WILLIAM SHAKESPEARE
RE GIOVANNI
Dramma storico in 5 atti
Traduzione e note di Goffredo Raponi
Titolo originale: "THE LIFE AND DEATH OF KING JOHN"
NOTE PRELIMINARI
1) Il testo inglese adottato per la traduzione quello dell'edizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare - The Complete Works, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII, 1376) con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della pi recente edizione dell'"Oxford Shakespeare" curata da G. Taylor e G. Wells per la "Clarendon Press", New York, U.S.A, 1994, pagg. XLIX, 1274). Quest'ultima comprende anche "I due cugini" ("The Two Kinsmen") che manca nell'Alexander.
Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa quando sia apparso indispensabile ai fini di una migliore comprensione dell'azione scenica alla lettura, cui questa traduzione essenzialmente concepita ed intesa.
2) S' mantenuto, all'inizio di ogni scena, il prammatico tradizionale "Entra"/ "Entrano", che ripete l'"Enter", del testo, avvertendo tuttavia - sempre con riguardo alla comprensione dell'azione scenica alla sola lettura - che tale dizione non sempre indica che i personaggi al momento dell'apertura della scena: vi si possono gi trovare, in vario atteggiamento, come nella prima scena del II atto, nella prima del IV, nella seconda del V. La reciproca vale per la dizione "Exit"/ "Exeunt" al termine della scena.
3) I nomi dei personaggi e dei luoghi sono stati, per quanto possibile, italianizzati.
4) Il metro l'endecasillabo sciolto, intercalato da settenari. Altro metro si usato nelle poche occasioni in cui s' dovuto rendere citazioni, strofette, strambotti, ecc., e la sintonia con il testo abbia richiesto uno stacco di stile.
5) Il traduttore riconosce d'essersi avvalso di traduzioni precedenti - in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano, e di quelle del Baldini, del Lodovici, del Melchiori, del D'Agostino, del Lombardo e di altre, dalle quali ha preso in prestito intere frasi e costrutti, e interpretazione di passi oscuri e controversi, dandone opportuno credito in nota.
PERSONAGGI
RE GIOVANNI
LA REGINA ELEONORA, vedova di Enrico II, sua madre
IL PRINCIPE ENRICO, suo figlio
BIANCA DI SPAGNA, sua nipote
COSTANZA, vedova di Goffredo Plantageneto
ARTURO, duca di Bretagna, suo figlio
Pari d'Inghilterra: IL CONTE DI PEMBROKE
IL CONTE DI ESSEX
IL CONTE DI SALISBURY
LORD BIGOT
UBERTO DE BOURGH, gentiluomo fido di Re Giovanni
ROBERTO FAULCONBRIDGE, figlio di Sir Roberto Faulconbridge
FILIPPO FAULCONBRIDGE, suo fratellastro, detto IL BASTARDO
LADY FAULCONBRIDGE, loro madre, vedova di Sir Roberto Faulconbridge
GIACOMO GURNEY, gentiluomo al servizio di Lady Faulconbridge
RE FILIPPO DI FRANCIA
IL DELFINO LUIGI, suo figlio
LIMOGES, duca d'Austria
IL CARDINALE PANDOLFO, legato del papa
CHATILLON, ambasciatore di Francia presso Re Giovanni
IL CONTE DI MELUN, nobile francese
DUE SGHERRI, al servizio di Uberto de Bourgh
Nobili inglesi e francesi - Cittadini di Angers - Uno Sceriffo - Araldi - Guardie - Soldati - Messaggeri - Persone del seguito
SCENA: in Inghilterra e in Francia
ATTO PRIMO
SCENA I - Southampton, sala nel palazzo di Re Giovanni
Entrano RE GIOVANNI, la REGINA ELEONORA, PEMBROKE,
ESSEX, SALISBURY e CHATILLON
RE GIOVANNI - Allora, Chatillon, dite, che vuole
Francia(1) da noi?
CHATILLON - Cos il re di Francia,
dopo avervi mandato il suo saluto,
parla per il mio mezzo alla maest
- maest d'accatto - del re d'Inghilterra.
ELEONORA - "Maest d'accatto"... Stravagante esordio!
GIOVANNI - Silenzio, madre, udiamo l'imbasciata.
CHATILLON - Filippo re di Francia,
nel legittimo nome e nel diritto
del figlio del fratello tuo Goffredo,(2)
defunto, Arturo dei Plantageneti,
accampa la giustissima pretesa
al possesso di quest'isola bella
e dei dominii d'Irlanda, Poitou,
Angi, Turenna e Maine;(3)
e t'invita a deporre quella spada
che quelle terre tiene in suo dominio
da usurpatrice, e rassegnarla in pace
nelle mani del tuo nipote Arturo,
loro legittimo signore e re.
GIOVANNI - Che seguir, se glielo rifiutiamo?
CHATILLON - L'orgogliosa risposta
d'un'infuocata e sanguinosa guerra,
per affermar di forza quel diritto
di forza a lui carpito.
GIOVANNI - E noi risponderemo guerra a guerra,
e sangue a sangue, e violenza a violenza.
Cos rispondi al Francia da mia parte.
CHATILLON - Quand' cos, ricevi per mia bocca
la sfida del mio re,
che disbriga cos la mia ambasciata.
GIOVANNI - E tu portagli indietro quella mia;
ma sii veloce nel recarla, rapido
come folgore che gli baleni agli occhi,
ch, avanti che gli giunga il tuo rapporto,
potr esser gi l, e potrete udire
il tuono delle mie artiglierie.
Parti, sii tromba della nostra collera
e della vostra sicura disfatta.
(Ai nobili presenti)
Lo si accompagni con tutti gli onori
Pembroke, provvedi tu alla bisogna.
Buon viaggio, Chatillon!
(Escono Chatillon e Pembroke)
ELEONORA - E adesso, figlio?... Io l'ho sempre detto
che quella pretenziosa di Costanza(4)
non avrebbe cessato di tramare
fintanto che non fosse riuscita
ad aizzare il Francia e tutto il mondo
a sostener la causa di suo figlio!
Tutto ci si poteva prevenire
e pacificamente sistemare
per mezzo di amichevole negozio;
ed ecco che ora i capi di due regni
si vedranno costretti ad arbitrarlo
con un verdetto orribile e cruento.
GIOVANNI - Il saldo mio possesso e il mio diritto
stanno per noi.
ELEONORA - Il saldo tuo possesso,
ben pi che il tuo diritto,
o per noi due sarebbe torto marcio,(5)
ti sussurra all'orecchio
la mia coscienza... e che nessuno l'oda
all'infuori del cielo e di noi due.
Entra uno SCERIFFO (6) e sussurra qualcosa a Essex
ESSEX - Sire, c' qui per voi, dalla contea,
una querela, la pi stravagante
mai sottoposta alla vostra giustizia.
Volete che introduca i contendenti?
GIOVANNI - Vengano pure avanti.
(Esce lo Sceriffo)
(Alla madre)
Saranno i priorati e le abbazie
a far le spese della spedizione. (7)
Rientra lo SCERIFFO accompagnando ROBERTO FAULCONBRIDGE e FILIPPO suo fratello bastardo
GIOVANNI - (Al Bastardo)
Chi sei tu?
BASTARDO - Un fedele vostro suddito,
un gentiluomo del Northamptonshire,
e primogenito, cos suppongo,
di sir Roberto Faulconbridge,
un soldato creato cavaliere
sul campo dalla mano dispensiera
di re Cuor-di-leone.
GIOVANNI - (A Roberto)
E tu chi sei?
ROBERTO - Di quello stesso Faulconbridge il figlio
ed erede.
GIOVANNI - Lui figlio primogenito,
e tu l'erede? Dalla stessa madre
non siete nati allora, a quanto pare.
BASTARDO - Sicurissimamente dalla stessa,
possente sire... questo risaputo,
e dallo stesso padre, come penso.
Ma per saper di ci con pi certezza,
io vi rimando al cielo od a mia madre;
perch al riguardo nutro qualche dubbio,
come pu averlo ogni nato da donna.
ELEONORA - Che dici, scostumato!
Tu getti la vergogna su tua madre
e ferisci il suo onore
col far mostra di tale diffidenza!
BASTARDO - Io, signora? Io no, non ne ho motivo.
mio fratello, invece,
che proprio su tal fatto mi querela;
e se riuscir a dimostrarlo,
mi soffier la discreta sommetta
di circa cinquecento ghinee l'anno.
Per quanto mi riguarda,
che Dio conservi l'onore a mia madre,
e a me la rendita delle mie terre.
GIOVANNI - Ha la lingua ben sciolta, il giovanotto!(8)
(Al Bastardo)
Ma com' che, pi giovane di te,
pretende lui la tua eredit?
