveri straccioni.

Questo scrivetelo, prego.

PRIMO SOLDATO -

Gi scritto.

PAROLLES -

Umili grazie. Quel che vero vero.

Sono proprio dei poveri straccioni.

PRIMO SOLDATO -

(Leggendo ancora)

Domandargli di dire a quanto ammontano

le truppe a piedi. Che rispondi a questo?

PAROLLES -

In fede mia, dir la verit,

avessi solo unora ancor da vivere.

Vediamo un po: Spurio, centocinquanta;

Sebastiano, altrettanti;

altrettanti Corambo e pure Giacomo;

Guiltiano, Cosmo, Lodovico e i Grazii,

un duecentocinquanta per ciascuno;

e duecento cinquanta per ciascuno

il mio reparto, quello di Cristoforo,

quello dei Benzii e quello di Vaumont:

e dunque leffettivo nel totale

non arriva, tra buoni e scalcagnati,

a s e no quindicimila uomini;

met dei quali nemmeno sarrischiano

a scuotersi la neve dai cappotti

per la paura di cascare a pezzi.

BERTRAMO -

(c.s.)

Che far di lui adesso?

PRIMO NOBILE -

(c.s.)

Nulla, direi, se non che ringraziarlo.

(Al primo soldato)

Domandagli di me,

e di che stima godo presso il Duca.

PRIMO SOLDATO -

Bene, scritto: Chiedetegli se sa

che fra quelli del campo fiorentino

un capitano Dumain, un francese;

di che stima egli gode presso il Duca,

e come reputato il suo valore,

la sua integrit ed esperienza

nellarmi; e se lui stesso non ritiene

che sia possibile o no di corromperlo

con appropriate offerte di denaro,

e indurlo a disertare. Che rispondi?

Che puoi dire riguardo a tutto questo?

PAROLLES -

Per carit, lasciatemi rispondere

punto per punto allinterrogatorio.

Una domanda alla volta, vi prego.

PRIMO SOLDATO -

Ma lo conosci questo capitano?

PAROLLES -

Lo conosco altroch. Era garzone

a Parigi da un certo ciabattino,

finch non lhanno cacciato a pedate

per aver messo incinta una ragazza,

una povera idiota dellospizio

del comune,([71]) una povera innocente

muta, che fu impotente a dirgli no!

(Il primo nobile furibondo alza la mano per colpirlo,

ma Bertramo lo ferma)

BERTRAMO -

No, con licenza, fermo con le mani.

Tanto so gi che non passer molto

gli arriver una tegola in testa.

PRIMO SOLDATO -

Allora dunque questo capitano

in campo, o no, col Duca di Firenze?

PAROLLES -

S, c quel pidocchioso, chio ne sappia.

PRIMO NOBILE -

(A Bertramo che lo guarda sbalordito)

Beh, adesso non guardatemi cos.

Fra poco sentiremo anche di voi.

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Di che credito gode presso il Duca?

PAROLLES -

Tutto quello che il Duca sa di lui

chegli solo un mediocre ufficiale

in forza al mio reparto; e laltro giorno

mha scritto di buttarlo fuor dai ranghi.

Credo daver in tasca la sua lettera.

PRIMO SOLDATO -

Eh, perbacco, cerchiamola senzaltro.

(Il primo soldato comincia a frugare nelle tasche di Parolles, ma non trova niente)

PAROLLES -

Sono mortificato

Non so com: se non lho qui con me,

sar rimasta insieme allaltre lettere

del Duca che conservo alla mia tenda.

(Il primo soldato, continuando a frugare,

trova un foglio)

PRIMO SOLDATO -

Eccola; qui c un foglio. Devo leggerlo?

PAROLLES -

Ma non sono sicuro che sia quella.

BERTRAMO -

(A parte, al primo nobile)

Il nostro interprete davvero in gamba.

PRIMO SOLDATO -

(Legge il foglio)

Diana, il conte uno sciocco, pieno doro

PAROLLES -

Oh, no, non lettera del Duca,

quella, signore, solo un mio consiglio

a una brava ragazza di Firenze,

certa Diana, perch si tenga in guardia

dalle lusinghe dun certo Bertramo,

conte di Rossiglione, un ragazzotto

scioccherello e vanesio, sempre in fregola.

Vi prego, riponetemela in tasca.

PRIMO SOLDATO -

Prima, con tua licenza, voglio leggerla.

PAROLLES -

Lho scritta, vassicuro, quella lettera

intenzionato a rendere un servizio

pi che onesto alla povera ragazza;

perch sapevo bene, conoscendolo,

quale pericoloso donnaiolo

fosse il giovane conte Rossiglione:

un lussurioso, una vera balena

per la verginit, divoratrice

di tutti i pesciolini in cui simbatte.

BERTRAMO -

Maledetta canaglia doppiafaccia!

PRIMO SOLDATO -

(Legge)

Quando ti giura amore,

fagli sborsare del denaro e prendilo,

ch lui consuma, ma non paga il conto.

Un gioco ben portato

a met guadagnato. Farai bene,

se avrai in precedenza contrattato.

A cose fatte, non paga arretrato.

Prendili prima, Diana, e sappi questo

che ti consiglia un soldato modesto:

ci sinfrasca con uomini maturi,

non si baciano uomini futuri.

E dammi retta: il conte un bel gaglioffo,

che paga avanti, ma non dov in debito.

Sono, come allorecchio tho giurato,

il tuo PAROLLES, parola di soldato.

BERTRAMO -

Costui, parola mia,

dovr passare sotto le frustate

di tutti gli uomini del mio reparto

con questi versi appiccicati in fronte!

PRIMO NOBILE -

Ecco, questo il devoto vostro amico,

il vostro poliglotta,

larmipotente guerriero, signore!

BERTRAMO -

Se c cosa chio non sopporto al mondo,

il gatto, e questi per me adesso un gatto.([72])

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Dalla faccia che fa il mio generale

mi par dintendere, caro messere,

che ci sar procurato il piacere

di vederti impiccato.

PAROLLES -

Oh, non sia mai!

Non chio abbia paura di morire,

ma, dato che ho commesso assai peccati,

vorrei passare il resto dei miei giorni

solo a fare mea culpa.

Oh, lasciatemi vivere, signore,

in prigione, costretto in ceppi, ovunque,

purch vivo.

PRIMO SOLDATO -

Vedremo cosa fare,

se dirai tutto senza reticenze.

Torniamo a questo capitan Dumain:

tu hai risposto gi circa la stima

che ha il Duca di lui e del suo valore;

ma che puoi dire sulla sua onest?

PAROLLES -

Che ruberebbe un uovo in un convento.

Che in quanto a stupri e violenze carnali

non ha davvero da invidiare a Nesso.([73])

Capace di mentire, signor mio,

con tanta disinvolta facciatosta

da far passare per assurdo il vero.

Sua massima virt lubriachezza,

per via che subriaca come un porco,

e solo quando dorme non fa danno,

salvo che alle sue povere lenzuola;

ma, poich tutti sanno del suo vizio,

lo mettono a dormire sulla paglia.

Sulla sua onest,

ho ben pocaltro da dire, signore,

tranne ch un individuo

che ha tutto ci che non dovrebbe avere

un uomo onesto, mentre non ha nulla

di tutto quello che fa onesto un uomo.

PRIMO NOBILE -

(Sempre sottovoce a parte a Bertramo)

Costui comincia ad essermi simpatico.

BERTRAMO -

Per che cosa: per questa descrizione

della sua onest? Gli venga un cnchero!

Per me somiglia sempre pi ad un gatto.

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

E sulla sua perizia militare

che cosa mi puoi dire?

PAROLLES -

Eh, so solo che ha fatto il tamburino

per una compagnia di attori inglesi,([74])

ma della sua perizia militare

altro non so, se non che in quel paese

ebbe lonore di far lufficiale

in un posto chiamato Mile-end,([75])

dove addestrava a mettersi per due

le guardie di citt. Vorrei anchio

rendergli tutto lonore che posso,

ma neppure di questo son sicuro.

PRIMO NOBILE -

Pi ribaldo della ribalderia!

A tal punto, che quasi si riscatta

per la sua straordinariet!

BERTRAMO -

Peste lo colga! Sempre un gatto !

PRIMO SOLDATO -

(A Parolles)

Se le sue qualit, come tu dici,

sono roba cos a buon mercato,

inutile allora domandarti

se si lasci corrompere dalloro

fino alla diserzione e al tradimento.

PAROLLES -

Per un quarto di scudo, quello l,

si venderebbe a titolo perpetuo

il sacro feudo della sua salvezza

con diritto di ereditariet

a se stesso, escludendone gli eredi.

PRIMO SOLDATO -

E quanto allaltro capitan Dumain,

il fratello, che cosa ci puoi dire?

SECONDO NOBILE -

Che! Gli chiede di me?

PRIMO SOLDATO -

Che tipo ?

PAROLLES -

Un altro corvo della stessa cova.

Non di grande statura come il primo

in fatto di onest, ma assai pi grande

quanto a cialtroneria in generale.

Supera suo fratello per vilt,

ch tutto dire, perch suo fratello

in questo ritenuto un gran campione.

Se c una ritirata, nella fuga

supera pure lultimo lacch;

e se c unavanzata,

si fa venire i crampi alle calcagna.

PRIMO SOLDATO -

Lo tradiresti il Duca di Firenze

se ti promettono salva la vita?

PAROLLES -

Cspita! E anche il comandante in capo

dei suoi squadroni di cavalleria,

conte di Rossiglione!

PRIMO SOLDATO -

Vado a dir due parole al generale

per conoscere quello che decide.

