Tito Andronico

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WILLIAM SHAKESPEARE

TITO ANDRONICO

Tragedia in 5 atti

Traduzione e note di Goffredo Raponi

Titolo originale. THE MOST LAMENTABLE ROMAN TRAGEDY OF TITUS ANDRONICUS


note preliminari

1)Il testo inglese adottato per la traduzione quello della edizione dellopera omnia di Shakespeare curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare - The Complete Works, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII - 1370), con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della pi recente edizione dellOxford Shakespeare curata da S. Welles e G. Taylor per la Clarendon Press, New York, 1988, rist. 1994, pagg. XXXIX. 1274.

2)Alcune didascalie e altre indicazioni sceniche (stage instructions) sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa laddove sembrato necessario per la migliore comprensione dellazione scenica alla lettura, cui questa traduzione essenzialmente ordinata ed intesa. Si lasciato comunque invariato, allinizio o alla fine di ciascuna scena come allentrata ed uscita dei personaggi nel corso della stessa scena, il rituale Entra/Entrano, Esce/Escono (Enter ed Exit/Exeunt del testo), avvertendo peraltro che non sempre queste indicazioni stanno a significare movimenti di entrata od uscita dei personaggi, potendosi dare che questi si trovino gi in scena allinizio o vi restino alla chiusura della scena stessa.

3)Il metro lendecasillabo sciolto alternato da settenari. Altro metro si adoprato per citazioni di diversa natura, strofette, canzoni, particolari linguaggi dei protagonisti, dovunque, insomma si doveva far sentire, anche in armonia col testo, uno scarto stilistico.

4)Trattandosi di vicenda situata nellantica Roma sembrata imperativa in italiano la forma personale del tu - i Romani non ne conoscevano altra - ad onta del dialogante you e thou dellinglese.

5)I nomi dei personaggi sono dati nella forma italiana, laddove esiste.


PERSONAGGI

SATURNINO, figlio del defunto imperatore di Roma, poi imperatore(I)

BASSIANO, suo fratello

TITO ANDRONICO(II), patrizio romano

MARCO ANDRONICO, suo fratello, tribuno della plebe

suoi figli: LUCIO

QUINTO

MARZIO

MUZIO

Il giovane LUCIO, figlio di Lucio

PUBLIO, figlio di Marco Andronico

parenti di Tito Andronico: SEMPRONIO

CAIO

VALENTINO

EMILIO, patrizio romano

figli di Tamora: ALARBO

DEMETRIO

CHIRONE

ARONNE, un Moro, amato da Tamora

TAMORA, regina dei Goti

LAVINIA, figlia di Tito Andronico

UN CAPITANO

UN MESSO

UN CONTADINO

UNA NUTRICE e UN BIMBO NEGRO

Romani, Goti, senatori, tribuni, ufficiali, soldati, popolani

SCENA: Roma e dintorni

ATTO PRIMO

SCENA I - Piazza davanti al Campidoglio. A un lato, il monumento sepolcrale degli Andronici.(1)

Trombe.(2) Nella galleria in alto(3) appaiono i SENATORI e i TRIBUNI tra i quali MARCO ANDRONICO; in basso entrano, da una parte SATURNINO con i suoi sostenitori, dallaltra BASSIANO con i suoi, tutti con tamburi e trombe.

SATURNINO - (Ai suoi sostenitori)

O voi di Roma nobili patrizi,

patrocinanti la mia buona causa,

difendete con larmi il mio diritto;

la giustizia della mia causa;

voi, cittadini, fidi miei seguaci,

sostenete ora con le vostre spade

il mio titolo alla successione:

il diritto di figlio primogenito

di colui che per ultimo ha precinto

il diadema imperiale; fate s

che rivivano nella mia persona

quegli onori che furon di mio padre;

non mi disconoscete,

non fate questo affronto alla mia et.(4)

BASSIANO - Romani, amici, fidi miei seguaci,

sostenitori del mio buon diritto,

se mai Bassiano, di Cesare figlio,

fu grato agli occhi di Roma imperiale,

a lui questo passaggio al Campidoglio(5)

riservate, nessun di voi permetta

che allimperiale seggio

a virt consacrato ed a giustizia,

a dignit e modestia di costumi,

saccosti il disonore,

ma fate che da libera elezione

rifulga il merito, e combattete,

Romani, tutti, per rivendicare

la vostra piena libert di scelta.

MARCO ANDRONICO - (Dal soppalco, con la corona imperiale in mano)

Principi, che cos ambiziosamente,

con lappoggio di amici e di fazioni

vi contendete il governo e limpero,

sappiate questo: il popolo di Roma,

del quale siamo noi i rappresentanti,

ha scelto, con unanime suffragio,

per lelezione allimpero di Roma,

Andronico, denominato Il Pio,

per i suoi alti e numerosi meriti

al servizio di Roma. Cittadino

di lui pi degno e pi prode guerriero

non vive oggi tra le nostre mura.

Il senato lha richiamato in patria

dallaspra guerra da lui combattuta

contro i barbari Goti,

e nella quale insieme coi suoi figli,

egli, terrore dei nostri nemici,

ha sottomesso allimpero di Roma

un popolo di grande gagliardia,

ben addestrato nelluso dellarmi.

Dieci anni son trascorsi

dacch egli ha iniziato a guerreggiare

al servizio di Roma, e castigato

con larmi la nemica tracotanza;

e cinque volte gi tornato a Roma

coperto di ferite,

con s portando ogni volta una bara

con uno dei suoi figli.

Ed ora onusto di gloriose spoglie,

leroico Andronico, il grande Tito,

ritorna a Roma, trionfante in armi.

E noi, perci, nel nome di colui

cui degnamente ambite ora succedere,

ed in ossequio alle prerogative

del Campidoglio(6) e del Senato, principi,

vi scongiuriamo di voler desistere

dal ricorso alla forza,

di congedare i vostri partigiani,

di perorare in pace ed umilt

ciascun la propria causa,

com dogni altro comun candidato.

SATURNINO - Parole oneste, queste del Tribuno,

e tali da piacere ai miei pensieri!

BASSIANO - Marco Andronico, la tua rettitudine

e la tua onest tanta fiducia

mhanno sempre ispirato e cos grande

laffetto che porto a te e ai tuoi,

il tuo degnissimo fratello Tito

ed i suoi figli, fra cui, soprattutto,

quella innanzi alla quale sempre prono

il mio pensiero, la dolce Lavinia,

di Roma preziosissimo ornamento,

che non esito a congedare subito

questi devoti miei sostenitori

e ad affidare al favore del popolo

e al favor della sorte la mia causa,

sperando chessa venga ben pesata.

(Escono i seguaci di Bassiano)

SATURNINO - Amici, che con tanta dedizione

avete sostenuto i miei diritti,

vi ringrazio e vi metto in libert,

e rimetto me stesso e la mia causa

allamore e al favore della patria.

(Escono i seguaci di Saturnino)

Roma, sii tu con me giusta e benigna

comio sono con te fido e leale.

Apri a me le tue porte, e fammi entrare.

BASSIANO - Sia questo vero anche per me, Tribuni,

come per suo umile avversario.

(Trombe. Salgono in Campidoglio)

Entra un CAPITANO

CAPITANO - Romani, fate largo!

Dai luoghi ove il valor della sua spada

ha contenuto nei loro confini(7)

e soggiogato a Roma i suoi nemici,

in mezzo a noi con onore e fortuna

ritornato il buon Tito Andronico,

signore di virt,

di Roma impareggiabile campione,

vincitore di tutte le battaglie.

Trombe e tamburi. Entrano i due figli di Tito, MARZIO e MUZIO, dietro di loro due bare coperte con un drappo nero, portate ciascuna a spalla da quattro uomini; seguono gli altri due figli di Tito, LUCIO e QUINTO; dietro di loro TITO ANDRONICO, poi TAMORA regina dei Goti con i suoi tre figli ALARBO, DEMETRIO e CHIRONE, indi il moro ARONNE e popolo. Le bare sono deposte in terra.

TITO - Salve a te, Roma, cinta di vittoria

in luttuose vesti!

Simile a nave che, vuotato il carico

e daltro pi prezioso riempite

le propri stive, ritorna alla baia

dalla quale lev dapprima lancora,

cinto dalloro torna a te Andronico

a rendere di nuovo alla sua terra

un saluto di lacrime,

per la gioia del suo ritorno in patria.

O Tu, che sei di questo Campidoglio

il grande difensore,(8)

degnati di presiedere benigno

ai riti funebri cui ci apprestiamo.

Romani, ecco, vedete,

quel che mi resta tra i vivi ed i morti,

di venticinque valorosi figli,

met di quanti nebbe Priamo re:

Roma compensi questi che son vivi

con lamore; con degna sepoltura

insieme ai loro avi questi due

chio ora porto allultima dimora.

Questi principi Goti mhan concesso

di riporre nel fodero la spada.(9)

Ma, Tito, come puoi, cos indugiando,

scortese ed incurante dei tuoi figli

lasciarli ancora insepolti a vagare

per le paurose rive dello Stige?

Fatemi largo, chio possa deporli

a giacere vicino ai lor fratelli.

(Il sepolcro viene aperto)

Qui, figli, salutatevi in silenzio,

come susa tra i morti,

e riposate nella pace eterna,

caduti in guerra per la vostra patria.

O di miei gioie sacro ricettacolo,

cara cella di nobilt e valore,

quanti miei figli hai tu in tua custodia,

che non mi potrai rendere mai pi!

LUCIO - Consegna a noi il pi fiero prigioniero,

padre, di questi Goti,

s che possiamo qui squartarlo a pezzi

e dare in sacrificio le sue carni

sulle fiamme duno rogo ad manes fratrum(10)

qui, innanzi a questo carcere terreno

dellossa loro, s che le loro ombre

non abbiano a vagare inappagate

n vengano a turbarci sulla terra

coi lor fantasmi.

TITO - Ecco, ti do questo,

(Indica Alarbo)

il pi nobile dei sopravvissuti,

il figlio primogenito

di questa loro attristata regina.

TAMORA - (Intromettendosi tra Alarbo e i figli di Tito

che stanno per impadronirsene)

Fermi, fratelli romani!

(Inginocchiandosi a Tito)(11)

O Tito,

o tu, benevolo conquistatore,

abbi piet del pianto duna madre

in grande ambascia per il proprio figlio!

E se mai cari a te furono i tuoi,

ah, considera che non meno caro

questo figlio a me.

Non ti basta che siam tradotti a Roma,

a fare da ornamento al tuo trionfo,

soggetti a te ed al romano giogo?

E dovranno i miei figli

essere trucidati per le strade

rei soltanto di valorose gesta

compiute in guerra per la loro patria?

Oh, se fu religione(12) pei tuoi figli

battersi per il re e per la patria

lo anche per questi. Non macchiare,

Andronico, di sangue la tua tomba,

Se vuoi avvicinar la tua natura

a quella degli di,

fatti a loro vicino il pi possibile

nel mostrarti clemente:

il vero segno della nobilt

la clemenza, Andronico. E tu, nobile,

risparmiami il mio figlio primogenito.

TITO - Signora, forza che tu trovi in te

la pazienza e ti faccia una ragione:

(Indica i propri figli)

questi sono i fratelli

di quelli che voi Goti avete visto

vivi e morti, e pei lor fratelli uccisi

chiedono ora religiosamente

un sacrificio: a questo destinato

questo tuo figlio, e morire egli deve

per placare le loro ombre gementi.

LUCIO - Trascinatelo via,

ed allestite subito una pira,

e su quella catasta di legnami

dilaniamolo con le nostre spade

fin che combuste sian tutte le membra.

(Escono i quattro figli di Tito, trascinando Alarbo)

TAMORA - O disumana, empia religione!

CHIRONE - Mai fu a met s barbara la Scizia.(13)

DEMETRIO - Fratello, non paragonar la Scizia

allambiziosa Roma.

Alarbo se ne va al suo riposo,

noi gli sopravviviamo per tremare

di Tito sotto il minaccioso sguardo.

Fatti forza perci, madre, per questo,

ma spera anche che gli stessi di

che offrirono ad Ecuba di Troia

loccasione di far cruda vendetta

sul tirannico trace(14) alla sua tenda,

vogliano pur concedere a Tamora,

la regina dei Goti - quando i Goti

erano Goti e Tamora regina -

di far pagare un giorno ai suoi nemici

il prezzo dei lor sanguinosi torti.

Rientrano, con le spade insanguinate, i figli di Tito, LUCIO, QUINTO E MARZIO

LUCIO - Ecco, signore e padre, il nostro rito

nellusanza di Roma consumato:

mozzate furon dAlarbo le membra

e le sue interiora van nutrendo

ancora la sacrificale pira,

donde un intenso fumo, come incenso,

va profumando il cielo.

Non ci resta che dare sepoltura

ora ai nostri fratelli, e render loro

con lo squillare delle nostre trombe

il saluto di Roma.

TITO - E cos sia.

E cos renda Tito alle loro anime

lestremo suo saluto.

(Trombe. Le due bare son deposte nel sepolcro)

Figli miei,

voi, i pi eletti campioni di Roma,

qui riposate, in pace ed in onore,

sicuri ormai dai casi

e dalle sventurate umane sorti.

Qui dentro non sannida tradimento,

qui non si gonfia invidia,

qui non crescono piante maledette,

qui non sodon tempeste di rumori,

ma soltanto silenzio e sonno eterno.

Entra LAVINIA

LAVINIA - In pace e onore viva a lungo Tito,

mio nobilissimo signore e padre,

e viva nella gloria!

Ecco, padre, davanti a questa tomba

io vengo a rendere il mio tributo

di lacrime allesequie dei fratelli,

e, in ginocchio ai tuoi piedi, questa terra

cospargo pur di lacrime di gioia

questa terra pel tuo ritorno a Roma.

Oh, padre, benedicimi,

qui con questa tua mano vittoriosa,

ai cui trionfi plaudono in coro

i pi eletti spiriti di Roma.

TITO - Roma benigna, che con tanto amore

tenesti in serbo per la mia vecchiaia

questo conforto, che mallieta il cuore!

Lavinia, vivi, e sopravvivi a lungo

ai giorni di tuo padre

e alleterna durata della fama,

premio alla tua virt!

Nella galleria superiore, dalla quale sono scomparsi i senatori, appaiono, insieme con MARCO ANDRONICO e gli altri tribuni, SATURNINO e BASSIANO

MARCO - Al nobilissimo Tito Andronico,

amato mio fratello, trionfante

graziosamente al cospetto di Roma,

lunga vita!

TITO - Grazie,

gentil tribuno e nobile fratello.

MARCO - E bentornati voi, cari nipoti,

reduci da una guerra vittoriosa;

voi che sopravvivete,

e voi che riposate nella gloria!

Fortuna e gloria sono in tutti eguali

miei nobili signori,

perch tutti pugnaste per la patria

spada in pugno; ma pi certo trionfo

questa pompa funebre

per chi ha raggiunto la felicit

di Solone(15) e trionfa sul destino

nel letto dellonore.

Tito Andronico, il popolo di Roma

cui con giustizia fosti sempre amico,

attraverso di me,

che sono suo tribuno e fiduciario,

ti manda questo pallio bianco candido(16)

e ti designa come candidato

allelezione al soglio dellimpero,

in concorrenza con questi due figli

dellultimo defunto imperatore.

Sii dunque candidatus(17) ed indossalo,

e aiuta a dare un capo a questa Roma,

senza capo.

TITO - Miglior capo di me,

che ormai barcollo per let avanzata

e lassenza di giovanil vigore

saddice al corpo glorioso di Roma.

Perch dovrei vestire questa tunica

e procurarvi chiss quali noie;

essere scelto e proclamato oggi,

per gi domani cedere limpero,

rassegnare la vita, e procurare

cos nuovo trambusto a tutti voi?

Per quarantanni, o Roma,

sono stato soldato al tuo servizio,

ed ho guidato sempre alla vittoria

le forze del paese;

e seppellito ventun prodi figli,

tutti fatti sul campo cavalieri,(18)

caduti virilmente combattendo

per la difesa della loro patria.

Datemi, se volete farmi onore,

non uno scettro per reggere il mondo

ma un bel bastone per la mia vecchiaia,

Troppo bene lo tenne quello scettro,

signori, lultimo che lha impugnato.

MARCO - Tito, chiedi limpero, e lotterrai.

SATURNINO - E tu come puoi dirlo,

indisponente ed incauto tribuno?

TITO - Principe Saturnino, sta tranquillo.

SATURNINO - Romani, difendete il mio diritto!

Sguainate le spade, voi, patrizi,

e non le riponete fino a quando

io, Saturnino, sia imperatore!

Andronico, imbarcato per linferno

vorrei tu fossi, e non vederti qui

a rubarmi le simpatie del popolo!

LUCIO - Superbo Saturnino,

che ti precludi il bene che per te

intende fare nobilmente Tito!

TITO - Principe Saturnino, sta tranquillo

chio ti riporter, solo per te,

tutto il cuore del popolo

a costo di estraniarlo da se stesso.(19)

BASSIANO - Tito Andronico, io non ti lusingo,

ti onoro, e lo far finch io viva.

Se vorrai dar pi forza alla mia parte

col favore dei tuoi sostenitori,

te ne sar assai grato: a nobil cuore

gratitudine degna ricompensa.

TITO - Cittadini di Roma, e voi, tribuni

del popolo che siete qui presenti,

il vostro voto ed il vostro suffragio

io chiedo, e vi propongo di affidarli

ad Andronico perch ne disponga.

UN TRIBUNO - Il popolo romano,

per far piacere al nobile Andronico

e per congratularsi secolui

del vittorioso suo ritorno a Roma,

accetter colui chegli presceglie.

TITO - Tribuni, vi ringrazio,

e vi avanzo senzaltro questa istanza:

che eleggiate il figlio primogenito

del nostro imperatore, Saturnino,

le cui virt, io spero,

splenderanno su Roma come splendono

i raggi di Titano(20) sulla terra,

e faran maturare al lor calore

la giustizia per tutto il nostro impero.

Perci se siete tutti consenzienti

a scegliere secondo il mio consiglio,

date a lui la corona,

e salutatelo in un sol grido:

Sia lunga vita al nostro imperatore!

MARCO - E noi col voto e con lapplauso unanime

di patrizi e plebei,

proclamiamo di Roma imperatore,

il grande Saturnino e a lui gridiamo:

Evviva Saturnino imperatore!

Fanfara prolungata, mentre scendono tutti dalla galleria superiore e vengono in primo piano

SATURNINO - Tito Andronico, io ti rendo grazie,

ora solo a parole, del favore

fattoci oggi per questa elezione,

con riserva di compensar coi fatti

tanta tua gentilezza.

E intanto, Tito, come prima cosa,

per avanzare di grado il tuo nome

e la tua onorevole famiglia,

far Lavinia mia imperatrice

e signora di Roma e del mio cuore,

conducendola sposa al sacro Panteon.

Dimmi, Andronico, se questo mio gesto

ti fa piacere.

TITO - S, degno signore,

e mi ritengo altamente onorato

da questa unione, e qui davanti a Roma,

a Saturnino, re e supremo capo

della nostra nazione e imperatore

del mondo, io consacro la mia spada,

il mio carro di guerra e i prigionieri

da me condotti, doni in tutto degni

dellimperiale signore di Roma;

accettali perci come il tributo

che io ti devo, segni del mio ossequio

a te, umilmente deposti ai tuoi piedi.

SATURNINO - Grazie, nobile Tito,

padre della mia vita.

Roma sapr quantio di te sia fiero

e di questi tuoi doni;

e sio, Romani, mi rendessi immemore

anche dellultimo e pi trascurabile

di questi indescrivibili suoi meriti,

siate pur voi immemori con me

della vostra giurata fedelt.

TITO - (A Tamora)

Regina, allora, da questo momento

sei prigioniera dun imperatore;

di uno che, in riconoscimento

della tua dignit e del tuo stato,

tratter nobilmente te e il tuo seguito.

SATURNINO - (Tra s, osservando Tamora)

Una donna avvenente,

quella chio sceglierei, in fede mia,

quando dovessi scegliere di nuovo.

(Forte)

Rasserena quellaria annuvolata,

bella regina; se lavversa sorte

ha potuto recare sul tuo volto,

un tale mutamento,

tu non sarai venuta certo a Roma

per diventare oggetto di ludibrio;

sarai trattata in modo principesco

in ogni cosa. Fidati di me,

e non disperda tutte le speranze

da te lambascia dellora presente:

chi ti conforta pu farti pi grande

che regina dei Goti.

Lavinia, tu non sarai dispiaciuta

di questo, vero?

LAVINIA - Non io, mio signore.

La vera nobilt tua massicura

che queste tue parole

sono soltanto cortesia di principe.

SATURNINO - Grazie, dolce Lavinia.

Romani, andiamo. Questi prigionieri

vadano liberi, senza riscatto.

Si proclami con trombe e con tamburi

la nostra nuova dignit imperiale.

(Fanfara con tamburi)

BASSIANO - (Afferrando Lavinia)

Nobile Tito, con tua buona pace,

questa fanciulla mia!

TITO - Come, signore!

Sei veramente in senno, mio signore?

BASSIANO - In senno, nobile Tito, e deciso

a far valere in ci le mie ragioni

e il mio diritto.

MARCO - (Intervenendo)

Unicuique suum(21)

detta la nostra giustizia romana;

questo principe, a norma di giustizia,

si prende quel che suo.

LUCIO - E lavr, fin che viva questo Lucio!

(I seguaci di Bassiano, aiutati dai figli di Tito,

afferrano Lavinia e tentano di rapirla)

TITO - (Trattenendoli)

Indietro, traditori! Indietro, indietro!

Dov la guardia dellimperatore?

(A Saturnino)

Tradimento, signore! Tradimento!

Lavinia stata rapita.

SATURNINO - E da chi?(22)

BASSIANO - Da chi per suo diritto

pu strappare la sua promessa sposa

dalle mani delluniverso mondo!

MUZIO - Fratelli, voi pensate a dare mano

a trascinarla a forza via di qui,

mentrio resto a guardare questa porta

spada in pugno.

TITO - (A Saturnino)

Vieni con me, signore,

la riportiamo subito.

MUZIO - (Sbarrando loro luscita)

No, padre,

tu qui non passi.

TITO - Come, ragazzaccio!

Tu mi sbarri la strada? A me? A Roma?

(Trae la daga e lo colpisce a morte, Muzio cade, parapiglia, escono tutti meno Tito)

MUZIO - (A terra, morendo)

Aiuto, aiuto, aiuto!

(Muore)

Rientra LUCIO e vede Muzio ucciso

LUCIO - Padre, sei stato ingiusto,

e pi che questo, hai ucciso tuo figlio

in ingiusta contesa.

TITO - Figli non siete pi n tu n lui

per me. I miei figli

non mavrebbero mai disonorato

in questo modo. Traditore, tu

rendi Lavinia al tuo imperatore!

LUCIO - Morta, se tu lo vuoi,

ma non perchella diventi sua moglie.

Lavinia legalmente dun altruomo,

colui al quale era stata promessa.

(Esce)

Rientrano, nella galleria in alto, SATURNINO con TAMORA, i due figli di questa DEMETRIO e CHIRONE, e ARONNE

SATURNINO - No, Tito, no, ormai limperatore

non ne vuole pi sapere, n di lei,

n di te, n di alcuno di tua schiatta.

Posso far credito, se pur mi piaccia,

a chi gi mabbia gabbato una volta,

a te giammai, e nemmeno ai tuoi figli

traditori arroganti, tutti uniti

a macchiarmi dinfamia come han fatto.

Non cera altri da coprir di scherno

a Roma, allinfuor di Saturnino?

Tutto questo, Andronico, ben saccorda

con la tua vanteria secondo cui

io sarei venuto a mendicare

limpero alle tue mani.(23)

TITO - Oh, mostruoso!

Che parole di biasimo son queste?

SATURNINO - Ma va per la tua strada, va, imbroglione!

Da quella monetina(24) di tua figlia

a chi s fatto bello agli occhi tuoi

con la sua spada. Ti potrai godere

in questo modo un valoroso genero,

uno tagliato apposta

a far combutta con quei fuorilegge

che sono i figli tuoi

per mettere a soqquadro tutta Roma

TITO - Queste parole tue sono rasoi

al mio cuore ferito.

SATURNINO - ondio, Tamora,

affascinante regina dei Goti,

che oscuri, come la regale Febe

quello delle sue ninfe,(25) lo splendore

delle pi belle matrone di Roma,

se non dispiace a te,

Tamora, questa mia scelta improvvisa,

io scelgo ora te come mia sposa,

e ti far imperatrice di Roma.

Parla, regina dei Goti: rispondi,

dimmi se tu acconsenti alla mia scelta,

ed io per tutte le deit romane

ti giuro, poich sono gi qui pronti

il prete e lacqua santa, e sono accese

le faci, ed ogni cosa apparecchiata

per limeneo,(26) che non vorr tornare

a rivedere le strade di Roma,

non vorr risalire al mio palazzo

da qui, se non portando insieme a me

la mia sposa impalmata legalmente.

TAMORA - E qui io giuro a Roma, avanti al cielo,

se Saturnino innalzer a sua sposa

la regina dei Goti,

chessa sar la sua umile ancella,

la nutrice amorosa

e la madre della sua giovinezza.

SATURNINO - Ascendi dunque al Panteon,

bella regina, e voi tutti, signori,

fate corteggio al vostro imperatore

e alla sua bella sposa,

inviata dal cielo a Saturnino,

e che ha sconfitto con la sua saggezza

lavversa sua fortuna.(27)

Celebreremo l i sacri riti.

(Escono tutti, tranne Tito)

TITO - Io non sono richiesto da nessuno

di fare da corteggio a questa sposa

Ah, Tito, quando mai ti capitato

dandar solo cos, disonorato,

e coperto da cos ingiusti torti!

Entra MARCO ANDRONICO con i tre figli di Tito, LUCIO, QUINZIO e MARZIO

MARCO - Oh, Tito, guarda, guarda quel che hai fatto!

Hai trucidato, in una ingiusta lite,

un tuo virtuoso figlio.

TITO - No, mio figlio, no, stolido tribuno!

Di costoro nessuno figlio a me.

N tu sei mio fratello,

complici e soci tutti di unazione

che ha disonorato la famiglia:

indegni figli ed indegno fratello!

LUCIO - Lasciate almeno che gli diamo noi

sepoltura, siccome si conviene;

avanti, diamo sepoltura a Muzio

con i nostri fratelli.

TITO - Traditori!

Via! Non riposer in questa tomba!

Questo sepolcro stato qui eretto,

da cinquecento anni,

ed io lho riccamente restaurato;

qui dentro sol riposan nella gloria

soldati e servitori della patria;

nessuno ucciso bassamente in risse.

Seppellitelo altrove, ove potete;

qui non entra.

MARCO - Ma questa empiet,

fratello! Parlano per mio nipote

Muzio le valorose sue imprese!

Devessere sepolto coi fratelli.

MARZIO/QUINTO - E lo sar, o noi lo seguiremo.

TITO - E lo sar Chi quel traditore

chha osato pronunciare questa frase?

MARZIO - Uno che pronto a risponderne ovunque,

tranne che in questo luogo.