BASTARDO - Non so, gli faran gola le mie terre.
Vero che pi di qualche volta, gi,
m'ha rinfacciato d'essere un bastardo;
ma ch'io sia stato concepito o no
conforme a legge, sta in capo mia madre;
s'io sia stato per ben concepito,
mio sovrano - e beate siano l'ossa
che di tanto si presero il disturbo -
vogliate confrontar le nostre facce
e siatene poi giudice voi stesso.
Se vero che a generarci entrambi
stato proprio il vecchio Sir Roberto
e questo figlio rassomiglia a lui,
o vecchio Sir Roberto, padre mio,
io ringrazio in ginocchio il Padreterno
che non m'ha fatto somigliante a te!
GIOVANNI - (Alla madre)
Oh, ma vedete un po' che testa matta
ci doveva mandar stamane il cielo!
ELEONORA - Qualche cosa, per, egli ce l'ha,
nel viso come nel tono di voce,
del mio Cuor-di-leone.
Non ravvisi tu tratti di mio figlio
nell'impianto robusto del suo corpo?
GIOVANNI - Altroch: l'ho scrutato attentamente
da ogni parte: identico a Riccardo!
(A Roberto)
Amico, parla: che cosa ti muove
a reclamare legittimamente
da questo tuo fratello le sue terre?
BASTARDO - Lui dice ch' il profilo di mio padre,
ch'egli ha nella sua faccia,
e vantando questa sua mezza faccia
pretende avere tutta la mia terra;
un soldo di profilo
per cinquecento sterline di rendita.
ROBERTO - Vostro fratello, Sire,
nel tempo che mio padre stato in vita
ebbe molto ad usar dei suoi servigi....
BASTARDO - Bene, signore, ma non puoi con ci
reclamar la mia terra:
di' a lui piuttosto come suo fratello
ebbe ad usare della nostra madre.
ROBERTO - ... ed una volta lo invi in Germania
ambasciatore a quell'imperatore
importanti questioni di Stato.
Di questa assenza di mio padre il re
profitt per restar tutto quel tempo
a soggiornare nella di lui casa,
dove ho vergogna a dire come ha fatto
a prendere il suo posto con mia madre.(9)
Ma quel ch' vero vero.
Grandi distanze di mari e di terre
separavan mio padre da mia madre
quando questo faceto signorino
fu concepito. E sul letto di morte,
mio padre lasci a me, con testamento,
le sue terre, e giur sulla sua morte
non esser suo questo figlio da sua moglie
partorito; ch se lo fosse stato,
sarebbe nato prematuramente
di quattordici buone settimane
sul tempo stabilito da natura.
Perci, mio buon sovrano,
fate che venga a me quello ch' mio,
ovverossia le terre di mio padre,
come da lui disposto in testamento.
GIOVANNI - Mio buon amico, questo tuo fratello
legittimamente tuo fratello;
e questo per il semplice motivo
che colei ch'era moglie di tuo padre
lo partor in virt di matrimonio;(10)
e s'ella fu infedele a suo marito,
la colpevole lei; ma d'una colpa
che fa parte dei rischi abituali
di tutti gli uomini che prendon moglie.
Dimmi, che ne sarebbe derivato
se mio fratello che, come tu dici,
si disturb ad avere questo figlio,(11)
l'avesse reclamato come suo?
In coscienza, tuo padre, buon amico,
avrebbe ben potuto far valere,
contro l'intero mondo il suo diritto
di tenersi per s questo vitello
nato dalla sua vacca. Ed in quel caso,
malgrado fosse stato generato
da mio fratello, questi in nessun modo
avrebbe mai potuto reclamarlo;
alla stessa maniera che tuo padre
non avrebbe potuto disconoscerlo
per non averlo generato lui.
In conclusione: il figlio di tua madre
impersona l'erede di tuo padre;
e colui ch' l'erede di tuo padre
deve avere le terre di tuo padre.
ROBERTO - Allora il testamento di mio padre
non atto di volont bastante
a spossessar questo figlio non suo?
BASTARDO - Non pi bastante di quanto fu in lui,
credo, la volont di generarmi.
ELEONORA - (Al Bastardo)
Ma dimmi, tu che cosa preferisci:
restare, come tuo fratello, un Faulconbridge,
e posseder le terre di tuo padre,
o dirti figlio di Cuor-di-leone,
signore solo della tua persona,
e del tuo nome, e di nessuna terra?
BASTARDO - Signora, se mai fosse,
che mio fratello avesse il mio sembiante
ed io avessi il suo, e come lui
io somigliassi in tutto a Sir Roberto,
e avessi le sue gambe, due frustini,
e le sue braccia, due pelli d'anguilla
imbottite; e la faccia s affilata
da non potermi appuntare all'orecchio
una rosa, per tema che la gente
vedendomi dicesse: "Guarda un po'
come se ne va in giro quel Tressoldi!";(12)
e se pur io, plasmato in questa forma,
fossi erede di tutta l'Inghilterra,(13)
non vorrei muovere un passo da qui
se non sarei disposto a darla via
fino all'ultimo palmo di terreno
per aver la mia faccia.
A nessun costo al mondo vorrei essere
un "Mastro Mammalucco".(14)
ELEONORA - Tu mi piaci.
Non te la sentiresti, dimmi un po',
di lasciar perdere le tue sostanze,
lasciare a lui le terre e seguir me?
Io son ora soldato,
e m'appresto a partire per la Francia
BASTARDO - Fratello, tienti pure le mie terre.
Io vado al seguito della ventura.
Quella tua faccia ti fa guadagnare
cinquecento sterline d'annua rendita,
e sarebbe pagata gi a buon prezzo
se trovassi a rivenderla a tre soldi!
(A Eleonora)
Ebbene, s, signora, io vi seguo.
Fino alla morte...
ELEONORA - Eh, no, caro, un momento:
l preferisco che tu mi preceda.
BASTARDO - La nostra rusticana educazione
ci prescrive di dar la precedenza
ai nostri superiori, in ogni caso.
GIOVANNI - Come ti chiami?
BASTARDO - Filippo, mio sire,
di primo nome: figlio primogenito
della moglie del vecchio sir Roberto.
GIOVANNI - D'ora innanzi tu porterai il nome
di colui di cui porti anche l'aspetto:
ingincchiati qui come Filippo,
e rilzati poi fatto pi grande
come Riccardo dei Plantageneti.
(Filippo s'inginocchia. Re Giovanni gli tocca la spalla col piatto della spada, e lo investe cavaliere).
BASTARDO - (A Roberto)
Fratello mio per parte di mia madre,
qua diamoci la mano: il padre mio
d a me l'onore della nobilt,
il tuo a te le terre. E benedetta
l'ora ch'io fui, che fosse giorno o notte,
concepito, e tuo padre Sir Roberto
ebbe idea di stare via da casa!
ELEONORA - Un vero spirito Plantageneto!
Riccardo, io son tua nonna.
Cos devi chiamami, d'ora innanzi.
BASTARDO - Per volere del caso, mia signora,
non per la via legale. Ma che importa?
(Cantilenando)
"Un po' fuori di via, un po' all'intorno,
"per finestra o portello,
"chi non ardisce andarsene di giorno,
"di notte bello;
"ed una volta avuto,
"non importa in che modo ricevuto.
"Se da lontano o da presso lo scocchi,
"e per caso l'imbrocchi,
"l'hai sempre ben scoccato.
"Ed io son io, comunque generato."
GIOVANNI - (A Roberto)
Va', Faulconbridge, or hai quel che volevi:
va pure: un cavaliere senza terra(15)
ti fa signore e padrone di terre.
Andiamo, madre, ed anche tu, Riccardo:
ci dobbiamo affrettare per la Francia;
per la Francia, non c' tempo da perdere.
BASTARDO - Fratello, addio. T'assista la fortuna,
dal momento che fosti generato
con il crisma dell'onest di letto.
(Escono tutti meno il Bastardo)
Eccomi dunque, quanto a nobilt,
un palmo pi di prima,
ma molti palmi meno quanto a terre.
Beh, ora posso far d'una donnetta
una lady...(16) "Buongiorno, sir Riccardo..."
"Oh, brav'uomo, che Dio ve ne rimeriti...";
e se il "brav'uomo" si chiamer Giorgio,
io, nel rispondergli, lo chiamo Pietro;
ch non s'addice ad un neo-titolato
di ricordarsi i nomi della gente
con cui gli cpiti di conversare:
segno, se no, di troppo confidenza
e d'eccessiva considerazione.