(Fa finta di allontanarsi.

Parolles sempre incappucciato)

PAROLLES -

E cos non dovr pi stamburare.([76])

Vadano al diavolo tutti i tamburi.

Solo per farmi bello col tamburo,

ed ingannare limmaginazione

di quel viziato ragazzaccio, il conte,

mi son cacciato in questo ginepraio!

Ma chi poteva mai immaginare

unimboscata di truppe nemiche

proprio l dove mhanno catturato?

PRIMO SOLDATO -

Purtroppo, amico, non c alcun rimedio:

devi morire. Dice il generale

che uno che s proditoriamente

ha rivelato, come hai fatto tu,

tanti segreti del suo proprio esercito,

e detto male, senza alcun ritegno,

di personaggi di s alta stima,

non serve, vivo, a nessun fine onesto.

Perci non c che fare: morirai.

A te, carnefice, mozzagli il capo.

PAROLLES -

Oh, Dio Signore, lasciatemi vivere!

O, sio devo morire,

lasciate almeno chio possa vederla

la mia morte!

PRIMO SOLDATO -

S, questo t concesso.

(Gli tolgono il cappuccio con la benda)

Di pure addio a tutti i tuoi amici.

BERTRAMO -

Buongiorno a te, nobile capitano.

PRIMO NOBILE -

Dio vi dia bene, capitan Parolles.

SECONDO NOBILE -

Che Dio vi salvi, nobil capitano.

PRIMO NOBILE -

Capitano, io parto per la Francia;

non volete mandare per mio mezzo

un salutino al mio monsieur Lafeu?

SECONDO NOBILE -

Buon capitano, mi volete dare

una copia di quel bel poemetto([77])

che avete scritto a Diana

con gli elogi del conte Rossiglione?

Sio non fossi quel fiore di vigliacco

che dite, me lo prenderei di forza.

Comunque, state bene.

(Escono Bertramo e i due nobili francesi)

PRIMO SOLDATO -

Capitano, sei tutto una rovina

tutto, tranne la sciarpa

che serba intatto il suo superbo nodo.

PAROLLES -

Chi non rovinato da un complotto?

PRIMO SOLDATO -

Se tu potessi scoprire un paese

non daltri popolato che di donne

coperte di vergogna come te,

ci potresti fondare egregiamente

la nazione della spudoratezza.

Statti bene. Anchio parto per la Francia.

Si parler tanto di te, lass.

(Esce con gli altri soldati)

PAROLLES -

In fondo, posso ringraziare il cielo.

andata bene: avessi un cuore grande

mi scoppierebbe dalla contentezza.

Non sar pi, magari, un capitano;

ma potr ben mangiar, bere e dormire

comodamente come un capitano.

lesser quel che sono a farmi vivere.

Chi sa di essere un millantatore,

stia bene un guardia, ch giunge il momento

che far la figura del somaro.

Arrugginisci, spada;

spallidite, rossori; e tu, Parolles,

vivi sicuro nella tua vergogna.

Gli altri thanno beffato?

E tu vivi di beffe e fa fortuna!

Il mondo largo, ci son mezzi e posto

per tutti. Io, Parolles, li trover.

(Esce)

SCENA IV - Firenze, in casa della vedova.

Entrano ELENA, la VEDOVA e DIANA

ELENA -

Per convincervi che non vho fatto torto,

mi sar ben garante un personaggio

tra i pi grandi della cristianit;

perch avanti a lui io dovr andare,

a inginocchiarmi ai piedi del suo trono,

per portare a buon esito il mio piano.

Gli ho reso, tempo fa, un gran servizio,

a lui pi caro quasi della vita

e tale da destar la gratitudine

anche nel cuore di pietra dun Tartaro.

So che Sua grazia si trova a Marsiglia,

dove mi sono procurata gi

conveniente maniera di recarmi.

Voi dovete sapere

chio son creduta morta. Mio marito,

sciolto lesercito, ritorna a casa,

dove, il cielo aiutando,

e il re mio buon signore permettendo,

noi giungeremo del tutto inattese.

VEDOVA -

Mia nobile signora,

mai servo accolse con maggior piacere

di noi due la fiducia in lui riposta.

ELENA -

N voi, signora, aveste mai amica

pi di me impegnata fedelmente

a compensar la vostra devozione.

Sicuramente il cielo mha creata

perch fossi datrice di una dote

a vostra figlia, e ha destinato lei

a strumento ed aiuto suo e mio

perch io ritrovassi mio marito.

Per, che strane creature gli uomini,

che riescono a fare un s dolce uso

di ci che aborrono, quando accecati

da sconci ed ingannevoli pensieri

insozzano la notte.

La lussuria riesce a vezzeggiare

una cosa aborrita,

scambiandola per quello che non .

Ma di questo, pi tardi.

Nel frattempo, voi, Diana,

seguendo bene le mie istruzioni,

dovrete ancor soffrire un po per me.

DIANA -

Se alle vostre istruzioni, mia signora,

non saccompagnano morte o disdoro,

io son pronta a soffrir quel che volete.

ELENA -

Ancora, s, vi prego;

ma per noi verr con quellancora

lestate, quando avran le rose petali

oltre alle spine, e saran profumate

quanto pungenti. Ma dobbiamo andare;

la carrozza ci aspetta e il tempo stringe.

Tutto bene quel che finisce bene.([78])

Il tempo ha sempre coronato lopera.

E qual che sia la via,

la fine premia sempre la virt.

(Escono)

SCENA V - Rossiglione, il palazzo del conte.

Entrano la CONTESSA, LAFEU e IL LAVA

LAFEU -

No, no, a fuorviare vostro figlio

stato quel messere in taffett,

quella canaglia color zafferano

capace di ridurre alla sua tinta

tutta la giovent duna nazione

ancor malcotta e non lievitata.

Vostra nuora sarebbe ancora in vita

e vostro figlio sarebbe qui a casa,

sicuramente in grazia pi del re

che di quel calabrone codarossa.

CONTESSA -

Ah, non lavessi conosciuto mai!

stato lui a causar la morte

della pi illibata gentildonna

della cui creazione la natura

pot mai compiacersi con se stessa.

Fossella stata carne di mia carne,

e mi fosse costata a partorirla

il pi grande travaglio di una madre

io non le avrei voluto

un pi profondo e radicato affetto.

LAFEU -

Era proprio una degna gentildonna.

Unerba come quella

non la si trova tra mille insalate.

LAVA -

Davvero, era la dolce maggiorana

nellinsalata, o piuttosto la ruta,

che lerba della grazia.

LAFEU -

Ma queste non son erbe da insalata,

manigoldo, son solo erbe aromatiche.

LAVA -

Io derbe non mintendo, monsignore,

non sono il gran Nabuccodonosor.([79])

LAFEU -

Chi sei allora, o chi credi di essere:

un furfante o un buffone?

LAVA -

Luno e laltro, vossignoria: buffone

quando ho da fare il servizio a una donna;

e furfante per il di lei marito.

LAFEU -

Che significa questa distinzione?

LAVA -

Che froderei il marito della moglie,

e le farei il servizio al posto suo.

LAFEU -

Cos quello si trova al suo servizio

un furfante. E la moglie?

LAVA -

Alla moglie darei, per divertirla

e renderle servizio, la mia mazza.([80])

LAFEU -

Sei furfante e buffone, tutte due:

non posso a meno di dartene atto.

LAVA -

Sempre pronto a servirvi

LAFEU -

No, no, no!

LAVA -

Allora, se non voi,

posso sempre servire, monsignore,

un gran principe, grande come voi.

LAFEU -

E chi , un francese?

LAVA -

A dir la verit, il nome inglese,

ma in Francia la sua faccia pi infuocata

che in Inghilterra.

LAFEU -

E che principe questo?

LAVA -

il Principe Nero, monsignore,

principe delle tenebre anche detto,

alias il diavolo.([81])

LAFEU -

Basta cos.

Eccoti la mia borsa, te la lascio;

ma non per suggerirti di tradire

quel tuo padrone. Seguita a servirlo.

LAVA -

Io son uomo di bosco, monsignore,

ed i fal mi son sempre piaciuti;

e il padrone di cui test parlavo

tiene acceso in eterno un grande fuoco.

Di sicuro egli il principe del mondo;

ma la sua principesca nobilt

rimanga alla sua corte; la mia casa

la preferisco con la porta stretta,

tanto stretta da non poterci entrare

i grandi; ci potranno forse entrare

quei pochi in mezzo a loro che si umiliano,

ma la gran maggioranza

son troppo freddolosi e delicati,

e sceglieranno il cammino fiorito

che mena alla gran porta e al gran fuoco.([82])

LAFEU -

Vattene, va, tu cominci a stufarmi

con i tuoi lazzi; e te lo dico prima,

perch non voglio arrabbiarmi con te.

Va per i fatti tuoi. Bada soltanto

che i miei cavalli siano ben strigliati

e senza trucchi.([83])

LAVA -

Se facessi trucchi,

con quei cavalli, sarebbero trucchi

sempre imbroccati, ch le vostre rozze

sono brocchi per legge di natura.([84])

(Esce)

LAFEU -

Un furfantaccio, astuto e malizioso.

CONTESSA -

Proprio cos. Il mio povero marito

ci si spassava molto; ed per lui

che seguito a tenerlo qui con me;

e questo lui lo sa e ne approfitta

per mandare la lingua a briglia sciolta;

ed infatti sfrenato in lungo e in largo,

come un cavallo, e corre dove vuole.

LAFEU -

Ma simpatico, male non ci sta.