TITO - Volete dunque seppellirlo qui

a mio dispetto?

MARCO - No, nobile Tito,

ma solo supplicare il tuo perdono

per Muzio, e dargli degna sepoltura.

TITO - Marco, anche tu, fratello,

hai colpito la cresta del mio elmo

e mhai ferito, con questi ragazzi,

nellonore. Perci tutti nemici

io vi reputo. Non esasperatemi

pi oltre, dunque, andatevene via.

MARCO - (Ai figli di Tito)

Andiamocene, s. Non sta pi in s.

QUINTO - Io no, fintanto che lossa di Muzio

non avranno trovato sepoltura.

(Marco e i tre figli singinocchiano a Tito)

MARCO - Fratello, in questo nome io ti scongiuro

MARZIO - Padre, ed in questo nome io ti parlo

TITO - Tu non parlare pi,

se altri vuol riuscire.(28)

MARCO - Illustre Tito,

che sei pi che met della mia anima

LUCIO - Padre caro, tu anima e sostanza

di noi tutti

MARCO - consenti a tuo fratello

di dare in questo nido di virt

sepoltura al suo nobile nipote

nobilmente caduto per lonore

della sorella e figlia tua Lavinia.

Sei un romano, non essere un barbaro:

i Greci, dopo unanime consiglio,

seppellirono Ajace,

che sera data morte di sua mano;

e Ulisse, il saggio figlio di Laerte,

volle lui stesso, generosamente,

perorare per il suo funerale.(29)

Non vorrai dunque che al giovane Muzio,

chera stato la gioia di tua vita,

sia sbarrato lingresso in questa tomba.

TITO - Alzati, Marco, alzati.

Questo il giorno pi triste e disgraziato

chio abbia mai vissuto:

esser disonorato dai miei figli,

a Roma! Ebbene, avanti seppellitelo,

ma seppellite me subito dopo!

(Il corpo di Muzio calato nella tomba)

LUCIO - Qui riposino in pace le tue ossa,

Muzio caro, vicino ai tuoi fratelli,

e noi adorneremo la tua tomba

con trofei.

(Tutti si inginocchiano, meno Tito)

TUTTI (meno Tito) - E nessuno sparga lacrime

per il nobile Muzio: vive in gloria

chi mor per difender la virt.

(Escono i tre fratelli Lucio, Quinto e Marzio)

MARCO - Per uscir ora da questa funerea

e lugubre atmosfera, mio signore,

dimmi, com potuto mai succedere

che questa scaltra regina dei Goti

si sia potuta cos dimprovviso

tanto innalzare a Roma?

TITO - Non lo so,

Marco; io so soltanto che cos.

Se per astuzia o no, pu dirlo il cielo.

Ma non dovr per ci restare in debito

con luomo che a una tal felice svolta

lha qui portata da tanto lontano?(30)

MARCO - S, e nobilmente lo ripagher.

Trombe. Entrano SATURNINO imperatore, TAMORA, i due figli di questa DEMETRIO e CHIRONE, il moro ARONNE da una parte; dallaltra BASSIANO, LAVINIA e altri, incontrandosi.

SATURNINO - Cos, Bassiano, il gioco t riuscito.

Dio ti dia gioia, con la bella sposa.

BASSIANO - Ed altrettanto a te con quella tua.

Di pi non dico, n di meno tauguro.

E cos ti saluto.

(Fa per passar oltre col suo seguito, ma Saturnino lo investe:)

SATURNINO - Traditore!

Se c una legge a Roma,

e in noi la potest, tu ed i tuoi

vi pentirete dun tal rapimento.

BASSIANO - Rapimento tu chiami, mio signore,

riprendermi qualcosa chera mio,

il mio promesso amore, ora mia sposa?

Decidan pure le leggi di Roma:

intanto io possiedo quel che mio.

SATURNINO - Bene, sei molto spicciativo, eh?

Ma se vivremo, lo saremo noi

altrettanto con te.

BASSIANO - Signore mio,

dovr rispondere di quel che ho fatto

come meglio potr,

e ne risponder con la mia vita.

Vorrei che tu sapessi solo questo:(31)

in nome della mia lealt a Roma,

questo nobile Tito, qui presente,

stato da te offeso

nella reputazione e nellonore,

lui, che per liberar per te Lavinia,

ha scannato il pi giovane suo figlio

per fedelt a te, acceso dira

nel vederti sottratto con la forza

quanto tavea lealmente promesso.

Riaccoglilo dunque in tuo favore,

Saturnino, perch s dimostrato

per te e per Roma un padre ed un amico

in tutto ci che ha fatto fino ad oggi.

TITO - Non ti sbracciare, principe Bassiano,

a perorar cos per quel che ho fatto,

perch sei stato tu a disonorarmi,

e tutti questi. Roma e i giusti cieli

mi siano testimoni di comio

ho amato ed onorato Saturnino.

(Singinocchia a Saturnino)

TAMORA - Mio nobile signore,

se mai gradita ai regali tuoi sguardi

fu Tamora, consenti chio ti parli

per tutti qui indifferentemente,

e che ti supplichi di perdonare

ogni passata offesa.

SATURNINO - Che, regina!

Dovrei dunque decidermi a soffrire

desser pubblicamente vilipeso

e passare vilmente sopra tutto

senza farne vendetta?

TAMORA - Non questo, mio signore;

giammai non vogliano gli di di Roma

chio sia autrice del tuo disonore!

Ma oso proclamare sul mio onore

la completa innocenza del buon Tito,

il cui furore, non dissimulato,

rivela tutta linterna sua pena.

E dunque, te ne supplico,

ridonagli il grazioso tuo favore,

non perdere un amico cos nobile

per un vano sospetto,

e non affliggere con dure occhiate

il suo cuore gentile.

(Sottovoce, a Saturnino)

Mio signore,

seguimi, fatti guidar da me:

mostrati finalmente conciliato,

dissimula i rancori e lo scontento:

sei stato appena insediato sul trono,

devi evitare che patrizi e plebe,

nel riconsiderar la situazione,

tornino a parteggiare ancor per Tito

e ti depongano per una colpa

come lingratitudine, che a Roma

reputata orribile peccato.

Cedi dunque alle mie esortazioni

e lascia fare a me: coglier io

loccasione propizia

per sterminarli tutti quanti sono

tutti e per divellere dalle radici

il lor partito e la loro famiglia,

padre crudele e figli traditori

a cui mi son prostrata supplicando

per la vita del mio diletto figlio;(32)

e far lor sapere che vuol dire

lasciare una regina inginocchiata

per la strada a pregare invano grazia.

(Forte)

Suvvia, suvvia, mio dolce imperatore!

Su, su, Tito Andronico!

(A Saturnino)

Fallo alzare

questo buon vecchio, e riconforta un cuore

che sta morendo in mezzo alla tempesta

di questo sguardo tuo pieno di collera.

SATURNINO - Alzati, Tito, lzati.

Ha prevalso la mia imperatrice.

TITO - (Rialzandosi)

Grazie alla tua maest e grazie a lei:

queste parole, questi vostri sguardi

mi ridonano un alito di vita.

TAMORA - Io son ormai incorporata a Roma,

Tito, sono romana di adozione

per mia fortuna, e devo consigliare

limperatore in tutto ch suo bene.

Con oggi muoion tutte le contese,

Andronico, e sia mio onore e vanto,

mio buon signore, lesser riuscita

a rappacificarti con gli amici.

Per te ho dato, principe Bassiano,

la mia parola al nostro imperatore

con la promessa che sarai con lui

in futuro pi docile e trattabile.

E voi altri, signori, e tu, Lavinia,

non temete, seguite il mio consiglio:

inginocchiatevi a sua maest

e chiedete umilmente a lui perdono.

LUCIO - (Inginocchiandosi)

S, inginocchiamoci, e giuriamo al cielo

ed a sua altezza che ci chabbiam fatto

fu compiuto senzombra di malanimo(33)

ma solo per difendere lonore

della sorella nostra e di noi stessi.

MARCO - E cos, sul mio onore, dico anchio.

(Singinocchia anche lui, e con lui anche Quinto e Marco;

Tito rimane in piedi)

SATURNINO - Via, via, tacete, basta dannoiarmi!

TAMORA - No, no, mio dolce imperatore, no:

qui dobbiamo sentirci tutti amici.

Il tribuno e i nipoti

sono in ginocchio a chiederti merc,

ed io non voglio vedermi smentita.

Volgi loro il tuo sguardo, dolce amore.

SATURNINO - Marco, per amor tuo,

e per riguardo a tuo fratello qui,

e alle preghiere della mia Tamora,

rimetto a questi giovani

le loro odiose colpe. Rialzatevi.

(Si rialzano tutti)

Lavinia, bench tu mabbia lasciato

come un bifolco, ho trovato una moglie,

e, certo come la morte, ho giurato

di non staccarmi scapolo dal prete.(34)

Vieni avanti, Lavinia,

e se la corte dellimperatore

pu festeggiare un doppio sposalizio

tu oggi sei mia ospite,

coi tutti tuoi parenti, e sar questo

un giorno sacro allamore, Tamora.

TITO - E se alla tua maest piaccia domani

dandare a caccia al cervo o alla pantera,

verremo di buonora tutti quanti

a darti il nostro buongiorno, maest,

coi corni e con i cani.

SATURNINO - E cos sia, Tito, e gramercy.(35)

(Trombe. Escono tutti)(36)


ATTO SECONDO

SCENA I - Roma, davanti al palazzo imperiale.

Entra ARONNE

ARONNE - Ora Tamora sale sullOlimpo

e resta in alto assisa,

al sicuro dai colpi della sorte,

dallo schianto del tuono e dalla folgore,

dove pi non le giunge la minaccia

della pallida invidia.

Come quando il dorato astro del sole,

dopo aver dato il saluto al mattino

e indorato loceano coi suoi raggi,

galoppa sul suo carro sfolgorante

per lo zodiaco, e domina dallalto

i pi elevati culmini dei monti,

cos Tamora: al forte suo carattere

quanto ha donor la terra fa corteggio,

e la stessa virt al suo cipiglio

sinchina e trema. Aronne, arma il tuo cuore,

perci, e accomoda i tuoi pensieri

a salire su su, fino a raggiungere

la vetta del suo volo,(37)

a fianco della tua imperiale amante,

di lei che cos a lungo

hai tenuto in trionfo prigioniera

damore, e stretta al fascinoso sguardo

dei tuoi occhi con pi saldo legame

che Prometo alla rupe del Caucaso.(38)

Via le vesti da schiavo

e i servili pensieri! Voglio splendere

e sfavillar tutto di perle e doro,

per far corona a questa imperatrice

pur mo creata. Far corona, ho detto?

No, folleggiar damore

con questa mia regina, questa dea,

questa ninfa, novella Semiramide,(39)

questabile sirena

che incanter il romano Saturnino

e sar spettatrice del naufragio

di lui e dellintera sua nazione.(40)

Irrompono DEMETRIO e CHIRONE rissando

Ehi, che succede, che tempesta questa?

DEMETRIO - Chirone, allet tua manca il cervello,

ed al cervello il taglio e le maniere,

che ti sei messo in testa

dintrometterti l dovio ho grazia,

e sai che posso esser prediletto.

CHIRONE - Demetrio, tu con me sei prepotente

in ogni cosa, ed ora pure in questa

vuoi soverchiarmi con le tue bravate.

Non sono un anno o due di differenza

a far chio sia di te meno gradito,

o tu pi fortunato. Io come te

sono capace ed altrettanto idoneo

a servire ed a meritar le grazie

della donna che amo,

e questo la mia spada sempre pronta

a provar su di te e a sostenere

se ho titolo allamore di Lavinia.

(Snuda la spada)

ARONNE - Guardie, guardie!(41) Questi due spasimanti

disturbano la pace!

DEMETRIO - Oh, ragazzo,

se nostra madre, sconsigliatamente,

tha messo nelle mani uno spadino

da legarti alla cinta per bellezza,(42)

ti fai venire i grilli per la testa

da minacciar con esso i tuoi parenti?

Ma tienila incollata nel suo fodero

quella lama di latta,

per quando saprai meglio maneggiarla!

CHIRONE - (Assalendolo)

Intanto per quel poco che so adesso,

taccorgerai di quel che son capace.

DEMETRIO - Ah, ragazzo, ti fai s temerario?

(Sguaina anche lui la spada e si affrontano)

ARONNE - (Intromettendosi)

Oh, oh, signori! Proprio qui,

sotto il palazzo dellimperatore

osate trar le spade,

e scatenare un simile litigio

in pubblico? Conosco molto bene

la ragione di questa vostra ruggine,

e non vorrei, per un milione doro,

che fosse conosciuta da coloro

cui essa pi interessa; e vostra madre,

anche per molto di pi dun milione,

non vorrebbe che ci le procurasse

danno e disdoro alla corte di Roma.

Vergognatevi! Dentro quelle spade!

DEMETRIO - No, se prima non faccio del suo petto

guaina alla mia, e ricacciato in gola

a lui quelle parole di disprezzo

che mha soffiato in faccia poco fa!

CHIRONE - ebbene, son qui pronto e ben deciso,

vigliacco chiacchierone,

che sai solo tuonare con la lingua,

e con la spada non sei buono a niente!

ARONNE - Basta, ho detto! Finitela!

O questa baggianata, per gli di

venerati dai bellicosi Goti,

ci pu mandare tutti alla rovina!

Ma, signori, non vi rendete conto

di quanto sia rischioso per voi due

intromettervi s ostentatamente

nei diritti di un principe reale?

E che! Sarebbe forse diventata

Lavinia femmina s dissoluta,

o Bassiano cos degenerato,

che si possa, per amor suo, dar luogo

a pubblici litigi come questo,

senza cadere sotto la giustizia

o sotto la vendetta personale?

Attenzione, miei giovani signori,

che se limperatrice vostra madre

sapr il perch dun tale disaccordo,

non gradir per nulla questa musica!(43)

CHIRONE - Che lo sappiano, lei e tutto il mondo!

Non me ne importa niente!

Io pi di tutto il mondo amo Lavinia.

DEMETRIO - Pensa, bamboccio, a pi modesta scelta!

Su Lavinia ha riposto le speranze

il tuo maggior fratello.

ARONNE - Siete pazzi!

O non sapete dunque, giovanotti,

quanto sono furiosi e intolleranti

i Romani negli amorosi affari?

Vi dico io, signori, che voi due

non fate che tramar con questo mezzo

la vostra morte.

CHIRONE - Mille morti Aronne,

io rischierei, per ottener per me

colei che amo.

ARONNE - e come? E con che mezzi?

DEMETRIO - Perch fai tu la cosa cos strana?

una donna, e pu esser corteggiata;

una donna, e pu esser conquistata.

Lavinia, e non pu chessere amata.

Amico, per la gora del mulino

scorre pi acqua che sappia il mugnaio:

ed pi facile da una pagnotta

rubar via una fetta gi tagliata.

Sia pur Bassiano dellimperatore

fratello: personaggi

pi importanti di lui hanno portato

sulla testa linsegna di Vulcano.(44)

ARONNE - (A parte)

Importanti, s, come Saturnino.

DEMETRIO - Perch allora dovrebbe disperare

chi sa blandir lamore di una donna

con parole fiorite,

con dolci sguardi e doni generosi?

Quante volte hai cacciato una cerbiatta

di frodo, e lhai saputa far sparire

sotto la barba del suo guardacaccia?(45)

ARONNE - Allora, a quanto sembra,

anche una bottarella di quel tipo(46)

farebbe al caso tuo?

CHIRONE - Proprio cos, se quel caso venisse.

DEMETRIO - Aronne, lhai incocciata.(47)

ARONNE - Cos fosse riuscito pure a te,

ch non staremmo a frastornarci il capo

con tutti questi inutili schiamazzi!

Ma sentite, sentite,

davvero siete tanto sprovveduti

da starvi l a beccare lun con laltro?

Vi sentireste offesi

se poteste arrivarci tutti e due?

CHIRONE - Io no, in fede mia.

DEMETRIO - Ed io nemmeno,

una volta che ottenga la mia parte.

ARONNE - E allora, santa fede, fate pace,

ed unitevi in ci che vi divide.

Vi serviranno astuzia e stratagemma

a farvi soddisfare il vostro intento,

e quindi bene vi mettiate in testa

che ci che non potrete conseguire

s facilmente come voi volete,

lo dovete ottener come potrete.

Questa Lavinia, amore di Bassiano,

in castit la vince con Lucrezia.(48)

Perci con lei, sentite quello che vi dico,

si devono adoprar altre maniere

che le temporeggianti languidezze;

e questo corso io ve lho trovato.

Miei signori, qui sta per iniziare

una solenne partita di caccia

alla quale verranno ad intrupparsi

inclite e belle femmine romane.

La foresta ha viali ampi e spaziosi,

ma anche molti anfratti solitari

naturalmente adatti a favorire

lo stupro e la violenza. In uno dessi

voi due isolerete dal suo branco

la tenera cerbiatta,

e se non basteranno le parole,

a colpirla, usatele la forza.(49)

Solo cos, e in nessun altro modo,

coronerete la vostra speranza.

Venite, andiamo dallimperatrice;

e lei, che alla perfidia e alla vendetta

ha consacrato il sacro suo intelletto,(50)

sapr affilar col saggio suo consiglio

lo strumento che vi permetter,

senza che vi azzuffiate,

di soddisfare i vostri desideri,

ciascuno il colmo delle proprie voglie.

La corte dellimperatore a Roma

simile alla casa della Fama,

piena di lingue, di occhi e dorecchi;(51)

i boschi sono invece impenetrabili,

sordi e muti, paurosi:

l parlate, colpite e soddisfatevi;(52)

l potete appagar le vostre voglie,

bene occultati agli sguardi del cielo,

e banchettare a vostra discrezione

al desco del tesoro di Lavinia.

CHIRONE - Il tuo consiglio, amico,

non sa davvero di vigliaccheria.

DEMETRIO - Sit fas aut nefas,(53) fin chio trovi il fiume

che mi raffreddi da questa caldana,

la magia che mi plachi queste voglie,

per Stygia, per Manes vehor.(54)

(Escono)

SCENA II - Un bosco presso Roma

In un grande baccano di corni da caccia e latrati di cani entrano TITO ANDRONICO, suo fratello MARCO e i suoi figli LUCIO, QUINTO e MARZIO

TITO - La caccia aperta; lora mattutina

chiara e grigia, i campi son fragranti

e verde il bosco. Slegateli qui,

e fateli abbaiare a tutto spiano,

che sveglino cos limperatore

con lamabile sua novella sposa,

e facciano levar dal letto il principe;

e suonate il segnale della caccia,

s che tutta la corte ne riecheggi.

Figli, sia vostra cura,

come la nostra, fare buona scorta

alla persona dellimperatore.

Ho fatto torbidi sogni stanotte

e lalbeggiar del giorno

mha solo infuso pi fresco sollievo.

Entrano SATURNINO, TAMORA, BASSIANO, LAVINIA, CHIRONE, DEMETRIO e seguito

Molti giorni felici alla maest

del nostro imperatore, ed altrettanti

e ugualmente felici a te, signora.

Ho svegliato le vostre maest,

come promesso, col suono dei corni.

SATURNINO - Ed anche troppo forte, signor mio,

ed un po troppopresto, aggiungerei

per signore novellamente spose.

BASSIANO - Che ne dici, Lavinia?

LAVINIA - Per me no.

Ero gi sveglia da pi di due ore.

SATURNINO - Ebbene, allora andiamo;

siano approntati i carri ed i cavalli,

e via al nostro svago.

(A Tamora)

Ora, signora

conoscerai la caccia dei Romani.

MARCO - Ho cani, mio signore,

capaci di stanare e di cacciare

la pi feroce pantera,

e arrampicarsi ovunque.

TITO - Ed io cavalli

da inseguir la preda dovunque vada,

e sopra la pianura come rondini

DEMETRIO - (A parte, a Chirone)

A noi non servono cavalli e cani

per cacciare, Chirone, ma anche noi

speriamo di poter mettere a terra

una tenera cerva.

(Escono tutti)

SCENA III - Luogo solitario nel bosco

Entra ARONNE con un sacco doro

ARONNE - Uno chabbia cervello

penserebbe che io ne sia sprovvisto,

a vedermi interrare sotto un albero

tutto questoro, ben sapendo chesso

non potr pi venire in mio possesso.

Ma chi del mio cervello

dovesse fare s bassa stima bene

che sappia che questoro ha da servire

a me a coniare un tale stratagemma

che, se sagacemente messo in atto,

dovr far nascere un eccellente

capolavoro di furfanteria.(55)

Per ora qui riposa,

caro metallo, a danno di coloro

che dai forzieri dellimperatrice

sono usi a ricever lelemosina.(56)

Entra TAMORA

TAMORA - Aronne, amore mio,

che hai? perch quellaria sconsolata,

quando ogni cosa intorno

traspira sol gaiezza? Da ogni siepe

cantan gli uccelli le lor melodie,

la serpe dorme nel gioioso sole

arrotolata, palpitano tremule

le verdi foglie al rinfrescante soffio

del venticello, disegnando in terra

una scacchiera dombra. Qui, Aronne,

sediamoci al cortese lor riparo,

e mentre leco irride balbettando

ai cani replicando in nota stridula

allintonato fraseggiar dei corni,

come se il loro suono

venisse ai nostri orecchi da altra caccia,

stiamoci ad ascoltare il lor clamore

che si stinge(57) nellaria a man a mano,

e a corona di dolci scaramucce,

quali si dice gustarono un giorno

lerrante principe e la sua Didone(58)

quando un provvidenziale temporale

li sorprese, e una complice caverna

fu gentile cortina al loro amplesso;

potremo, nelle braccia lun dellaltro,

dopo aver consumati i nostri giochi,

goderci, insieme avvinti, un aureo sonno;

e il lontano fragor di cani e corni

saran per noi come la ninna nanna

della nutrice che addormenta il bimbo.

ARONNE - Se i desideri tuoi governa Venere,

mia signora, sui miei regna Saturno.(59)

Che cosaltro significa, se no,

questo mio occhio dal funereo sguardo

il mio stare in silenzio,

lannuvolata mia malinconia,

questa lanosa mia capigliatura

snodata in riccioli come una serpe

che si srotola come per scattare

a unazione di morte? No, signora,

segni di Venere non sono, questi:

nel mio cuore di stanza la vendetta,

nella mia mano dimora la morte;

nel mio capo martellano

sangue e rivalsa. Ascoltami, Tamora,

imperatrice di questa mia anima

che non ha mai sperato paradiso

pi paradiso di quello ch in te:

questo il giorno fatale di Bassiano;

oggi la sua diletta Filomela

dovr perder la lingua,(60)

e la sua castit dovr subire

dessere messa a sacco dai tuoi figli,

che ci fatto nel sangue di Bassiano

si tergeran la mani. Questa lettera,

ecco, la vedi? Prendila, ti prego,

e consegnala tu allimperatore:

essa contiene una trama mortale.

Non chieder altro, qui siamo spiati.

Eccoli, arriva una prima partita

del bottino sperato: ignari entrambi

della cattiva sorte che li aspetta.

Entrano BASSIANO e LAVINIA

TAMORA - Mio dolcissimo Moro,

pi dolce a me della mia stessa vita!

ARONNE - Basta adesso, mia grande imperatrice.

Qui c Bassiano. Sii aspra con lui.

Io vado intanto in cerca dei tuoi figli

che ti diano man forte nella lite,

qual che ne sia il pretesto.

BASSIANO - Chi vedo! La regale imperatrice

di Roma! Sola, senza alcuna scorta?

O non Diana, sotto le sue vesti,

che, abbandonati i sacri suoi boschetti,

voluta venire in questa selva

per assistere qui alla grande caccia?

TAMORA - Insolente spione dei miei passi!

Se veramente avessi quel potere

che dicono di Diana, le tue tempie

andrebbero coperte, adesso, subito,

al modo di Atteone,

dun paio di lussureggianti corna,(61)

e sulle membra tue, cos mutate,

savventerebbe tutta la cana,

volgare ficcanaso!

LAVINIA - In quanto a corna,

con tua licenza, dolce imperatrice,

si ritiene da tutti che a piantarle

tu possieda un talento sopraffino,

e c da chiedersi se tu ed il Moro

non vi siate appartati apposta qui

per consumare i vostri esperimenti.

Giove protegga oggi dai suoi cani

tuo marito! Sarebbe un gran peccato

se avessero a scambiarlo per un cervo.

BASSIANO - Il tuo nero Cimmerio,(62)

tinge lonore tuo, imperatrice,

del color del suo corpo, ripugnante,

detestabile, sporco, credi a me.

Perch ti sei staccata dal tuo seguito,

sei smontata dal tuo bel palafreno

bianco-neve e ti sei avventurata

in questo oscuro e recondito luogo

in compagnia di quel barbaro Moro,

se turpe voglia non tavesse spinta?

LAVINIA - E, da noi interrotta nel tuo spasso,

hai certamente tutte le ragioni

per trattar da insolente ficcanaso

il nobile mio sposo.

(A Bassiano)

Andiamo via.

Si goda pure quel suo amor corvino.

Questa valle si addice ottimamente

a certi passatempi.

BASSIANO - Ma mio fratello il re dovr saperlo.

LAVINIA - S, queste scappatelle di sua moglie

da tempo lhanno esposto,

buon re, ad essere cos infamato!

TAMORA - Chi mi d la pazienza

di star a sopportare tutto questo?

Entrano CHIRONE e DEMETRIO

DEMETRIO - Che c, cara sovrana?

Che succede, graziosa madre nostra?

Perch sei cos pallida e turbata?

TAMORA - Non ho forse ragione?

Questi due mhanno attirata qui,

vedete, in questo luogo:

una sterile valle desolata:

bench destate, gli alberi son spogli,

rinsecchiti, coperti, soffocati

dal muschio e dal lichene velenoso;

in questo luogo mai non splende il sole,

e non savverte alcun segno di vita,(63)

se non il verso del notturno gufo,

e del corbaccio del malaugurio.

E nel mostrarmi questorrido botro

mhan detto che nel cuore della notte(64)

qui migliaia di diavoli,

migliaia di serpenti sibilanti

e porcospini,(65) levano un tal coro

di paurose strida che a sentirle

non c creatura umana

che non impazzi o che non cada morta.

Dopo questa infernale descrizione

mhan detto che mavrebbero legata

qui stesso al tronco dun funereo tasso(66)

e abbandonata a miseranda morte.

E poi mhanno chiamata immonda adultera,

libidinosa Gota, ed oltre a questo

mhanno coperta dei pi amari insulti

che abbiano mai udito umani orecchi.

E se non foste intervenuti voi,

per miracolo, avrebbero gi fatto

di certo su di me quella vendetta.

Vendicatemi, figli,

se avete a cuore questa vostra madre;

o non chiamatevi pi figli miei!

DEMETRIO - Ecco la prova che son figlio tuo.

(Si slancia su Bassiano e lo pugnala: Bassiano non cade e cerca di difendersi, ma su di lui Chirone)

CHIRONE - E questaltra che metto a segno mia,

a prova che non sono meno forte.