Ora alla mensa della mia signoria
sieder, immagino, il gran viaggiatore
col suo stuzzicadenti fra le labbra,(17)
ed io col mio cavalleresco ventre
pi che abbondantemente rimpinzato,
dopo una bella succhiatina ai denti,
mollemente appoggiato sul mio gomito
comincer cos a punzecchiare
a domanda e risposta quel mio uomo
conoscitore di molti paesi:
"Vorrei pregarvi, mio caro signore..."
e qui la mia Domanda,
cui pronta seguir, da parte sua,
come in un sillabario, la Risposta,:
"Oh, signor mio, vi pare! Figuratevi!
"Agli ambitissimi vostri comandi!
"Disponete di me come vi piaccia!
"Sempre al vostro servizio." - "No, signore" -
ribatter a sua volta la Domanda -
"son io sempre alla vostra..." E cos via,
senza che la Risposta sappia mai
quello che vuole sapere la Domanda,
solo scambiandosi salamelecchi,
e di nient'altro parlando che d'Alpi,
d'Appennini, di Pirenei, del Po,
fino alla conclusione della cena.(18)
Ma questa l'"adorata societ"(19)
che del resto benissimo s'adatta
ad uno come me che ha l'ambizione
di salir sempre pi alto possibile;
ed figlio bastardo del suo tempo
chi non sa assaporare il dolce gusto
dell'osservanza del salamelecco:
io, che tal gusto sappia assaporare
oppure no, sempre bastardo resto,
e non solo per abito e contegno,
per forma e per costume,
ma per impulso interiore dell'animo
che mi proibisce d'andar propinando
al palato dei miei contemporanei
quel dolce, dolce e poi dolce veleno
che sempre fu la smanceria ipocrita.
Mi propongo per di ben apprenderla,
per adoprarla non ad ingannare
ma ad evitare d'essere ingannato,
perch di quella trover cosparsi
tutti i gradini della mia salita.
Ma chi sar questa cavallerizza(20)
che viene tanto in fretta a questa volta?
Non ha un marito che si dia la pena
d'annunciarne l'arrivo con un corno?
Entrano LADY FAULCONBRIDGE e Giacomo GURNEY
Oh, mia madre!... Che c', madre mia?
Che cos' che vi mena in tanta fretta
qui a palazzo?
LADY FAULCONBRIDGE - Dov' quel mascalzone
di tuo fratello? Dov' quell'infame
che va dando la caccia all'onor mio
di qua e di l?
BASTARDO - Roberto, mio fratello?
Il figliolo del vecchio sir Roberto?
Quel gigante Colbrand,(21) quel robustone,
figlio di sir Roberto? Lui cercate?
LADY FAULCONBRIDGE - Figlio di sir Roberto, s, ragazzo,
senza che fai cos lo spiritoso!
Di sir Roberto, s, che c' da ridere?
Figlio di sir Roberto, come te!
BASTARDO - Giacomo Gurney, vuoi lasciarci soli
un momento?
GURNEY - Ma certo, caro Flip.
BASTARDO - S, proprio Flip il passerotto,(22) Giacomo.
Ci sono cose divertenti in giro,
te ne dir di pi fra qualche istante.
(Esce Gurney)
Signora madre, io non sono figlio
del vecchio sir Roberto.
Sir Roberto poteva anche mangiarsi
tutto quello che di sua carne e sangue
in me, senza interrompere il digiuno
in un Venerd Santo.
S, diciamolo, insomma, per la Vergine!
Sarebbe stato buono sir Roberto
a procreare uno come me?
Certo no: conosciamo i suoi prodotti.
Perci, mia buona madre,
chi l'uomo al quale sono debitore
di questa impalcatura? Sir Roberto
mai avrebbe potuto darvi mano
a forgiare una gamba come questa.
LADY FAULCONBRIDGE - Sei d'accordo anche tu con tuo fratello?
Tu che dovresti, nel tuo interesse,
difendere l'onore di tua madre?
Che significa questo tuo dileggio,
ragazzaccio sfrontato?
BASTARDO - Cavaliere, signora, cavaliere!"
S, cavaliere, come Basilisco,(23)
Creato con il colpo sulla spalla
della spada, che ancora me lo sento.
Insomma, buona madre,
di sir Roberto io non sono figlio,
e l'ho disconosciuto come padre;
le mie terre, il mio nome,
la legittimazione e tutto il resto,
tutto finito. Perci, madre mia,
fate ch'io sappia chi stato mio padre.
Un gagliardone, spero. Chi fu, madre?
LADY FAULCONBRIDGE - Hai rinnegato d'essere un Faulconbridge?
BASTARDO - E con la stessa fede
con cui potrei pur rinnegare il diavolo.
LADY FAULCONBRIDGE - Cuor-di-leone stato il padre tuo.
Dopo lunga e veemente assiduit,
da lui io fui sedotta,
e m'indussi ad accoglierlo nel letto
di mio marito. Storni da me il cielo
la colpa d'una tale trasgressione.
Tu sei il frutto di quel mio peccato
che mi travolse con tanta violenza
da annullare qualunque mia difesa.
BASTARDO - Per la luce del giorno,(24) madre mia,
ti giuro che, se dovessi rinascere,
non saprei augurarmi miglior padre!
Certi peccati scendon sulla terra
come benedizioni; e cos il vostro.
Non vi fa reproba la vostra colpa,(25)
se, costretta dalla necessit,
doveste offrire a lui il vostro cuore
come tributo d'una sudditanza
all'amore infrenabile d'un uomo
contro la cui furiosa e invitta forza
non fu in grado di sostener la lotta;
nemmeno l'imperterrito leone
riusc a salvare il cuore
dalla possente mano di Riccardo.(26)
Uno che strappa il cuore ad un leone
pu facilmente vincere di forza
il cuore di una donna.
D'un tal padre ti debbo ringraziare,
madre, con tutto il cuore.
E chiunque tra i vivi venga a dirmi
che avete fatto male a generarmi
cos come m'avete generato,
io gli spedisco l'anima all'inferno.
Venite, mia signora,
vi voglio presentare i miei parenti;
essi sicuramente vi diranno
che se vi foste negata a Riccardo
quando mi ha generato,
quello sarebbe stato, s, peccato.
E cos dico e ripeto pur io,
e chi dice il contrario un mentitore.
(Escono)
ATTO SECONDO
SCENA I - In Francia, sotto le mura di Angers.
Entrano, da opposte parti, LIMOGES DUCA D'AUSTRIA con soldati e vessilli, e FILIPPO RE DI FRANCIA con il DELFINO LUIGI, COSTANZA, ARTURO e soldati.
FILIPPO - Bene incontrato davanti ad Angers,
nobile Austria.
(Al nipote)
Arturo, quel tuo avo
illustre che rub il cuore a un leone
e combatt crociato in Palestina
fu per mano di questo prode Duca
sospinto innanzitempo nella tomba; (27)
ed egli ora, a fare di ci ammenda
in faccia alla di lui posterit,
qui venuto a dispiegare al vento,
ragazzo, i suoi stendardi in tuo favore,
e a castigar con noi l'usurpazione
di Giovanni, tuo snaturato zio.
E dunque abbraccialo con molto affetto,
e dagli il benvenuto in mezzo a noi.
ARTURO - Dio vi perdoner, Duca, la morte
data a Cuor-di-leone,
tanto pi per la vita che ora a rendere
voi qui venite alla sua discendenza,
col proteggere il loro buon diritto
all'ombra delle vostre ali di guerra.
Io vi do' il benvenuto
con una mano priva di potere
ma con un cuore ricolmo d'affetto
genuino e sincero. Benvenuto,
Duca, davanti alle porte di Angers.
FILIPPO - Ah, nobile ragazzo...
Chi non vorrebbe renderti giustizia?(28)
AUSTRIA - (Baciando Arturo)
Sulla tua guancia questo caldo bacio
io depongo, a simbolico suggello
di questo impegno della mia amicizia:
ch'io non far ritorno al mio paese
finch Angers e i tuoi diritti in Francia,
insieme a quella pallida costiera
da lungi biancheggiante la cui proda
respinge i flutti del ruggente oceano
ed i suoi isolani tien lontani
dall'altre terre,(29) l'Inghilterra, dico,
che, cinta dalla sua marina siepe,
protetta da quel suo baluardo d'acqua
se ne sta fiduciosa e confidente
da mire forestiere; finch, dico,
quell'angolo remoto d'occidente
non t'acclami suo re, caro ragazzo,
non penser di far ritorno a casa,
ma di seguire te dovunque, in armi.
COSTANZA - Oh, abbiatevi di questo
tutti i ringraziamenti di sua madre,
le grazie d'una vedova
che sol pu darvele con le parole(30)
nell'attesa che il vostro forte braccio
le dia la forza di contraccambiare
pi degnamente la vostra amicizia.