Per riprendere il filo del discorso,

stavo dunque per dirvi, mia signora,

che quandebbi notizia della morte

della buona signora vostra nuora

e che il mio signore vostro figlio

era in viaggio per ritornare a casa,

ho convinto il sovrano mio padrone

a parlargli in favore di mia figlia;

cosa che sua maest,

nella sua nobile delicatezza

ha ricordato di avere proposto

lui stesso al tempo che il vostro figliolo

ed ella erano in minore et.

Ho avuto da Sua altezza la promessa

che far questo passo;

e potrebbessere il modo migliore

per cancellare il suo risentimento

contro il conte Bertramo.

Che ne direbbe vostra signoria?

CONTESSA -

Che ne son ben felice, monsignore.

LAFEU -

Sua maest in viaggio per Marsiglia

del tutto risanato e vigoroso

come a trentanni. Sar qui domani,

se non mha detto il falso la persona

che di rado mi di false notizie.

CONTESSA -

Mi riempie di gioia la speranza

di poterlo veder prima chio muoia.

Anche mio figlio sar qui stasera,

secondo che mannuncia una sua lettera.

Debbo pregare vostra signoria

di restare con me fino a domani

per assistere a questo loro incontro.

LAFEU -

Stavo appunto chiedendomi, signora,

come pregarvi di questo favore

senza potervi sembrare indiscreto.

CONTESSA -

Non avevate che a invocar per voi

il privilegio della nobilt.

LAFEU -

Signora, me ne son fin troppo valso,

ma vedo, grazie a Dio, ch ancora valido.

Rientra IL LAVA

LAVA -

Madama, sta arrivando vostro figlio

con un cerotto di velluto in faccia;

se ci sia sotto o no una cicatrice,

lo sa solo il velluto;

ma una bella toppa di velluto:

la sua guancia sinistra,

una guancia con doppio pelo e mezzo,

mentre la guancia destra solo pelle.([85])

LAFEU -

Una ferita nobilmente presa,

voglio dire una nobile ferita

una livrea donore;

tale sar probabilmente quella.

LAVA -

Gi, ma ci sono toppe di velluto

che coprono altre piaghe.([86])

LAFEU -

Signora, andiamo incontro a vostro figlio.

Ho proprio una gran voglia di parlare

con questo giovin nobile soldato.

LAVA -

Eh, oltre a lui ce n una dozzina

che sfoggiano eleganti copricapi

e certe cortesissime lor piume

che fanno riverenze a destra e a manca.

(Escono)


ATTO QUINTO

SCENA I - Marsiglia, una via.

Entrano ELENA, la VEDOVA, DIANA e due accompagnatori.

ELENA -

Tutto questo viaggiare giorno e notte

vi deve aver mandato gi di spirito;

ma non se ne poteva fare a meno.

Siate per sicure di una cosa:

che facendo tuttuno giorno e notte

per me e logorando al mio servizio

le vostre membra cos delicate,

siete tanto cresciute di valore

nel conto della mia riconoscenza

che nulla vi potr pi cancellare.

Entra un GENTILUOMO, falconiere reale

Giusto in punto! Questuomo pu aiutarmi

a procurarmi udienza presso il re,

se vorr usare la sua autorit.

Dio vi salvi, signore!

GENTILUOMO -

E cos voi.

ELENA -

Signore, il vostro viso non mi nuovo;

vi ho visto gi alla corte di Francia.

GENTILUOMO -

Ci sono stato, infatti, qualche volta.

ELENA -

Credo, signore, che non sia scemata

la buona fama duomo generoso

di cui godete; per questa ragione,

spinta da assai scabrose circostanze

che minducono a mettere da parte

i complimenti, vorrei trar profitto

dalle vostre virt per un favore

di cui vi sarei grata in sempiterno.

GENTILUOMO -

Che volete chio faccia?

ELENA -

Che vi degnaste consegnare al re

questumilissima mia petizione

e che usaste la vostra autorit

per farmi ammettere alla sua presenza.

GENTILUOMO -

Ma il re non pi qui.

ELENA -

Ah, no?

GENTILUOMO -

No, no;

il re partito da qui questa notte,

e pi speditamente del suo solito.

VEDOVA -

Signore Iddio! Tutta fatica inutile!

ELENA -

Tutto bene quel che finisce bene,

anche se sembrano tutte contrarie

le circostanze e inadeguati i mezzi.

(Al gentiluomo)

E, di grazia, signore, dov andato?

GENTILUOMO -

A Rossiglione, credo; anzi son certo.

E l mi stavo dirigendo anchio.

ELENA -

Allora vi scongiuro, monsignore,

poich probabilmente lo vedrete

prima di me, vogliate consegnare

nellauguste sue mani questa lettera.

Non vi procurer nessun richiamo

da lui, che, anzi, vi ringrazier

per il disturbo che vi siete preso.

Vi seguir con la celerit

che i nostri mezzi ci consentiranno.

GENTILUOMO -

Lo far volentieri.

ELENA -

E ne riceverete, vassicuro,

da lui ringraziamenti, e forse pi.

(Alle due donne)

Noi dobbiamo rimetterci a cavallo.

Andiamo, andiamo dunque a prepararci.

(Escono)

SCENA II - Rossiglione, cortile interno nel palazzo del duca.

Entrano IL LAVA e PAROLLES

PAROLLES -

Mio bravo mastro Lava, fa il favore,

va da monsieur Lafeu da parte mia,

e consegna in sua mano questa lettera.

Tu mhai gi conosciuto, caro amico,

quando avevo maggior dimestichezza

con pi freschi vestiti; ma, mio caro,

con me lumore della dea Fortuna

s intorbidato e dalla mia persona

emana il tanfo della sua avversione.

LAVA -

Eh, lavversione della dea Fortuna

devessere qualcosa dassai sporco,

se emana il forte puzzo che voi dite.

Da oggi in poi non manger pi pesce

fritto dalla Fortuna Aria, aria!

(Il Lava fa latto di scostarsi e turarsi il naso)

PAROLLES -

Ehi, non occorre che ti turi il naso,

amico, sto parlando per metafora.

LAVA -

Se la vostra metafora, signore,

o la metafora di qualcun altro

puzza, bisogna che mi turi il naso.

Ti prego, fatti in l.

PAROLLES -

Va, portami, ti prego, questo foglio.

LAVA -

Puah! State alla larga, per favore.

Dovrei portare una carta del cesso

della Fortuna a un nobil gentiluomo

Eccolo, toh, che arriva di persona.

Entra LAFEU

Monsieur Lafeu, qui c un escremento

della Fortuna, o meglio del suo gatto,

che non odora di gatto muschiato,

caduto nella fetida peschiera

della sua avversione, nella quale

come dice, s tutto inzaccherato.([87])

Vi prego, mio signore, questa carpa

trattatela il meglio che potete;

a me sembra un furfante decaduto,

uningegnosa, stupida canaglia.

Con questi confortevoli aggettivi

gli manifesto tutto il mio compianto

per la sua sofferenza,

e lo lascio alla vostra signoria.

(Esce)

PAROLLES -

Sono un uomo, signore,

crudelmente graffiato da Fortuna.

LAFEU -

E che vuoi che ci faccia? troppo tardi

per tagliare le unghie alla Fortuna.

Ma che mascalzonata hai combinato

per farti sgraffignare in questo modo?

una brava signora la Fortuna,

in fondo, e non permette ai mascalzoni

di prosperare a lungo nel suo regno.

Toh, ecco un cardecue.([88])

(Gli d la moneta)

Siano i giudici a farti far la pace

con la Fortuna. Ho altro da pensare.

PAROLLES -

Una parola sola, vostro onore,

vi prego di ascoltarmi.

LAFEU -

Ho capito, tu chiedi un altro soldo.

Eccolo, e tieniti la tua parola.

PAROLLES -

Il mio nome Parolles, mio buon signore.

LAFEU -

Allora chiedi pi duna parola([89])

Per le pene di Cristo, qua la mano!

Come va il tuo tamburo?

PAROLLES -

Oh, monsignore,

voi foste il primo a scoprire chi ero.

LAFEU -

Ah, s? Ed anche il primo a ricoprirti

di vergogna.

PAROLLES -

Sta quindi a voi, signore,

in qualche modo rimettermi in grazia,

avendomi portato allo scoperto.

LAFEU -

Eh, no, gaglioffo! Tu mi vuoi far fare

sia la parte di Dio che del demonio,

luno che ti rimette nella grazia,

laltro che te ne scaccia.

(Trombe da dentro)

Arriva il re,

lo riconosco dalla sua fanfara.

Compare, fatti vedere pi tardi.

Ho parlato di te ancor iersera.

Anche se sei un pazzo e una canaglia,

ci sar da mangiare anche per te.

Su, seguimi.

PAROLLES -

Ringrazio Dio per voi.

(Escono)

SCENA III - La stessa.

Trombe. Entrano il RE, la CONTESSA, LAFEU, nobili, cavalieri e seguito

RE -

Con lei abbiamo perduto un gioiello,

e quel che noi valiamo

n rimasto di molto impoverito.

Ma a vostro figlio, nella sua follia,

mancato il cervello per stimare

tanto valore.

CONTESSA -

Acqua passata, sire;

vostra altezza lo voglia riguardare

solo come uno sfogo di natura,

una vampata dellet sua giovane

nella quale olio e fuoco, troppo ardenti

per poter soggiacere alla ragione,

la sopraffanno e bruciano con essa.

RE -

Tutto stato, onoratamia signora,

da me dimenticato e perdonato,

bench sopra di lui fosse gi teso

larco del mio castigo,

aspettando il momento di colpire.