(Pugnala anche lui Bassiano, che cade e muore)

LAVINIA - Su, avanti, Semiramide,(67)

no, che dico, su, barbara Tamora,

ch altro nome meglio non saddice

a te, che tuo!!

TAMORA - (A Demetrio)

Demetrio, qua il pugnale:

miei ragazzi, vedrete vostra madre

vendicar di sua mano i propri torti.

(Demetrio le d il pugnale, Tamora fa per scagliarsi con esso su Lavinia, ma Demetrio sinterpone)

DEMETRIO - Ferma, signora, no, per lei c altro

che laspetta: si batte prima il grano,

poi si brucia la paglia.

Questa carina(68) si vantava tanto

della sua castit, della sua fede

al voto maritale,

e su questa dipinta(69) sua speranza

sfida la tua grandezza. E tutto questo

dovrebbella portarsi nella tomba

intatto?

CHIRONE - Giuraddio, mi faccio eunuco,

sella dovesse riuscire a tanto!

Trasciniamo il marito in fondo a un fosso

ben nascosto, e di questo corpo morto

facciam cuscino alla nostra lussuria.

TAMORA - Ma una volta succhiato dal suo favo

tutto il miele del vostro desiderio,

questa vespa non deve sopravvivere,

o ci punger tutti.

CHIRONE - Sta tranquilla,

e lascia fare a noi.

(A Lavinia)

Vieni, bellezza,

che ora ci godremo con la forza

la tua ben custodita castit.

LAVINIA - O Tamora, e tu hai volto di donna?

TAMORA - Non voglio pi sentirla!

Portatevela via!

LAVINIA - Signori, siate buoni, una parola:

scongiuratela voi di darmi ascolto.

DEMETRIO - Dalle ascolto, s, nobile signora,

e sia tua gloria mirar le sue lacrime;

ma ad esse sia inflessibile il tuo cuore,

come alla pioggia felce.

LAVINIA - Quando si videro mai i tigrotti

insegnare qualcosa alla lor madre?

(A Demetrio)

Non voler insegnare la ferocia

a colei che lha insegnata a te.

Il latte che hai succhiato dal suo seno

s fatto marmo; gi dalla sua poppa

tu traevi per te tanta ferocia.

Non partorisce per figli uguali

la stessa madre.

(A Chirone)

Supplicala tu,

che mi mostri una piet di donna.

CHIRONE - Che! Vuoi farmi passare da bastardo?

LAVINIA - vero, il corvo non cova lallodola.

Seppure ho udito dire che il leone,

mosso a piet (cos accadesse a me!),

si sia tagliati i principeschi artigli;

e il corvo abbia nutrito gli altrui nati

trovati abbandonati, mentre i suoi

nel suo nido languivano di fame.

(A Tamora)

Ah, se pure il tuo cuore s indurito

da non indurti ad essere con me

cos cortese, almeno sii pietosa.

TAMORA - Non so che intende. Portatela via!

LAVINIA - Oh, lascia allora chio ti spieghi meglio,

per amor di mio padre,

che tha concesso la vita

quando poteva ucciderti, Tamora.

Non essere s dura ed ostinata,

apri i tuoi sordi orecchi.

TAMORA - Per tuo padre(70)

Sanche tu non mavessi mai offesa,

sarei con te spietata a causa sua.

Ragazzi, ricordatevi le lacrime

da me versate invano per sottrarre

vostro fratello al loro sacrificio,

ed Andronico nella sua ferocia

non ebbe un solo moto di piet

Via, portatela via!

Ed usate di lei a vostro libito.

Il peggio fatto a lei, il meglio a me.

LAVINIA - O Tamora, si possa dir di te

che sarai stata una gentil regina,

se di tua mano qui muccidi, subito;

ch non la mia vita chio timploro,

ora che il mio Bassiano non c pi.

TAMORA - Che mi mendichi allora, sciocca femmina?

Va, va, lasciami in pace.

LAVINIA - Io timploro di darmi morte subito,

e daltra cosa che pudor di donna

vieta di pronunciare alle mie labbra:

oh, non abbandonarmi alla lussuria

di questi due, peggiore della morte!

Precipitami in qualche orrendo baratro,

in fondo al quale pi veder non possa

occhio umano il mio corpo:

fammi questo, Tamora,

e sarai stato un pietoso assassino.

TAMORA - Defrauderei cos i miei cari figli

della dovuta loro ricompensa.

No, sfoghino su te le loro voglie!

DEMETRIO - Su, su, che ci hai trattenuti fin troppo!

LAVINIA - (A Tamora)

Niente grazia? Niente anima di donna?

Ah, bestiale creatura,

infamia del comune nostro sesso!

Maledizione cada

TAMORA - Bene, allora

ti tappo io la bocca!

(A Demetrio)

Avanti, tu,

porta qua suo marito. Qua la fossa

dove Aronne ci ha detto di nasconderlo.

(Demetrio butta il corpo di Bassiano nella fossa;

poi esce col fratello, trascinando Lavinia)

TAMARA - Arrivederci, figli miei, a voi

di sistemarla e daddomesticarla

come meglio potete.

Pi non conosca gioia il cuore mio

finch questi Andronici

non siano stati tutti sterminati.

(A parte)

Ora vado a cercare il mio bel Moro,

mentre i miei figli in foja

restano qui a stuprare questa troia.

(Esce)

Entra ARONNE con QUINTO e MARZIO

ARONNE - Avanti, miei signori, di buon passo:

vi meno subito allorrenda buca

nella quale ho scoperto la pantera.

addormentata.

QUINTO - Non lo so perch,

mi si appanna la vista.

MARZIO - Ed anche a me,

tassicuro. Non fosse per vergogna,

pianterei volentieri questa caccia

per dormire un pochino.

(Sprofonda nella buca)

QUINTO - Oh! Sei caduto?

Che diavolo di trabocchetto questo?

La sua bocca coperta dirti rovi

sulle cui foglie son gocce di sangue

che ha laria dessere appena versato,

fresco come rugiada mattutina

Sembra proprio la tana della morte.

Fratello, parla, ti sarai ferito

nella caduta?

MARZIO - (Da dentro la buca)

Ferito, fratello,

s, ma dallo spettacolo pi orrendo

chabbia mai fatto pianger cuore umano.

ARONNE - (A parte)

Ora vado a chiamar limperatore,

perch li trovi qui,

e possa sospettare con ragione

che siano stati loro

a levare di mezzo suo fratello.

(Esce)

MARZIO - (c.s.)

Fratello, aiutami, dammi una mano

a uscir da questa maledetta buca

insanguinata!

QUINTO - Una strana paura

mha clto allimprovviso: un sudor freddo,

un tremore mi scorre per il corpo,

il mio cuore sospetta assai di pi

di quanto vedano le mie pupille.

MARZIO - (c.s.)

A prova di qual buon divinatore

sia il tuo cuore, volgete gi gli occhi,

tu ed Aronne, dentro questa tana

e guardate quale orrido spettacolo

di sangue e morte.

QUINTO - Aronne se n andato,

e il mio cuore gi troppo rattristato

per consentire agli occhi miei di guardare

sia pure di sfuggita a qualche cosa

per cui trema soltanto a immaginarla.

Dimmelo tu, perch non mera mai occorso

daver, come un bambino,

tanta paura di non so che cosa.

MARZIO - (c.s.)

Qui giace morto il nobile Bassiano,

tutto un mucchio di carne,

nel sangue, come un agnello sgozzato

in fondo a questo odioso, oscuro pozzo

che sembra bere sangue.

QUINTO - Ma come sai che lui, se laggi buio?

MARZIO - (c.s.)

Porta ancora sul dito insanguinato

un anello prezioso con brillante

che fa chiarore in tutta questa buca

e, come un cero dentro ad un sepolcro,

illumina del morto il terreo volto

e scopre tutte le scabrose viscere

di questorrido pozzo: cos pallida

doveva splender la luna su Piramo

la notte chegli di virgineo sangue

giacque bagnato.(71) Aiutami, fratello,

dammi la mano, se pur la paura

abbia potuto rendertela fiacca

non meno della mia, tirami fuori

da questo ricettacolo selvaggio,

vorace, abominevole, pi odioso

della brumosa bocca di Cocito.(72)

QUINTO - Forza, fratello, allungami la mano,

chio tenti almeno di tirarti su:

o, se si dimostrasser troppo scarse

le mie forze per trarti su da qui,

che possa anchio venire risucchiato

dentro il ventre vorace

di questo pozzo, tomba al buon Bassiano.

(Si sporge nella fossa, afferra la mano di Marzio, cerca di tirarlo su, ma non ci riesce)

Non ce la faccio, ahim, a tirarti su

fino allorlo

MARZIO - Ed a me manca la forza

darrampicarmici, se non maiuti.

QUINTO - Dammi la mano, qua, unaltra volta;

non ti lascio finch non sarai sopra,

o sar dentro io

(Tenta ancora di tirarlo su, ma inutilmente)

Non puoi venire

da me, allora vengo io da te.

(Si getta nella fossa)

Rientra ARONNE con SATURNINO

SATURNINO - Vieni, voglio vederla, questa buca,

e chi ho visto pur mo saltarvi dentro.

Rispondi: chi sei tu che sei disceso

in questo aperto cavo della terra?

MARZIO - (Da dentro la buca)

Siamo i due figli del vecchio Andronico,

per nostra somma disgrazia caduti

ora qui dentro, per trovarvi morto

tuo fratello Bassiano.

SATURNINO - Mio fratello!

Morto Che dici? So che stai scherzando:

lui e sua moglie son nel padiglione

a nord di questa amena area di caccia.

Non unora che li ho lasciati l.

MARZIO - Dove tu li hai lasciati ancora vivi,

non sappiamo, ma lui

qui sotto, ahim, labbiam trovato morto.

Rientra TAMORA col suo seguito, TITO ANDRONICO e LUCIO

TAMORA - Dov sua maest limperatore?

SATURNINO - Qui, Tamora, sebbene addolorato

da una pena mortale.

TAMORA - E tuo fratello Bassiano, dov?

SATURNINO - Tu frughi al fondo della mia ferita:

il povero Bassiano giace qui,

assassinato.

TAMORA - Allora troppo tardi

per recarti questo fatale scritto,

(Gli consegna un foglio)

dove tutto lintrigo

di questo prematuro scannamento.(73)

E mi stupisce che il volto di un uomo

(Accenna a Tito)

possa coprir damabili sorrisi

tanta feroce crudelt omicida.

SATURNINO - (Leggendo)

e se noi falliremo nel raggiungerlo

a nostro destro - Bassiano, intendiamo -

penserai tu, gentile cacciatore,

a scavargli la fossa: intendi bene.

In quanto al tuo compenso,

lo troverai nascosto fra le ortiche

sotto il sambuco che ombreggia la bocca

di quella stessa fossa in cui Bassiano

decidemmo che fosse seppellito.

Fallo, e ci avrai amici per leterno.

O Tamora, sud mai cosa simile?

La fossa questa, ed questo il sambuco.

Vedete, ora, signori,

se potete trovare il cacciatore

che qui doveva uccidere Bassiano.

ARONNE - Ecco il sacco con loro, mio signore.

SATURNINO - (A Tito)

Sono stati perci due dei tuoi botoli,

cagnacci duna razza sanguinaria,

a togliere la vita a mio fratello.

Signori, trascinateli dal pozzo

alla prigione, ed aspettino l

fin quando non avremo escogitato

per loro qualche inaudita tortura.

TAMORA - Che! Sono in questa fossa? Oh, meraviglia!

Come presto si scopre lassassinio!

TITO - (Inginocchiandosi)

Eccelso imperatore, questa grazia,

chino sulle mie deboli ginocchia,

e con lagrime gravi a me da spargere,

io imploro da te:

che se sia mai provata questa colpa

disumana, efferata dei miei figli

maledetti, s, maledetti, se

SATURNINO - Se provata! Non vedi che lampante?

Chi stato che ha trovato questa lettera?

Tu Tamora?

TAMORA - Andronico;

lui stesso lha raccattata da terra.

ANDRONICO - cos infatti, mio signore, s;

ma lascia chio mi faccia lor garante.

Sul venerato avello dei miei padri

giuro che quando la tua maest

lo desideri, essi saran pronti

a rispondere con la propria vita

di questa grave accusa.

SATURNINO - Lor garante?

Non serve che tu garantisca alcunch.

Preparati a seguirmi.

Qualcuno porti il corpo assassinato;

altri prenda in custodia gli assassini;

non li si lasci pronunciar parola;

la colpa chiara, e, per lanima mia

ci fosse peggior fine della morte,

a loro dovrebbessere irrogata.

TAMORA - Non temere, Andronico, pei tuoi figli.

Supplicher io il re in lor favore,

vedrai che tutto andr bene per loro.(74)

TITO - Andiamo, Lucio, vieni,

non indugiarti a parlare con loro.

(Escono tutti)

SCENA IV - Altro luogo della foresta

Entrano CHIRONE e DEMETRIO conducendo LAVINIA, violentata, sanguinante, con le mani e la lingua mozzate

DEMETRIO - Ed ora, bella, vallo a raccontare,

se la tua lingua pu parlare ancora,

chi te lha mozza e chi tha violentata.

CHIRONE - E se i tuoi moncherini

ti consenton di fare la scrivana,

scrivi quello chhai in mente,

e comunica agli altri il tuo pensiero.

DEMETRIO - Guarda come riesce, tuttavia,

con segni e gesti a fare scarabocchi!

CHIRONE - Ora vattene a casa,

chiedi daver dellacqua profumata,

e ti lavi le mani.

DEMETRIO - Che chiede, che si lava? Non ha lingua

per chiedere, n mani da lavare.

Lasciamola al suo muto passeggiare.

CHIRONE - Al suo posto, mandrei ad impiccare.

DEMETRIO - S, se avessi le mani

per annodarti il cappio della corda!

(Escono Chirone e Demetrio)

Entra MARCO ANDRONICO proveniente dalla caccia e vede Lavinia che, vedendolo, fugge.

MARCO - Eh, chi , mia nipote, quella l

che fugge via cos? Nipote, aspetta,

una parola! Dov tuo marito?

(Lavinia si ferma, Marco saccorge delle sue mutilazioni)

Se sogno, tutto quello che posseggo

per essere svegliato! Se son desto,

mi fulmini un pianeta,

perchio possa dormire un sonno eterno!

Parla, nipote mia gentile, dimmi:

quali mani spietate ed inumane

than cos macellata e mutilata,

thanno nudato il corpo

di quelle sue due rame deliziose,

di quei dolcissimi suoi ornamenti

sotto il cui cerchio dombra

molti re han cercato di dormire,

e non avebbero potuto avere,

in verit, felicit s grande

quanta sol la met dellamor tuo?

Parla, dunque, perch non mi rispondi?

(Saccorge anche della lingua mozza)

Ah, che dalle tue labbra di cinabro,

collandare e venir del tuo respiro

vedo sgorgare sangue, un rosso fiotto,

simile allo zampillo duna fonte

che gorgoglia con lo spirar del vento!

Ma certo, un qualche Tereo(75) tha stuprata,

e, perch non potessi denunciarlo,

tha tagliata la lingua!

Ah, tu volgi la testa per vergogna,

e con tutto che perdi tanto sangue,

simile ad una canna con tre bocche,

le tue guance son rosse

come avvampa la faccia di Titano(76)

quando incontra una nuvola.

Dovr dunque parlare io per te?

Devo dir io per te quello che vedo?

Ah, potessi conoscere il tuo cuore!

E sapere chi stata quella belva,

per potermi sfogare a maledirla!

Il dolore nascosto, come un forno

che brucia in cenere quando tappato,

incenerisce il cuor che lo racchiude.

Mia dolce Filomela

no, ch quella perd solo la lingua,

e pot con le mani,

cucendo con pazienza su una tela

la sua storia, comunicarla agli altri;

ma a te, nipote cara, anche quel mezzo

precluso: un pi callido Tereo,

tha reciso quelle soavi dita

che avrebbero saputo ricamare

meglio di Filomela il tuo pensiero.

Ah, se quel mostro avesse visto fremere

quelle mani di giglio su un liuto,

come foglie di pioppo al dolce zefiro,

e deliziare come un dolce bacio

col loro tocco, le seriche corde,

nemmeno a costo della propria vita

avrebbe mai osato di sfiorarle!

O se avesse ascoltato quella lingua

e larmonia celeste che ne usciva,

si sarebbe lasciato scivolare

dalle mani il coltello, addormentandosi,

al par di Cerbero ai piedi di Orfeo.(77)

Vieni, andiamo a far cieco tuo padre,

perch locchio dun padre

sar accecato da una vista simile.

Se basta unora di pioggia dirotta

ad inondare gli olezzanti prati,

che non faranno agli occhi di tuo padre

interi mesi di continuo pianto!

Non cercare di startene in disparte,

noi spartiremo i gemiti con te.

Oh, potessero i nostri di noi tutti

alleviare la tua infelicit!

(Escono)


ATTO TERZO

SCENA I - Roma, una strada.

Entrano, sfilando sulla scena, i giudici e i senatori con i figli di Tito, MUZIO e QUINTO, in catene, condotti al supplizio. TITO li precede implorando grazia per i figli.

TITO - Austeri padri, nobili tribuni,

fermatevi, ascoltatemi, vi prego!

Per piet dei miei anni

ora consunti, la cui giovinezza

stata spesa in perigliose guerre,

per dare a tutti voi sonni sicuri;

per tutto il sangue mio sparso per Roma

nel corso della grande sua contesa;

per le notti trascorse in veglia

alladdiaccio; per queste amare lacrime

che vedete sulle mie vecchie guance

ora riempire i solchi delle rughe,

io vi chiedo piet

per questi miei due figli condannati;

le loro anime non son corrotte

come si vuol far credere.

Per ventidue figli io non ho pianto,

perch son tutti morti

nel maestoso letto dellonore.

(Si prostra a terra, mentre i giudici gli passano accanto con i due prigionieri, avviandosi alluscita)

Per questi due, tribuni, nella polvere

io scrivo il mio profondo struggimento

e il pianto del mio cuore desolato,

e possan le mie lacrime

saziar larida sete della terra;

il dolce sangue di questi miei figli

la farebbe sol rossa di vergogna.

(Passano via, coi giudici ed i prigionieri, anche i senatori e i tribuni. Andronico resta solo).

O terra, ti sar pi amico io,

con la pioggia che stiller su te

da queste antiche urne,(78)

che mai ti sia il giovinetto aprile

con tutti i suoi rovesci; perch io,

pur nella siccit dellarsa estate

verser la mia pioggia su di te,

e dinverno con le mie calde lacrime

ti scioglier la neve, sul tuo volto

mantenendo perenne primavera;

ma tu, terra, rifiutati di bere

adesso il sangue dei miei dolci figli.

(Entra LUCIO, con la spada sguainata in pugno

e si ferma ad ascoltare suo padre)

Venerandi tribuni, onesti padri,

siate gentili, slegate i miei figli,

revocate la lor condanna a morte

e consentite a me,

che non ho mai versato alcuna lacrima

prima dora, di dir che le mie lacrime

saranno state per ciascun di voi

persuasivi oratori.

LUCIO - Nobile padre, ti lamenti a vuoto:

non ci sono i tribuni ad ascoltarti,

non c nessuno intorno,

e dici le tue pene ad una pietra.

TITO - Ah, Lucio, zitto, lasciami parlare

pei tuoi fratelli O austeri tribuni,

chio vi supplichi ancora

LUCIO - Padre mio,

ma non ci son tribuni qui, ad udirti.

TITO - Che importa, figlio? Se pure mi udissero,

non mi darebbero nessuno orecchio;

e seppur me lo dessero,

non proverebbero alcuna piet.

Ma devo perorar, pure se invano,

presso di loro, e dire le mie pene

alle pietre; perch seppur le pietre

non possono alleviare la mia pena,

sono sempre migliori dei tribuni:

esse non minterrompono il discorso,

e se piango, ricevono umilmente

le lacrime che cadono ai miei piedi,

e mi sembra che piangano con me;

se le pietre potessero vestire

austere vesti, non avrebbe Roma

tribuni pari a loro; perch tenera

come cera la pietra,

i tribuni pi duri delle pietre;

la pietra muta, e non fa male agli uomini,

i tribuni hanno lingua, e con la lingua

mandan gli uomini a morte.

Ma perch stai con la spada sguainata?

LUCIO - Ho tentato con essa, poco fa,

di salvare la vita ai miei fratelli,

ma i giudici, per questo tentativo,

mhan condannato ad un perpetuo esilio.

TITO - Oh, fortunato! Thanno favorito!

Ma non taccorgi, dissennato Lucio,

che Roma tutta una giungla di tigri?

E le tigri han bisogno di predare,

ed altra preda Roma non pu offrire

che me e i miei. E dunque fortunato,

che sei proscritto e puoi andar lontano

da questi barbari divoratori!

Ma chi vien qui con mio fratello Marco?

Entrano MARCO ANDRONICO e LAVINIA

MARCO - Tito, prepara i tuoi vecchi occhi al pianto

ed il tuo nobile cuore a schiantarsi:

porto alla tua vecchiaia

un dolore che la divorer.

TITO - Divorarmi? Allora chio lo veda.

MARCO - Questa era tua figlia.

TITO - Perch, Marco? Lo .

LUCIO - Misero me,

questa vista mi uccide!

TITO - Hai il cuore debole,

ragazzo mio. Solleva il capo e guardala.

Lavinia, parla, qual mano dannata

tha fatto priva agli occhi di tuo padre

delle mani? Chi stato quellidiota

che ha voluto portare altracqua al mare,

che ha voluto gettare una fascina

sopra Troia gi avvolta dalle fiamme?

La mia disperazione era gi al sommo

prima che tu mi venissi davanti,

ma ora, come il Nilo quando in piena,

trasborda, disdegnando ogni confine.

Qua, datemi una spada:

voglio mozzarmi da me queste mani,

che combattuto hanno per Roma invano;

che, nutrendomi in vita,

hanno allevato in me questo dolore;

che si son giunte in vane implorazioni,

senza riuscire a niente.

Ora non chiedo loro altro servizio

che luna aiuti a recidere laltra.

Bene che tu non abbia pi le mani,

Lavinia mia, perch soltanto vano

aver le mani per servire Roma.

LUCIO - Parla, sorella, chi ti ha martoriata.

MARCO - Oh, quel deliziosissimo congegno

dei suoi pensieri, chella cinguettava

con s piacevole eloquio! Strappato

da quella bella sua concava gabbia

dove, come un uccello canterino,

modulava le sue soavi note

incantando ogni orecchio che ludiva!

LUCIO - (A Marco)

Oh, dillo tu per lei: chi ha fatto questo?

MARCO - Lho trovata cos, in questo stato,

che andava tutta sola per il parco,

nascondendosi, al modo duna cerva

chabbia sentito daver ricevuto

una qualche incurabile ferita.

TITO - Ed era lei, la cara mia cerbiatta;(79)

e chi ha ferito lei

ha inferto a me pi terribile colpo

che se mavesse ucciso.

Ora son uno come su uno scoglio,

con un deserto di mare allintorno,

che vede la marea montar mugghiando

sempre in attesa che un maligno flutto

lo inghiotta dentro le sue salse viscere.

Per questa strada sono andati a morte

glinfelici miei figli Quinto e Marzio;

qui sta laltro mio figlio messo al bando,

e qui sta mio fratello,

a piangere con me le mie sciagure.

Ma quel che pi tormenta la mia anima

questa mia Lavinia,

pi cara a me della mia stessa anima.

Se avessi solo visto il tuo ritratto

con una tale immagine di te,

sarei certo impazzito. Che far

ora a vederti viva in questo stato?

Non hai pi le tue mani

per tergerti le lacrime dal viso,

non pi la lingua per dire a tuo padre

chi tha cos straziata.

Non hai pi tuo marito, e i tuoi fratelli

per la sua morte sono condannati

e morti anchessi ormai. Guardala, Marco!

Lucio, guardala, figlio! Sulle guance,

come le ho nominato i tuoi fratelli

le sono apparse quelle fresche lacrime

come dolce rugiada su di un giglio

pur mo reciso e gi quasi appassito.

MARCO - Forse piange pensando che il marito

glielhanno ucciso loro;

o forsanche perch li sa innocenti.

TITO - Se sono stati loro

a uccider tuo marito, sta contenta,

perch la legge ha gi fatto giustizia

su di loro Ma no, che mai capaci

essi sarebbero di consumare

un tal delitto! N testimonianza

il dolore di questa lor sorella.

Dolce Lavinia mia, fatti baciare

le tue povere labbra, oppure mostrami,

per qualche segno, come posso fare

per alleviare un poco la tua pena.

Dobbiamo tutti insieme, tu ed io,

il tuo buon zio, tuo fratello Lucio,

sederci presso una limpida fonte

a vedere, guardando tutti in gi,

come son sfigurati i nostri visi,

campagne non ancora prosciugate

dalla melma, dopo linondazione?

E terremo su quello specchio dacqua

fissi gli sguardi finch lacqua chiara

avr perduto il fresco suo sapore

e, con lamaro delle nostre lacrime,

si sia mutata in una salsa pozza?

O ci dovremo, come te, mozzare

le mani? O sradicar la lingua a morsi

e viver come tante pantomime

gli odiosi giorni che ancora ci restano?

Che faremo? Tramiamo qualche piano,

noi che abbiamo la lingua, qualche piano

dulteriori rovine di noi stessi,

da sbalordire i tempi che verranno!

LUCIO - Padre, cessa le lacrime,

ch vedi come guarda alla tua pena,

e piange linfelice mia sorella.

MARCO - Nipote cara, clmati;

e tu, buon Tito, tieni, asciuga gli occhi.

(Gli porge un fazzoletto)

TITO - Ah, Marco, Marco, questo fazzoletto,

fratello mio, sai gi che non pu pi

bere delle mie lacrime una sola,

ch lhai gi tutto intriso delle tue,

povero mio fratello!

LUCIO - Chio tasciughi le guance, mia Lavinia.

(Le asciuga le lacrime con un fazzoletto)

TITO - Guardala, Marco, attento:

io quei muti suoi cenni li capisco

sella avesse una lingua per parlare,

direbbe a suo fratello esattamente

quello che ho detto io pocanzi a te:

che quel suo fazzoletto, tutto intriso

delle sincere lacrime di lui,

non pu asciugar le dolenti di lei.

Ah, quale comunanza di dolori

mai questa: lontana dal conforto,

quanto il limbo dalla beatitudine!

Entra ARONNE

ARONNE - Tito Andronico, il nostro imperatore

ti manda a dire questo: vecchio Tito,

se ami i figli tuoi, che Marco, o Lucio,

o tu, o chiunque della tua famiglia,

vi mozziate una mano

e la mandiate a sua maest imperiale;

ed egli, in cambio, ti rimander

qui, vivi, i tuoi due figli: sar questo

il riscatto per ogni loro colpa.

TITO - Grazioso imperatore!

E tu, cortese Aronne! Ha mai cantato

il corvo con le note dellallodola

che dolcemente annunciano il mattino?

Ma s, con tutto il cuore

mando allimperatore la mia mano.

Vuoi, buon Aronne, aiutarmi a tagliarla?

LUCIO - No, fermo, padre! Non sar la tua

nobile mano, che tanti nemici

ha debellato, ad essergli mandata.