AUSTRIA - la pace dei cieli sol compenso
a coloro che impugnano la spada
in una s pietosa e giusta guerra.
FILIPPO - E dunque allora, all'opera!
Sien puntate le nostre artiglierie(31)
contro gli spalti di questa citt
che oppone s ostinata resistenza.
Chiamate i nostri uomini pi esperti
a sceglier le migliori postazioni:
a costo di lasciar davanti ad essa
le regali nostre ossa,
o di guadare nel sangue francese
fino alla loro piazza del mercato(32)
la faremo soggetta a questo giovane.
COSTANZA - Aspettate comunque la risposta
che sar data alla vostra ambasciata,
che non abbiate sconsigliatamente
a macchiare di sangue le vostre armi.
Il signor Chatillon
potrebbe riportar dall'Inghilterra
il pacifico riconoscimento
di quel diritto che qui con la guerra
vogliam rivendicare; e in questo caso
ci dovremmo pentire amaramente
d'ogni goccia di sangue fatto spargere
ingiustamente per la troppa fretta.
Entra CHATILLON
FILIPPO - Miracolo, signora! Ecco, guardate:
ne avete appena espresso il desiderio,
e il nostro Chatillon eccolo, qui.
(A Chatillon)
Beh, che dice Inghilterra?
Brevemente, gentile signor mio,
noi siamo tutt'orecchi ad ascoltarti
serenamente. Parla Chatillon.
CHATILLON - Allora distogliete i vostri eserciti
da questo assedio di scarsa importanza
ed avviateli a pi grossa impresa:
Giovanni d'Inghilterra,
intollerante alle vostre richieste,
sceso in armi. Per gli avversi venti
la cui bonaccia ho dovuto aspettare
per il ritorno, egli ha avuto il tempo
di far sbarcare qui le sue legioni
contemporaneamente al mio arrivo;
ed ora si dirige a grandi marce
sopra questa citt con un esercito
forte, di baldanzosi combattenti.
Con lui la regina-madre, un'Ate(33)
che lo incita al sangue ed alla strage;
insieme con costei la nipote
Lady Bianca di Spagna, ed con loro
anche un bastardo del defunto re
e tutti i tipi pi scavezzacolli
del paese, spregiudicati, rudi,
focosi volontari pronti a tutto:
facce di donna con milze di drago... (34)
Si son venduti le loro fortune
nella casa paterna
e vengon qui portando sulle spalle
con gran baldanza i diritti di nascita
alla ricerca di nuove fortune.
In breve, mai nella Cristianit
una pi baldanzosa selezione
di gente temeraria e scatenata
simile a quella che le stive inglesi
han vomitato sulle nostre coste
ha navigato il ribollente flutto
per andare a recare offesa e danno.
(Rullo di tamburi in lontananza)
Eccoli, son gi qua. I lor tamburi
mi risparmiano ormai di dir di pi.(35)
Per trattare o combattere, non so.
Tenetevi comunque preparati.
FILIPPO - Davvero una volata! Inaspettata. (36)
AUSTRIA - Quanto pi inaspettata,
tanto pi svegli e pronti alla difesa
saremo noi; lievito al coraggio
improvvisa bisogna: vengan pure
daremo loro il nostro benvenuto.
Entrano RE GIOVANNI, ELEONORA, BIANCA, il BASTARDO,
PEMBROKE e seguito
GIOVANNI - Pace alla Francia, se in pace la Francia
permette il nostro legittimo ingresso
in quel che nostro per avito titolo.
Se no, di guerra sanguini la Francia,
e ascenda al ciel la pace, mentre noi,
ministri della collera di Dio,
castigheremo l'orgoglio insolente
di chi respinge al cielo la sua pace.
FILIPPO - E pace all'Inghilterra,
se questo suo apparato di guerra
ritorni dalla Francia in Inghilterra.
L'Inghilterra ci cara,
ed per amor suo che qui sudiamo
appesantiti da questa armature.
Questa fatica spetterebbe a te
e non a noi di assolvere; ma tu
sei s lontano dall'aver a cuore
l'Inghilterra, da non avere scrupolo
di rovesciarne il legittimo re,
interrompendone la naturale
linea di discendenza alla corona,
sfidandone l'infante maest,
stuprandone la virginal virt.
(Additando Arturo)
Guarda questo sembiante:
quello di Goffredo, tuo fratello:
questi occhi, queste ciglia, questi tratti
son modellati sopra quelli suoi:
un insieme che riassume, in piccolo,
quello pi grande morto con Goffredo;
e questo abbozzo la mano del tempo
svilupper in eguali proporzioni
a quelle di suo padre. Quel Goffredo
era il fratello tuo maggiore, e questo
suo figliolo. Nel nome di Dio,
come puoi tu chiamarti allora re,
se sangue vivo pulsa in queste tempie
che dovrebbero cinger la corona
della quale ti sei impossessato?
GIOVANNI - Da chi ti viene, Francia,
l'alto incarico di chiamare me
a rispondere di tutte queste accuse?
FILIPPO - Da quel Supremo Giudice
che infonde in petto ad ogni alto potere
di questa terra il generoso stimolo
a riparare gli sfregi e le offese
fatti al diritto. Quello stesso Giudice
ha istituito me ora guardiano
del buon diritto di questo ragazzo;
ed per Suo mandato ch'io t'accuso
dei tanti torti a lui da te recati,
e, col Suo aiuto intendo castigarli.
GIOVANNI - Ahim, tu usurpi questa autorit.
FILIPPO - Se pur fosse, sarebbe per abbattere
un'altra usurpazione.
ELEONORA - Chi chiami tu usurpatore, Francia?
COSTANZA - Consentite che le risponda io:
tuo figlio, lui l'usurpatore!
ELEONORA - Zitta,
insolente! Per te dev'esser re
il tuo bastardo, e tu esser regina
e pretendere di governare il mondo!
COSTANZA - Un bastardo mio figlio?(37) Miserabile!
Il mio letto s' sempre mantenuto
s fedele a tuo figlio,
almeno quanto il tuo a tuo marito;
e questo mio ragazzo somigliante
nelle fattezze a suo padre Goffredo
pi che non siate alle buone maniere
tu e Giovanni, tanto siete simili
l'uno all'altra come la pioggia all'acqua,
o il diavolo a sua madre.
Un bastardo! Non credo che suo padre,
sia stato onestamente concepito
come lo stato lui, per la mia anima!,
essendo tu sua madre.
ELEONORA - (Ad Arturo)
Ecco, ragazzo,
la buona madre che insulta tuo padre.
COSTANZA - Ecco, ragazzo, la buona nonnetta
che invece insulta te, suo nipotino.
AUSTRIA - Pace, pace!
BASTARDO - Ascoltiamo il banditore!
AUSTRIA - Tu, chi diavolo sei?
BASTARDO - Uno che il diavolo
far con voi, signore, se da soli
c'incontreremo voi e quella pelle
che vi portate bellamente addosso:(38)
ch voi siete la volpe del proverbio
di cui tutto il coraggio si spieg
nel tirare la barba ad un leone,
che per era morto. Quella pelle,
se mi capiterete tra le mani,
vi ci dar una bella spolverata.
Attento a voi, messere... in fede mia,
ve lo far, ci potete contare!
BIANCA - Oh, s, certo una pelle di leone
s'addice addosso a chi di quella pelle
derub il leone!
BASTARDO - Addosso a lui
ci sta come a vedere il grande Alcide(39)
in groppa ad un somaro.
Ma io, somaro, vi liberer,
siatene certo, d'un siffatto peso,
o ve ne metto sulle spalle uno
che ve le far bene scricchiolare.
AUSTRIA - Chi sar mai questo scricchiolatore
che si diverte a intronarci le orecchie
con tanto spreco d'inutile fiato?
Allora, Re Filippo,
decidete quello che s'ha da fare.
FILIPPO - Donne e buffoni, basta con le chiacchiere!
Re Giovanni, il mio discorso, in sintesi,
questo: io rivendico da te,
nel diritto di Arturo, l'Inghilterra,
l'Irlanda, la Turenna, l'Angi, il Maine.
Sei tu disposto a ceder quelle terre
e deporre le armi?
GIOVANNI - La mia vita, piuttosto, re di Francia!
Io ti sfido, Arturo di Bretagna,(40)
affidati in mia mano, e avrai da me,
per il tenero affetto che ti porto,
pi di quanto potr mai conquistarti
con l'imbelle sua mano il re di Francia.
Riconosci la mia maest, ragazzo.
ELEONORA - (Ad Arturo)
Vieni dalla tua nonna, bimbo, vieni.