LAFEU -

(Alla contessa)

Io, signora, scusandomi in anticipo,

vi voglio dire questo: vostro figlio

ha fatto grave torto a sua maest,

a sua madre, a colei chera sua sposa,

ma ancor pi grave lha fatto a se stesso.

Ha perduto una moglie

la cui bellezza abbagliava lo sguardo

degli occhi pi esigenti; il cui parlare

incantava chiunque lascoltasse;

le cui doti di rara perfezione

imponevano ai cuori pi restii

di chiamarla umilmente lor padrona.

RE -

Lodar ci ch perduto

ne fa pi cara al cuor la rimembranza.

Ebbene, via, chiamatelo;

con lui ci siamo ormai riconciliati,

e il rivederci potr dileguare

lultima nube di risentimento.

Non ci chieda perdono: la sostanza

della gravissima sua colpa spenta,

e noi i suoi tizzoni ancora accesi

vogliamo seppellire in una fossa

pi fonda delloblio.

Che venga innanzi a me come un estraneo,

non gi come un colpevole.

Informatelo ch con questo spirito

che lo vediamo.

UN GENTILUOMO -

Sar fatto, sire.

(Esce)

RE -

(A Lafeu)

Che vha detto riguardo a vostra figlia?

Gliene avete parlato?

LAFEU -

S, si rimette tutto a vostra altezza.

RE -

Allora questa unione si far.

Ho appena ricevuto dallItalia

lettere che ne esaltano la fama.

Entra BERTRAMO

LAFEU -

Mi pare che il suo aspetto lo confermi.

RE -

(A Bertramo)

Bertramo, oggi il tuo re

una giornata fuori di stagione:

vedrai in me ad un tempo sole e grandine

anche se occhieggia, tra le sparse nuvole,

qualche raggio di sole luminoso.

Su, vieni avanti: il bel tempo tornato.

BERTRAMO -

Perdonatemi, amato mio sovrano,

le mie colpe; ne sono assai pentito.

RE -

Tutto per bene. Il passato passato,

non ne parliamo pi.

Afferriamo pel ciuffo sulla fronte

il momento che fugge: siamo vecchi

e sui pi celeri nostri decreti

limpercettibile passo del tempo

scivola via furtivo e silenzioso

prima che li possiamo porre in atto.

(Indicando Lafeu)

Ti ricordi, Bertramo,

della figlia di questo gentiluomo?

BERTRAMO -

Mirabilmente, sire. Da principio

su lei era caduta la mia scelta,

avanti che il mio cuore

osasse fare di questa mia lingua

un troppo audace araldo di se stesso;([90])

una volta per che la sua immagine

vi sinfisse, trasmessa dal mio occhio,

la lente deformante del Disprezzo,

che distorceva tutti i lineamenti

dogni volto, alterandone i colori

oppur considerandoli rubati,

mi dilat o contrasse quelli suoi

fino a farne un oggetto ripugnante.

Cos accadde che ella,

di cui tutti facevano le lodi,

e che io stesso dacch lho perduta

ho sempre avuto in cuore, allimprovviso,

divenne agli occhi miei come una polvere

che li accec.

RE -

Una scusa bene espressa.

Il fatto stesso che tu labbia amata

riduce di parecchio il tuo gran debito

verso di lei; ma lamore tardivo,

come un perdono di resipiscenza

recato al condannato giustiziato,

si volge come un amaro rimprovero

contro il grande che tardi lha concesso

e grida: Quel che buono non c pi!

Spesso la nostra cieca avventatezza

valuta zero i tesori che abbiamo

e noi non apprezziamo il lor valore

finch non li vediamo nella tomba.

Spesso i nostri disgusti, ingiustamente

per gli altri e soprattutto per noi stessi,

distruggono le pi care amicizie,

e poi piangono sulle loro ceneri;

e mentre il nostro amore,

ridestato alla luce del mattino,

piange considerando laccaduto,

lodio trascorre nella sua vergogna

un pomeriggio di profondo sonno.

Sia questo lultimo rintocco funebre

per la dolce Elena; ora dimenticala,

ed invia alla bella Maddalena

il tuo pegno damore. Per entrambi

son gi accordati i dovuti consensi,

e noi ci fermeremo a Rossiglione

per presenziare alle seconde nozze

del nostro vedovo.

CONTESSA -

E tu, buon cielo,

benedicile meglio delle prime!

Altrimenti, o natura, fa chio muoia

prima che avvenga questa loro unione!

LAFEU -

(A Bertramo)

Orbene, figlio mio, in cui innestato([91])

sar il nome della mia casata,

mandate un pegno damore a mia figlia

che valga a riaccenderne lo spirito

e ad indurla a venir subito qui.

(Bertramo si toglie dal dito un anello e lo d a Lafeu; questi lo guarda sbalordito, poi:)

LAFEU -

Per la mia vecchia barba,

e per ogni suo pelo,

che soave creatura era davvero

quella povera Elena!

Un anello del tutto uguale a questo

vidi certo che ella aveva al dito

lultima volta che presi congedo

da lei a corte.

BERTRAMO -

Non era lo stesso.

RE -

Chio lo veda, di grazia; ch il mio occhio,

mentre parlavo, spesso nera attratto.

(Lafeu gli d lanello)

Questo anello era mio,

lho dato io ad Elena, e nel darglielo

le dissi che se mai nella sua vita

avesse avuto bisogno di aiuto,

grazie a questo mio pegno, avrebbe in me

trovato sempre chi la soccorreva.

Che arte hai tu usato per sottrarle

la cosa che le dava pi dogni altra

fiducia e sicurezza nella vita?

BERTRAMO -

Qualunque cosa vi piaccia pensare,

mio grazioso sovrano, questo anello

non fu mai suo.

CONTESSA -

Sulla mia vita, figlio,

io ti giuro che glielho visto al dito;

e laveva pi caro della vita.

LAFEU -

Lho vista anchio con quellanello al dito,

son sicuro.

BERTRAMO -

Signore, vingannate;

ella non ha mai visto questanello.

Me lo lanciarono da una finestra,

a Firenze, ravvolto in una carta

col nome di colei che lo gett:

era una nobile dama del luogo

e credeva chio fossi senza impegni;([92])

ma poi, quando le dissi del mio stato,

e le feci sapere, onestamente,

che non mera possibile seguire

lonorevole corso delle cose

al quale essa aveva dato avvio,

se ne ritrasse, mesta e rassegnata,

ma non volle riprendersi lanello.

RE -

Lo stesso Pluto, che conosce il mezzo

di trasformare in oro un vil metallo

e di moltiplicarlo allinfinito,

non conosce i misteri di natura

comio conosco bene questanello.

Esso fu mio, e da me fu di Elena,

chiunque sia che labbia dato a te;

perci se hai contezza di te stesso,

non hai che a confessare chera suo,

e che glielhai sottratto con la forza.

Ella giur davanti a tutti i santi

che mai lavrebbe sfilato dal dito

se non per darlo a te, nel vostro letto,

nel quale tu non sei mai entrato,

o per mandarlo a noi, e solo a noi,

se si fosse trovata in gran pericolo.

BERTRAMO -

Ella non lha mai visto. Lo ripeto.

RE -

Tu dici il falso, giuro sul mio onore,

e mi fai sorgere certi sospetti

che vorrei tanto scacciar dalla mente.

Perch se mai dovesse risultare

che sei stato con lei cos inumano

- non lo sar, ma tuttavia non so -

da odiarla a morte, per questo ella morta;

e niente mindurrebbe meglio a crederlo

che veder questanello in mano a te;

a meno che non fossi stato io stesso

accanto a lei a chiuderle le palpebre

Conducetelo via!

(Le guardie simpadroniscono di Bertramo)

Comunque vada questa brutta storia,

le prove gi raccolte

non possono tacciar dinconsistenza

i miei dubbi; se mai di leggerezza,

per esser stati troppo pochi. Via!

Vorr indagar pi a fondo in questaffare.

BERTRAMO -

Se mai vi riuscisse di provare

che questanello mai stato di Elena,

dovrete anche provare

che ho condiviso il suo letto a Firenze

dove non mai stata.

(Esce sotto scorta)

RE -

Brutti pensieri mavvolgon la mente.

Entra il GENTILUOMO falconiere

GENTILUOMO -

Mio grazioso sovrano,

non so sio sia da biasimare o meno,

ma devo sottoporre a vostra altezza

la petizione di una fiorentina

che ha tentato per quattro o cinque volte

di venire a portarvela lei stessa

senza mai riuscirvi, suo malgrado.

Mi sono assunto io tale incombenza,

convinto a tanto dalla dolce grazia

con cui la poverina me lha chiesto.

So che a questora anchella qui nei pressi,

e aspetta ansiosa una vostra risposta;

ho avuto limpressione, dal suo volto,

che si tratti di cosa assai importante

e che, secondo che mha detto a voce,

brevemente, con accorati accenti,

riguarderebbe vostra altezza e lei.

RE -

(Leggendo)

Dopo molte promesse di sposarmi

non appena sua moglie fosse morta,

arrossisco nel dirlo, egli mha vinta.

Ora il conte di Rossiglione vedovo;

e di quelle promesse debitore

verso di me e verso lonor mio,

a lui pagato. Ha lasciato Firenze

furtivamente, senza congedarsi,

ed io, per ottener da voi giustizia,

lho seguito fin qui, nel suo paese.

Accordatemi, sire, la giustizia

che solo in vostre mani!

Non fate che fiorisca un seduttore,

e sfiorisca una povera fanciulla.

Di voi devota, Diana Capileti.

LAFEU -

Voglio comprarmi un genero alla fiera

e vender questo al miglior offerente!