Baster quella mia. Meglio di te

pu spendere la mia giovane et

il suo sangue: dovr esser la mia

a salvare la vita ai miei fratelli.

MARCO - No, fermi! Quale delle vostre mani

non ha difeso Roma, e non ha scritto,

levata in lato lascia insanguinata,

distruzione sulle nemiche mura?

Non c una sola mano di voi due

che non abbia altamente meritato,

la mia non ha conosciuto che lozio.

Sia dunque la mia mano

a servir da riscatto dalla morte

di questi due nipoti.

Lavr cos serbata a un degno fine.

ARONNE - Beh, non perdete tempo, decidete

quale mano devo portar con me,

che quei due non muoiano

prima che arrivi per loro la grazia.

MARCO - Con te verr la mia.

LUCIO - No, per il cielo!

TITO - Miei cari, non vi disputate pi!

(Mostrando le sue mani)

Erbacce secche come queste qui

sono pronte per essere strappate.

Perci sar la mia.

LUCIO - Padre mio dolce,

se devo esser stimato tuo figlio,

tu devi consentire che sia io

a riscattar da morte i miei fratelli.

MARCO - No, Tito, per amor di nostro padre

e per rispetto alla cara memoria

di nostra madre, lascia che sia io

a mostrarti lamore di fratello.

TITO - Bene. Accordatevi allora fra voi.

Risparmier la mia.

LUCIO - Andiamo intanto a cercare una scure.

MARCO - S, che per deve servire a me.

(Escono Marco e Lucio)

TITO - Aronne, vieni, vo ingannarli entrambi.

Prestami la tua mano, ecco la mia.

ARONNE - (Tra s, accettando linvito di Tito)

Se questo inganno, io posso dirmi onesto,

perch mai di sicuro, finch vivo,

inganner nessuno a questo modo.

(Taglia la mano sinistra a Tito)(80)

Rientrano MARCO e LUCIO. Marco ha in mano una scure.

TITO - Potete chiudere la vostra disputa:

quello chera da fare stato fatto.

Da bravo, Aronne, porta la mia mano

a Cesare: quella stessa, digli,

che lha salvato da tanti pericoli,

e pregalo di darle sepoltura.

Meritava di pi, ma almeno questo.

Quanto ai miei figli, digli che li valuto

due gioielli comprati a basso prezzo,

ma per me sempre caro,

perch ho comprato ci chera gi mio.

ARONNE - Vado, Andronico, e per questa tua mano

conta pure di riaver con te

al pi presto i tuoi figli.

(Tra s)

Le loro teste intendo, per capirci.

Oh, come questa truce canagliata

mi rigonfia di gioia al sol pensarci!

Il bene, che lo faccian gli imbecilli,

e la clemenza la cerchino i giusti:

Aronne vuole aver lanimo nero,

come ha nera la faccia!

(Esce)

TITO - Cielo, a te levo questunica mano,

e piego fino a terra avanti a te

questo fragile resto di me stesso;

se alcun celeste nume

abbia piet di sventurate lacrime,

a lui io mi rivolgo.

(A Lavinia)

E tu, che fai?

Oh, vuoi tu inginocchiarti insieme a me?

Fallo, allora, amor mio:

dovranno pur prestare ascolto i cieli

alle nostre preghiere,

o appanneremo coi nostri sospiri

il cristallo della celeste volta,

e macchieremo il sole di foschia

come talvolta fanno anche le nuvole

stringendolo nel lor umido abbraccio.

MARCO - Fratello, parla di cose possibili,

e non ti abbandonare, per favore,

a queste estreme fantasticherie.

TITO - Estreme Non forse il mio dolore,

estremo, senza fine? E senza fine

siano perci le vie per darvi sfogo.

MARCO - S, ma pur governate da ragione.

TITO - Se ci fosse ragione a tanti orrori,

potrei allora contener langoscia

ed il lamento. Quando piange il cielo,

non straripa la terra?

Quando infuriano i venti,

non impazzisce il mare,

fino a insultare la volta del cielo

con la faccia rigonfia? E tu, fratello,

vorresti che ci fosse una ragione

a un tale pandemonio di passioni?

Io sono il mare: ascolta

come soffiano forti i suoi sospiri.

(Indicando Lavinia)

Ella del cielo la piangente volta,

io la terra; il mio mare

deve perci sconvolgersi per forza

con il vento dei suoi sospiri: ed io,

farmi diluvio, inondato e sommerso

delle incessanti lacrime di lei.

Le mie viscere non riescon pi

a contenere questo suo dolore,

e perci son costretto a vomitarlo

come ubriaco. Fammelo sfogare.

A chi sconfitto devesser concesso

di sgravarsi lo stomaco

vomitando lamaro dalla bocca.

Entra un SERVO recando due teste e una mano mozze

MESSO - Tito Andronico, sei mal ripagato

per quella degna mano

che hai mandato al nostro imperatore:

queste sono le teste dei tuoi figli,

e questa la tua mano

che ti restituita per tuo scorno.

Del tuo dolore, l, si fanno spasso

e si fan beffa della tua fermezza;

al punto che pensare ai tuoi dolori,

mi fa pi male al cuore

che ricordar la morte di mio padre.

MARCO - Si geli lEtna bollente in Sicilia,

ora, e un inferno sia deterno fuoco

il mio cuore! Sventure come queste

sono al di l dogni sopportazione.

Piangere con chi piange,

pu recare al dolor qualche sollievo,

ma il dolore deriso doppia morte!

LUCIO - Ah, che debba una vista come questa

ferire s profondo,

senza che tuttavia lodiosa vita

se ne debba fuggire!

Che la vita si chiami ancora vita,

quando ad essa non resta che il respiro

come suo solo ed unico appannaggio!

(Lavinia si avvicina a Tito e lo bacia)

MARCO - Ahim, povero cuore, pi conforto

questo tuo bacio non potr recargli

di quello che sul corpo di una serpe

morta dal freddo possa mai recare

un getto dacqua ghiaccia.

TITO - Quando avr fine questo sogno orribile?

MARCO - Ebbene, addio illusione: tu non dormi,

muori Andronico. Guarda:

queste sono le teste dei tuoi figli

e questa la tua mano di guerriero,

questa la tua figliola massacrata,

qui laltro tuo figlio messo al bando,

spallidito ed esangue

davanti a questa dolorosa vista;

e qui io, tuo fratello, freddo e inerte,

come statua di pietra. Ora ai tuoi sfoghi,

ah, non sento di porre pi alcun freno!

Strppati quegli argentei tuoi capelli,

trncati pure a morsi laltra mano,

e sia questultima orribile vista

a chiudere per sempre

questi nostri occhi miseri e disfatti.

tempo ormai per noi di far tempesta;

come puoi tu restare cos inerte?

TITO - (Ridendo)

Ah, ah, ah, ah!(81)

MARCO - Tu ridi. Perch ridi?

Non mi pare che sia davvero il caso.

TITO - Perch non ho pi lacrime da piangere

e perch questambascia tal nemico

che vorrebbe seder da usurpatore

sugli umidi miei occhi e farli ciechi

con un continuo tributo di lacrime.

Come far a trovare ora il cammino

che mena allantro della dea Vendetta?

Queste due teste sembra che mi parlino

e mi dicano che non avr pace

fino a tanto che tutti questi crimini

non siano stati ricacciati in gola

a coloro che li hanno consumati.

Anzi, vediamo subito il da farsi:

voi, afflitti, venite intorno a me

chio possa, in faccia a ciascuno di voi

far giuramento sopra la mia anima

di vendicare tutti i vostri torti.

Il mio, ecco, lho fatto.

Tu, fratello, prendi una delle teste,

laltra la porto io con questa mano

che m rimasta. E anche tu, Lavinia,

dolce fanciulla, avrai la tua mansione:

porterai la mia mano tra i tuoi denti.

In quanto a te, ragazzo, va, allontnati;

sei bandito, e non devi restar qui.

Corri dai Goti, e raccogli un esercito

tra loro. E se, comio stimo, tu mami,

diamoci un bacio e via. Abbiam da fare.

(Lo abbraccia ed esce con Marco e Lavinia)

LUCIO - Addio, Andronico,

nobile padre mio, il pi infelice

uomo che sia vissuto mai a Roma!

Addio, superba Roma,

lascio a te, fino al d del mio ritorno,

pegni a me cari pi della mia vita.

Addio Lavinia, nobile sorella.

Fossi tu ancora quella che sei stata!

Ma da oggi n Lucio n Lavinia

vivono pi, se non che nelloblio,

nellodio e nel dolore.

Ma se Lucio vivr, far vendetta

dei tuoi torti. Il superbo Saturnino

con la sua efferata imperatrice

dovranno andar mendicando alle porte

come Tarquinio con la sua regina.(82)

Vado dai Goti ad arruolare l

un forte esercito con cui calare

a vendetta su Roma e Saturnino.

(Esce)

SCENA II - Roma, in casa di Tito Andronico.

Una sala con tavola imbandita. Entrano ANDRONICO, MARCO, LAVINIA e il GIOVANE LUCIO

TITO - Cos, cos, sedete;

e state attenti a non mangiare pi

di quanto basti a conservar le forze

da vendicar le nostre pene amare.

Marco, vedi di sciogliere quel nodo

che tintreccia le braccia nel dolore.(83)

Tua nipote ed io, misere creature,

non abbiamo pi mani,

e ci impedito di sfogar cos,

con le braccia incrociate, come te,

questo nostro dolore senza fine.

M rimasta, meschina, questa destra

sol perchio possa incrudelir sul petto;

cos quando il mio cuor pazzo dangoscia

si mette a martellar sulle pareti

di questo cavo carcere di carne,

io col pugno lo soffoco

(Si batte il petto con la mano)

(A Lavinia)

Ma tu, vivente mappa del dolore,(84)

che puoi soltanto esprimerti per cenni,

tu, invece, quando il povero tuo cuore

ti pulsa dentro in battiti furiosi,

non puoi nemmeno colpirlo cos

per imporgli di starsene tranquillo.

Finiscilo a sospiri, figlia mia,

e sopprimilo a forza di lamenti;

o prendi un coltellino in mezzo ai denti

fatti con esso un buco

proprio in corrispondenza del tuo cuore

cos che tutte le copiose lacrime

che fan cadere i poveri tuoi occhi

vadano in quello scolo, ad inondarlo,

e allaghino quel lamentoso pazzo

in un mare di lacrime salate.

MARCO - Via, via, fratello, non starle a insegnare

a levar le sue mani con violenza

contro la stessa sua tenera vita!

TITO - Che! Il dolore ti fa farneticare?

No, Marco, qui nessuno fuor che io,

Tito Andronico, deve essere pazzo!(85)

Qual violenza di mani

pu levare costei contro se stessa?

Eppoi perch tanta tua insistenza

sulla parola mani?

Sarebbe come chiedere ad Enea

di raccontar due volte la sua storia:

di come Troia fu ridotta in fiamme

e lui gettato nella ria sventura.(86)

Ah, non toccare pi questargomento,

a rammentarci che noi due pi mani

non abbiamo. Vergogna anche per me,

per come vado anchio farneticando

a parlarti cos stupidamente,

come se noi potessimo scordare

di non avere pi le nostre mani

sol perch tu non le nomini pi!

Su, avanti cominciamo

e tu, dolce ragazza, mangia questo

Non c nulla da bere?

Guarda, Marco, ella dice qualche cosa:

io tutti i martoriati gesti suoi

riesco a interpretarli:

dice che non vuol bere altro che lacrime,

le lacrime dei suoi dolori, infuse

e fermentate lungo le sue guance.(87)

(A Lavinia)

O tu, muto lamento,

riuscir a capire il tuo pensiero;

mi far tale interprete perfetto

di questo muto tuo gesticolare

da eguagliare gli oranti anacoreti

nel sacro e silenzioso lor pregare;

tu non dovrai pi fare un sol sospiro,

non pi levare in alto i moncherini,

pi non battere ciglio;

tu non farai pi cenni col tuo capo,

tu non ti piegherai sulle ginocchia,

non farai, insomma, pi un solo gesto

chio non riesca a trarne un alfabeto

e, a forza duna pratica tenace,

non impari a capir ci che vuoi dire.

GIOVANE LUCIO - Nonno mio caro, cessa finalmente

questo lamento amaro e disperato

e cerca invece di allegrar la zia

con qualche bella e piacevole storia.

MARCO - Oh, il fanciullino, mosso a compassione,

piange a veder la tristezza del nonno.

TITO - Ah, stammi buono, tenero virgulto.

tu sei fatto di lacrime,

ed in lacrime si dissolver

ben presto la tua vita.

(Improvvisamente Marco, col coltello, d un forte colpo sulla tavola dove mangiano)

TITO - Che colpisci con quel coltello, Marco?

MARCO - Era una mosca, Tito, lho ammazzata.

TITO - Maledizione a te, brutto assassino!

Tu uccidi il mio cuore! Gli occhi miei

son sazi di spettacoli violenti!

A un fratello di Tito

non saddice dar morte a un innocente.

Via da me! Tu con me non puoi restare.

MARCO - Ma, mio signore, era solo una mosca

TITO - Solo! E se quella mosca aveva un padre

e una madre? Come potr pi stendere

quelle leggere alucce sue dorate

e andar ronzando lamentosi fatti

per laria? Povera mosca innocente!

Era venuta forse a rallegrarci

con quella sua ronzante melodia,

e lhai uccisa!

MARCO - Scusami, signore;

era una brutta mosca, tutta nera,

come quel Moro dellimperatrice.

Per questo lho ammazzata.

TITO - Oh, oh, oh!

Allora devi perdonarmi tu

per questo mio rimprovero, fratello:

tu hai compiuto un atto di piet.

Dammi allora il coltello,

voglio infierire anchio sopra di essa,

immaginandomi che sia il Moro

venuto apposta per avvelenarmi

(Colpisce anche lui la mosca col coltello)

Questo per te e questo per Tamora!

Ah, vile traditore!

Per non mi riesce di pensare

che saremmo caduti cos in basso

sia tu che io da uccidere una mosca

solo perch ci pare somigliante

ad un Moro colore del carbone.

MARCO - Ahim, povero Tito!

Il gran dolore gli ha stravolto il senno,

prende per vere ombre immaginarie!

TITO - Su, adesso sparecchiate.

E tu, Lavinia, vieni su con me,

andiamo nel tuo studio,

e leggeremo insieme tristi storie

accadute nei tempi dellantico.(88)

(Al Giovane Lucio)

Vieni anche tu, ragazzo, insieme a me;

tu hai la vista giovane,

seguiterai a leggere per noi,

quando la mia star per annebbiarsi.

(Escono tutti)


ATTO QUARTO

SCENA I - Roma, davanti alla casa di Tito.

Entra il GIOVANE LUCIO, correndo, con dei libri in mano; dietro di lui LAVINIA, come a rincorrerlo, ma il ragazzo le sfugge e nel fuggire fa cadere a terra i libri; poi TITO e MARCO

GIOVANE LUCIO - Aiuto, nonno, aiuto!

Zia Lavinia mi viene sempre dietro,

non so perch. Zio Marco, guarda tu

come minsegue Ahim, mia buona zia,

non capisco che cosa vuoi da me

MARCO - Stammi vicino, Lucio,

non devi aver paura di tua zia.

TITO - Tua zia, ragazzo, ti vuol troppo bene

per volerti far male.

GIOVANE LUCIO - S, quando il babbo era ancora a Roma,

me ne voleva, infatti.

MARCO - (A Lavinia)

Che vuol dire

mia nipote Lavinia con quei cenni?

TITO - Lucio, ragazzo mio, ma non temere.

Ti vuole dire qualcosa

Guarda come ti fissa intensamente;

vuole che tu la segua in qualche luogo

Ah, ragazzo, non mise tanto amore

Cornelia(89) ad educare i suoi figlioli

che lei nel leggerti dolci poesie

e lOratore del gran Marco Tullio.(90)

MARCO - Davvero non riesci a indovinare

perch ti viene assillando cos?

GIOVANE LUCIO - Non lo so, n riesco a indovinarlo;

a meno che un attacco di follia

non labbia clta. Ho udite spesso dire

dal nonno che un dolore troppo forte

fa uscire pazzi; e pazza di dolore

divenne, ho letto, Ecuba di Troia.(91)

Mi fa paura questo, mio signore,

anche se so che la mia buona zia

mi vuole bene come la mia mamma,

e non si metterebbe certamente

a spaventare un bimbo come me,

se non sotto un accesso di follia.

Perci ho buttato i libri e son fuggito

avanti a lei, forse senza ragione.

Ma se cos, perdono, dolce zia;

ti far volentieri compagnia,

se insieme a noi viene anche lo zio Marco.

MARCO - Verr, piccolo Lucio.

(Lavinia, aiutandosi coi moncherini, sta cercando qualcosa nei libri che Lucio ha lasciato a terra

TITO - Che c, Lavinia? Marco, che vuol fare?

C qualche libro chella vuol vedere

Quale, figliola? Aprili, ragazzo.

Ma tu leggi di meglio e sei pi colta,

vieni, scegli nella mia biblioteca,

se ci ti giovi a ingannare il dolore,

fino a quando ci scopriranno i cieli

il dannato che ha fatto questo scempio

sul tuo corpo Perch alza le braccia

cos, un dopo laltro, che vuol dire?

MARCO - Vuol dire, credo, che furon pi duno

i complici del fatto, s, pi duno

li alza al cielo a chiedere vendetta.

TITO - Smuove un libro Che libro quello, Lucio?

GIOVANE LUCIO - Le Metamorfosi di Ovidio, nonno,

Lho ricevuto in dono da mia madre.

MARCO - Allora forse lavr scelto apposta,

per ricordare lei, che se n andata.

TITO - Fermi! Guardate con quale interesse

tenta voltar le pagine. Aiutiamola.

(Laiuta)

Che vuoi trovare? Vuoi che legga qui,

Lavinia? Questa la tragica storia

di Filomela; e parla di Tereo

che la stupr, dopo averla ingannata.(92)

Ed ho paura proprio che uno stupro,

figliola, alla radice del tuo male.

MARCO - Guarda, fratello, guarda!

Osserva come indica le pagine!

TITO - Dunque vero, Lavinia, pure tu,

dolce bambina, come Filomela,

sei stata violentata ed oltraggiata,

e trascinata nellorrido anfratto

della boscaglia, immensa e senza scampo?

Vedi, vedi! S, c un posto cos

dove abbiamo cacciato

(oh, non ci fossimo mai, mai andati!)

proprio come descrive qui il poeta,

e sembra fatto apposta da natura

per ricettare stupri ed assassinii.

MARCO - Oh, perch creerebbe la natura

sul suo seno s immondi ricettacoli

se non perch gli di

si godono delle tragedie umane?

TITO - Bambina mia, facci capire, su,

con un qualunque tuo muto segnale,

ch qui ti trovi in mezzo ai tuoi parenti,

qual nobile romano ha tanto osato

da fare un tal ludibrio su di te.

Che non sia stato forse Saturnino,

sottrattosi furtivo dalla caccia,

come dal campo si part Tarquinio

per peccare nel letto di Lucrezia?(93)

MARCO - Siedi, dolce nipote, accanto a me;

siedi anche tu, fratello.

Apollo, Pallade, Giove, Mercurio,

ispiratemi voi, chio possa alfine

scoprire questo infame tradimento!

Ecco, fratello Qua, Lavinia, guarda:

qua c un tratto di sabbia livellata;

fa come me, cos, se ti riesce:

guida il bastone solo con la bocca.

(Marco, guidando coi piedi un bastoncello trattenuto con la bocca, traccia in terra il suo nome: MARCO)

Ecco, lo vedi, ho scritto qui il mio nome

senza aiutarmi affatto con le mani.

Adesso tu, da brava, nipotina

(sia maledetta per leterno lanima

di chi ti spinge a simili espedienti!),

cerca di scriver come ho fatto io,

e rivela qui sopra finalmente

ci che Dio vuole sia, per la vendetta.

Voglia guidare il cielo la tua mano

per tracciar chiaramente sulla sabbia

lorigine di questi tuoi tormenti

s che con queste mosse sia possibile

a noi qui di venire a conoscenza

dei traditori e della verit.

(Lavinia prende il bastoncino con la bocca e, aiutandosi coi moncherini, scrive qualcosa sulla sabbia)

Puoi leggere, fratello, ci che ha scritto?

TITO - (Leggendo per terra)

Stuprum, Chiron, Demetrius

MARCO - Come, come?

I tracotanti(94) figli di Tamora

autori dun tal sanguinoso scempio?

TITO - (c.s.)

Magni dominator poli,

Tam lentus audi scelera, tam lentus vidis?(95)

MARCO - Oh, clmati, mio nobile signore,

anche se quel che scritto qui per terra

bastante ad accendere a rivolta

i pi miti pensieri

e a far urlar vendetta anche agli infanti.

Mio signore, inginocchiati con me,

e tu, Lavinia, ed anche tu, ragazzo,

dolce speranza del romano Ettorre,(96)

inginocchiatevi, e con me giurate

- come giur il nobil Giunio Bruto

con linfelice sposo e con il padre

delloltraggiata casta sposa e figlia,

di vendicar lo stupro di Lucrezia -

di far su questi Goti traditori

mortal vendetta, s da veder scorrere

il loro sangue, o morire per lonta.

TITO - Questo sicuro, e tu gi lo sapevi.

Ma se vogliam cacciar questi orsacchiotti

dobbiamo fare attenzione alla madre:

si sveglier soltanto che ci fiuti;

fa stretta lega ancora col leone,

e se lo culla sulla propria groppa;(97)

e una volta che labbia addormentato,

fa quel che vuole lei.

Tu, come cacciatore, sei acerbo,

Marco, lasciami fare, penso io.

Ora mi devo andare a procurare

una lastra di rame:

sopra ci scriver queste parole

con una punta dacciaio e la lastra

la serber. Perch queste sabbie,

soffier via lirosa tramontana,

come fa con le foglie di Sibilla,(98)

e allora non ci rester pi nulla

della nostra lettura.

Che dici, tu, ragazzo?

GIOVANE LUCIO - Dico, signore, che se fossi grande,

per questi schiavi del giogo di Roma

non sarebbe nemmeno buon rifugio

la camera da letto della madre.

MARCO - Ah, bravo il mio ragazzo!

Cos ha fatto tuo padre tante volte

per servire questa sua patria ingrata.

GIOVANE LUCIO - E cos far io, zio, se vivr.

TITO - Su, vieni ora nella mia armeria,

io tequipagger di tutto punto;

e poi questo mio caro nipotino

dovr portare, a nome di suo nonno,

a entrambi i figli dellimperatrice

certi doni che ho loro destinato.

Su, vieni, vieni; glielo porterai,

il mio messaggio, vero?

GIOVANE LUCIO - Certo, nonno;

e glielo pianto in petto a tutti e due,

con questo mio pugnale.

TITO - Eh, no, ragazzo,

non cos. Ti dir io altro modo.

Vieni anche tu, Lavinia, insieme a noi.

Tu, Marco, resta a guardia della casa:

Lucio ed io ce nandremo a dar spettacolo(99)

a corte; e lo daremo, vivaddio!

E li sbalordiremo da morire!(100)

(Escono Tito, Lavinia e il Giovane Lucio)

MARCO - O cieli, e voi lass

potete udire il lamento di un giusto,

senza addolcirvi e aver di lui piet?

Marco, assistilo tu nel suo delirio:

ha pi atroci ferite sul suo cuore

che ammaccature di colpi nemici

sul suo scudo, ma uomo cos giusto

che non vorr nemmeno vendicarsi.

Pensino dunque i cieli

a far vendetta pel vecchio Andronico!

(Esce)

SCENA II - Roma, il palazzo imperiale.

Entrano, da un lato, ARONNE, DEMETRIO e CHIRONE, dallaltro il GIOVANE LUCIO con un servo che porta un fascio darmi su ciascuna delle quali sono appesi dei cartigli con sopra scritti dei versi.

CHIRONE - Demetrio, questi il figliolo di Lucio;

ha un messaggio per te, a quanto pare.

ARONNE - Qualche matto messaggio, senza dubbio,

da parte di quel matto di suo nonno.

GIOVANE LUCIO - Miei signori, con tutta lonest

di cui sono capace, ai vostri onori

porto il saluto di Tito Andronico.

(Tra s) E prego dentro me gli di di Roma

di sterminarvi entrambi.

DEMETRIO - Grazie, amabile Lucio. Quali nuove?

GIOVANE LUCIO - (Tra s)

Che siete stati tutte e due scoperti

- questa la nuova - come criminali

colpevoli di stupro.

(Forte)

Se vi piaccia,

mio nonno, in piena sanit di mente,(101)

vi manda a regalare, per mio mezzo,

i pi bei pezzi della sua armeria,

come omaggio alla vostra giovinezza,

speranza e onore della nostra Roma:

cos mha detto di significarvi,

e cos faccio offrendovi i suoi doni,

s che possiate, in caso di bisogno,

trovarvi armati come si conviene.

E con ci vi saluto.

(Tra s)

Infami scellerati, tutti e due!

(Escono il Giovane Lucio e il Servo, depositando le armi su un tavolo)

DEMETRIO - (Esaminando le armi)

E qui che c? Un rotoletto scritto

Vediamo un po che dice:

Integer vitae, scelerisque purus

Non eget Mauri jaculis(102) nec arcu.

CHIRONE - Ah, son versi dOrazio. Li conosco.

Li avevo letti a scuola di grammatica,

diverso tempo fa.

ARONNE - Bravo Chirone!

Proprio versi dOrazio. Hai fatto centro.(103)

Bah, ecco che vuol dire essere un asino!(104)

Ma questo scherzo non mi suona bene.

Il vecchio deve aver scoperto tutto,

e manda loro armi avvolte in versi

che, senza chessi ne siano coscienti,

li feriscono a fondo. Stratagemma

cui la nostra sagace imperatrice,

se non fosse ora a letto, applaudirebbe.(105)

Ma per ora lasciamola tranquilla

al suo travaglio.

(Forte)

Allora, giovanotti,

stata, s o no, una buona stella

a portarci qui a Roma,

forestieri, anzi, peggio, prigionieri,

per innalzarci poi a queste altezze?

Che piacere mi sono procurato

nel dire il fatto suo a quel tribuno

l, davanti allentrata del palazzo,

a portata dorecchio del fratello!(106)

DEMETRIO - Ma piacere maggiore provo io

nel vedere strisciar s bassamente

ai nostri piedi un cos gran signore

inviandoci doni a lusingarci.

ARONNE - E non ne aveva forse ben ragione?

Non avete trattato voi sua figlia,

Demetrio, pi che calorosamente?

DEMETRIO - Oh, s! Vorremmo avere, spalle a terra,(107)

a turno, mille dame romane,

da soddisfare la nostra lussuria!

CHIRONE - Augurio pio, di carit e damore!

ARONNE - Manca solo lAmen di vostra madre.

CHIRONE - Che sarebbe senzaltro pronta a darcelo

per altre ventimila come questa.

DEMETRIO - Su, andiamo a pregar per nostra madre

in travaglio di parto i nostri di.

ARONNE - (Tra s)

I diavoli! Gli di ci hanno lasciato.