COSTANZA - (c.s.)
S, corri, bimbo, corri da tua nonna,
e regalale un regno.
E la tua nonna ti dar in compenso
una ciliegia, un fico, una susina...
Che brava questa nonna!
ARTURO - Buona madre, sta' zitta. Mi vien voglia
di giacermi in fondo alla mia tomba.
Non val proprio la pena
di fare tanto strepito per me!
(Piange)
ELEONORA - Ecco, piange! Ha vergogna di sua madre,
povero figlio!
COSTANZA - Di sua madre o no,
se c' una che deve vergognarsi
sei tu, qui. Sono i torti di sua nonna
e non gi le vergogne di sua madre
a spremergli dagli occhi quelle perle
che muovono a piet perfino il cielo;
e voglia il cielo accoglier quelle lacrime
come offerta votiva.
Ah, s, da quelle stille di cristallo
vogliano i cieli sentirsi obbligati
a far di lui vendetta su di voi!
ELEONORA - Oh, orribile mostro di calunnia
del cielo e della terra!
COSTANZA - Oh, orribile mostro d'insolenza
verso il cielo e la terra!
Tu, accusare di calunnia me,
tu che insieme coi tuoi stai usurpando
il possesso, le rendite e i diritti
di questo povero ragazzo oppresso!
Questo il figlio di tuo figlio Goffredo,
il fratello maggiore di Giovanni,
di nient'altro infelice
che dell'avere te come sua nonna:
in lui, in questo povero ragazzo
trovano il lor castigo i tuoi peccati;
su lui ricade l'antica sanzione
del canone,(41) essendo egli soltanto
distanziato di due generazioni
dal tuo grembo fattore di empiet.
GIOVANNI - Smettila, dissennata!(42)
COSTANZA - Questo solo
voglio aggiungere: ch'egli non soltanto
del peccato di lei ha da soffrire,
ma Dio ha riversato quel peccato
e tutto il male della sua condanna
su questo suo lontano discendente;
il peccato di lei a lui malanno,
il malanno di lei a lui castigo,
pel peccato di lei.(43)
Tutto sul capo di questo ragazzo,
e per causa di lei, peste la colga!
ELEONORA - Tu mi biasimi sprovvedutamente,
perch'io posso stilare un testamento
che cancella i diritti di tuo figlio.
COSTANZA - Oh, chi ne dubita? Un testamento!
Un testamento di nessun valore,
il testamento fatto da una donna,
una barbogia nonna incancrenita.(44)
FILIPPO - Basta, signora! Vogliate star zitta,
o parlare con pi moderazione!
sconveniente che voi diate sfogo
a simili sguaiate querimonie
alla presenza nostra. Un trombettiere
chiami questi di Angers sui loro spalti
a parlamento: ascoltiamo da loro
quale titolo voglion riconoscere,
quello d'Arturo o quello di Giovanni.
Tromba. Sulle mura della citt appaiono alcuni CITTADINI di Angers.
PRIMO CITTADINO - Chi ci chiama alle mura?
FILIPPO - Il Re di Francia
a nome anche del Re d'Inghilterra.
GIOVANNI - Inghilterra presente qui in persona,
cittadini d'Angers, miei cari sudditi.
FILIPPO - Voi, beneamati uomini di Angers,
ad Arturo soggetti,
il nostro trombettiere vi ha chiamati
a cordial parlamento...
GIOVANNI - (Interrompendolo)
... a nostro nome.
Perci ascoltate noi prima di loro.
I vessilli di Francia(45)
qui spiegati davanti agli occhi vostri
ed alla vista di questa citt
sono venuti marciando fin qui
per recarvi rovina; i lor cannoni
hanno le viscere gonfie di rabbia
e son gi preparati a vomitare
tutto il loro metallico corruccio
contro le vostre mura;
avanti agli occhi di questa citt
e avanti a quelli dalle ciglia chiuse
di queste vostre porte
questi Francesi si sono apprestati
per un crudele e sanguinoso assedio;
e se non fosse stato il nostro arrivo,
codeste vostre sonnolente pietre
che vi fanno da solida cintura
gi sarebbero state scardinate
dai loro fissi letti di calcina
dalle lor devastanti batterie,
e un'ampia breccia avrebbe aperto il varco
ad una truppa assetata di sangue
per irrompere sulla vostra pace.
Ma alla vista di noi,
vostro legittimo signore e re,
che a gran fatica, con marce forzate,
ci siam portati a far da contrappeso
avanti a queste porte,
per proteggere le minacciate guance
della vostra citt dai lor graffi,
ora questi Francesi, impressionati
e stupiti della presenza nostra,
vi chiedon di venire a parlamento
e in luogo di proiettili infuocati
che dessero a codeste vostre mura
una tal febbre da squassarle tutte,
sparano solo tranquille parole
avviluppate di fumosi veli
per infondere nelle vostre orecchie
ingannevole errore; a tutto questo
date per il credito che merita,
cortesi cittadini, e in buona pace
lasciate entrar noi, vostro sovrano,
le cui stanche energie, messe alla prova
dalla rapidit di questa azione,
avrebbero bisogno di trovare
necessario ricovero e riposo
entro le vostre mura cittadine.(46)
FILIPPO - (Ai cittadini di Angers)
Risponderete a entrambi
dopo che avrete ascoltato anche me.
(Prende la mano di Arturo)
Ecco, stretta la sua nella mia destra
che ha fatto sacrosanto giuramento
di farsi protettrice del diritto
di colui che la stringe, innanzi a voi
sta qui il giovane Plantageneto
figlio ed erede del fratel maggiore
di quest'uomo, e re sopra di lui
(Indica Re Giovanni)
e sopra tutto quanto egli si gode.
Per questo calpestato suo diritto
noi calpestiamo, con marce di guerra,
i campi avanti alla vostra citt,
senza con ci sentirci a voi nemici
pi che non chieda l'ospitale zelo
di recare cristianamente aiuto
a questo giovane principe oppresso.
Vi piaccia quindi render quell'omaggio,
che legittimamente voi dovete,
alla persona cui esso compete,
a questo giovin principe.
Se questo adempirete, le nostre armi,
al par di un orso con la museruola,
non pi offensive fuor che nell'aspetto,
terranno chiusa in loro ogni minaccia
e la potenza dei nostri cannoni
sar volta a colpir con vani colpi
le invulnerabili nuvole in cielo;(47)
e noi, felici e indenni ritirandoci,
con le spade rimaste inintaccate
e gli elmi intatti, torneremo a casa,
riportando quel sangue vigoroso
ch'eravamo venuti qui a versare
contro questa citt,
e lasceremo in pace i vostri figli,
le vostre mogli e voi.
Ma se foste cos sconsiderati
da rifiutare questa nostra offerta,
non sar certo questa vostra cinta
d'antiche mura a fornirvi un riparo
dai nostri messaggeri di sterminio,(48)
fossero pure stati questi Inglesi
acquartierati tutti, armi e bagagli,
all'interno della lor rozza cerchia.
Diteci dunque: la vostra citt
ci riconosce suo signore e re
nel nome e nel legittimo interesse
di colui per il quale siamo in armi?
O dobbiamo noi dar libero sfogo
all'ira, e aprirci la strada nel sangue,
per aver quel che nostro? Decidete.
PRIMO CITTADINO - In breve, questa la nostra risposta:
noi siamo sudditi del re inglese;
per lui e in suo diritto
teniamo in carico questa citt.
GIOVANNI - Riconoscete allora il vostro re
nella nostra persona,
e lasciateci entrare.
PRIMO CITTADINO - Questo no,
non possibile, per il momento.
Colui che prover d'essere il re,
si avr la nostra piena lealt.
Ma fino allora terremo sprangate
le nostre porte in faccia a chicchessia.
GIOVANNI - Non basta la corona d'Inghilterra
a provare chi re?(49)
E se non quella, sono qui con me
a testimoni trentamila cuori
inglesi puro sangue....
BASTARDO - (A parte)
Anche bastardi...
GIOVANNI - ... pronti ad assicurare con la vita
questo nostro diritto.
FILIPPO - Ed altrettanti
e di non meno nobilt di sangue...
BASTARDO - (c.s.)
Bastardi pure inclusi...
FILIPPO - ... sono qui,
cittadini di Angers, di fronte a lui,
a contrastarne le ingiuste pretese.
PRIMO CITTADINO - Fino a che non avrete stabilito
chi tra di voi pi degno del titolo,
noi lo terremo in sospeso ad entrambi,
per riconoscerlo a chi spetter.(50)
GIOVANNI - Perdoni allora Iddio i lor peccati
a tutte quelle anime che oggi,
prima che la rugiada della sera
si sia posata al suolo,
s'involeranno alla dimora eterna
nella paurosa giostra che dir
chi dev'essere il re di questo regno.