Alla larga! Non voglio pi saperne!

RE -

I cieli mostrano daverti caro,

Lafeu, portandoti a tale scoperta.

Fate entrare le autrici della supplica,

e introducete qui di nuovo il conte.

(Escono alcuni del seguito)

(Alla contessa)

Comincio proprio a temere, signora,

che alla povera Elena la vita

sia stata tolta delittuosamente.

CONTESSA -

Se cos , giustizia sui colpevoli!

Rientra BERTRAMO, sotto scorta

RE -

Mi sorprende, signore, di vedere,

dacch le mogli per te sono mostri,

e le fuggi, piantandole in bolletta,

dopo aver lor giurato di sposarle,

che pensi di sposarti unaltra volta.

Entrano la VEDOVA e DIANA

Chi sono queste donne?

DIANA -

Io sono, sire, unumil fiorentina,

appartenente allantica famiglia

dei Capileti. Vostra maest

ha preso gi visione, come intendo,

della supplica, e sa quanto pietoso

sia il mio caso.

VEDOVA -

Ed io sono sua madre,

sire, la cui et e il cui onore

hanno sofferto gravissimo oltraggio

dai fatti esposti nella nostra supplica,

e saranno per sempre compromessi

se voi non vi poniate alcun riparo.

RE -

Conte, voi conoscete queste donne?

BERTRAMO -

Negare di conoscerle, mio sire,

non posso, n lo voglio, innanzi a voi.

Di che maccusano?

DIANA -

Perch, signore,

guardate in questo modo vostra moglie,

come fosse unestranea?

BERTRAMO -

Monsignore!

Non vero, costei non mia moglie!

DIANA -

Se voi vi sposerete,

darete a unaltra donna questa mano,

ch mia; darete via i giuramenti

fatti al cielo per me, che sono miei;

darete via me stessa, perchio sono,

in forza di quei vostri giuramenti,

tanta parte di voi, che chi vi sposa

sposa anche me tutti e due o nessuno.

LAFEU -

(A Bertramo)

Vedo che avete una reputazione

parecchio mal ridotta, signor mio:

voi non siete un marito per mia figlia.

BERTRAMO -

(Indicando Diana)

Mio sovrano, costei una creatura

infatuata quanto disperata,

con la quale mi sono divertito

qualche volta a Firenze. Vostra altezza,

vorrei che aveste pi nobile stima

dellonor mio, anzich ritenere

chio lo voglia affondare in tal pantano.

RE -

La mia stima tu non lavrai amica

finch non te lavranno guadagnata

le tue azioni; a te di dimostrare

che il tuo onore pi alto

della stima che ora ho io di te.

DIANA -

Vogliate domandargli, vostra grazia,

a giuramento, segli creda o no

davermi tolta la verginit.

RE -

(A Bertramo)

Beh, che rispondi?

BERTRAMO -

Ch una spudorata,

mio signore, notoriamente stata

un facile trastullo a tutto il campo.

DIANA -

Mi fa torto, signore; non credetegli.

Se fossi stata quella che lui dice,

mavrebbe posseduta a poco prezzo.

Guardate questanello: ineguagliabile

per intrinseco pregio e per valore;

e ci malgrado, lui lha dato in dono

a un facile trastullo del suo campo

s vero che ero quella che lui dice.

CONTESSA -

Arrossisce, toccato. Quel gioiello

passato per sei generazioni,

da uno allaltro dei suoi antenati,

e da loro portato e posseduto.

Quellanello val pi di mille prove

che costei sua moglie.

RE -

(A Diana)

Mi par che abbiate detto daver visto

a corte chi lo pu testimoniare?

DIANA -

S, signore, ma ho qualche riluttanza

a valermi per ci dun testimone

s screditato. Il suo nome Parolles.

LAFEU -

Lho visto oggi quelluomo,

se cos pu chiamarsi quello l.

RE -

Cercatelo e portatemelo qui.

(Esce uno del seguito)

BERTRAMO -

Che pu dire costui? noto a tutti

che costui uninfida canaglia,

con tutti i vizi e i difetti del mondo,

uno che a dire solo una parola

di verit, gli viene il mal di capo.

Che vale segli dice che son io,

o questo o chiunque altro, se si sa

ch pronto a dichiarar qualunque cosa?

RE -

Ella ha il tuo anello.

BERTRAMO -

Lo so che ce lha.

Vero che mi piaceva e lho abbordata

con la spensieratezza giovanile.

Ella ben conosceva la distanza

tra me e lei, e ha saputo adescarmi

infiammando abilmente la mia voglia

con una ben studiata ritrosia;

nelle amorose fantasie, si sa,

ogni ostacolo opposto al desiderio

non fa che accenderne sempre nuove;

alla fine la sua civetteria

unita alla sua grazia disinvolta

mebbero al prezzo da lei stabilito:

ebbe lanello ed io ebbi da lei

quello che un qualsivoglia subalterno

avrebbe avuto a prezzo di mercato.

DIANA -

Mi dovr rassegnare. Giustamente,

voi, che avete potuto ripudiare

una prima s nobile consorte,

potete ben digiunare di me.

Perci vi prego - tanto ormai son pronta

a rinunciare a voi come marito,

privo dogni virt come voi siete -,

mandatevi a riprendere lanello,

ve lo restituisco,

e voi rendetemi il mio.

BERTRAMO -

Ma non lho.

RE -

(A Diana)

Il vostro anello? Che anello, di grazia?

DIANA -

Un anello, signore, molto simile

a quello che portate al dito voi.

RE -

Riconoscete allora questanello?

Questo lo aveva lui.

DIANA -

Ed quello che io gli diedi, a letto,

quella notte.

RE -

Ma allora non vero

che lo gettaste a lui dalla finestra?

DIANA -

Io vho detto la pura verit.

Rientra il servo con PAROLLES

BERTRAMO -

Confesso, mio signore:

quellanello era suo.

RE -

Che ti succede?

Ti vedo trasalire allimprovviso;

basta una piuma a farti sussultare.

(Indicando Parolles alle donne)

questo luomo di cui parlavate?

DIANA -

S, vostra grazia.

RE -

(A Parolles)

Dimmi un po, messere,

ma bada a dir la verit, te lordino,

senza timore di far dispiacere

al tuo padrone, perch son qua io

a coprirti, se parli onestamente:

che sai di lui e di questa signora?

PAROLLES -

Piaccia a vostra maest, il mio padrone

s portato da vero gentiluomo.

Scappatelle ne avr pur fatte, certo,

come le han fatte tutti i gentiluomini.

RE -

Veniamo al punto. Amava questa donna?

PAROLLES -

Per amarla, direi di s, signore;

ma in che modo?

RE -

Sei tu che devi dirlo.

PAROLLES -

Eh, diciamo, signore, alla maniera

che un gentiluomo sa amare una donna.

RE -

E cio?

PAROLLES -

Che lamava e non lamava.

RE -

S e no, allo stesso modo

che tu sei un gaglioffo e non lo sei.

Che equivoco compagno mai costui!

PAROLLES -

Io sono un poveruomo, monsignore,

agli ordini di vostra maest.

LAFEU -

un ottimo tamburo, mio signore,

ma come parlatore proprio zero.

DIANA -

Sapete che promise di sposarmi?

PAROLLES -

In coscienza, so pi di quanto dico.

RE -

Vuoi dirci allora tutto quel che sai?

PAROLLES -

S, con licenza di vostra maest.

Io facevo da tramite fra i due,

come ho detto; ma in pi egli lamava,

ch, anzi, nera innamorato pazzo,

e parlava di Satana, del Limbo

e delle Furie, e di non so che altro.

Ma tanto io ero nella lor fiducia,

che sapevo del loro andare a letto

e di tante altre cose di dettaglio,

come la sua promessa di sposarla

e altro, che per solo a parlarne

mi metterei nei guai, ragion per cui

non voglio dire tutto quel che so.

RE -

Hai detto quanto basta,

salvo che non ti resti ancor da dire

che si sono sposati.

Ma sei un testimone troppo furbo

perci fatti da parte.

(A Diana)

Questanello voi dite chera vostro?

DIANA -

S, signore.

RE -

Dove lo compraste,

se lo compraste, o da chi vi fu dato?

DIANA -

Non mi fu dato, n lho mai comprato.

RE -

Allora dite, chi ve lha prestato?

DIANA -

Non me lo ha dato in prestito nessuno.

RE -

Insomma, dove lavete trovato?

DIANA -

Non lho trovato.

RE -

Se non era vostro

in nessuno di tutti questi modi,

come avete potuto darlo a lui?

DIANA -

Io non glielho mai dato.

LAFEU -

Questa donna, signore, come un guanto

che va largo alla mano,

e sinfila e disfila a volont.

RE -

Quellanello era mio.

Lo diedi io alla sua prima moglie.

DIANA -

Per quel che so, pu esser vostro o suo.

RE -

Bah, portatela via, mha infastidito!

Mettetela in prigione; e via anche lui.

(A Diana)

Se non mi dici come lhai avuto,

questanello, fra unora sai morta.

DIANA -

Non ve lo dir mai.

RE -

Va, va in prigione!

DIANA -

Pagher la cauzione, maest.

RE -

Ora comincio a credere davvero

che sei una volgare prostituta.

DIANA -

Per Giove,([93]) se mai uomo mi conobbe,

siete voi.

RE -

Perch allora fin qui

non hai cessato di accusare lui?

DIANA -

Perch lui il colpevole,

e tuttavia colpevole non .

Secondo lui io non sono pi vergine,

ed pronto a giurarlo;

mentrio posso giurare desser vergine,

e che lui non lo sa.