(Trombe)

Che sono questi squilli

delle buccine dellimperatore?

CHIRONE - Forse squilli di gioia,

perch allimperatore nato un figlio.

DEMETRIO - Piano, chi viene?

Entra una nutrice con in braccio un neonato moro

NUTRICE - Buongiorno, signori,

di grazia, avete visto il Moro Aronne?

ARONNE - Beh, moro, s, pi o meno, bianco niente.(108)

Aronne qui. Che si vuole da lui?

NUTRICE - Nobile Aronne, ahim, siamo perduti!

Fa subito qualcosa,

o per te finito lo star bene.(109)

ARONNE - Ehi, ho, che sono questi miagolii!

Che cos che ti porti tra le braccia

maneggiandolo come un fagottello?

NUTRICE - Qualcosa che vorrei, ahim, nascondere

alla vista del cielo:

vergogna della nostra imperatrice,

e offesa per la maest di Roma.

S sgravata, signori, s sgravata!

ARONNE - Sgravata? Di che peso?

NUTRICE - Voglio intendere chella ha partorito.

ARONNE - Bene, gli di le diano un buon riposo.

Che le hanno mandato allora?

NUTRICE - Un diavolo.

ARONNE - Allora lei la madre del diavolo:

gioiosa figliolanza!

NUTRICE - Un triste frutto,

nero, infelice, orrendo. Eccolo, il bimbo:

schifoso come un rospo,

tra i bianchi figli del nostro paese;

limperatrice lo spedisce a te,

tuo stampo, tuo sigillo,

e tordina di dargli tu il battesimo

a punta di pugnale.

ARONNE - Sangue di Dio,(110) baldracca! dunque il nero

s vil colore? Dolce bocciolino,

sei davvero un bellissimo germoglio!(111)

DEMETRIO - Che hai fatto, scellerato?

ARONNE - Ho fatto quel che tu non puoi disfare.

DEMETRIO - Hai disfatto mia madre.

ARONNE - Tua madre me la son fatta, canaglia!

DEMETRIO - E lhai disfatta, cagnaccio dinferno!

La malasorte a lei,

e maledetta la sua turpe scelta!

E maledetto il frutto

dun immondo demonio come te!

CHIRONE - Non deve vivere!

ARONNE - Non morir.

NUTRICE - Deve, Aronne, cos vuole sua madre.

ARONNE - Ah, s, deve, nutrice?

Allora nessun altro fuor che io

uccida la mia carne ed il mio sangue.

DEMETRIO - Lo infilzo io il marmocchio

con la mia spada. Dammelo, nutrice,

questa lama lo spaccer in un colpo.

ARONNE - Prima ti squarto io con questa mia.

(Prende il bimbo dalle braccia delle nutrice

e sfodera la spada)

Fermi l, assassini scellerati!

Volete uccidere vostro fratello?

Ah, per le ardenti fiaccole del cielo

che risplendevano cos brillanti

quando fu generato questo bimbo,

trover morte sulla punta aguzza

della mia scimitarra chi per primo

si azzarder a toccare questo bimbo,

mio primogenito figlio ed erede.

E vi avverto, ragazzi, n Encelado,(112)

con tutta la sua minacciosa banda

della tifa progenie,(113)

n il grande Achille, n il dio della guerra

riusciranno a strappar questa preda

di tra le braccia di suo padre Aronne.

Via, via, voi ragazzotti rubicondi

dal cuore vuoto! Voi, muri imbiancati!

Insegne di taverna mal dipinte!(114)

Nero-carbone una sovrana tinta,

perch sdegna di contenerne unaltra,

e tutta lacqua che sta nelloceano

mai non potrebbe tramutare in bianche

le nere zampe del candido cigno,

sebbene esso le lavi ad ora ad ora

immerso nel suo flutto.

Dite allimperatrice da mia parte

che ho let per tenermi quel ch mio,

e che la prenda pure come vuole.

DEMETRIO - Vuoi tradire cos

colei ch la tua nobile signora?

ARONNE - La mia signora solo mia signora:

lui me stesso, vigoria ed immagine

della mia giovinezza;

questo lo metto avanti al mondo intero,

e, a dispetto del mondo,

lo salver; o qualcuno di voi

per questo fumer arrostito a Roma.(115)

DEMETRIO - Nostra madre ne rester coperta

di vergogna per sempre.

CHIRONE - E tutta Roma la disprezzer

per codesta sua sporca scappatella.

NUTRICE - Limperatore nella sua gran collera

la condanner a morte.

CHIRONE - Che vergogna!

Avvampo di rossore al sol pensarci.

ARONNE - il privilegio della tua bellezza.(116)

Puah, che grande schifo,

codesta vostra tinta ingannatrice,

che con il suo improvviso rossore

tradisce tutti i moti pi segreti

e i consigli del cuore! Ecco, guardate,

guardate invece questo fanciullino,

stampato con unaltra complessione,

guardate come il nero bricconcello

se la sorride al padre, come a dirgli:

Son degno del tuo ceppo, vecchio mio!

Ed , signori, lo vogliate o no,(117)

vostro fratello, dello stesso sangue

che ha dato a voi la vita

ed affrancato, nel venire al mondo,

da quello stesso grembo in cui voi stessi

siete stati prigioni;

vostro fratello da pi certa parte,(118)

quella materna, pur se sul suo viso

porta bene stampato il mio sigillo.

NUTRICE - Aronne, che dir allimperatrice?

DEMETRIO - Di tu, Aronne, che si deve fare,

e noi accetteremo il tuo consiglio.

Salva pure il bambino,

a patto che anche noi siam tutti salvi.

ARONNE - Bene, allora sediamoci a consiglio.

Restate dove siete,

mio figlio ed io vi avremo sottovento.(119)

Parlate, dite voi come scamparla.

(Siedono)

DEMETRIO - (Alla nutrice)

Quante donne hanno visto questo parto?

ARONNE - Bene, cos mi piace, miei signori!

Se siamo soci, io sono un agnellino;

ma se qualcuno osa sfidare il Moro,

non si gonfia cos il cinghiale in furia,

la leonessa di montagna, il mare

quand in tempesta, come tempestoso

si gonfia Aronne.

(Alla nutrice)

Allora parla, di,

quante persone hanno visto il bambino?

NUTRICE - La levatrice(120), io, e nessun altro

tranne limperatrice che lha fatto.

ARONNE - Limperatrice, tu e la levatrice

Un segreto si tiene meglio in due,

se il terzo non c pi.

Va dallimperatrice, e dille questo.

(La pugnala. La donna urla rantolando)

Uhiii! Huii!

Cos strilla il maiale

quando lo si prepara per lo spiedo.

DEMETRIO - Che diavolo ti salta in mente, Aronne?

Perch hai fatto questo?

ARONNE - Una mossa politica, signore.

Doveva vivere questa pettegola,

per dire a tutti questa nostra colpa?

No, no, signori. E adesso il mio disegno:

non lontano da qui

vive un mio conterraneo, certo Muli,(121)

sua moglie bianca,

e proprio ieri sera ha partorito.

Il figlio come lei,

bianco di carnagione, come voi.

Mettetevi daccordo con il padre,

date oro alla madre, dite loro

la situazione, e come il loro figlio

sostituendo il mio, si elever

tanto da essere considerato

come lerede dellimperatore,

cos placando questo temporale

che turbina nellaria della corte;

limperatore si coccoler

questo neonato come suo rampollo.

Ancora una parola, miei signori:

a lei come vedete,

(Indica il corpo della nutrice)

ho propinato la sua medicina:

a voi di provvedere al funerale,

qui non lontano laperta campagna,

e voi siete due giovani prestanti.

Ci fatto, senza porre alcun indugio,

mi manderete qui la levatrice.

Una volta che sian tolte di mezzo

levatrice e nutrice, il gioco fatto:

spettegolino pure le matrone

a corte, a loro pieno gradimento.

CHIRONE - I tuoi segreti, Aronne, a quanto vedo,

non li vuoi affidar nemmeno allaria.

DEMETRIO - Per questa tua premura per Tamora,

ella ed i suoi ti son molto obbligati.

(Escono Demetrio e Chirone)

ARONNE - E ora difilato dai miei Goti,

veloce come su ali di rondine,

per mettere al sicuro in mezzo a loro

questo tesoro che ho tra le braccia,

ed incontrarmi, in tutta segretezza,

con i parenti dellimperatrice.

Andiamo, piccolo labbrone mio,

ti porto via di qui,

perch sei tu che ci metti nei guai.

Ti nutrir di bacche e di radici,

di caglio e di ricotta,

e ti far allattare da una capra;

ti trover riparo in una grotta,

epenser io stesso ad allevarti

per far di te un guerriero

e un condottiero di eserciti in campo.

(Esce col bambino)

SCENA III - Roma, una piazza.

Entra TITO con delle frecce che recano attaccate alla punte delle lettere, poi MARCO, il GIOVANE LUCIO, LUCIO, PUBLIO, SEMPRONIO, CAIO ed altri, tutti imbracciando un arco

TITO - Avanti, avanti, Marco, miei parenti,

da questa parte.

(Al Giovane Lucio)

Avanti, signorino,

fammi vedere come tiri darco.

Bada a tenderlo bene e a mirar dritto.

Terras Astraea reliquit:(122)

ricordatelo, Marco, se n andata,

volata via. Mano agli arnesi, amici.

(A Lucio e suo figlio)

Voi due andrete a scandagliar loceano

e gettare le reti: forse in mare

la potrete pescare, anche se l

giustizia ce n poca, come in terra.

No, no, Publio e Sempronio,

voi due dovete fare unaltra cosa:

scavare con la zappa e con la vanga

fino al centro remoto della terra,

e, giunti alla regione di Plutone,

gli lascerete questa petizione,

che chiede, ditegli, giustizia e aiuto,

e che da parte del vecchio Andronico.

esacerbato nellingrata Roma.

Ah, Roma, quanto tho fatto infelice

nel riversare i suffragi del popolo

su uno che cos mi tiranneggia!

Andate, su, e vi prego, state attenti

a non lasciare ogni nave da guerra

senza averla ben bene perquisita:

perch questo malvagio imperatore

pu averla allontanata per via mare

la giustizia, ed allora, amici miei,

avremo un bel fischiarle dietro, noi!(123)

MARCO - Ah, Publio, che dolore,

veder cos sconvolto nella mente

il tuo nobile zio!

PUBLIO - Proprio per questo

dobbiam sentirci tanto pi obbligati

a stargli accanto sempre, giorno e notte,

assecondandolo affettuosamente

nelle sue stramberie, signori miei,

finch il tempo non generi un rimedio.

MARCO - Rimedio ai suoi dolori,

cari figlioli miei, non ce n pi.

Stringiamo dunque alleanza coi Goti,

e con loro scendiamo contro Roma,

in guerra di vendetta,

per punirla di tanta ingratitudine,

e contro il traditore Saturnino.

TITO - Allora, Publio? Allora, miei signori?

Che! Lavete trovata finalmente.?(124)

PUBLIO - No, mio dolce signore;

Plutone tuttavia ti manda a dire

che se cerchi vendetta,

potrai trovarla solo nellinferno,

perch in cielo, lui pensa, o in altro posto,

la giustizia talmente indaffarata

lass con Giove, che dovrai, se no,

aspettarla chiss per quanto tempo.(125)

TITO - Mi fa torto, a nutrirmi di rinvii.

Vuol dire allora che mi tuffer

nel lago ardente che sta sottoterra(126)

e la tirer su per i talloni

fuor dAcheronte. Noi non siamo, Marco,

che cespugli, non siamo cedri, noi,

n siamo uomini dalle grandi ossa

formati sullo stampo di ciclopi:

metallo, siamo acciaio, Marco, s,

fino alla schiena, ma siamo gravati

del peso di pi torti

che possan sopportare le nostre schiene.

E se non c giustizia sulla terra

n allinferno, ci volgeremo al cielo

e a smuovere gli di a mandar gi

Giustizia a vendicare i nostri torti.

E dunque, su, al lavoro.

(Distribuisce le frecce, ciascuna delle quali con un messaggio attaccato alla punta)

A te, Marco, tu sei un bravo arciere:

questa per te, ad Jovem;

questaltra prendila tu, Ad Apollinem;

questa me la riservo a me: Ad Martem;

qua, ragazzo, per te: questa per Pallade;

questa a te, per Mercurio;

e per te, Caio, questa, per Saturno

(non Saturnino, ch tanto varrebbe

mandarla controvento).

Pronti allora, ragazzo! Pronti, Marco

attenti al mio segnale!

Eh, perbacco, le ho preparate bene!

Non c un sol dio lasciato senza supplica!

MARCO - Sulla corte, parenti, tutti insieme:

dobbiam colpire con le nostre frecce

limperatore nella sua baldanza.

TITO - Pronti, allora: tirate!

(Tutti scoccano larco in aria)

(Al Giovane Lucio)

Bel colpo, Lucio! Bravo il mio ragazzo!

Proprio in grembo alla Vergine, perbacco!(127)

Adesso devi mirare su Pallade.

MARCO - Io ho mirato un miglio oltre la luna:

cos il tuo messaggio,

Tito, sta gi nelle mani di Giove.

TITO - Ah, Publio, Publio, guarda coshai fatto:

hai staccato dun colpo un corno al Toro!

MARCO - E il bello, Tito, stato poi che il Toro,

infuriato pel colpo ricevuto

ha dato un tale scossone allAriete,

che al Becco nella corte son cadute

le due corna.(128) E chi cera l a raccoglierle,

se non il drudo dellimperatrice?

Al che, quella, ridendo,

ha detto al Moro di portarle in dono

al suo padrone.

TITO - Bene, bene, cos!

Dia gioia Iddio alla sua signoria!

Entra un CONTADINO recando un cesto con due piccioni

Oh, oh, notizie! Marco, arriva posta

(Al contadino)

Ebbene, amico, che notizie porti?

Ci rechi qualche lettera dal cielo?

Avr giustizia? Jupiter che dice?

CONTADINO - Oh, chi, il giustiziere?(129)

Lui dice che le forche le ha smontate,

perch fino alla settimana prossima

nessun uomo devessere impiccato.

TITO - Ma io tho chiesto: Jupiter che dice?

CONTADINO - Ahim, io, questo Giuppiter, signore,

non lo conosco proprio, mi dispiace.

Mai bevuto con lui in vita mia.

TITO - Come, come, furfante,

allora tu non vieni qui a portare

CONTADINO - S, dei piccioni, signore, e nientaltro.

TITO - Come, come, non vieni tu dal cielo?

CONTADINO - Ohim, signore, io dal cileo? No.

E chi c mai andato? Dio mi scampi

dal farmi tanto ardito, cos giovane,

da voler arrivare fin lass!

No, no, sto andando con i miei piccioni

davanti al tribunale della plebe(130)

per via duna baruffa tra mio zio

ed un tale al seguito dellimperiale.(131)

MARCO - (A Tito)

Allora, questa loccasione buona,

per la tua petizione, mio signore:

potrebbe lui portar, da parte tua,

i due piccioni allimperatore.

TITO - (Al contadino)

Di un po, compare, saresti capace

di recitar con tutta buona grazia

una supplica allimperatore?

CONTADINO - No, in coscienza, signore: in vita mia,

in quanto a grazie non ne ho fatte mai.

TITO - Compare, poche chiacchiere: vien qua,

porta allimperatore i tuoi piccioni

da parte mia, e avrai da lui giustizia.

Prendi, toh, ecco intanto del denaro

pei tuoi servigi. Qua penna ed inchiostro.

Sei capace di presentar con garbo

una supplica, amico?

CONTADINO - S, signore.

MARCO - Allora tieni, la supplica questa.

Quando ti troverai davanti a lui,

per prima cosa devi inginocchiarti,

baciargli i piedi, offrirgli i tuoi piccioni

ed attendere poi la ricompensa.

Io pure sar l, poco distante.

Vedi di comportarti per il meglio.

CONTADINO - Non dubitare. Lascia fare a me.

TITO - Un coltello ce lhai con te, compare?

Su, fammelo vedere

(Il contadino estrae dalla tasca un coltello)

Ecco qua, Marco,

avvolgilo tu stesso nella supplica

perch sei stato tu a prepararla

nella forma di un umil supplicante.(132)

(Al contadino)

E tu, una volta consegnata al re

questa supplica, bussa alla mia porta,

e riferiscimi quel che ti ha detto.(133)

CONTADINO - Dio sia con te, signore. Lo far.

(Esce col cesto)

TITO - Marco, andiamo. Tu, Publio, seguirai.

(Escono)

SCENA IV - Roma, davanti al palazzo imperiale.

Entrano SATURNINO, TAMORA e i suoi due figli DEMETRIO e CHIRONE con guardie e altri. Saturnino ha in mano le frecce lanciategli da quelli di Tito.

SATURNINO - Ah, signori, che offese sono queste?

Si vide mai a Roma

cos insultato, beffato, oltraggiato

un suo imperatore,

e tutto ci per aver egli usato

una giustizia equanime e imparziale?

Voi siete a conoscenza, miei signori,

come lo son gli di onnipotenti,

contrariamente a quanto van ronzando

continuamente agli orecchi del popolo,

questi disturbatori della pace

che non s fatto nulla contro legge

a carico di quei due scellerati

cherano i figli del vecchio Andronico.

Che colpa abbiamo noi se le sue pene

gli hanno distorto il senno?

Dobbiamo farci affliggere cos

da queste sue minacce di vendetta,

dai suoi deliri, dalle sue amarezze?

Ed ora scrive addirittura al cielo

per ottener giustizia Ecco, guardate:

questa per Giove; questa per Mercurio,

questaltra per Apollo,

questultima per il dio della guerra:

dolci rotoli,(134) da far svolazzare

per le strade di Roma

E che cos tutto questo daffare

se non diffamazione del Senato,

calunnia seminata in ogni dove

a denigrare la nostra giustizia?

Un bello scherzo, eh?, signori miei!

Come andar proclamando che a Roma

non rimane un sol grammo di giustizia.

Ma fin chio sar vivo,

questi suoi finti accessi di follia

non gli varranno certo a far da schermo

a questi loro vergognosi oltraggi;

impareranno, lui e i suoi parenti,

che la giustizia a Roma viva e sana

finch sia vivo e sano Saturnino;

il quale, sessa mai si addormentasse,

la sveglier, e con modi s decisi,

che quella sar tanto furibonda,

da stroncare il pi scaltro congiurato.

TAMORA - Saturnino, grazioso mio signore,

sovrano di mia vita, mio diletto,

dei miei pensieri unico padrone,

fa di star calmo, e sopporta paziente

le offese che ti reca il vecchio Tito;

esse son frutto del suo gran dolore

per la perdita dei suoi prodi figli,

che lha certo colpito nel profondo

e gli ha sfregiato il cuore.

Cerca invece di porgere conforto

alla disperazione che lopprime,

e non di perseguir per questi oltraggi

il pi umiliato, se non il migliore

cittadino di Roma.

(Tra s)

In questo modo

convien che la scaltrissima Tamora

usi con tutti la vana lusinga.

Ma, Tito, tu sei gi ferito a morte,

e una volta spillato il sangue tuo,

se Aronne sar furbo,

tutto sicuro, lancora nel porto.

Entra il CONTADINO

Che c, buon uomo? Vuoi parlar con noi?

CONTADINO - Eh, s, in coscienza, se tu, signoria,

sei limperiale.

TAMORA - Io son limperatrice,

limperatore quello l seduto.(135)

CONTADINO - Ah, quello l?

(Avvicinandosi a Saturnino)

Iddio e Santo Stefano

ti dian la buonasera. Tho portato

una lettera e un paio di piccioni.

(Gli porge la lettera: Saturnino legge e subito):

SATURNINO - Portate via costui,

ed impiccatelo, immediatamente!

CONTADINO - Denari, niente? Non mi spetta niente?

TAMORA - La forca, s, compare.

CONTADINO - Per Giunone!,(136)

Io impiccato? Avr allevato un collo,

allora, perch faccia questa fine?

(Esce tra le guardie)

SATURNINO - Oltraggi e vituperi insopportabili!

Dovr tenermi queste atroci offese?

Io so la fonte donde scaturisce

questo provocatorio marchingegno.

Ma si pu tollerare tutto questo?

Come se quei felloni dei suoi figli,

mandati a morte secondo giustizia

per aver trucidato mio fratello,

fossero stati macellati a torto,

per colpa mia Cercatemi quel vile,

trascinatelo qui per i capelli:

questa volta n gli anni n la gloria

gli saran titolo di privilegio!

Tito, per questa tua boriosa beffa,

io sar il tuo carnefice,

furbastro e miserabile rottame,

che maiutasti a salire in grandezza

solo nella speranza desser tu

a governar su Roma e su di me!

Entra EMILIO

Che nuove, Emilio?

EMILIO - Armatevi, signori!

I Goti sono in campo,

e, con un nerbo duomini decisi,

assetati di preda,

a grandi marce avanzano su Roma

e alla lor testa il figlio di Andronico,

Lucio, il quale proclama minaccioso

di far vendetta come Coriolano.(137)

SATURNINO - Il bellicoso Lucio guida i Goti?

Questo annuncio mi fa gelare il sangue,

e reclinare il capo come fiore

di campo sotto il carico di brina

o comerba battuta dal maltempo.

Ah, che adesso cominciano i dolori!

Perch a lui che van le simpatie

del popolo. Io stesso li ho sentiti,

le volte che mi son portato in giro,

da comun cittadino in mezzo a loro,

commentare che stata una vergogna

il bando inflitto a Lucio,

e che lunanime lor desiderio

era davere Lucio imperatore.

TAMORA - Perch questa paura, mio signore?

Non forte la tua citt?

SATURNINO - S, s,

ma i cittadini suoi stanno per Lucio,

ed essi si ribelleranno certo a me

per prender le sue parti.

TAMORA - Imperatore!

Siano anche imperiali i tuoi pensieri,

come il tuo titolo! Si oscura il sole

se gli volano contro i moscerini?

Laquila lascia cantar gli uccellini

e non si cura di ci chessi dicono,

certa di poter spegnere a suo libito

quelle lor cinguettate melodie

solo con lombra delle sue grandi ali.

Cos tu questi frivoli Romani.

Animo, dunque! E sappi, imperatore,

che col vecchio Andronico, sapr io

come incantarlo con parole dolci

ma insidiose, com lesca pel pesce,

o il gambo di trifoglio per la pecora,(138)

luno quando dallesca vien ferito,

e laltra infetta dal gustoso pasto.

SATURNINO - Ma si rifiuter sicuramente

dintercedere presso il figlio Lucio.

TAMORA - Non lo far, se sar io, Tamora,

ad implorarlo. Ch sapr s bene

intenerire le sue vecchie orecchie,

ed inondarle di ricche promesse

che, fossanche il suo cuore inespugnabile

e sorde le sue orecchie, orecchie e cuore

dovran ben obbedire alla mia lingua.

(A Emilio)

Va da lui, quale nostro ambasciatore,

fagli sapere che limperatore

gli chiede di poter parlamentare

col bellicoso Lucio, in casa sua,

e fissa tu con lui stesso lincontro.

SATURNINO - S, compi, Emilio, questa tua missione

degnamente: e se mai chiedesse un pegno

per la sua sicurezza, digli pure

che chieda quello che meglio desidera.

EMILIO - Far tutto con ogni diligenza.

(Esce)

TAMORA - Andr anchio dal vecchio Andronico,

e lo convincer con le mie arti

a distogliere lorgoglioso Lucio

dai bellicosi Goti. E tu rinfrncati,

mio dolce imperatore, torna allegro,

e seppellisci tutti i tuoi timori

sotto le coltri della mia sagacia.

SATURNINO - S, va da lui, e sii buona avvocata.

(Escono)


ATTO QUINTO

SCENA I - Piana nei pressi di Roma con alberi

Entra LUCIO alla testa di un esercito di Goti, con vessilli e tamburi

LUCIO - Prodi guerrieri, miei fedeli amici,

ho ricevuto dalla grande Roma

lettere che mi lasciano capire

qual odio portino allimperatore

i cittadini e con quanta impazienza

atteso l da tutti il nostro arrivo.

Perci, degni signori,

come vi dicono i vostri titoli,

siate imperiosamente insofferenti

dei torti ricevuti fino ad oggi;

e dogni offesa che Roma vha fatta

esigete una triplice rivalsa.

UN GOTO - Prode rampollo del grande Andronico

il cui nome, una volta a noi terrore,

oggi conforto, e le cui alte gesta

lingrata Roma ora gli ripaga

con volgare disprezzo,

abbi salda fiducia in tutti noi:

ti seguiremo dove tu vorrai,

come api pungenti,

che nel pi arso giorno dellestate

seguon sui campi in fiore la regina

per far vendetta sullempia Tamora.

TUTTI - Come lui ti diciamo tutti noi!

LUCIO - E a lui, e a tutti voi, io dico grazie

umilissimamente. Ma chi viene

scortato da quel valoroso Goto?

Entra un GOTO conducendo ARONNE che ha in braccio il suo bambino

GOTO - Illustre Lucio, mero allontanato

dal luogo overano le nostre truppe

per andare a osservare le rovine

dun vecchio monastero l da presso;

locchio era fermo a guardare quei ruderi,

intento ad osservar quelle rovine,

quando dun tratto mi viene allorecchio

sotto un muro il vagito dun bambino.

Muovo verso quel suono,

e distinguo una voce

che cercava di trattener cos

il pianto di quel bimbo:

Buono, sta buono, nero bricconcello,

per met me e per met tua madre!(139)

Se non ci fosse questo tuo colore

a proclamare di chi sei progenie,

e se natura non tavesse dato

di tua madre soltanto questo aspetto,

tu, bastardello mio,

potevi diventare imperatore.

Ma quando toro e vacca

sono entrambi colore bianco-latte,

il lor vitello non potr mai essere

color nero-carbone

Zitto, mio dolce birbantello, zitto!

- seguitava a gridare quella voce -

Ora ti porto da un mio fido Goto

che quando avr saputo per mia bocca

che sei il figlio dellimperatrice,

per amor di tua madre ti avr caro.

Al che io, di sorpresa, estratta larma,

con un balzo gli son saltato addosso

e lho portato qui davanti a te:

fanne tu quello che ritieni meglio.

LUCIO - O encomiabile Goto,

questo quel diavolo in carne e ossa

che priv della sua gloriosa mano

Tito Andronico, ed la perla allocchio

della vostra regina,(140) e questo il frutto

turpe della focosa sua lussuria.

(Ad Aronne)

Dimmi, tu, schiavo dallocchio sbiadito,(141)

dove avevi intenzione di portare

questimmagine in crescita

di cotesta tua faccia di demonio?

Che! Sei sordo? Ti manca la parola?

Soldati, qua una corda:

impiccatelo ai rami di questalbero

e il suo frutto bastardo accanto a lui.

ARONNE - Non toccate il bambino!

di sangue reale.

LUCIO - troppo il padre

per riuscire a qualcosa di buono.

Impiccatelo avanti a lui linfante,

chegli possa vederlo dimenarsi

e lacerarsi il cuore. Qua una scala.(142)

ARONNE - Salva il bambino, Lucio,

e portalo per me allimperatrice.

Se prometti di farlo,

ti sveler straordinarie cose

che ti potranno assai giovare a udirle.