FILIPPO - Amen! In sella cavalieri! All'armi!
BASTARDO - Voglia ora San Giorgio,
che seppe sbattacchiar ben bene il drago,
e che da allora se ne sta a cavallo
sulla porta della mia taverniera(51)
istruirci a menare un po' di scherma...
(Al duca d'Austria)
Bene, amico, vi giuro, che se adesso
mi trovassi da voi, in casa vostra,
s, dico, amico, nella vostra tana
insieme con la vostra leonessa,
su quella vostra pelle di leone
ci pianterei una testa di bove,
e vi farei un mostro.(52)
AUSTRIA - Basta adesso!
BASTARDO - Oh, oh, tremate, il leone ha ruggito!
GIOVANNI - Attestiamoci sopra quell'altura;
l disporremo i nostri reggimenti(53)
in miglior posizione.
BASTARDO - Presto, allora:
ci assicuriamo il vantaggio del campo.
FILIPPO - E sia pure cos. Sull'altra altura
noi faremo attestare a nostra volta
le nostre forze. Dieu et mon droit(54).
(Escono, da parti opposte, i due re col loro seguito)
Allarme di guerra e scorrerie di soldati francesi e inglesi.
Entra l'ARALDO FRANCESE con trombettiere
ARALDO FRANCESE - (Dopo lo squillo del trombettiere)
Cittadini di Angers,
potete spalancar le vostre porte
e far entrare Arturo di Bretagna
che oggi, per la man del re di Francia,
stato causa a molte madri inglesi
d'assai lacrime; sparsi in tutto il campo
giacciono i loro figli in mezzo al sangue;
con loro giacciono riversi al suolo
come abbracciando in un gelido amplesso
la scolorita terra anche i mariti
di molte spose diventate vedove;
e la vittoria che alla nostra parte
trascurabili perdite costata,
va giocando col vento
sui danzanti vessilli dei francesi,
che son qui presso schierati in trionfo
per fare ingresso da trionfatori
nella vostra citt,
e proclamare Arturo di Bretagna
re d'Inghilterra e vostro.
Entra l'ARALDO INGLESE con trombettiere
ARALDO INGLESE - (Dopo lo squillo del trombettiere)
Esultate, voi uomini di Angers!
Suonate a stormo le vostre campane!
Giovanni d'Inghilterra e vostro re,
giunge a voi vittorioso
di questa ardente e tremenda giornata.
Le armature che mossero da qui
rutilanti d'argento ora ritornano
indorate dal sangue dei francesi:
non una piuma di cimiero inglese
stata avulsa da picca francese;
le nostre insegne tornano impugnate
da quelle stesse mani
che gi le avevano spiegate al vento
quando marciammo prima alla battaglia
e insieme ad esse fanno a voi ritorno,
come un gruppo di allegri cacciatori
i nostri baldi combattenti inglesi,
le mani di ciascuno imporporate
nella strage mortale dei nemici.
Aprite, e fate entrare i vincitori!
PRIMO CITTADINO - Araldi, noi da queste nostre torri(55)
abbiam potuto, dall'inizio al termine
della battaglia, osservar chiaramente
dei vostri due eserciti, a vicenda,
il prevalere e quindi l'arretrare
ed anche l'occhio pi acuto dei nostri
non ha saputo rilevar tra loro
che parit: sangue ha chiamato sangue
colpo ha risposto a colpo, forza a forza,
e potenza a potenza, pari entrambi
e parimenti da noi apprezzati.
A noi serve veder chi il pi forte;
finch il lor peso sar cos uguale,
noi non consegneremo la citt
a nessuno dei due,
pur tenendola pronta per entrambi.
Rientrano, da parti opposte, RE GIOVANNI con ELEONORA, BIANCA e il BASTARDO; RE FILIPPO, con il DELFINO LUIGI e il Duca d'AUSTRIA; nobili e soldati da entrambe le parti.
GIOVANNI - Francia, hai ancora sangue da buttare?
Di', dunque, dovr o no scorrere libera
la corrente del nostro buon diritto?
Perch se al suo libero passaggio
sar da te frapposto impedimento,
se non lascerai scorrere tranquille
fino all'oceano l'acque sue d'argento,
dovr lasciare il natural suo alveo
e riversare il suo turbato flusso
oltre le sponde in cui tu vuoi restringerlo.
FILIPPO - Inghilterra, tu in questa accesa prova
non hai salvato una goccia di sangue
meno di noi francesi.
Anzi ne avrai perdute anche di pi.
Ed io ti giuro sopra questa mano
che regge questa parte della terra
sulla quale s'inarca questo cielo
che noi non deporremo pi quest'armi
impugnate per una causa giusta
prima d'avere rovesciato te,
contro cui le portiamo;
o aver aggiunto al numero dei morti
quello d'un re, (56) con esso dando lustro
all'albo dei caduti in questa guerra
la cui carneficina, nella storia,
sar associata al nome di due re.
BASTARDO - (A parte)
Come troneggia alta la tua gloria,
maest, quando s'accende di furore
il preziosissimo sangue d'un re!
Ah, la morte ora fodera d'acciaio
le fere sue mascelle; denti e zanne
sono ad esse le spade dei soldati;
e con esse artigliando umana carne,
banchetter alla grande
in questa incerta contesa di re.
Ma perch stanno ancor s titubanti
queste fronti regali? Urlate: "A morte!",
o re, tornate al campo di battaglia,
ancora caldo del recente sangue,
voi, anime infiammate di rancore,
d'egual potenza entrambe. E la disfatta
d'uno sancisca la pace dell'altro.
Fino ad allora, colpi, sangue e morte!
GIOVANNI - (A quelli di Angers sugli spalti)
Quale delle due parti, cittadini,
siete dunque disposti a riconoscere?
FILIPPO - (c.s.)
Parlate. Dite chi, per l'Inghilterra
il vostro re?
PRIMO CITTADINO - Sar il re d'Inghilterra,
quando conosceremo chi n' re.
FILIPPO - Riconoscetelo pertanto in noi
che qui rappresentiamo i suoi diritti.
GIOVANNI - In noi, che sia qui davanti a voi
l'augusto vicario di noi stessi,
e rechiamo, con la presenza nostra,
testimonianza della signoria
di noi stessi, d'Angers e di voi tutti.
PRIMO CITTADINO - Un potere che sta sopra di noi
ci vieta tutto questo; e fino a quando
non sia stato rimosso ogni dubbio,
conserveremo in noi il nostro scrupolo,
re dei nostri timori, ben serrato
entro le nostre ben sprangate porte,
finch questi timori
non siano stati per sempre dissolti,
e il nostro scrupolo detronizzato
dalla certezza di chi nostro re.
BASTARDO - (Ai due re)
Perdio, vostre maest, questi furbastri,
si fan gioco di noi. Stan l al sicuro,
come a teatro, su quei loro merli,
a seguire dall'alto, a bocca aperta,
le ben rappresentate vostre scene,
i vostri atti di morte.(57)
Si lascino le vostre maest
guidare dal mio umile consiglio:
fate come i ribelli in Palestina;(58)
stringete un'alleanza provvisoria
e rivolgete, con le forze unite,
contro questa citt la vostra collera
nelle pi crude sue dimostrazioni.
Da est a ovest, Francia ed Inghilterra
puntino i lor cannoni micidiali
fino alla bocca carichi di polvere
finch col loro orribile sconquasso
non abbian diroccato e raso al suolo
la pietrosa cintura
di questa altezzosissima citt.
Ci avrei sinceramente un gusto matto
a bersagliare questi ruffianacci,
fino a ridurli a tal desolazione
che, venuta lor meno ogni difesa,
li lasci spogli e nudi come l'aria.
Una volta compiuta tal rovina,
potrete nuovamente separare
gli uniti vostri eserciti,
riprendervi ciascuno i suoi vessilli
ed azzuffarvi ancora, faccia a faccia,
punta di spada a punta, sangue a sangue;
e sia pur la Fortuna allora a scegliere,
tra le due parti, in un solo momento,
il suo ben fortunato beniamino
al quale vorr dare la vittoria,
nel bacio della gloria.
Che vi pare, potenti maest
di questo mio avventato consiglio?
Non credete che sappia alquanto bene
di politica astuzia?(59)
GIOVANNI - Ebbene s,
per il cielo che su di noi s'inarca,
il consiglio non mi dispiace affatto!
Francia, vogliamo unir le nostre forze,
e, una volta rasa al suolo Angers,
vedercela di nuovo tra noi due
a chi appartenga d'essere il suo re?