Grande re, io non sono una sgualdrina;

per la mia vita, o vero che son vergine,

o son la moglie di questo vegliardo.

(Indica Lafeu)

RE -

Costei abusa delle nostre orecchie.

Menatela in prigione!

DIANA -

Madre cara, portatemi il riscatto.

(Esce la vedova)

Un momento, regale mio signore:

ho mandato a chiamare il gioielliere

che ha lanello, e mi sar garante.

Quanto a questo signore

che mha ingannata, come lui ben sa,

pur se mai mha violata, io lo scagiono.

Egli ben sa di aver contaminato

il mio letto, ma quello che non sa

che, cos facendo, ha messo incinta

la donna ch la sua moglie legittima,

che tutti credon morta,

e che, al contrario, sente gi nel grembo

scalciare dolcemente il proprio bimbo.

Ecco dunque lenigma:

colei che morta viva, ed ora qui,

ed eccovi cos la soluzione.

Rientra la VEDOVA con ELENA

RE -

Che razza di stregoneria questa

che inganna la funzione dei miei occhi?

realt quella che vedo?

ELENA -

No,

mio buon signore, quella che vedete

solo lombra di una moglie: il nome,

ma non la cosa in s.

BERTRAMO -

Entrambe, entrambe!

Oh, perdono!

ELENA -

(A Bertramo)

Signore mio diletto,

quando io ero come questa vergine,

trovai in voi squisita gentilezza.

Eccovi il vostro anello, lho io al dito;

e, guardate, ecco qui, la vostra lettera.

Dice: Quando avrai preso dal mio dito

questanello e sarai incinta dun figlio

Questo ora . Sarete dunque mio,

ora che siete doppiamente vinto?

BERTRAMO -

(Al re)

Quandella pu mostrarmi tutto questo,,

mio sovrano, in maniera inconfutabile,

io prometto che lamer per sempre,

teneramente.

ELENA -

Se non sar chiaro,

o si dimostrer non veritiero,

divorzio e morte sian tra voi e me.

Mia cara madre, siete sempre viva?

VEDOVA -

S, ma miei occhi annusano cipolle,

sto per piangere

(A Parolles)

Buon mastro Tamburo,

prestami un fazzoletto cos, grazie.

Accompagnami a casa,

voglio farmi tornare il buon umore

con te. E lascia stare i complimenti,

roba irrancidita.

RE -

Vogliamo ora conoscer questa storia

punto per punto, e far che in allegria

trascorra il flusso della verit.

(A Diana)

Se tu sei fiore ancor fresco e non clto,

scegli un marito, ti far la dote;

perch in virt del tuo onesto aiuto,

come ho capito, hai fatto che una sposa

restasse sposa, e tu restassi vergine.

Di ci e del pi e del meno che seguto,

troveremo la giusta spiegazione

a nostro miglior agio.

Tutto bene, mi sembra tuttavia,

se finisce cos. E se la fine

ora questa dun passato amaro,

il dolce sar ancor pi benvenuto.

(Escono tutti)


EPILOGO

Or che il gioco finito,

il re si fa mendico,([94])

e sar soddisfatto

dun applauso sentito;

del quale tutti noi nel ripagarvi

faremo il nostro meglio per piacervi

sempre di pi. Sia nostra

or la vostra indulgenza,

sar vostra

la miglior nostra scenica sapienza.

Le vostre mani dateci cortesi,

e i nostri cuori vi sarete presi.

FINE


([1]) How understand we that?: questa battuta, messa qui ed attribuita a Lafeu da quasi tutti i testi, non ha, in verit, molto senso; tanto che lArden Shakespeare, forse pi logicamente, se pur con non molto pi senso, la mette in bocca ad Elena, in risposta allendiade/sillogismo di Lafeu dolore eccessivo nemico del vivere/ vivere uccide dolore. Il lettore la prenda come vuole.

([2]) In italiano queste due battute non hanno alcun senso; ma dovevano divertire quei pochi del pubblico che ne riuscivano a cogliere (non era facile) il bisticcio spiritoso. Parolles dice: Save you, fair queen!. Dio vi salvi, bella regina!. Ma queen si pronuncia come quean, sgualdrina. Elena, che capisce il bisticcio, risponde a tono: And you, monarch, dove monarch, monarca omofono di Monarco, un noto buffone italiano alla corte della regina Elisabetta. Perci entrambi si rispondono: Eh, no, io non sono Monarco - dice Parolles; ed Elena: Se tu non sei Monarco, nemmeno io sono quella che dici.

([3]) Man will undermine you and blow you up: questa battuta, e le altre che seguono del dialogo tra Elena e Parolles, sono una specie di fuoco dartificio di doppi sensi. Qui blow up s, saltare in aria (per effetto di una esplosione sotterranea), ma anche gonfiarsi per essere incinta (per effetto di una carica dal disotto). chiara lallusione lubrica.

([4]) Come cambiano il mondo e le mode del mondo! Shakespeare descrive qui visibilmente la societ del suo tempo; tre secoli prima, nel rappresentare la vicenda di Re Giovanni senza Terra, fa dire al suo personaggio Filippo Faulconbridge, detto Il Bastardo quanto sia chic per i gentiluomini conversare dopo il pranzo con uno stecchino tra i denti, ogni tanto facendo sentire il sibilo del succhio (Re Giovanni, I, 1, 188-194):

Ora alla mensa di mia signoria

sieder, penso, il grande viaggiatore,

con tanto di stecchino in mezzo ai denti,

ed io, dopo ben bene rimpinzato

il mio stomaco ormai cavalleresco,

ed una bella succhiatina ai denti,

mollemente appoggiato

([5]) Your date is better in your pie and your porridge than in your cheek: nel testo c il gioco di date usato nei due sensi di dattero (si usava, di rimedio, il dattero nei dolci in mancanza dello zucchero) e di data, data di nascita, et. Si capisce che cosa intende Parolles per dattero.

([6]) a phoenix, captain, and an ennemy: per Shakespeare la fenice luccello prodigioso della mitologia che, vergine, genera se stesso. Vergine fenice (maiden phoenix) chiamer, per bocca di Cranmer, la regina Elisabetta, nellEnrico VIII:

la vergine fenice che, morendo,

genera dalle ceneri un erede

bello e meraviglioso come lei

Qui Elena, nel suo farneticare di donna innamorata, immagina che una tal donna sar uno degli amori di Bertramo laggi dove andr, cio a Parigi.

([7]) Parolles, si ricorda, accompagna il conte Bertramo alla corte di Francia a Parigi.

([8]) thou diest in thine unthankfulness: Muori nella tua irringraziatezza, intendi: Muori da nessuno ringraziata. Elena ha detto prima che covare segreti pensieri damore cosa di cui nessuno ti riconoscente.

([9]) Il Firenze e, prima, nostro cugino Austria sono il modo di chiamare i sovrani col nome del paese di loro dominio, che si ritrova in tutto il teatro di Shakespeare; sintende che si tratta qui del re dAustria e del duca di Firenze.

([10]) till their own scorn return to them unnoted / ere they can hide their levity in honour.: il passo variamente inteso: fino a che le loro beffe ricadano su di loro da nessuno notate prima che essi possano nascondere la loro leggerezza con il merito; oppure: fino a quando, sentendo ripetere da altri le lor vecchie facezie, non le riconosceranno pi. Abbiamo seguito linterpretazione del Melchiori (Classici Mondadori, 1999) che intende giustamente honour per onore guerriero, il re di Francia avendo di ci parlato poco prima.

([11]) Si seguito, nella resa italiana di questo nome, il suggerimento del Baldini (Gabriele Baldini, Manualetto shakespeariano, Einaudi, Torino, 1964, pag. 394), che vede nel Lavach dellin-folio una deformazione del francese lavage, lavaggio, risciacquatura, piuttosto che, come altri, quella del francese la vache, la vacca.

([12]) Di quale gentildonna vuol parlare Rinaldo alla contessa si vedr in seguito, dopo il lungo interludio giocoso tra la contessa e il suo buffone: si tratta di Elena. questa la scena introduttiva alla vicenda-madre della commedia: lamore di Elena per Bertramo, e Shakespeare, da esperto drammaturgo, la condisce con una specie di suspense, interrompendo allinizio il discorso di Rinaldo con le arguzie del Lava.

([13]) such knaveries yours: such, cio quelle (furfanterie) di cui si lagnano. Altro intende tutta la frase: e abbastanza abile nel negare di averle commesse.

([14]) I puritani il venerd mangiavano carne; i papisti (cos si chiamavano i cattolici dopo lo scisma di Enrico VIII) al contrario il venerd facevano digiuno e mangiavano pesce.

([15]) Senso: Sposati si diventa, cornuti si nasce.

([16]) Wed find no fault with the tithe-woman, if I were a parson: tithe era il tributo, corrispondente alla decima parte del raccolto agricolo - detto perci decima - corrisposto alle istituzioni ecclesiastiche per il loro sostentamento.

([17]) Twould mend the lottery well: altri intende: sarebbe come vincere al lotto. Ma lotto voce sconosciuta ai tempi di Shakespeare.