Se no, accada quel che pu accadere;

non ti dir pi nulla, salvo questo:

Che la vendetta vi stermini tutti!

LUCIO - Ebbene, parla, Aronne,

e se mi piacer quel che dirai

tuo figlio sar salvo,

mi curer io stesso di allevarlo.

ARONNE - E se ti piacer!. Ma saran cose

quelle chio ti dir, Lucio, che a udirle,

sta sicuro, ti strazieranno lanima,

perch dovr parlarti di assassinii,

di stupri, di massacri, azioni nere

come la notte, fatti abominevoli,

ribalderie, complotti, tradimenti,

delitti paurosi solo a udirli,

ma gi impietosamente messi in atto.

E tutto questo rimarr sepolto

nella mia morte, se tu non mi giuri

che mio figlio vivr.

LUCIO - Ebbene parla,

di quel che sai, e tuo figlio vivr.

ARONNE - Me lo devi giurare, ed io comincio.

LUCIO - Giurare! Tu non credi in nessun dio.

Su chi giurare? Come puoi tu credere

alla sacralit dun giuramento?

ARONNE - vero chio non credo, ma che importa?

So che tu sei credente,

e che possiedi dentro un qualche cosa

che chiamano coscienza,

insieme a mille trucchi e cerimonie

dosservanza papista(143)

che tho gi visto praticar con zelo;

per questo esigo da te un giuramento,

poich so che un idiota

che tiene per un dio da venerare

la sua mazza di legno da buffone(144)

e giura su quel dio, poi lo mantiene;

perci a giurar su quello lincoraggio.

Cos io ti sollecito a giurare

su quel dio che tu veneri ed adori,

qualunque sia, che salverai la vita

a questo mio bambino,

e che lo nutrirai e alleverai:

altrimenti non ti rivelo niente.

LUCIO - Lo far, te lo giuro sul mio dio.

ARONNE - Per prima cosa voglio che tu sappi

che io lho avuto dallimperatrice.

LUCIO - Oh, femmina insaziabile e lasciva!

ARONNE - Poh, Lucio, appetto a tutto quel che udrai

questo pu dirsi un atto di bont.(145)

Sono stati i suoi figli

a uccidere Bassiano; ed essi sempre

a tagliare la lingua a tua sorella,

a violentarla, a mozzarle le mani

e ad acconciarla come tu lhai vista.

LUCIO - Maledetta canaglia!

E tu chiami acconciare quello scempio?

ARONNE - E come allora? Prima fu bagnata,

poi lavata e acconciata,

un ben acconcio spasso per quei due.(146)

LUCIO - Oh, barbari, bestiali malfattori,

e tu con loro!

ARONNE - Infatti, le istruzioni

su come fare gliele ho date io.

La lussuria lhan presa dalla madre:

pi sicura di quella, non c carta

per vincere partite di quel genere;

ma lo spirito sanguinario, credo,

lhanno appreso da me: il miglior cane

chabbia mai azzannato per la gola.(147)

E delle mie capacit in questo,

prova ti sia quello sto per dirti:

ho spinto io nellinsidiosa buca

i tuoi fratelli; ho scritto io la lettera

raccattata per terra da tuo padre;

ho io trovato il nascondiglio alloro

del quale si parlava in quella lettera;

il tutto combinato in pieno accordo

con la regina e con i suoi due figli.

Ma c una sola cosa da me fatta

di cui non hai motivo di dolerti,

e nella quale io non abbia impresso

la mia perfidia? Sono stato io

a recitare lingannevol gioco

che costato a tuo padre la sua mano;

e quando lho sentita nelle mie,

mi son dovuto fare un po da parte,

perch per poco mi scoppiava il cuore

dal gran ridere, e da una crepa al muro

ho spiato il momento

in cui tuo padre ha ricevuto, in cambio

della mano, le teste dei suoi figli.

E nel guardare da l le sue lacrime

mi venne s da ridere, che gli occhi

mi piovevano, come quelli suoi.

Quando poi alla vostra imperatrice

ho narrato la macabra burletta,

ella quasi svenuta dal piacere,

e non so quanti baci mha scoccato

per le belle notizie che le davo.

UN GOTO - E tutto questo puoi tu raccontare

senza mai arrossire?

ARONNE - Gi, come il cane nero del proverbio.(148)

LUCIO - N hai alcun rimorso

per queste orrende malefatte?

ARONNE - S,

di non averne fatte mille in pi.

E maledico il giorno - anche se penso

sian pochi i giorni che ho da maledire -,(149)

in cui non ho commesso alcun misfatto

degno di fama: assassinare un uomo,

o progettarne altrimenti la morte,

o violentare una fanciulla vergine,

o escogitare il modo di arrivarci,

o accusare qualcuno ch innocente

e giurare di non averlo fatto;

o fomentar mortale inimicizia

fra due persone state sempre amiche;

o far rompere il collo allanimale

appartenente a qualche poveraccio;

o appiccare di nottetempo il fuoco

ai fienili e granai, e ai proprietari

dire di spegnerli col loro pianto.

Ho tratto fuori i morti dalle tombe

per andare a piazzarli, dritti in piedi,

alle porte dei loro famigliari,

che avevan quasi scordato il dolore,

e col pugnale, sulla loro pelle,

ho inciso, come su corteccia dalbero,

a lettere romane: Non sia morto

in voi il dolore, anche sio son morto.

Ma son migliaia gli orrendi misfatti

perpetrati con la disinvoltura

di chi uccide una mosca;

e, in verit, niente maffligge il cuore

pi del pensiero dessere impotente

a commetterne ancora diecimila.

LUCIO - Calate gi quel diavolo,(150)

morir non deve di morte s dolce

e rapida com limpiccagione!

ARONNE - Se i diavoli esistessero,

vorrei essere io uno di quelli,

e vivere e bruciar nel fuoco eterno,

pur di averti a compagno nellinferno

e starti a tormentare tutto il tempo

con la mia lingua amara.

LUCIO - Miei soldati, tappategli la bocca!

Che pi non possa dire!

Entra un GOTO

GOTO - Un messaggero da Roma, signore;

chiede dessere ammesso in tua presenza.

LUCIO - Che venga avanti.

Entra EMILIO

Benvenuto, Emilio.

che notizie da Roma?

EMILIO - Nobile Lucio, e voi, principi goti,

limperatore romano, a mio mezzo,

vi manda il suo saluto; avendo appreso

che siete scesi in armi, chiede a te

di venire con lui a parlamento

in casa di tuo padre, ben disposto,

se tu volessi ostaggi in garanzia,

a consegnarteli immediatamente.

UN GOTO - Che risponde il nostro generale?

LUCIO - Limperatore consegni a mio padre

e a mio zio Marco i suoi ostaggi, Emilio,

e noi verremo a parlamento. In marcia.

(Fanfara. Escono marciando)

SCENA II - Roma, davanti alla casa di Tito.

Entrano TAMORA, DEMETRIO e CHIRONE travestiti(151)

TAMORA - Ecco, cos abbigliata,

in questa strana e sinistra tenuta,

incontrer Andronico

e gli dir che sono la Vendetta

mandata a unirmi a lui da sottoterra

per far vendetta degli odiosi torti

da lui sofferti. Bussate al suo studio,

dove sta chiuso, dicono,

a ruminare complicate trame

di feroce vendetta, ed informatelo

che la Vendetta ora qui in persona

venuta apposta per unirsi a lui

nello sterminio dogni suo nemico.

Demetrio e Chirone bussano. TITO appare nel soppalco.

TITO - Chi disturba le mie meditazioni?

Se questo vostro un trucco,

per farmi aprir la porta

affinch le mie nere decisioni

volino via, e sia vanificato

cos tutto il mio studio, vingannate,

perch ecco, guardate, il mio progetto,

lho scritto col mio sangue in queste righe,

e quel che scritto qui sar eseguito.

TAMORA - Ascolta, Tito, son qui per parlarti.

TITO - No, non una parola. Con nessuno.

Come posso dar forza al mio parlare

se mi manca una mano

per animar la parola col gesto?

Tu sei avvantaggiata su di me,

perci niente parlare.

TAMORA - Tito, non parleresti in questo modo,

se sapessi chi sono.

TITO - Chi sei tu

lo so anche troppo, non son mica pazzo.

Questo mio infelice moncherino,

queste strie rosso-sangue su di esso,

questi solchi scavati sul mio viso

dal duolo e dagli affanni;

le dolorose notti e i duri giorni

da me trascorsi e tutto il mio dolore,

testimoniano che so ben chi sei:

sei la nostra altezzosa imperatrice,

la possente Tamora. Sei venuta

forse per amputarmi laltra mano?

TAMORA - Uomo infelice, io non son Tamora.

Tamora tua nemica.

Io sono tua alleata, la Vendetta,

mandata a te dai regni dellinferno

per ammaestrare il vorace avvoltoio

che ti divora il senno, e insieme a te

fare sui tuoi nemici aspra vendetta.

Scendi pertanto a darmi il benvenuto

in questo chiaro mondo,(152) e insieme a me

a ragionar di morte e dassassinio.

Non c vuota caverna o nascondiglio,

non vasta oscurit, brumosa valle

dove possan celarsi, impauriti,

lassassinio, o laborrito stupro,

senza chio trovi il modo di stanarli

e di far rintronare i loro orecchi

del mio terribile nome, Vendetta,

a cui tremare ogni turpe malfattore.

TITO - Tu, la Vendetta? E sei mandata qui

per essere tormento ai miei nemici?

TAMORA - S, perci scendi e dammi il benvenuto.

TITO - Prima per devi farmi un servizio.

L, al tuo fianco, ci sono, come vedo,

lo Stupro e lAssassinio:

se vuoi provarmi desser la Vendetta,

uccidi a pugnalate luno e laltro,

oppure falli stritolare a pezzi

sotto le ruote del tuo equipaggio.(153)

Io verr allora a farti da cocchiere

e ce ne andremo insieme turbinando

intorno agli emisferi della terra.

Procrati due buoni palafreni

neri come il giaietto,

che traggano veloci per il mondo

il tuo carro che reca la vendetta

e vadano a scovare gli assassini

nel profondo delle lor ree caverne,

e una volta che il carro sar carico

delle lor teste mozze, io smonter

e a piedi ne verr sempre trottando

da servile staffiere alla sua ruota,

da quando a oriente si leva Iperione(154)

fino al momento in cui si tuffa in mare;

e affronter, un giorno dopo laltro,

questa fatica, se tu uccidi qui,

lo Stupro e lAssassinio.

TAMORA - Ma questi, Tito, sono i miei ministri,

e vengono con me.

TITO - I tuoi ministri?

Come si chiamano?

TAMORA - Stupro e Assassinio,

cos chiamati perch fan vendetta

sugli autori di questi due delitti.

TITO - Buon Dio, come somigliano, per,

ai figli dellimperatrice, e tu

come somigli a lei, limperatrice

Ma noi mortali abbiamo occhi fallaci,

miseri, folli. Vengo dunque a te,

dolce Vendetta. E se ti pu bastare

la stretta dun sol braccio, scendo subito

per abbracciarti.

(Si ritira dal soppalco)

TAMORA - (Ai figli)

Questo suo consenso(155)

saccorda bene con la sua pazzia.

Qualunque cosa mi venga di dire

per dar esca agli umori suoi malati,

voi datemi bordone

associandovi a me nel sostenerla;

perch egli mi crede la Vendetta,

ed io, con lui sprofondato com

in questa folle idea, lo spinger

a far venire qui suo figlio Lucio;

e mentre questi, a banchetto con me,

si riterr tranquillo e fiducioso,

inventer l l qualche espediente

per far che sia disperso e sparpagliato

lesercito dei suoi maldestri Goti,(156)

o almeno che gli tornino nemici.

Eccolo. Prepariamoci alla recita.

Entra TITO

TITO - tanto che sto solo e derelitto

in attesa di te. Sii benvenuta,

in casa mia, albergo del dolore,

temuta Furia. Stupro e Assassinio

anche voi siate molto benvenuti.

Ma come somigliate, tutti e tre,

alle persone dellimperatrice

e dei suoi figli; se ci fosse il Moro,

sareste proprio uguali.

Tutto linferno non sapeva darvi

un tal demonio per vostro compagno?

Perch limperatrice, io lo so,

non muove passo se non ha con s

un Moro: e la sua immagine perfetta,

a voler darla bene, sempre meglio

mettere accanto a lei un tal demonio.

Benvenuti, comunque, quali siete!

Allora, che facciamo?

TAMORA - Questo lo devi dire tu, Andronico.

DEMETRIO - Mostrami un assassino,

ed io te lo sistemo l, allistante.

CHIRONE - Mostrami un vile che ha commesso stupro,

ed io son qui mandato per punirlo.

TAMORA - Mostrami mille che than fatto torto,

ed io te li castigo, quanti sono.

TITO - (A Demetrio)

Va per le scellerate vie di Roma,

buon Assassinio, e da unocchiata intorno,

e se ne incontri uno come te,

pugnlalo, che quello un assassino.

(A Chirone)

Tu, bravo Stupro, accompgnati a lui,

e se ne trovi un altro come te,

pugnlalo, che uno stupratore.

(A Tamora)

Tu va con loro: alla corte imperiale

c una regina servita da un Moro;

la riconoscerai dalle fattezze

che sono in tutto identiche alle tue:

falli morire di morte violenta,

ti prego, tutti e due, come violenti

sono stati con me e con i miei.

TAMORA - Ci hai bene istruiti, lo faremo.

Adesso tuttavia, buon Andronico,

non ti dispiaccia di mandar qualcuno

da Lucio, il tuo tre volte prode figlio,

che guida contro Roma

una schiera di bellicosi Goti,

e invitalo a venire qui a banchetto,

in casa tua; e quando sar qui,

proprio in mezzo al solenne tuo convito,

io far venir qui limperatrice,

i suoi figli, lo stesso imperatore

e tutti i tuoi nemici:

dovran tutti chinarsi al tuo cospetto

e inginocchiarsi e implorare merc;

e tu potrai sfogare su di loro

allora tutta lira del tuo cuore.

Come ti sembra questo mio progetto?

TITO - Marco! Fratello! Vieni!

linfelice Tito che ti chiama.

Entra MARCO

Va, buon Marco, da tuo nipote Lucio;

dovrai andarlo a cercare tra i Goti;

pregalo di venire qui da me

e di condurre anche secolui

qualcuno dei pi alti capi goti;

digli di acquartierare i suoi soldati

dove ora si trovano;

fagli sapere che limperatore

verr a banchetto con limperatrice

a casa mia, e lui sar con loro.

Fa ci per amor mio, e raccomanda

di far lo stesso a lui, se gli sta a cuore

la vita del suo vecchio genitore.

MARCO - Va bene, vado e torno.

(Esce)

TAMORA - Vado anchio ora a lavorar per te,

e mi porto con me i miei ministri

TITO - No, no, Stupro e Assassinio

restano qui con me;

altrimenti richiamo mio fratello

e non accetter altra vendetta

se non quella di Lucio.(157)

TAMORA - (A bassa voce ai figli)

Che dite, figli? Rimanete qui

con lui; io vado dallimperatore

a riferirgli come ho ben condotto

la trappola che abbiamo congegnato.

Conviene assecondarlo

nelle sue strane fantasie, lisciatelo,

parlategli con garbo, e rimanete

con lui qui fin chio sia tornata.

TITO - (A parte)

Li ho ben riconosciuti, tutti e tre.

Mi ritengono pazzo.

Ma io li irretir nelle lor trame,

questa coppia di cani dellinferno,

maledetti, e la loro madre cagna.(158)

DEMETRIO - (A parte, a Tamora)

Va pure, madre, noi restiamo qui.

TAMORA - Arrivederci, Tito; la Vendetta

va ora ad intrecciare quella trama

che dovr intrappolare i tuoi nemici.

TITO - Lo so, dolce Vendetta, arrivederci.

(Esce Tamora)

CHIRONE - Dicci ora, vecchio, che vuoi che facciamo?

TITO - Oh, lavoro per voi ce nho ad usura.

(Chiama)

Publio, Caio, Valentino, venite!

Entrano PUBLIO, CAIO e VALENTINO

PUBLIO - Che desideri, zio?

TITO - Conoscete chi sono questi due?

PUBLIO - S, Chirone e Demetrio,

mi pare, i figli dellimperatrice.

TITO - Vergogna, Publio, ti sbagli di molto:

Assassinio luno, e laltro Stupro;

cos si chiamano; perci, da bravo,

Publio, lgali bene bene stretti,

mentre voi due, Caio e Valentino,

li trattenete. Tante volte udito

avete me che invocavo questora:

ecco, essa venuta.

Legateli, perci, ma bene stretti,

se gridano, tappate lor la bocca.

(Esce mentre i tre afferrano Demetrio e Chirone)

CHIRONE - (Divincolandosi)

Fermi, canaglie, fermi! Gi le mani!

Noi siamo i figli dellimperatrice.

PUBLIO - E perci noi facciamo esattamente

quel che ci fu ordinato.

Tappiamo loro ben bene la bocca,

che non dicano pi una parola.

ben legato questo?

Guardate di legarli bene stretti.

Rientra TITO con LAVINIA; Tito ha in mano un coltello, Lavinia regge tra i moncherini un bacile

TITO - Vieni, Lavinia, vieni. Eccoli, guarda,

i tuoi carnefici son qui legati.

Tenete loro ben chiusa la bocca,

ragazzi, non lasciate che mi parlino;

devono solo stare ad ascoltare

le parole tremende che dir.

O Chirone e Demetrio, scellerati!

Eccola qui la limpida sorgente

che voi avete imbrattata di fango,

questa ubertosa estate

che avete mescolato al vostro inverno.

Voi siete stati a ucciderle il marito,

e per questatto infame, due fratelli

suoi sono stati condannati a morte,

la mia mano tagliata

e fatta oggetto di pubblica beffa;

voi le avete strappato via la lingua,

e mozzato le sue soavi mani,

e violato, di tutto pi preziosa,

la sua intemerata castit,

con la forza, inumani traditori.

Ora, se pure vi lasciassi parlare,

che direste, canaglie? Per vergogna,

non sapreste nemmeno chieder grazia.

Udite, ora, esecrandi miserabili,

in che modo vi voglio martoriare.

Ecco, mi resta ancora questa mano

per tagliarvi la gola,

mentre Lavinia con i suoi monconi

mi sorregge il bacile

per raccoglier linfame vostro sangue.

Vostra madre ha intenzione - lo sapete -

di banchettar con me; mi crede pazzo,

e per questo si fa chiamar Vendetta.

Ascoltatemi bene, scellerati:

triturer le vostre ossa in polvere,

e con essa, impastata al vostro sangue,

far una pasta e con questa una sfoglia

per fare delle vostre teste infami

due pasticci farciti, e inviter

quella puttana della vostra madre

a ingoiare la stessa sua progenie,

come i suoi figli la gran madre Terra.(159)

Ecco il banchetto al quale lho invitata,

ed ecco il cibo chella ingozzer,

voi due avete usato di mia figlia

peggio che us Tereo di Filomela;(160)

ed io, peggio di Progne, su di voi

far la mia vendetta. A me la gola!

Su, Lavinia, raccogli il loro sangue,

e quando saran morti dissanguati,

triturer le loro ossa in polvere

da impastare con questo odioso liquido,

e in quellimpasto le lor empie teste

saranno messe al forno ed arrostite.

Avanti, ognuno qui si dia da fare

per allestire questo gran banchetto

che dovr dimostrarsi pi spietato

e cruento di quello dei Centauri.(161)

(Taglia la gola ai due)

Ecco, adesso portateli in casa:

io far il cuoco e li preparer

in tempo per larrivo della madre.

(Escono coi corpi dei due sgozzati)

SCENA III - Cortile nella casa di Tito

Tavola imbandita. Entrano LUCIO, MARCO e alcuni GOTI che conducono ARONNE in catene.

LUCIO - Zio Marco, se volere di mio padre

chio me ne torni a Roma, anche il mio.

GOTI - Ed anche il nostro, accada quel che vuole.

LUCIO - Zio, per favore, prendi tu in consegna

questo barbaro Moro,

questa tigre famelica,

questo dannato diavolo dinferno,

che rimanga in catene e senza cibo

fino a tanto che non sia stato messo

a faccia a faccia con limperatrice

perch ci sia lui stesso testimone

di tutte le di lei scelleratezze;

e bada che sia fatta buona guardia

dai nostri amici,(162) che limperatore

non ci riserbi qualche brutto scherzo.

ARONNE - Mi suggerisca un diavolo allorecchio

maledizioni e insegni alla mia lingua

come fare per farmi schizzar fuori

tutto il veleno che mi gonfia il cuore!

LUCIO - Via, cane snaturato, empia canaglia!

Signori, date mano allo zio Marco,

per trascinarlo dentro.

(Escono i Goti trascinando Aronne)

(Trombe)

I trombettieri dellimperatore!

Entrano SATURNINO, TAMORA, EMILIO, senatori, tribuni e altri

SATURNINO - Ebbene, il firmamento ha pi dun sole?

LUCIO - Che ti vale chiamar sole te stesso?

MARCO - Imperatore di Roma e nipote,

vogliate dare inizio al negoziato,

senza beccarvi;(163) queste controversie

han da esser discusse in tutta calma.

qui pronto il banchetto

che il diligente Tito ha preparato

per un nobile scopo:

per la pace, lamore, lamicizia

ed il bene di Roma. Accomodatevi.

Prenda ciascuno a tavola il suo posto.

Al suono di oboi, entra TITO vestito da cuoco e dispone i piatti sulla tavola; con lui entra LAVINIA, velata in volto, il GIOVANE LUCIO e altri.

TITO - Benvenuto signore e mio sovrano,

benvenuta temuta mia regina;

e benvenuti voi, guerrieri goti;

benvenuto tu, Lucio, e tutti gli altri.

Se pur la mensa povera allaspetto,

avr di che saziare i vostri stomachi.

Cominciate a mangiare, ve ne prego.

SATURNINO - Perch ti sei cos vestito, Tito?

TITO - Volevo assicurarmi di persona

che tutto fosse a posto e in tutto degno

di te e della tua imperatrice.

TAMORA - Bravo Tito, ti siamo molto grati.

TITO - E lo saresti ancor di pi, signora,

se mi potessi leggere nel cuore.

(A Saturnino)

Imperiale signore, una domanda.

Toglimi questo dubbio:

fu ben fatto da parte di Virginio

uccidere sua figlia, furibondo

perch ella era stata violentata,

macchiata nellonore e deflorata?(164)

SATURNINO - Direi di s, Andronico, fu ben fatto.

TITO - Perch, secondo te, potente sire?

SATURNINO - Perch sua figlia non sopravvivesse

alla vergogna, e con la sua presenza

non rinnovasse di continuo a lui

quel dolore.

TITO - Ragione travolgente,

forte, risolutiva: un vero esempio,

un precedente, un modello vivente

per me, sventuratissimo,

a comportarmi nello stesso modo.

Muori, muori, Lavinia,

e con te muoia la tua ignominia,

e con la tua ignominia

muoia anche il dolore di tuo padre.

(Uccide Lavinia a pugnalate)

SATURNINO - Che hai fatto, snaturato e disumano?

TITO - Ho ucciso la creatura

per cui ho pianto fino ad accecarmi.

Anchio, come Virginio,

sono un padre straziato, e pi di lui

ho ragione di fare quel che ho fatto.

SATURNINO - Che! Era stata anchella violentata?

Dimmi chi stato.

TITO - Ma non vuoi mangiare?

Vuol forse digiunare il mio sovrano?

TAMORA - Perch hai trucidato in questo modo

la tua unica figlia?

TITO - Non io luccisa, ma i tuoi due figli;

essi lhanno stuprata, violentata,

le han mozzato la lingua,

essi hanno consumato su di lei

questo orribile scempio!

SATURNINO - Cercateli e portateli qui subito.

TITO - (Mostrando il piatto)

Ma eccoli, son qui davanti a te,

entrambi cucinati in quel pasticcio

di cui con tanto gusto la lor madre

s pur ora cibata, ingurgitando

la carne da lei stessa partorita.

Cos , cos , n testimone

laguzza punta di questo coltello.

(Pugnala Tamora. Saturnino si scaglia a sua volta su di lui, lo pugnala e lo uccide)

SATURNINO - Muori, pazza canaglia,

per questatto dannato!

LUCIO - Occhio di figlio

pu veder sanguinare a morte il padre,

senza far niente? No. Mancia per mancia:(165)

morte per chi d morte!

(Uccide Saturnino)

MARCO - O voi, figli di Roma, cittadini

divisi dai tumulti rattristati,

come stormo duccelli migratori

dispersi dalle raffiche dei venti,

lasciate chio vinsegni come fare

come raccogliere in un unico fascio

tutte le vostre spighe sparpagliate

e come riunire in un sol corpo

queste membra disperse,

perch Roma non sia mortal veleno

a se stessa, e non abbia a diventare,

mentre potenti regni a lei sinchinano,

simil a un disperato fuorilegge

da tutti derelitto, procurandosi

fine ingloriosa con le proprie mani.

Ma se i segni di brina sul mio capo

e i solchi degli anni sul mio viso,

per quanto siano austeri testimoni

dunesperienza vera, non son tali

da indurvi ad ascoltar le mie parole,

(A Lucio)(166)

parla tu, che vuoi anche bene a Roma,

come parl quel primo nostro avo

quando nel suo fatidico linguaggio

narr allorecchio tristemente attonito

duna Didone malata damore

di quella notte funesta di fuoco,

quando gli astuti Greci

sorpresero la Troia di re Priamo.

Dicci quale Sinone

riuscito a stregarci le orecchie,

e chi ha introdotto la fatale macchina

tra le mura di Roma,

per infliggere a questa nostra Troia

la ferita della civil contesa.(167)

Il mio cuore non selce n acciaio,

e non riesco a esprimere a parole

tutto lamaro delle nostre angosce

senza evitare che fiumi di lacrime

affoghino il mio e lo interrompano

proprio nel punto in cui dovrebbe indurvi

a restarmi pi attenti

e a suscitarvi un moto di piet.

Ma con me pi giovin condottiero

di Roma; vi racconti lui i fatti,

io sto da parte ad ascoltarlo e a piangere.

LUCIO - Bene; e allora, cortesi ascoltatori,

sia noto a tutti voi che gli assassini

del fratello del nostro imperatore

sono Chirone e il dannato Demetrio;

che sono stati loro a violentare

mia sorella Lavinia;

che pei neri misfatti di quei due

furon decapitati i mei fratelli,

fatto dileggio il pianto di mio padre

e lui stesso, con il pi vile inganno,

amputato di quella stessa mano

che tante volte avea brandito larmi

a difesa di Roma

e spedito alla tomba i suoi nemici.

Io stesso, messo ingiustamente al bando,

le porte di citt chiusemi in faccia,

cacciato via a mendicare in lacrime

conforto presso i nemici di Roma;

che davanti alle mie sincere lacrime

soffocaron la loro inimicizia

e mi apriron le braccia come amico.

Io sono dunque - sappiatelo bene -

il rinnegato che col proprio sangue

ha conservato a Roma il suo benessere

distogliendo dal suo petto la punta

dellacciaio nemico, audacemente

ringuainandolo nel proprio petto.