BASTARDO - (Al re di Francia)
Anche tu come noi sei stato offeso
dall'insolenza di questa citt,
e dunque se di re hai tu la tempra,
punta anche tu le tue artiglierie,
come faremo noi con quelle nostre,
su queste sue impertinenti mura,
e, dopo che le avremo rase al suolo,
sfidiamoci fra noi al meglio-peggio,
per il cielo o l'inferno.
FILIPPO - Mi sta bene.
Voi da che parte volete attaccare?
GIOVANNI - Noi faremo piombare la distruzione
al cuor della citt da occidente.
AUSTRIA - Io lo far da nord.
FILIPPO - I nostri tuoni
faranno allora piovere da sud
pioggia di fuoco su questa citt.
BASTARDO - (A Re Giovanni)
Sagace strategia! Da nord a sud,
opposti l'uno all'altro, Austria e Francia
si spareranno addosso. Incoraggiamoli!(60)
PRIMO CITTADINO - Ascoltate, possenti maest.
Concedetevi un attimo di sosta,
ed io v'indicher la giusta via
per una pace e un'intesa leale,
s che possiate aver questa citt
senza colpo ferire,
e permettere a tutti questi vivi
qui venuti a sacrificar sul campo
la vita, di morir nel proprio letto.
Non ostinatevi, possenti re,
ma date ascolto a me.
GIOVANNI - Ebbene, parla.
Siamo qui ben disposti ad ascoltare.
PRIMO CITTADINO - Quella figlia del re di Spagna, l,
Lady Bianca, nipote d'Inghilterra.
Considerate l'et del Delfino
e di codesta leggiadra ragazza.
Un amore sensuale
che andasse in cerca solo di belt
dove ne troverebbe di pi splendida?
Un amor castigato
che andasse in cerca solo di virt
dove ne troverebbe di pi casta?
Un amore ambizioso
che sol cercasse nobilt di sangue
nelle vene di quale altra fanciulla
ne potrebbe trovare di pi nobile
che in Lady Bianca? E cos come in lei
vera perfezione di virt,
di natali e di giovanil bellezza,
perfetto anche il giovane Delfino;
e se qualcosa si pu dir che manchi
alla sua pi completa perfezione,
di non esser lei; cos se a lei
si vuol dir che qualcosa sia mancante
di non esser lui.
In conclusione, si potrebbe dire
ch'egli sia in se stesso la met
dell'uomo pieno d'ogni perfezione,
che troverebbe in lei l'altra met,
ed ella un'incompiuta perfezione
che avrebbe in lui il suo completamento.
Oh, quando unissero le loro acque
due argentee correnti come queste,
farebbero il decoro delle sponde
che le contengono; e quelle sponde,
letto alle due correnti unificate,
sareste voi due re, per questi principi,
se consentiste al loro matrimonio.
Potrebbe pi un'unione di tal specie
contro le nostre ben sprangate porte,
che non possa un'intera batteria;
perch al solo brillar di quella miccia,
noi qui, con pi sollecita premura
che non possa la forza della polvere
spalancheremmo a voi le nostre porte
e vi daremmo ingresso alla citt.(61)
Ma senza questa unione,(62)
non s sordo l'oceano in tempesta,
non s fermo ed impavido il leone,
non cos inesorabile
la furia distruttrice della morte,
come noi a difender queste mura.
BASTARDO - (A parte)
Ecco davvero un bel colpo di freno,
che viene a scrollar fuori dai suoi stracci
la putrida carcassa della morte.(63)
Ecco un bel boccalone linguacciuto
che sputa fuori come fosse niente
morte, montagne, rocce, mari in furia,
e parla di leoni inferociti
famigliarmente, come dei lor cuccioli
le ragazzine tredicenni. Cribbio!
Qual bombardiere pu aver generato
questo sangue bollente?
Il suo parlare il tuono d'un cannone:
fuoco e fumo, con tanto di rimbombo;
con la lingua costui assesta colpi
che sono schiaffi per le nostre orecchie;
ed ogni sua parola una ceffata
pi forte del cazzotto d'un francese.
Sangue di Cristo! Mai m'era successo
d'esser pestato cos di parole
da quella volta che chiamai "pap"
il padre di Roberto mio fratello!
ELEONORA - (A parte a Giovanni)
Figlio, non farti sfuggir l'occasione,
da' il tuo consenso a questo matrimonio,
anzi assicura alla nostra nipote
una dote cospicua; questo vincolo
ti far pi sicura la corona,
cos malferma ancora sul tuo capo,
e far s che quel ragazzo in erba
non abbia a trovar sole sufficiente
a maturare la sua fioritura,(64)
che promette, se no, potenti frutti.
Mi par di scorgere sul viso al Francia
una certa disposizione a cedere:
guarda come parlottano tra loro....
Sollecitali mentre i loro animi
si mostran, come pare, ricettivi
a codesta ambiziosa prospettiva,
che il ferro della loro propensione,
or giunto al punto giusto di fusione, (65)
non abbia a raffreddarsi
e irrigidirsi nuovamente al vento
di blande petizioni,
ripensamenti e pietosi rimorsi.
PRIMO CITTADINO - Perch restano mute
le due maest davanti alla proposta
formulata con amichevol cuore
da questa nostra citt minacciata?
FILIPPO - Inghilterra, rispondi tu per primo,
tu che per primo ti sei fatto avanti
a parlargli: ebbene che ne dici?
GIOVANNI - Se il principe Delfino,
tuo principesco figlio, qui presente,
sapr legger: "Io amo"
in questo libro aperto di belt,
la di lei dote eguaglier nel peso
quella d'una regina: l'Angi, il Maine,
la fertile Turenna, il Poitou,
e tutto quello che di qua dal mare
ci troviamo ad avere sottoposto
alla nostra corona e autorit,
tranne questa citt ora assediata,
adorneranno il suo letto nuziale,
facendola cos ricca per titoli
quanto gi per bellezza, educazione
e nobilt di sangue ella sta al pari
d'ogni altra principessa della terra.
FILIPPO - (Al figlio)
Tu che dici ragazzo?
Guardala bene in viso la fanciulla.
DELFINO - quel che sto facendo, mio signore;
e nel suo occhio scopro meraviglie,
un qualche cosa che sa di miracolo:
riflessa nel suo occhio la mia ombra,
che, pur essendo sol di vostro figlio
l'ombra, riflessa l diventa un sole
e fa di vostro figlio,
questo ch' qui in carne ed ossa, un'ombra.(66)
(Si apparta a conversare con Bianca)
BASTARDO - (A parte, canterellando)
"Nel quadro seducente
"dell'occhio suo dipinto;
"sospeso all'aggrottato
"di sua fronte cipiglio;
"squartato nel suo cuore,
"contempla sconsolato
"quel traditor d'Amore.
"Epper che peccato
"che ad essere appiccato
"e poi tratto e squartato
"da una tale passione
"sia un tale minchione!"
BIANCA - (Al Delfino)
Il voler di mio zio anche il mio
a tal riguardo. S'ei ravvisa in voi
qualcosa ch' di suo compiacimento,
qualunque cosa ei veda che gli piaccia
io posso facilmente trasferire
nel piacimento mio; o, se volete,
a dirla con maggiore propriet,
imporlo facilmente all'amor mio.
Non voglio star pi oltre a lusingarvi
col dirvi come sia degno d'amore
tutto che in voi m' dato di vedere.
Vi basti questo: non c' nulla in voi
che, se pur sottoposto da mia parte
al vaglio dei pi critici pensieri,
possa apparirmi tale
da meritare la minima repulsa.
GIOVANNI - Che dicon questi giovani?
Che mi dice la mia cara nipote?
BIANCA - Che sente come un obbligo d'onore
adempier di buon grado a tutto quanto
voi possiate, nella saggezza vostra,
suggerire ch'ella faccia pel suo bene.
GIOVANNI - Parlate allora, principe Delfino,
vi sentite d'amar questa signora?
DELFINO - Chiedetemi piuttosto, mio signore,
se potrei mai sentir di non amarla,
perch l'amo, del pi sincero amore.
GIOVANNI - Ed io ti do, con lei, quand' cos,
il Vexin, la Turenna, il Poitiers,
l'Angi ed il Maine: queste cinque terre,
e l'appannaggio di tremila franchi
di conio inglese. Filippo di Francia,
se tutto questo di tuo gradimento,
ordina a questi due, tuo figlio e figlia,
d'unir le loro mani.(67)
FILIPPO - Ci sta bene.
Giovani principi, unite le mani.
AUSTRIA - E le labbra! Perch io son sicuro
d'aver fatto cos la prima volta
che m' accaduto d'esser fidanzato.