([18]) Il ragionamento del Lava piuttosto contorto e sottilmente allusivo. Egli dice: Va bene, mi rassegno al pensiero che un uomo debba stare agli ordini di una donna, e faccio appello alla mia onest, che non soltanto dote dei puritani, i quali sanno coprire con la cotta dellumilt il loro cuore orgoglioso; lallusione a quei sacerdoti protestanti di tendenza puritana, la cui rigida e puntigliosa onest aveva guadagnato loro lepiteto di precise o precisian (cfr. Misura per misura, I, 3, 50: Lord Angelo is precise; e Marlowe Doctor Faust, 214: I will set my countenance like a Precisian). Costoro, si diceva, portavano esternamente la tonaca prescritta dalla chiesa anglicana (la cotta dellumilt) ma sotto indossavano labito nero dei calvinisti (il gran cuore). Pensate se uno spettatore moderno potr mai almanaccare certe sottigliezze per comprendere un attore che reciti Shakespeare! E c ancora chi savventura a metterlo sulle nostre scene!

([19]) God shield you mean it not!: letteralm.: Dio ti salvi dal non avere questo intendimento. Molti leggono, chiss perch, questa frase al contrario: Dio ti guardi da un tal pensiero!. Hanno capito male: la contessa, come mostra tutta la scena, non affatto contraria allamore di Elena per suo figlio!

([20]) that your Diana was both herself and love: s che la vostra Diana era allo stesso tempo se stessa e amore: Diana la dea protettrice della castit femminile, la deit a lei contrapposta, dellamore carnale, Venere. Un amore che sia luna e laltra lamor sacro e profano insieme della perfetta ars amatoria classica.

([21]) but riddle-like lives sweetly where she dies, letteralm: ma, alla maniera dellindovinello, vive dolcemente dove muore. A quale indovinello si alluda, impossibile dire; ma doveva esser corrente tra il pubblico del tempo, se bastava un semplice riddle-like per evocarlo a paragone.

([22]) Traduco come se la lezione fosse - come suggerito dal Dover Wilson - more than they were in motes, pi che non lo indichi letichetta, invece che in notedellAlexander e degli altri testi, che vedo del resto tradotto nel modo pi diverso ( di contenuto pi denso di quanto non paia, il Lodovici; propriet superiori a quelle comunemente note, il Melchiori; i cui effetti erano superiori ad altri pi famosi, la Rosati Bizzotto, et dispersiter alii. A me sembra che Elena abbia voluto dire che il padre, nella sua sapienza medica, era riuscito a creare, con gli stessi elementi usati da altri, formule pi efficaci di quanto gli stessi elementi fossero generalmente ritenuti capaci.

([23]) Flourish of cornets: il segnale che annuncia lentrata in scena di sovrani e di altri alti personaggi. Sui segnali musicali nel teatro shakespeariano, v. lapposita nota alla mia traduzione del Re Lear.

([24]) those bated that inherit but the fall of the last monarchy, ad eccezione di quelli che ereditano soltanto la decadenza dellultima monarchia; a quale tipo di nobilt italiana voglia alludere il re di Francia, difficile dire. Egli parla ad un gruppo di giovani guerrieri francesi in partenza per lItalia dove c, secondo lui, una nobilt altrettanto degna di loro, e unaltra nobilt rammollita, cui non resta che la nostalgia dellultimo impero di Roma, il sacro come il pagano, che la lor mollezza ha fatto decadere. A questa nobilt - egli dice ai suoi - che dopo aver audacemente corteggiato la gloria, se n allontanata, fate vedere che andate l non per fare come loro, ma per corteggiarla e sposarla, la gloria.

([25]) The spark: nellantico inglese si dava questo appellativo (favilla, scintilla) in chiave spregiativa ad un giovane, uomo o donna, esibizionista di modi sussiegosi e affettati.

([26]) In the regiment of the Spinii: Spinii nome inventato; forse Shakespeare ha nellorecchio il nome di Malaspina.

([27]) they wear themselves in the cap of the time: letteralm.: essi si vestono sotto la cappa del tempo. La frase variamente intesa: Sono al culmine della buona societ; Sono il pennacchio sullelmo del tempo, et aliter ad libitum.

([28]) Riferimento alla nota favola di Fedro de La volpe e luva. La volpe dice che luva non le piace solo perch la pergola troppo alta per raggiungerla. la metafora del re che dice non voler guarire, perch non ha un farmaco che lo guarisce; se lo avesse, direbbe di s.

([29]) I have seen a medecine: per medecine nello stesso senso di medico (physician) in Shakespeare, cfr. Macbeth, V, 2, 27: Meet we the medcine of the sickly weal.

Andiamo incontro al medico

di questa povera patria ammalata.

E del resto tutto il discorso di Lafeu si riferisce ad una persona fisica (Elena, appunto), e non ad una medicina, come intendono molti.

([30]) Canary: canaria (o canario), danza vivace dorigine spagnola.

([31])I am Cressids uncle: riferimento a Pandaro, il compiacente zio di Cressida, che favoriva gli incontri amorosi della nipote col principe troiano Troilo, figlio di re Priamo. La vicenda largomento della commedia Troilo e Cressida della stesso Shakespeare. Il nome Pandaro poi divenuto sinonimo di mezzano in generale.

([32]) their fiery torcher: torcher sta qui per torch-bearer, intendendo con questo appellativo il sole stesso, Elios, lastro solare che, secondo liconografia classica, conduce durante il giorno un cocchio fiammeggiante tirato da quattro cavalli spiranti fuoco dalle froge.

([33]) Moist Hesperus: Espero era il nome dato dai Greci al pianeta Venere quando appariva la sera (Fosforo quando appariva al mattino).

([34]) Ten groats: il groat era al tempo di Shakespeare una monetina del valore di circa 4 pence, tenuta spregiativamente di poco valore, i nostri quattro soldi (come nel famoso testamento letterario di Robert Greene in cui si accenna per la prima volta a Shakespeare per la penna di un contemporaneo: A groats-worth of wit bought with a million of repentance, Un soldo di spirito pagato con un milione di penitenza).

([35]) as your French crown: labusato doppio senso tra corona (moneta) e zucca pelata, la calvizie prodotta dalla sifilide detta mal francese.

([36]) a Morris for a May-day: la moresca era una danza vivace ballata nelle piazze da danzatori con maschere e ghirlande, allinizio della primavera.

([37]) Va a corte non nel testo, che ha un secco: Give Helen this; lo spettatore e il lettore sanno che Elena a Parigi alla corte del re, lo sa anche la contessa ma che lo sappia il Lava non ce lha detto nessuno prima.

([38]) Lustig nel testo, che per tedesco per allegro, gaio, di buon umore; in olandese lustik, e in inglese lustick, antico per lusty.

([39]) a coranto: il nome inglese della corrente, danza assai vivace di origine italiana in voga nei sec. XVI e XVII.

([40]) Esclamazione francese da trivio (piuttosto Mort au vinaigre!, Morte allaceto!).

([41]) Now, Diana, from thy altar do I fly: Diana era la divinit che presiedeva alla verginit delle fanciulle, sicch ogni fanciulla vergine era considerata sua sacerdotessa.

([42]) All the rest is mute: letteralm.: Tutto il resto muto, cio Non ho altro da aggiungere.

([43]) tradotto a senso. Il testo inglese pi intricato e contorto: Id rather be in this choice than throw ames-ace for my life: Preferirei trovarmi a correr lalea in questa scelta, che giocarmi la vita gettando ai dadi una coppia dassi. La coppia dassi (ames-ace) il punto pi basso al gioco dei dadi.

([44]) and in your bed find fairer fortune if you ever wed: cio il cielo vi conceda una sposa pi bella di me, se vi sposate.

([45]) Thou wrongest thyself if thou shouldst strive to choose: la frase variamente letta, da alcuni perfino in senso contrario, come se il re a Bertramo che ha detto Farei torto a me stesso, ecc., dicesse, in tono condiscendente: Certo, faresti ingiuria a te stesso se dovessi importi uno sforzo per amarla. Ma il re dice il contrario: Fai torto a te stesso se perdi questa occasione, perch perderai anche il mio favore. Non che concessiva, la frase del re impositiva. Te la devi sposare, perch lo voglio io; in gioco il mio onore - dice subito dopo.

([46]) a counterpoise a balance more replete: sempre la metafora della bilancia e dei due pesi introdotta prima dal re.

([47]) Campassi anche centanni non nel testo, preso in prestito dal Lodovici (cit.).

([48]) for two ordinaries: ordinary il pranzo a prezzo fisso consumato in una taverna; ma Shakespeare lo usa anche come pranzo in generale (cos in Antonio e Cleopatra, II, 2, 229: And for his ordinary pays his heart).

([49]) my good window of lattice: per lattice nel senso di insegna di taverna, v. anche in Enrico IV - Seconda parte, II, 2, 76: Through a red lattice, and I could discern non part of his face from the window:

mi son sentito chiamare da lui

dietro linsegna rossa duna bettola,

ed io, da fuori, attraverso la grata,

non potevo veder nessuna parte

della sua faccia

([50]) Il testo inglese, in verit, pi scurrile sboccato: Thou wert best set thy lower part where thy nose stand: Tanto varrebbe che tu mettessi la tua parte pi bassa al posto del naso; e si capisce quale parte pi bassa delluomo pu sostituire la protuberanza del naso.

([51]) Then my dial goes not true, letteralm.: Allora lago della mia meridiana (o il quadrante del mio orologio) non mi dice lora giusta.

([52]) uno di quei brevi monologhi che Shakespeare si compiace di far fare allattore rivolto al pubblico.

([53]) V. la nota 52 sopra.

([54]) Il Lava in fatto di oscenit non scherza, il pi sboccato dei buffoni di Shakespeare. Si capisce che qui gioca lubricamente sul doppio senso dellespressione stand toche vale star fermi ed eretti, per contrasto con lo scappare (to fly) precedente; ma anche il verbo della copula maschile.