Ahim, io non son uomo, lo sapete,

uso ad andar vantando i propri meriti:

le cicatrici mie, anche se mute,

testimoniano che quello che dico

giusto e vero. Ma non mi dilungo

ad elogiare i miei indegni meriti.

E se lho fatto adesso, perdonatemi.

Ma quando gli uomini son senza amici,

a lodarli, si lodano da soli.

MARCO - Ora forza, per, che parli io.

Guardate questo infante:

(Indica il bimbo nero di Aronne)(168)

del suo peso sgravata s Tamora,

frutto dun empio Moro

che stato larchitetto principale,

lartefice di tutti i nostri mali.

Lo scellerato vivo, e sta qui, dentro,

nella casa di Tito,

ed egli stesso vi confermer

quello che dico. Giudicate voi

se Tito avesse o no buone ragioni

di far vendetta su ciascun di loro

di queste atrocit, insopportabili

al di l dogni umana tolleranza.

Ecco, Romani, adesso avete udito

tutta la verit. Diteci voi

se abbiamo agito male e come e in che,

e noi da questo posto ove parliamo,

poveri resti, noi, degli Andronici,

tutti insieme, la mano nella mano,

ci butteremo gi a capofitto,

e, sfracellati sulle aguzze pietre,

andremo ad esalare le nostre anime

dando comune fine al nostro ceppo.

Parlate, dunque, Romani, parlate,

e se direte che dobbiamo farlo,

eccoci, noi, la mano nella mano,

Lucio ed io siamo qui, pronti a buttarci.(169)

EMILIO - Scendi, scendi, Romano venerabile,

e conduci con te, ma gentilmente,

la mano nella mano,

colui che sar il nostro imperatore!

Ch tale so che lo proclamer

con un sol grido la voce del popolo.

Evviva Lucio imperatore!

TUTTI - Evviva

Lucio regale imperador di Roma!

MARCO - (Al popolo)

Entrate, entrate nella triste casa

del vecchio Tito e trascinate fuori

quellempio Moro, che sia condannato

a una morte terribile, squartato

di tutte le sue membra ad una ad una,

castigo duna vita scellerata.

Molti popolani entrano in casa di Tito, da cui escono, scendendo dal soppalco e venendo in primo piano, MARCO, LUCIO, il GIOVANE LUCIO e altri

TUTTI - Evviva Lucio, nostro imperatore!

LUCIO - Grazie a voi, nobilissimi Romani!

Possa io governar la nostra Roma

s da sanarne tutte le ferite

e spazzare il dolore dal suo viso!

Ma concedetemi, gentile popolo,

un attimo di pausa,(170)

chio possa adempiere a un grave dovere

che mimpone la stessa mia natura.(171)

(Savvicina al cadavere di Tito)

Fatemi largo intorno,

tu, zio, avvicnati ed insieme

versiam lossequio delle nostre lacrime

su questo corpo. Oh, accogli, padre mio,

sulle tue pallide labbra di gelo

questo fervido bacio e sul tuo volto

ingrommato di sangue queste lacrime

ultimo ossequiodi tuo figlio Lucio.

(Bacia il cadavere di Tito)

MARCO - Lacrima a lacrima e bacio a bacio

aggiunge sulle tue labbra, amoroso,

il tuo fratello Marco: se infinita

e sconfinata fosse pur la somma

da pagare per questi miei tributi,

oh, di che cuore io li pagherei!

LUCIO - (Al Giovane Lucio)

Vieni, ragazzo, vieni accanto a noi,

ed impara da noi a lagrimare.

Tuo nonno ti voleva tanto bene,

quante volte tha fatto saltellare

sopra le sua ginocchia,

quante volte tha fatto addormentare

con la sua ninna nanna,

il suo petto amoroso tuo cuscino!

Quante belle storielle tha narrato,

e tesortava a ritenerle a mente

perch tu le potessi raccontare

quandegli non ci fosse stato pi!

MARCO - Quante volte - migliaia! - quelle labbra,

povere labbra senza pi sospiro,

si sono riscaldate sulle tue!

Su quelle dolci labbra ora, ragazzo,

posa lultimo bacio,

dgli il tuo addio e affidalo alla tomba:

compi questultimo gesto gentile

e prendine congedo.

GIOVANE LUCIO - O nonno, nonno!

Dieci volte la mia vita darei(172)

perch potessi tu tornare a vivere!

Il pianto, padre, non mi fa parlare,

le lacrime mi soffocano in gola

il fiato, se soltanto apro la bocca.

Rientrano gli uomini di Marco con ARONNE

UN ROMANO - O afflitti Andronici,

cessate per un poco il vostro pianto

e pronunciate la vostra sentenza

contro questo esecrato criminale

ideatore e strumento lui stesso

di tutti questi atroci accadimenti.

LUCIO - Sia affondato in terra fino al petto,

e l lasciato a morire di fame,

a urlare e a vaneggiare per il cibo!

Ed a chiunque dia soltanto il segno

daiutarlo o daver di lui merc,

si commini la morte.

Questa la nostra ultima sentenza.

Qui rimanga qualcuno

per controllar chei resti conficcato

saldamente per terra.

ARONNE - Ah, e la rabbia

dovrebbe dunque rimanere muta,

e senza voce lira? Un bambinello

non sono, da pentirmi con preghiere

e vili piagnistei di tutti i mali

che ho consumato. Diecimila ancora,

e ancor peggiori ne commetterei,

potendo agire a pieno mio talento.

E se una buona azione, anche una sola,

possa mai aver fatto in vita mia,

dessa mi pento dal fondo dellanima.

LUCIO - Qualche devoto amico porti via

da qui il corpo dellimperatore,

e sadoperi a dargli sepoltura

nella tomba dei suoi progenitori.

Mio padre sia sepolto, con Lavinia,

nel sepolcreto nostro di famiglia.

Quanto a Tamora, questa tigre ingorda,

per lei nessuna esequie, nessun lutto,

nessun rintocco di campana a morto.(173)

Sia gettata alle bestie ed agli uccelli,

per esser loro preda,

perch bestiale stata la sua vita,

ed ora chessa morta

si prendano di lei piet le bestie.(174)

(Escono tutti)

FINE


(I) Il personaggio immaginario; non c nessun imperatore romano di tal nome.

(II) Poich il nome latino Andronicus, piano (o breve e i lunga) anche nella pronuncia italiana il nome piano; tale nel verso, per la metrica.

NOTE

(1) Questa indicazione della presenza sulla scena di un monumento funebre la trovo introdotta per la prima volta dal Lodovici. Uomo di teatro egli stesso e drammaturgo illustre, s avveduto dellincongruit di un rito funebre, qual quello che si svolge sulla scena, in assenza di qualsiasi cenno alla presenza del cenotafio.

(2) Flourish: uno dei tanti segnali musicali del teatro shakespeariano; su questo e sugli altri dello stesso tipo, v. la nota preliminare alla mia traduzione del Re Lear.

(3) Aloft: il piano superiore (upper stage) del palcoscenico elisabettiano. I personaggi si rivelano al pubblico allapertura delle tende della galleria allinizio della scena. uno dei casi in cui la didascalia enter non indica necessariamente che i personaggi entrano in scena.

(4) nor wrong mine age with this indegnity, letteralm.: n fate torto alla mia et (al mio diritto di primogenitura) con questo affronto.

(5) keep then this passage to the Capitol: questo passaggio la piazza dove si trovano; Bassiano incita i suoi a custodirlo (keep) cio a impedire che vi passi altri che lui.

(6) Il Campidoglio per Shakespeare la sede del governo di Roma; cos in Giulio Cesare, cos in Coriolano.

(7) from where he circumscribed with his sword: circunscribed, cio costretto, chiuso tuttintorno entro confini obbligati

(8) Invocazione a Giove Capitolino.

(9) Here Goths have given me leave to sheathe my sword: quellhere sta indicare che Tito si riferisce ai prigionieri goti l presenti, con lironia per del vincitore, evidenziata da quel mhan fatto concessione.

(10) Ai Mani dei (nostri) fratelli: i Mani (Manes) erano per i Romani le anime dei morti, gli spiriti benigni dei defunti, considerati come divinit.

(11) Questa didascalia dellinginocchiarsi di Tamora a Tito suggerita al traduttore dal noto disegno depoca, conosciuto come il manoscritto di Longleat dal luogo in cui stato ritrovato (la biblioteca dei marchesi di Bath nel loro castello a Longleat ai confini tra il Wiltshire e il Somerset); il disegno, attribuito al giovane Henry Peacham (1578-1643?), scrittore e disegnatore, sarebbe una sua impressione grafica della rappresentazione del dramma cui avrebbe assistito, e mostra appunto Tamora inginocchiata a Tito con i suoi figli che chiedono la grazia per Alarbo. Un negro gigantesco (Aronne) li indica e tiene sospesa una spada sul loro capo. Sotto il disegno la scritta: Entra Tamora che invoca la grazia per i suoi figli che vanno allesecuzione capitale; scritta, per la verit, piuttosto ambigua e dovuta forse alla fretta, perch i figli che vanno a morte non sono due ma uno solo, Alarbo, appunto; ma il disegno interessante soprattutto come testimonianza dei costumi usati dagli attori elisabettiani nella rappresentazione di drammi romani e storici in genere.

(12) piety: il concetto della pietas romana al quale la barbara Tamora si appella, la pietas che devozione agli di, alla patria e alla famiglia. Si vedr che questo valore principe delletica romana totalmente scomparso dai personaggi di questa vicenda truculenta da basso impero, a cominciare dallo stesso Tito.

(13) Was never Scythia half so barbarous.: La Scizia, il paese degli Sciti, appellativo indeterminato di tutte le trib nomadi che avevano sede a nord del Mar Nero e del Caspio, sino allinterno dellAsia orientale, era famosa, a torto o a ragione, per la crudelt dei suoi abitanti: a torto rispetto a Roma, secondo Demetrio.

(14) Allusione alla leggenda omerica di Polimnestore, re di Tracia, partecipante con Agamennone alla guerra di Troia. Dopo aver condotta in moglie Ilione, la pi anziana delle figlie di Priamo, aveva anche condotta con s prigioniera la madre di questa, la regina Ecuba, alla quale uccise prima la figlia Polissena, poi il figlio Polidoro. La vecchia regina latrando come cane pel dolore (Dante, Inf., XXX, 16-21), si vendic recandosi nella sua tenda e accecandolo; dopodich Agamennone la releg in unisola deserta.

(15) Il testo ha semplicemente la felicit di Solone(Solons happiness): a Solone attribuito da Erodoto il detto: Non dite felice nessuno finch non morto.

(16) This palliament: pallium, specie di ampio mantello, derivato ai Romani dai Greci, indossato a Roma dagli aspiranti al consolato. Ai tempi della prima repubblica, secondo Plutarco (v. al riguardo il Coriolano di Shakespeare), consisteva in una rozza tunica detta la tunica dellumilt (the vesture of humility), come quella portata dalla povera gente e dagli schiavi.

(17) Cos nel testo.

(18) knighted in field: ma, ahim, il conferimento dellonorificenza di cavaliere sul campo (field knighthood) pratica della cavalleria medioevale!

(19) and wean from themselves: and con valore concessivo (pur di, a costo di) frequente in Shakespeare. Andronico ha scelto di lasciare il campo a favore di Saturnino, che il maggiore dei due principi, malgrado sappia che laltro, Bassiano, innamorato di sua figlia Lavinia.

(20) Titano era uno degli appellativi del sole, dal fatto che suo padre Iperione era uno dei Titani.

(21) Il testo ha suum cuiqueche , per evidenti ragioni metriche, la forma contratta di suum cuique tribuere, il terzo precetto del noto brocardo del diritto romano Honeste vivere, alterun non laedere, summ cuique tribuere; per altrettali esigenze metriche labbiamo resa nella equivalente nota formula evangelica unicuique suum.

(22) Questa sorpresa di Saturnino (il testo ha esplicitamente: Surprised!) lascerebbe intendere che questi, dopo che la fanfara ha suonato, si sia intrattenuto a parlare con Tamora, e non abbia assistito al successivo dialogo fra Tito, Bassiano e Lucio.

(23) In realt, non cera stata vanteria alcuna da parte di Tito nel sollecitare il suffragio del popolo a favore di Saturnino; ma questi mente volutamente a rinfacciargli la vanteria, nel tentativo li liberarsi da qualsiasi obbligo verso di lui.

(24) that dunpimg piece: limmagine della monetina che passa da una mano allaltra (J.C. Maxwell, New Arden Shakespeare, 1953).

(25) like the stately Phoebe mongst her nymphs: a quale Febe si alluda qui, incerto. Le Febe della mitologia classica erano due: una figlia di Urano e di Gea (la Terra), profetessa a Delfo prima di Apollo; laltra, che ebbe da Apollo un figlio. Ma nessuna delle due era ninfa; a meno che qui Shakespeare non voglia alludere a Diana, la divinit lunare, chiamata Febe per attrazione da Febo, il sole suo fratello (cos nel Sogno duna notte di mezza estate, I, 1, 209: Tomorrow night, when Phoebe doth behold).

(26) Il testo parla qui di prete (priest), di acqua santa (holy water) e di ceri (tapers) che erano tutti ingredienti e apparecchiature della cerimonia nuziale del tempo di Shakespeare.

(27) whose wisdom has her fortune conquered: whose wisdom si presta, grammaticalmente, ad esser riferito sia a Saturnino che a Tamora. Nel primo caso da intendere, con il Lodovici ed altri: la saggezza del quale (Saturnino) ha sconfitto la fortuna avversa (di lei); ma ci sembrato che Shakespeare voglie far dire a Saturnino che Tamora, accettando di essere sua sposa, si conquistata la sua buona sorte, da avversa che essa era.

(28) if all the rest will speed: riuscire a farmi cedere alle insistenze; ma frase di senso ambiguo, ed ha ragione, secondo noi, chi la intende come espressione di stizzoso risentimento di Tito verso il figlio Marzio che lo implora nel nome di figlio, per opposto alla commozione cui lo muove limplorazione del fratello Marco nel nome di fratello.

(29) Lepisodio cantato da Sofocle nellAiace, che per improbabile che Shakespeare conoscesse. Secondo la leggenda greca, Ajace Telamonio, morto Achille, aspir ad ottenere le armi di lui, sapiente opera di Vulcano; ma i capi greci le assegnarono ad Ulisse. Aiace, impazzito dallira, fece strage di tutto il bestiame che si trovava nel campo greco davanti a Troia e commise altre stravaganze; quando torn in s, si vergogn a tal punto che si uccise. Ulisse, in generoso riconoscimento del suo valore, propose lui stesso di dare alleroe degna sepoltura, e volle pronunciare lui stesso lelogio di lui alle esequie.

(30) to the man that brought her for this high good turn so far: luomo chiaramente il moro Aronne, ma come fanno Tito e Marco a sapere che questi lamante segreto di Tamora?

(31) Only thus much I give your grace to know: letteralm.: Solo questo do a conoscere a vostra grazia. Qui, come altrove, il testo unautentica orgia di vostra grazia, mio signore, principe, gentiluomo, signora, ecc., titoli e modi di colloquiare del tempo di Shakespeare, con limmancabile you. Stranamente, sono pochi i traduttori - tranne, a mia conoscenza, il solo Agostino Lombardo - che non hanno avvertito come certe leziosit cortigiane non esistessero nella Roma di Tito Andronico, producendo cos un italiano artificioso, inverosimile e spesso grottesco.

(32) Cio Alarbo, che i figli di Tito, come s visto, hanno squartato e bruciato al rogo in sacrificio propiziatorio agli di per la loro vittoria e il loro ritorno a Roma.

(33) Lendecasillabo tolto di peso dal Lodovici. Il testo ha: What we did was mildly as we might, letteralm.: Ci che facemmo fu fatto pi dolcemente che potemmo.

(34) I swore I would not part a bachelor from the priest: cio che la sposer (Tamora).

(35) Cos nel testo, storpiato francese per grand mercy, molte grazie. Lanacronistico uso del francese fra Romani del basso impero , a giudizio di molti critici, segno della rozzezza e della sciatteria del copione di questa tragedia, e specialmente di questo primo atto che appare veramente privo della minima scintilla poetica di Shakespeare, tanto da aver confortato, in molti, lopinione che tutto latto sia opera daltri (di George Piele, per i pi).

(36) La didascalia dellin-quarto dice qui Escono tutti tranne Aronne, evidente svista del copione, a riprova che originariamente il dramma, come tutti gli altri di Shakespeare, non fosse diviso in atti con relativi intervalli. ( noto che la divisione in atti e scene venuta con Nicholas Rowe, nel 1700).

(37) and mount her pitch: metafora tratta dal linguaggio della falconeria; pitch la quota massima raggiunta dal falcone nel suo volo.

(38) Prometeo, secondo il mito greco, fu incatenato da Zeus ad una rupe del Caucaso per aver rubato il fuoco allOlimpo e averlo dato agli uomini.

(39) Semiramide, la regina di Assiria e Babilonia divenuta leggendaria per la sua lussuria che libito fe licito in sua legge (Dante, Inf., V, 56).

(40) Con questo monologo il moro Aronne, che era rimasto muta comparsa per tutto il primo atto, entra prepotentemente in scena per assumere una parte cospicua nel dramma. Tamora ha sottomesso al suo fascino Saturnino di Roma, Aronne la descrive come la sua schiava damore, a lui sottomessa: il personaggio si propone dun colpo come il pi potente di tutti; proprio lui - come osserva il Serpieri (note alla sua traduzione, Garzanti, 1989) - che per il colore della sua pelle appare come il pi barbaro agli occhi del pubblico.

(41) Clubs, clubs!: Bastoni, bastoni!, riferimento, per sineddoche, ai bastoni di cui erano armate le guardie - non a Roma ma nella Londra di Shakespeare - per sedare le risse, assai frequenti nelle strade e nelle taverne.

(42) a dancing-rapier: cos era chiamato, nel costume dei nobili della fine del sec. XVI, lo spadino che si portava al fianco solo per figura (e non necessariamente per il ballo come intendono molti).

(43) and should the empress know this discords ground, the music will not please: gioco di parole sul doppio significato di discord, sostantivo, che vale discordia ma anche discordanza, dissonanza in senso musicale, e di ground, che vale motivo, ragione ma anche basso in senso musicale (il basso che fa da bordone alla melodia).

(44) Vulcans badge: cio le corna. Vulcano, bruttissimo, aveva avuto in sposa da Zeus la bellissima Venere, in ricompensa dei fulmini forniti al padre degli di per abbattere i Giganti. Ma Venere lo trad con Marte, dal quale ebbe addirittura cinque figli: Armonia, Anteros, Fobos, Demos e Eros.

(45) by the keepers nose, letteralm.: sotto il naso del suo guardiano. Il paragone con la femmina del cervo quanto mai pertinente: queste bestie oggi sono protette e molto sorvegliate, per evitare di far estinguere la razza con la caccia.

(46) some certain snatch or so would serve your turns?: qui ha inizio e va avanti fino alla fine della scena, tutto un gioco di sottintesi sessuali sotto il gergo venatorio. Snatch sta per caccia o anche ratto, ma in gergo popolare sta per atto sessuale consumato alla svelta (quello che i romani chiamano bottarella); serve you turn sta per servire al tuo scopo, ma anche fare un servizio sessuale. Cos lintende Chirone e cos doveva intenderlo il pubblico.

(47) Aaron, thou has hit it.: anche qui to hit colpire il bersaglio, ma anche, nel solito gergo lubrico, consumare latto sessuale (Ha cogliuto buono o tiro, canta una famosa canzone napoletana, per dire la stessa cosa).

(48) Lucrezia, la matrona romana violentata da Tarquinio e suicidatasi per la vergogna, era per i Romani il simbolo della castit eroica femminile. Nello stesso anno in cui appariva questo dramma (1594), Shakespeare pubblicava appunto il suo poemetto Il ratto di Lucrezia (The Rape of Lucretia). I riferimenti a questa storia sono frequenti nel teatro shakespeariano (cfr. Macbeth, II, 1, 55; Cimbelino, II, 2, 12-14).

(49) single you thither then your dainty doe: prosegue la metafora della caccia. To single il verbo usato per indicare la manovra di separare lanimale dal branco, per colpirlo.

(50) with her sacred wit,/ To villany and vengeance consecrate: sacred, consecrate, questa insistenza di Aronne su questa sacralit di Tamora va intesa - come osserva il Serpieri (op. cit.) - in senso ironico: Aronne, sebbene amante di Tamora, sta sempre in una posizione di superiorit nei confronti di lei, come di tutti gli altri.

(51) La Fama - non la sua casa ma la sua personificazione - era, secondo i Romani, un fanciulla con le ali tutte piene di occhi e di lingue (non di orecchi), e munita di due trombe con una delle quali propagava la verit, con laltra la bugia. v. sopra.

(52) there speak, and strike and take your turn: per il senso di take your turn v. sopra la nota (46).

(53) Latino per Sia lecito o no. Curioso questo Goto che parla latino, e che mostra, pi sotto, un bel grano di erudizione!

(54) Latino per: Son trasportato per le stigie plaghe, in mezzo alle ombre dei mani. Per Manes v. sopra la nota (10).

(55) will beget a very excellent piece of villany: il secondo monologo di Aronne, implicitamente rivolto al pubblico in forma di coro, che d il tocco finale alla presentazione del personaggio, il villain shakespeariano ritagliato sul modello della grande tragedia classica senechiana. Aronne - nota il Melchiori (G. Melchiori, Shakespeare, Laterza, Bari, 1994, pag. 34) - certamente reminiscenza del crudelissimo schiavo moro protagonista della terza parte delle Novelle del Bandello che Shakespeare deve aver letto nella traduzione francese fatta da Louis de Belleforest nel terzo volume delle sue Histoires tragiques (1576 -1579), dalle quali ha tratto poi anche lAmleto.

(56) Chi sono coloro cui si riferisce Aronne? Sono verosimilmente tutti i postulanti che ricevono, per una ragione o unaltra, denaro dalle casse dellimperatore. Quelle casse sono ora vuotate, e quindi essi ne ricevono danno. Il suo eccellente capolavoro di furfanteria sar che quelloro, rubato allerario, dovr fornir la prova che i figli di Andronico hanno fatto assassinare Bassiano da un cacciatore al quale quelloro stato dato in compenso; prova che lo stesso Aronne fornir, fingendo di ritrovare il sacchetto.

(57) their yellowing noise: yellowing qui da intendere nel senso di shading out, detto di qualcosa che ingiallendo perde il suo colore come le foglie dautunno, come let che invecchia (cfr. Macbeth, V, 3,2: My way of life/ Is falln into the sere, the yellow leaf: La mia vita/ giunta al punto in cui sul suo cammino/ la foglia si fa secca ed ingiallita). Tutta questa battuta di Tamora sicuramente di mano di Shakespeare, perch uno dei tocchi di autentica poesia che si trovano nel dramma.

(58) Enea, principe troiano. Lepisodio cantato da Virgilio nel IV libro dellEneide.

(59) Saturn is dominator over mine: Saturno era la divinit simbolo dellafflizione; era rappresentato nella iconografia classica come un vecchio canuto e barbuto, dallaspetto grave e triste, per ricordare la prigionia in cui laveva tenuto Giove prima di scacciarlo dal cielo. (Cfr. anche in Tanto trambusto per nulla, I, 3: I wonder thst thou - being as thou says thou art - born under Saturn: Mi stupisce che uno come te, /nato sotto linflusso di Saturno, / come tu dici).

(60) il primo riferimento alla favola della principessa ateniese di tal nome, narrata da Ovidio nel VI libro della Metamorfosi, e sulla quale Shakespeare certamente ha modellato la vicenda dalla sua Lavinia. Essa cos narrata da Igino (Favole, XIV): Il tracio Tereo, che aveva sposato Progne, figlia di Pandione, si rec ad Atene e al suocero chiese in moglie laltra figlia di nome Filomela, dicendo che Progne era morta. Pandione acconsent e lasci partire Filomela in compagnia di alcuni servi; ma Tereo gett in mare questi e costrinse la cognata a scendere a terra e a seguirlo in un vecchio abituro, e quivi la stupr. Tornato in Tracia, affid Filomela alla moglie del re Linceo, amico di Progne, di nome Letusa. Questa accompagn subito da Progne la giovinetta oltraggiata, e le due donne, per vendicarsi di Tereo, uccisero Iti, figlio di lui e di Progne, e ammannirono a Tereo le sue membra alla mensa, poi fuggirono. Ma gli di, per sottrarle allinseguimento di Tereo, mutarono Progne in rondine e Filomela in usignolo. A Filomela/usignolo Shakespeare far tagliare la lingua, s chessa non possa pi cinguettare.

(61) Altro riferimento al mito greco. Atteone, cacciatore allievo del centauro Chirone (maestro anche di Achille), fu mutato in cervo da Artemide (la Diana dei Romani) e poi sbranato dai suoi stessi cani, per aver osato di guardare la dea mentre si bagnava nuda con le sue ninfe.

(62) Your swarty Cimmerian: Aronne nero, e Bassiano lo paragona ad un cimmerio, uno del favoloso popolo dei Cimmeri, che si diceva vivesse in perpetua oscurit.

(63) here nothing breeds: letteralm.: nulla si genera (o cresce).

(64) at the dead time of the night: letteralm.: nellora morta della notte.

(65) urchins: porcospini ma anche spiriti maligni.

(66) Lalbero del tasso funereo (hellish) perch si credeva che potesse far morire chi si fosse addormentato alla sua ombra.

(67) Ay, come, Semiramis: lesortazione di Lavinia lascia intendere chella inviti Tamora a finire lopera e ad uccidere anche lei.

(68) This minion: minion nellinglese antico era sinonimo di pretty, dainty.

(69) and with that painted hope: painted in senso figurato nellinglese antico era sinonimo di feigned, artificial, pretended illusorio e falso in genere.

(70) Non nel testo.

(71) Altro riferimento alle Metamorfosi ovidiane, IV, 55-166: Piramo, in un convegno notturno con la sua Tisbe, trova il mantello di lei intriso di sangue, e crede sia stata sbranata da un leone; perci si uccide. La vicenda ricordata da Shakespeare anche altrove: nel Sogno di una notte di mezza estate, dove la rappresentazione della stessa da parte degli artigiani in onore delle nozze di Teseo occupa, in chiave farsesca, una parte cospicua dellopera; nel Mercante di Venezia, V, 6-9: E pure in una notte come questa /Tisbe, sfiorando con trepido passo/ i prati gi coperti di rugiada,/ avendo visto lombra delle belva,/ se ne fugg atterrita e discinta .

(72) Cocito, il lago gelato dellInferno, al centro della terra, in cui sono posti i traditori e in cui infisso a mezzo corpo Lucifero; brumosa la bocca di Cocito non , perch i dannati, secondo che li descrive Dante, vi son sepolti nella ghiaccia, come festuca in vetro, non possono muoversi n respirare. Ma Shakespeare non conosceva Dante.

(73) of this timeless tragedy: di questa prematura tragedia; prematura perch avvenuta prima, anticipando la trama descritta nel foglio.