([55]) the fellow has a deal of that too much / Wich holds him much to have: questa una delle frasi di Shakespeare che ha fatto sfarfallare nei sensi pi disparati le menti dei vari curatori. Tanto per dare unidea al lettore della diversit delle interpretazioni, ne cito tre delle pi prestigiose: Giorgio Melchiori (Mondadori, 1999) traduce: quel tale va troppo oltre e troppo spesso, approfittando del fatto che gli conviene; Lodovici (cit.) traduce: un tipo che ha molto di quel tanto che lo fa passare per un 'da pi'; altri: quellindividuo troppe ne possiede, che lo fan ritenere di gran merito et dispariter ad libitum. Il lettore scelga.

([56]) To Saint Jacques le Grand: si capisce che un nome inventato: a Firenze non esiste un santuario o convento di questo nome. I soliti critici pedanti si son dati la pena di ricercare nei dintorni e hanno trovato un improbabilissimo San Giacomo dAltopascio, localit sicuramente ignota a Shakespeare.

([57]) Beside the port: per port nel senso di gate, porta, in Shakespeare v. anche in Troilo e Cressida, IV, 4, 110: At the port, lord, Iill give her to thy hand:

Alle porte della citt, signore,

io la rimetter nelle tue mani.

([58])That Escalus: Escalus per Shakespeare il nome generico di un appartenente alla nobilt scaligera, come il Duca di Verona in Romeo e Giulietta, ma anche un nome proprio sic et simpliciter come il gentiluomo viennese di Misura per misura. E poich un duca Della Scala - come molti traducono questo nome - non si sa che ci starebbe a fare a Firenze, questo traduttore ritiene che Escalus sia Escalo e basta.

([59]) I would he loved his wife, letteralm.: Vorrei che amasse sua moglie.

([60]) if you give him not John Drumms requirements, letteralm.: Se non gli farete un trattamento da tamburo maggiore; to give John Drumms requirements frase idiomatica per riservare a qualcuno unaccoglienza pessima, fino a ricacciarlo indietro appena arriva.

([61]) or hic jacet: cio al rischio della vita, o il tamburo o morte. Hic jacet la frase che inizia gli epitaffi funerarii.

([62]) but I shall lose the ground I work upon: cio svelando al conte Bertramo chi sono, che comprometterebbe tutto il mio piano.

([63]) and buy myself another from Bajazets mute: si seguita la lezione mute, muto dellOxford Shakespeare invece di quella dellAlexander che legge mule, mulo dallin-folio, perch pi convincente e logica. I muti dei serragli dei sultani ottomani erano gli eunuchi, cui si mozzava la lingua perch non riferissero quel che vedevano nellharem. Come loro vuol essere Parolles, che se la prende con la sua lingua che lo mette nei guai. Del resto anche comprare la lingua da un mulo non ha senso.

([64]) Questo dialogo, in cui sembra che Parolles risponda alle domande del Nobile francese, il quale per esigenze di scena deve star nascosto non visto n udito, piuttosto grottesco ad un spettatore moderno; ma al tempo di Shakespeare, col il palcoscenico proteso in mezzo alla platea, non sandava troppo per il sottile sulla materia.

([65]) Si tratta evidentemente, del tamburo dei soldati, che deve dare a questi il segnale dellassalto al povero Parolles, e deve coprire lincomprensibile linguaggio di questi.

([66]) the Muskos regiment: qualcuno traduce: siete del reggimento dei moscoviti, come se Parolles abbia inteso che quelli parlano russo; ma Musko per moscovita pura congettura.

([67]) If I should swear by Loves great attributes: la lezione Loves in luogo di Joves dellin-folio un emendamento moderno che trovo adottato dal Melchiori (cit.) e ritengo pi aderente al discorso di Diana.

([68]) This has no holding, / To swear by him whom I protest to love/ That I will work against him Senso: se io ti giurassi di amarti di un amore corrotto, farei il tuo male, e il mio giuramento non avrebbe senso. Ma il passo diversamente inteso da coloro che leggono him per Dio e traducono: Non ha senso un giuramento fatto nel nome di Colui chio sostengo di amare, di comportarmi contro il Suo volere.

([69]) buried a wife, mourned for her: dato sepoltura e preso il lutto, sintende, nel pensiero e nellanimo, avendo appreso della sua morte. Da chi e come Bertramo abbia appreso dellimmaginata morte di Elena, non si sa.

([70]) this dialogue between the Fool and the Soldier: the Fool riferito a Parolles; ma la parola assume in Shakespeare parecchie accezioni: il fool di Re Lear non lo stesso fool (Pompeo) di Misura per misura, questi non lo stesso del fool (Feste) della Dodicesima notte. Parolles non n sciocco n buffone, n matto: un finto-tonto vittima delle sue millanterie; ma capace di sentirsi accusare da astuto cortigiano, di uomo ricco della capacit di influenzare (III, 2, 90-91).

([71]) for getting the shrievs fool with child: the shrievs fool, la mentecatta dello sceriffo, cio una ragazza scema ricoverata nel ricovero/ospizio comunale. Shriev forma arcaica di sheriff, il sindaco dei comuni inglesi.

([72]) Il gatto ha fama dessere animale subdolo e traditore.

([73]) Nesso, il centauro che rap Dejanira ad Ercole.

([74]) Le compagnie di attori girovaghi si facevano precedere da una specie di pagliaccio col tamburo (come O pazzariello a Napoli).

([75]) Mile-end era il nome di una specie di piazza darmi alla periferia di Londra dove si addestravano le guardie.

([76]) uno di quei soliloqui nei quali, frequentemente in Shakespeare, lattore parla al pubblico che gli sta intorno, e dal quale non diviso da una ribalta.

([77]) Il testo ha sonetto; in verit, come s visto, non un sonetto, ma una composizione, piuttosto melensa, di distici a rima baciata, sul tipo delle ballate popolari.

([78]) il titolo della commedia. Lo si ritrover ripetuto pi sotto.

([79]) I am no great Nabuchadnezzar: allusione al re di babilonia Nabuccodonosor II che, secondo la leggenda biblica, per aver distrutto Gerusalemme e deportato gli ebrei in Babilonia, fu da Dio fatto impazzire e ridotto a cibarsi di erba come un animale.

([80]) my bauble: i buffoni di corte portavano una mazza pi o meno ornata e variopinta. Qui per si capisce che cosa sottindente per mazza lo sboccato Lava.

([81]) parso alla critica di vedere in queste parole del Lava, anche se la vicenda della commedia fuori tempo, un accenno a quellEdoardo principe di Galles, primogenito di re Edoardo III, detto appunto Il Principe Nero (The Black Prince) che era considerato una specie di diavolo dai francesi, ai quali inflisse una memorabile sconfitta a Crecy nel 1346.

([82]) La porta stretta e il cammino fiorito sono reminiscenze evangeliche (da Matteo, VII, 13).

([83]) without any tricks: il trucco che facevano gli stallieri era quello di mettere sego nel foraggio, perch i cavalli lo rifiutassero, ed essi potessero venderselo.

([84]) If I put any tricks upon em, sir, they shall be jades tricks, which are they own right by the law of nature, letteralm.: Se facessi dei trucchi con loro, signore, sarebbero trucchi da ronzini, che quel che spetta loro di diritto per legge di natura. Traggo il costrutto brocchi/ imbroccare dal Lodovici. Ma il Lava gioca sul doppio senso di jade che vale cavallo brocco, ronzino, ed anche sinonimo di hussy, baldracca. Il quibble intraducibile.

([85]) Il Lava celia sempre lubrico, per divertire il pubblico: questo sapeva che allepoca i barbitonsori, per ricoprire le incisioni praticate sulle guance al fine di eliminare le pustole provocate dalla sifilide, usavano impecettarle con cerotti di velluto cerato.

([86]) But it is your carbonado face: letteralm.: Ma ci sono anche altre ferite. Per carbonado nel senso arcaico di ferita, ferire, tagliare, affettare (cut, slash, hack) in Shakespeare, v. anche Re Lear, II, 2, 35-36: or Ill so carbonado your shanks, o ti affetto gli stinchi.

([87]) Here is a pur of Fortunes, sir, or of Fortunes cat but not a musk-cat: qui c un diabolico intreccio di doppi sensi che difficile, non che tradurre, districare a parole. Pur (o purr) il sordo mormorio del gatto che fa le fusa, ma anche, per estensione, ogni suono similare, quindi, in linguaggio idiomatico, anche quello della emissione di gas intestinali; il Lava prima pensa a questultimo significato, e lappioppa alla Fortuna, poi si corregge, e pensa al primo, cio al gatto: ma non a un gatto qualunque, ma ad un gatto muschiato. Ora il gatto muschiato non esiste, e musk-cat invece ogni quadrupede della famiglia dei cervidi che hanno la qualit di secernere, da una ghiandola, la caratteristica sostanza che odora di muschio, e che usata anche in profumeria. Ma siccome nella parola c cat, anche se il gatto non centra niente, il Lava ci gioca, e lo fa passare per gatto odoroso di muschio.

([88]) Therea cardecue for you: cardecue la pronuncia francese del quart dcu, la moneta che corrispondeva a un quarto di scudo.

([89]) Parolles, pronunciato paroles in francese il plurale di parole, parola.

([90]) Cio: prima chio avessi osato di dichiararmi a lei.

([91]) Il testo ha digested, digerito, o anche incorporato (Melchiori).

([92]) ingaged: in privativo; sta per in-engaged.

([93]) By Jove: esclamazioni e invocazioni pagane come questa sono frequenti nei personaggi cristiani di Shakespeare. Non c che da lasciarle come sono.

([94]) Si capisce da ci che lattore che recita lEpilogo quello che nella commedia ha fatto la parte del re.

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