(74) la prima vendetta di Tamora su Andronico e figli: si ripete, rovesciata, la situazione della prima scena del primo atto, dove era lei, Tamora, ad inginocchiarsi a Tito per implorare inutilmente la grazia per suo figlio Alarbo; qui Tito ad inginocchiarsi a Saturnino, per i suoi figli, e Tamora, nella sua perfidia, gli promette ipocritamente di intercedere per loro. A questo punto, in mancanza di altre stage instructions, si deve intendere che i due fratelli e il cadavere di Bassiano siano tratti fuori dal fosso: altrimenti non si comprende lesortazione di Tito a Lucio a non indugiarsi a parlare con loro.

(75) V. sopra la nota (60).

(76) V. sopra la nota (20). Le tre bocche sono, si capisce, i due moncherini e la bocca.

(77) Il testo ha: as Cerberus at the Thracian poet, come Cerbero ai piedi del cantore tracio. Orfeo il mitico cantore della Tracia, alla musica della cui lira si fermavano le correnti dei fiumi, e si muovevano le selve e le montagne, e le belve dimenticavano la loro ferocia. Prese parte alla spedizione degli Argonauti, e salv gli eroi dalle Sirene col canto, in opposizione ad esse. Scese nellAde alla ricerca dellamata Euridice e con la sua lira vinse le ombre del Tartaro e i tristi di dellErebo Anche il nocchiero della palude infernale (Caronte) pos il suo remo e venne ad ascoltare(Seneca, Ercole sul monte Oeta, 1060 e segg.).

(78) Si adotta la lezione urns ripresa da molti dalledizione shakespeariana di Sir Thomas Hanmer (Oxford, 1743, 6 voll.) come emendamento alla lezione ruins, (queste antiche rovine) che figura nelle edizioni pi antiche. sempre una metafora per occhi: urne nel senso foscoliano di vasi lustrali che accolgono le lacrime votive.

(79) It was my dear: Tito riprende il deer detto prima da suo fratello Marco (as doth the deer, come fa la cerva) giocando sullomofonia dei due termini, gioco non riproducibile in italiano.

(80) Con quale arma Aronne taglia la mano di Tito, la didascalia non lo dice; verosimilmente con la spada che Tito, come generale dellesercito romano, porta al fianco. Ma se cera quellarma a portata di mano, ci si pu chiedere perch Lucio e Marco siano andati a cercarne una. un altro segno della rozza stesura di questa tragedia che pur ha, come si visto, degli sprazzi di alta poesia.

(81) Questa risata il segno finale dello sconvolgimento della mente di Tito, provocato dal grande dolore, e di cui stato progressivo annuncio tutto il suo parlare in questa scena. Anche in Re Lear linizio della follia del re sar annunciato da una grande risata: due risate osserva il Serpieri (cit.) - che si rassomigliano per la loro lucida ambivalenza, perch per un verso sono vera pazzia, provocata da profondo turbamento del senno, per altro verso sono strumentali, perch simulate ai fini del precipitare dellazione; a Tito la follia servir - come dir egli stesso - per dar pi forza di efferatezza alla sua vendetta.

(82) Altro riferimento alla storia di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, cacciato da Roma a furor di popolo, per lo stupro perpetrato da sua figlio su Lucrezia.

(83) that sorrow-wreathen knot: letteralm.: quel nodo intrecciato di dolore. Tito chiede al fratello di cessare nella posizione di braccia conserte, posizione che, nel codice della gestualit elisabettiana stava ad indicare dolorosa immobilit, malinconia.

(84) thou map of love: map, mappa, usato in senso figurativo rappresentazione, sintesi visiva di un vizio, di una virt, di un carattere (A detailed representation in epitome, la definisce lOxford Dictionary).

(85) La pazzia strumentale di cui s detto sopra alla nota alla nota (81): Tito intende dire che la sua pazzia gli deve servire come strumento della sua vendetta; e vuole di ci lesclusiva.

(86) Un richiamo al motivo del dolore che si prova nel raccontar le proprie sventure, come Enea alla richiesta di Didone (Infandum regina juges renovare dolorem, Virgilio, Eneide, II, 3 e segg.; Tu vuoi chio rinnovelli/ disperato dolor che il cor mi preme, Dante, Inf., XXXIII, 4 e segg.).

(87) not other drink but tears, brewed with her sorrows, meshed upon her cheeks: brewed meshed: la terminologia della fabbricazione della birra, che completa la metafora del bere (drink) lacrime come bevanda.

(88) and go read with thee/ Sad stories chancd in the times of old: la stessa patetica situazione padre/figlia Shakespeare riproporr nel suo Re Lear laddove il vecchio re, anchegli stravolto nel senno, in procinto di essere condotto in carcere insieme con la figlia Cordelia, esorta costei a farsi cuore in tanta miseria, dicendole: Cos vivremo fra canto e preghiera/ e ci racconteremo antiche favole/ e rideremo al volo di farfalle/ dalle alucce dorate (V, 3, vv. 88 e segg., traduz. dellA.).

(89) Cornelia, la matrona romana figlia di Scipione lAfricano e madre dei Gracchi, Tiberio e Caio, che allev in maniera esemplare, s da essere celebrata come il tipo ideale della madre romana.

(90) Il testo ha and Tullys Orator: si tratta evidentemente di Cicerone. Ma c da chiedersi che cosa mai potesse capire il piccolo Lucio dalla lettura delle difficili pagine dellArpinate fattala dalla zia Lavinia (quando ella aveva ancora la lingua, sintende).

(91) Altra reminiscenza dallEneide: Ecuba, regina di Troia, moglie di Priamo, dopo la caduta della citt segu Ulisse come schiava; in Tracia apprese che quel re, Polimnestore, le aveva ucciso il figlio Polidoro, e, fuori di s per il dolore, si rec nella tenda di quello e lo accec. Mentre infieriva su di lui, la si sent latrare: era stata mutata in cagna. (Cfr. Dante, Inf. XXX, vv. 18-21: Ecuba triste, misera e cattiva, / poscia che vide Polissena morta / e del suo Polidoro in su la riva / del mar si fu la dolorosa accorta, / forsennata grid siccome cane / tanto il dolor le avea la mente torta. Cfr. anche Seneca, Agamennone 704-708: Ecuba trasformata per nuove leggi dei fati, ha preso laspetto della belva e rabbiosamente latra).

(92) V: sopra la nota (60).

(93) V, sopra la nota (48).

(94) The lustful son of Tamora: lustful nellantico inglese non aveva il significato specifico di lascivo, lussurioso, ma di fortemente o eccessivamente bramoso di qualche cosa; i figli di Tamora, per Marco, sono prima di tutto insaziabili prepotenti (quindi anche nella loro lascivia).

(95) Lavinia - come ha detto prima Tito - dotta e sa esprimersi in latino. Quello che cita un distico della Fedra di Seneca con il primo semiverso Magne regnator deum, O grande sovrano degli di, che Lavinia muta in Magni Dominator poli, Signore del grande polo (luniverso), cos lento sei a prestare orecchio ai misfatti (degli uomini)? Cos lento a vederli?

(96) Cio del padre Lucio, paragonato a Ettore, difensore di Troia, perch difensore di Roma.

(97) and lulls him whilst she playth on her back: e se lo culla mentre essa gioca sulla propria schiena; evidente lallusione sessuale. Il leone , sintende, il marito, Saturnino.

(98) like Sybills leaves: allusione alla Sibilla cumana, della quale si diceva che usava scrivere le sue profezie con le foglie; questa erano disposte sullentrata dellantro dove la Sibilla risiedeva, e, come il vento le faceva volare, lordine delle parole era sconvolto, s da non potersi pi intendere il suo responso, o da potersi intendere in pi sensi (cfr. Dante, Paradiso, XXXIII, 65-66: Cos al vento delle foglie lievi/ si perdea la sentenza di Sibilla).

(99) Lucius and Ill go brave it at the court: per luso di to brave e bavery in Shakespeare nel senso di mostrare chi si (self displaying), cfr. Otello, I, 1, l01: upon malicious bravery thou come to start my quiet; La bisbetica addomesticata, IV, 3, 57: and double change of bravery.

(100) and well be waited ont: to wait on sbalordire davanti a qualcosa di mortale. E tale sar lo spettacolo messo in atto dai due in IV, 3.

(101) Well advised, nel qualificare il nonno cos, il Giovane Lucio sembra voler rispondere implicitamente ad Aronne, che aveva definito prima Andronico pazzo.

(102) Luomo integro di vita e puro da delitti / non ha bisogno n di frecce n di arco del Mauro (i Mauri, abitanti della Mauretania, in generale per africani). Sono i due versi iniziali dellode XXII del primo libro di Orazio.

(103) Questo giovane delinquente barbaro goto e questo moro che sanno di latino e di Orazio sono altamente improbabili e incredibilmente grotteschi. Si stenta a credere che sia Shakespeare a farli parlare cos.

(104) Now, what a thing it is to be an ass!: a chi si riferisca Aronne con questa frase, se a se stesso, a Chirone o a Tito, non si capisce. Scelga il lettore, non cambia nulla.

(105) but were our witty empress well afoot, she would applaud: afoot nel senso di on and about in piedi e in giro: Tamora, come dice subito dopo Aronne col il suo ironico riposo-travaglio (rest-unrest), a letto per partorire.

(106) Aronne accenna qui ad un episodio, non rappresentato nel dramma (ma forse un taglio del copione) in cui Aronne deve essere venuto a diverbio con Marco Andronico (quel tribuno ) in presenza del fratello Tito.

(107) at such a bay: espressione del gergo venatorio, che indica la posizione senza scampo dellanimale da cacciare.

(108) Well, more or less, or never a whit at all: Aronne seguita a far mostra di arguzia. Qui gioca sullomofonia tra Moor, Moro e more, pi: le due parole al tempo di Shakespeare avevano lo stesso suono (cfr. in Giulio Gesare, I, 2, 157, il gioco di omofonie tra Rome, Roma e room, spazio: now it is Rome indeed, and room enough).

(109) or woe betide thee evermore: letteralm.: o sar il tuo malanno per sempre. Lendecasillabo tratto di peso dalla traduzione del Lodovici (cit.): c un punta dironia che ben saccoppia al gusto dellequivocazione di Aronne.

(110) Zounds, ye whore!: zounds contrazione colloquiale di Gods wounds, Ferite di Dio; ma esclamazione di origine cristiana.

(111) A questo punto del dramma si spezza il sodalizio di Aronne con Tamora e figli. Il Moro si rifiuta di uccidere (battezzare a punta di pugnale) il bimbo che gli ha partorito Tamora, nero come lui. Aronne se ne torna col bimbo fra i suoi Goti, ma fra questi giunto prima di lui il bandito Lucio che, nuovo Coriolano, li ha armati ed animati per marciare su Roma contro Saturnino.

(112) Encelado, uno dei giganti che presero parte alla rivolta contro Giove; fu seppellito sotto il monte Etna e il suo alito infuocato si diceva producesse la lava del vulcano.

(113) with all his threatening band of Thyphons breed: metonimia per con tutta la schiera dei giganti. Tifone, o Tifo, figlio di Gea e di Tartaro, ne era il campione, anchesso ribelle contro Giove. Shakespeare ne ha conoscenza forse da Seneca, che ne parla nel suo Ercole sul monte Oeta, 1156-57.

(114) Le insegne delle taverne erano proverbialmente mal dipinte.

(115) shall smoke for it in Rome: una delle frasi che ha intrigato i commentatori, dei quali qualcuno intende soffrir per questo; altri strider per questo; altri ancora (Lodovici) dovr fumare di sudore, vedendovi - n pi n meno - limmagine del cavallo che fugge a briglia sciolta e fuma di sudore. A me sembra pi gotica la vendetta di Aronne che manda a fuoco chi gli strapper il figlio; specie se questi sar limperatrice. Nerone aveva dato lesempio.

(116) Lincarnato, per gli inglesi delle fine del sec. XVI, era il segno, quasi sinonimo, della bellezza, specie nelle dame: il nero, il segno della bruttezza per antonomasia. Ma questo privilegio di natura - osserva Aronne - ha il grave inconveniente di arrossire, che il nero non ha.

(117) Sensibly: questo avverbio ha qui, come altrove in Shakespeare, il significato di con tutta evidenza, in modo palpabile (cos in Amleto, I, 1, 57: sensibly avouch).

(118) by the surer mother side: la maternit pi certa della paternit, della quale il diritto romano escludeva la ricerca.

(119) Well have the wind of you: espressione del gergo marinaresco: Vi avremo sottovento, in modo da meglio intercettare il vostro vento (il vostro fiato, quello che dite).

(120) Il testo ha anche il nome della levatrice: Cornelia.

(121) Il testo dellAlexander ha one Militous, un certo Milito (o Militeo), lo Stevens suggerisce Muli, che nome meno latino e pi goto.

(122) Altra citazione da Ovidio (Metamorfosi, I, 150): Astrea ha lasciato la terra. Astrea, figlia di Zeus e di Temi, ottenne dal padre di scendere sulla terra e vi rimase per tutta let delloro; avvilita dalla crescente malvagit degli uomini, lasci la terra e risal al cielo, andando a formare la costellazione dello zodiaco. Tito, nel suo delirio, vuol dire che il mondo nellet del ferro, lultimo stadio delle perversione degli uomini.

Per la metrica, si legga relquit, accento sulla prima i che la lunga del perfetto.

(123) then we may go pipe for: to go pipe for il richiamo al fischio che fa il cacciatore ai cani. La metafora della giustizia immaginata come un cane scappato dal padrone e che non sente pi il suo richiamo.

(124) La giustizia, si capisce. Tito continua a delirare.

(125) Publio, per assecondare Tito nella sua follia, gli dice che non solo gli uomini hanno bisogno di giustizia, ma persino, e pi di loro, gli di, perch anche i cieli sono pieni di litigi per rivalit, invidia, gelosia tra gli di, tra cui Giove continuamente costretto a far giustizia.

(126) into the burning lake below: il Flegetonte era, nel mito greco, il fiume infernale dai flutti in fiamme. Sfociava dellAcheronte, dopo aver circondato col suo corso lErebo. Dagli elisabettiani veniva spesso visto come un lago: cos in Marlowe, Doctor Faust, III, 1, 826-827, and the fiery Lake/ of ever-burning Phlegeton; e in Kyd, The Spanish Tragedy, III, 12, the lake where hell doth stand.

(127) La costellazione della Vergine, nella quale si sarebbe tramutata Astrea, la dea della giustizia (v. sopra la nota 122).

(128) gave Aries such a knock/ That down fell both the Rams horns in the court: Ram sinonimo di Aries, il segno zodiacale dellAriete; ma usato nel senso zoologico di capro, becco: chiara lallusione alle corna di Saturnino.

(129) Oh, the gibbet-maker?: il contadino non sa evidentemente chi Jupiter; il nome - pronunciato giuppiter - gli suona, per assonanza, come gibbet-maker, boia, carnefice. Si cercato di rendere alla meglio il bisticcio con Jupiter/giustiziere.

(130) to the tribunal plebs, per dirlo alla latina, ma sproposita: voleva dire to the tribunal plebis. Per il contadino il tribunale della plebe , si capisce, limperatore. Nella Roma di Saturnino non era cos: era il Pretore; ma Shakespeare pensa alle corti di giustizia presso i re britanni, da Giovanni Senzaterra in poi.

(131) and one of the imperials men: altro strafalcione del contadino che dice imperial per imperator.

(132) Testo: for thou has made it like an humble suppliant: non si capisce, per, perch pocanzi Tito abbia richiesto carta ed inchiostro per scrivere, se la petizione era gi scritta per mano di Marco.

(133) Altra incongruenza del copione: Tito ha detto pocanzi io sar l poco distante, ora sembra dirgli che lo aspetta a casa A meno che, a onta del copione, la battuta precedente di Tito non si voglia attribuire a Marco.

(134) Sweet scrolls: i rotoli di carta - pergamena sui quali si scriveva con la penna doca; dolci detto da Saturnino, naturalmente, in senso ironico.

(135) Dove stia seduto Saturnino, (but yonder sits the emperor- dice Tamora), non si sa. La scena, secondo la didascalia del copione, si svolge allaperto, davanti al palazzo reale. Immagini il lettore.

(136) Il testo ha By Lady (contratto di By our Lady), Per la Madonna!, che era la tipica esclamazione con cui sinvocava al tempo di Shakespeare, e sinvoca ancora, per il bene e per il male, la Madre del Cristo. Ma qui, in piena Roma pagana, Per la Madonna! in italiano in bocca a un personaggio qualunque quanto meno grottesco. Bene, dunque, il Lodovici, da cui prendo il per Giunone!.

(137) Coriolano, il famoso nobile generale romano che, bandito da Roma dai tribuni della plebe, vi torn contro in armi alla testa degli stessi Volsci che per Roma aveva combattuto e vinto. Della vicenda storica Shakespeare far loggetto di una delle sue tragedie romane con lo stesso titolo.

(138) or honey-stalk to sheep: pare che a brucare questerba la pecora possa morire.

(139) half me and half thy dam: dam , come primo significato, la femmina (fattrice) di un animale, generalmente un quadrupede, che ha partorito. usato anche per indicare fattrice di uomini ma in senso spregiativo, come lusa qui Aronne.

(140) This is the pearl that pleased your empress eye: si tralasciato di tradurre pleased, piaciuta, per ripetere la concisione del proverbio Un uomo negro una perla agli occhi di una bella donna (A black man is a pearl in a fair womans eye, in Oxford Dictionary of English Proverbs, citato dal Serpieri nella nota alla sua traduzione (cit.). Il proverbio non vale tuttavia per unaltra donna del teatro shakespeariano, la Porzia del Mercante di Venezia, la quale non vede lora di disfarsi del suo pretendente negro, il principe del Marocco; si sa, del resto, che il colore scuro della pelle era, per la societ elisabettiana, il colore del diavolo, segno della massima bruttezza, nella donna come nelluomo. Si tradotta altres empress con regina, perch Lucio parla ad un Goto, nemico di Roma.

(141) Wall-eyed slave: wall-eyed si dice di persona che ha, come comune nei negri, liride s sbiadita, che il bianco si confonde con la cornea; sbiadito, senza luce non necessariamente torvo o minaccioso. (Cfr. in Re Giovanni, IV, 3, 49: that ever wall-eyed wrath or staring rage, che mai rabbia dallocchio scolorito/ o mai furore dallocchio sbarrato).

(142) Alcuni testi attribuiscono la frase: Portate qui una scala! ad Aronne, e non si capisce con quale logica. La scala ha la funzione scenica di far salire Aronne fino al cappio del capestro, e giustifica lesortazione seguente di Lucio agli uomini che ce lo stanno avviando: Calatelo gi! (v. sotto, nota 150).

(143) with twenty popish tricks and ceremonies: uno dei soliti anacronismi di Shakespeare, che trasporta ad altri tempi usi, credenze, istituzioni e modi di vita del tempo suo. Papisti erano chiamati, al suo tempo, gli Inglesi rimasti fedeli alla Chiesa di Roma e al papa dopo lo scisma anglicano di Enrico VIII. Twenty sta spesso in inglese per un numero alto imprecisato.

(144) his bauble for a god: bauble la mazza fatta a forma di scettro che impugnava il buffone di corte,

(145) Testo: this was but a deed of charity: questo stato solo un atto di carit, cio una buona azione. Ma in italiano uniperbole assurda.

(146) trimmed trimming trim: bisticcio sul quale lamara arguzia del cinico Aronne gioca sul vario significato di trim, trimming, trimmed. Nel descrivere il supplizio di Lavinia ad opera dei due figli di Tamora, ha detto che essa fu da loro trimmed, conciata, ma anche acconciata nel senso di abbellita. Lucio la prende in questo senso e dice ad Aronne Turpe canaglia! Lo chiami tu acconciare questo scempio? (ma dice questo taglio, that trimming). Aronne perfidamente risponde con compiacimento che quella acconciatura stato un acconcio divertimento ( a trim sport) per i due.

(147) as true a dog as ever fought at head: nei combattimenti tra cani e tori, assai popolari allepoca di Shakespeare, i cani azzannavan il toro alla gola (at head, alla testa).

(148) Il proverbio Arrossire come una cane nero, cio non arrossire affatto, anche perch sul nero il rosso non si vede.

(149) and yet, I think, few cone within the compass of my course: letteralm.: e tuttavia, io penso, pochi rientrano nel raggio della mia maledizione, perch son quasi tutti gi maledetti, e non hanno bisogno che io li maledica ancora.

(150) Bring down the devil: Il testo lascia intendere che i soldati stiano facendo salire Aronne sulla scala per impiccarlo.

(151) Come sono travestiti questi tre personaggi si vedr dopo: qui Shakespeare introduce, non come pantomima a parte ma inserito nel dramma, una specie di morality play, quel tipo di rappresentazioni sceniche che vennero a sostituirsi, al principio del sec. XV, ai medioevali mistery plays e che da questi si differenziavamo in ci che i personaggi non erano presi pi dalle storie della religione, ma dalle allegorie di vizi e virt degli uomini; cos Tamora travestita da Vendetta (Revenge), Demetrio da Assassinio (Murder), Chirone da Stupro (Rape). La particolarit che questi personaggi simbolici dialogano coi personaggi del dramma. Per come essi si presentino in scena, v. anche pi sotto la nota 153).

(152) to this worlds light: in questa luce del mondo; il mondo il regno della luce, chiaro, per opposto allinferno, da cui Tamora/Vendetta viene, che il regno della tenebra. (Cfr. Dante, Inf., XXXIV, 134: Entrammo a ritornar nel chiaro mondo).

(153) or tear them on thy charriot wheels: questo riferimento al carro (charriot), e pi sotto quello al cocchiere (vagonner) conferma la natura di Morality Play che Shakespeare ha inteso dare a questa scena; su questi carri si svolgevano appunto, per la strada, le rappresentazioni dei Mistery Plays e dei Morality Plays, detti in questo caso pageants.

(154) Metonimia per il sole: Iperione, uno dei Titani, era il padre del dio Sole e della Luna; ma in origine Iperione fu uno degli appellativi dello stesso Elios, sole.

(155) this closing with him: closing with him qui nel senso di agreeing in him.

(156) the giddy Goths: giddy ha normalmente il significato spregiativo di insane, stupid; ma Tamora gota, e non pensabile che abbia un tal concetto dei suoi.

(157) and cleave to no revenge but Lucius : cio, delego tutta la mia vendetta a Lucio, la cui vendetta assaltare Roma in armi.

(158) and their dam: per dam vedi sopra la nota (139).

(159) Nella mitologia classica Gea, la personificazione della terra, madre di tutti gli esseri umani divora i suoi figli.

(160) V, sopra la nota (60).

(161) Ancora un riferimento alle Metamorfosi di Ovidio (XII, 210 e segg.): nel convito per le nozze di Ippodamia con Piritoo, re dei Lapiti, al quale erano invitati i Centauri, uno di questi, Eurizione, ubriaco, tent di rapire la sposa; ne nacque una zuffa furibonda tra Lapiti e Centauri.

(162) and see the ambush of our friends be strong: letteralm.: e bada che la vigilanza dei nostri amici sia forte. Per ambush nel senso di vigilanza, buona guardia in Shakespeare, cfr. in Riccardo II, I, 1, 137:Once I did lay in an ambush for your life

(163) break the parle; / These quarrels must be quietly debated: alcuni intendono parle come scontro verbale (come in Amleto, I, 1, 62: in an angry parle) e leggono: Cessate di beccarvi; altri intendono the parle per la trattativa e break per cominciate subito e leggono aprite il negoziato; si sono fuse nella traduzione le due letture.

(164) La storia narrata da Livio nelle sue Storie, III, 44-58. Virginio, centurione romano, uccise sua figlia per impedire che fosse violentata dallimperatore Claudio.

(165) Thers meed for meed: per luso di meed nel senso di cosa che si dona, regalo in Shakespeare v. anche in Timone di Atene, I, 1, 288: no meed but he repais sevenfold above itself; e di mancia nello stesso senso in italiano v. Dante, Inf., XXI, 6: prima di trista e poi di buona mancia.

(166) Alcuni testi, volgendo da dubitativa in affermativa lultima frase di Marco, attribuiscono questa battuta, fino alla fine, ad un altro, un non meglio precisato nobile romano (Roman lord), ritenendo ci suffragato dal fatto che pi sotto Marco, dopo il discorso di Lucio, dice Ora tocca a me a parlare (Now is my turn to speak), che non sarebbe giustificato, se lo stesso Marco ha parlato prima. Ma difficile supporre che Shakespeare abbia fatto dire a un personaggio sconosciuto, una semplice comparsa, frasi come: Il mio cuore non selce n acciaio ecc., in cui non si pu non riconoscere il seguito del discorso di Marco.

(167) Altro riferimento, dopo quello di Enea (quel primo nostro avo), allEneide di Virgilio: Sinone il traditore troiano che convinse i suoi concittadini a far introdurre dai Greci tra le mura di Troia il famoso cavallo di legno, pieno di armati.

(168) Dove sia stato finora, dallinizio della scena, questo bambino, nessuna stage instruction lo indica: da immaginare che stesse sempre in braccio ad Aronne e che questi se lo sia portato con s quando stato condotto dentro casa; altres da immaginare, dalle seguenti parole di Marco ( da qui ci butteremo tutti a capofitto) che Marco e Lucio e il Giovane Lucio parlino al popolo da un soppalco, che la casa di Tito, dove sarebbero saliti subito dopo che Lucio ha ucciso Saturnino, mentre in primo piano sono rimasti per terra i cadaveri di Tamora, Tito e Saturnino.

(169) Bisogna dire che ci voleva una bella fantasia negli spettatori del tempo per immaginare, senza ridere, che buttandosi da quellaltezza - che sar stata di tre metri al massimo - ci si potesse andare a sfracellare su un selciato, per quanto composto di pietre aguzze.

(170) But, gentle people, give me aim awhile: frase variamente interpretata. To give aim locuzione del linguaggio balistico ad indicare guidare il tiro (dellarciere) informandolo delleffetto ottenuto con il colpo precedente, s chegli possa aggiustare il tiro. Ma in questo contesto non pu avere un tal senso: Lucio si appresta a rendere lestremo omaggio al padre morto, e non ha senso che chieda al popolo come si fa, gli pu chiedere solo che gli si dia il tempo di farlo, prima di assumere il governo di Roma.

171) Cio la mia natura di figlio.

(172) even with all my heart would I were dead, letteralm.: proprio con tutto il mio cuore vorrei esser morto io; ma trovo nella traduzione del Lodovici (cit.) questo bellendecasillabo, che prendo volentieri in prestito, perch ha lo stesso respiro poetico dellinglese, che nella resa letterale italiana si perde.

(173) Nella Roma di Andronico non cerano campane che suonassero a morto.

(174) Alcuni testi hanno qui di seguito altri quattro versi, che figurano nellin-quarto secondo e terzo, ma non nel primo. Nelledizione dellAlexander, da noi seguita, mancano; ne diamo tuttavia la nostra traduzione:

Di Aronne, questo maledetto Moro,

prima origine dogni nostro affanno,

si provveda a eseguire la condanna.

Ora daremo ordine allo Stato,

che pi non abbia a soffrir in futuro

nocumento da eventi come questi.

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