FILIPPO - Cittadini di Angers,
ora potrete aprir le vostre porte
e lasciare che transiti per esse
l'amicizia da voi stessi saldata;
perch al pi presto, con solennit,
sia celebrato il rito delle nozze
nella cappella di Santa Maria.
Lady Costanza dov'? Non qui?
(A parte)
So bene che non c' lo. La sua presenza
sarebbe stato un notevole intralcio
a combinare questo matrimonio.
(Forte)
Dov' lei con suo figlio?
Se c' qualcuno che lo sa, lo dica.
DELFINO - Sotto la vostra tenda, Vostra altezza,
attristata e fremente di passione.
FILIPPO - Certo, non pu recarle gran sollievo
l'alleanza da noi test conclusa.
Fratello Inghilterra,
in che modo possiamo accontentarla
questa vedova? Noi siam qui venuti
per la revindica d'un suo diritto;
e abbiamo preso, Dio lo sa, altra strada
nel nostro personale tornaconto.
GIOVANNI - Troveremo rimedio a tutto questo:
faremo Arturo duca di Bretagna,
conte di Richmond, e di questa ricca
e bella e florida citt signore.
Chiamiamo subito Lady Costanza;
vada da lei veloce un messaggero
a dirle di venire a presenziare
alla nostra solenne cerimonia:
se pur non colmeremo fino al sommo
la misura di quanto ella vorrebbe,
confido che potremo in buona parte
accontentarla; almeno per quel tanto
che basti a far cessar le sue querele.
Ora rechiamoci a disporre al meglio,
per quanto lo consentir la fretta,
questa imprevista e improvvisata pompa.
(Escono tutti tranne il Bastardo)
BASTARDO - Mondo pazzo! Re pazzi! Patto pazzo!
Giovanni, per precludere ad Arturo
il titolo su tutto, in buon accordo
se ne spartisce con lui una parte;
il Francia, addosso al quale la coscienza
aveva fatto allacciar l'armatura,
e che piet e carit cristiana,
da soldato di Dio, avevan tratto
sul campo di battaglia, ora distolto
e abbindolato come tutti gli altri
da quello stesso guastator d'intenti,
quell'astuto demonio, quel mezzano
capace di smezzare anche la testa
della stessa lealt,(68)
quel quotidiano manipolatore
di falsi giuramenti, corruttore
di tutti, re, mendichi, vecchi, giovani,
fanciulle vergini, cui, con l'inganno,
nient'altro possedendo, poverette,
di tesoro, che la verginit,
fa perdere anche quella;
s, dico, da quel bravo gentiluomo
dal viso ben rasato, l'interesse,(69)
l'asse sghembo su cui si regge il mondo,
un mondo che sarebbe, per se stesso,
in relativo stabile equilibrio,
un mondo fatto per fluir scorrevole
su d'un terreno bene levigato,
se non ci fosse lui, il tornaconto,
questa forza d'inclinazione al basso,
questo squilibratore d'ogni moto,
a sviarlo da ogni buon criterio,
da ogni retta via o buon proposito.
Questo ruffiano, questo intermediario,
questo sconvolgitore d'ogni cosa,(70)
avvinghiandosi all'occhio gi svagato
del volubile Francia,
l'ha distolto da ogni suo proposito
di soccorrere altrui, per consigliarlo
a passare da una guerra onorevole
a una pace posticcia, di facciata,
indecorosamente combinata.
Ma perch poi son io
ad imprecare contro l'interesse?
Non sar perch sono stato immune
finora da ogni suo adescamento?
Perch non posso dir nemmeno io
d'esser sicuro di avere la forza
di chiudere la mano,
quando ne carezzassero la palma
i suoi begli angioletti tutti d'oro;(71)
solo che, non ancora tentata,
la mia mano fa come il mendicante
che, povero, impreca contro i ricchi.
Mendicante come son io finora,
seguiter a gridare e proclamare
che la ricchezza l'unico peccato;
ma se dovessi diventare ricco,
terr per mia virt di proclamare
che non v' al mondo peccato pi nero
della mendicit.
Ch se perfino i re per interesse
infrangono la fede, io terr te,
guadagno, come solo mio signore,
adorer te solo per mio dio.
(Esce)
ATTO TERZO
SCENA I - Il campo francese; la tenda del re.
Entrano COSTANZA, ARTURO e SALISBURY
COSTANZA - Via a sposarsi! Via a giurarsi pace!
Sangue falso mischiato a sangue falso!
Eccoli dunque diventati amici!
Luigi si avr Bianca,
e Bianca avr per s quelle province!
No, questo non pu essere:
hai male inteso e male riferisci.
Sii preciso, ripetimelo bene.
Non possibile quello che dici;
sei tu che me lo dici in questo modo,
ma son convinta che non cos,
e non ti credo, ch la tua parola
vano fiato d'uno che non conta.
No, amico, credimi: a tua smentita
ho la parola giurata d'un re.
Io non ti credo. E tu sarai punito,
per avermi cos turbato l'animo,
malata come sono, intimorita
continuamente, sopraffatta l'animo
da molte iniquit; vedova, e donna
proclive per natura alle paure;
tanto che s'anche tu venissi a dirmi
d'aver parlato solo per ischerzo,
questo mio spirito cos agitato
seguiterebbe tutto il giorno a scuotersi
senza darmi un sol attimo di tregua...
Scuoti il capo... perch?
Perch guardi mio figlio con quell'aria
di compassione? Che cosa vuol dire
quella tua mano posata sul petto?
Perch trattengono a forza i tuoi occhi
un doloroso flusso,
come un fiume che spii di l dagli argini,
e si trattenga dallo straripare?
Son forse questi i taciti segnali
d'una conferma delle tue parole?
Parla, allora, ripeti il tuo messaggio.
Ma non tutto, mi basta una parola:
se quel ch'hai detto vero, s o no.(72)
SALISBURY - Vero, per quanto falsa
voi possiate pensare ogni persona
che venga a presentarvi alcun motivo
di credere per vero quel che ho detto.
COSTANZA - Ah, Salisbury, se vero
vuoi farmi credere questo dolore,
insegna pure ad esso come uccidermi;
e fa' che in me il creder che sia vero
quel che dici e il mio spirito vitale
confliggano con tal cieco furore
come sol possono due disperati
che al solo urtarsi stramazzano e muoiono.
Luigi sposa Bianca...
(Ad Arturo)
Oh, che sar mai di te, ragazzo mio,
allora? Francia ed Inghilterra amici...
E io che faccio?
(A Salisbury)
Va', vattene, amico...
La tua vista non la sopporto pi.
Quest'annuncio t'ha reso agli occhi miei
il pi aborrito degli esseri umani.
SALISBURY - Che male ho fatto io, buona signora,
se non che d'esservi stato latore
del male procuratovi da altri?
COSTANZA - Ma un male in s tanto cattivo,
da rendere cattivo chi ne parla.
ARTURO - Madre mia, vi scongiuro, rassegnatevi.
COSTANZA - Ah, se tu che m'esorti a rassegnarmi
fossi un essere bieco, repellente,
disdoro al grembo stesso di tua madre,
coperto il corpo di pustole immonde,
di schianze intollerabili alla vista,
sciocco, sbilenco, idiota, nero, mostro,
oh, allora non starei tanto in affanno
per te, starei, s, calma e rassegnata,
perch non t'avrei certo cos caro;
n tu saresti, allora, come sei,
degno dei tuoi altissimi natali
e meritevole d'una corona.
Ma tu sei bello, caro il mio ragazzo,
natura e buona stella alla tua nascita
s'allearono a fare di te un grande.(73)
Dei doni onde Natura t'ha adornato
potresti gareggiare con i gigli
e con le rose appena mo' sbocciate.
Ma la Fortuna, oh!, quella s' corrotta,
e, mutata con te, t'ha abbandonato;
essa fornica adesso d'ora in ora,
con tuo zio Giovanni,
ed ha spinto con la sua mano d'oro
il re di Francia a far villano scempio
d'ogni rispetto alla sovranit
ed a ridurre la propria maest
al ruolo di ruffiano: il re di Francia
mezzano tra Fortuna e Re Giovanni,
tra una puttana ed un usurpatore!
Dimmi tu, ora, se non uno spergiuro
il re di Francia, amico. Digli tu
tali parole che siano veleno,
o vattene, e lascia solo a me,
queste ambasce ch'io sola ho da soffrire!
SALISBURY - Perdonate, signora, ma tornare
non posso dai due re senza di voi.
COSTANZA - Lo puoi, anzi lo devi.
Perch'io con te non vengo.
Voglio insegnare ad essere orgogliose
alle mie sofferenze; anche il dolore
ha un orgoglio ch' il suo, e impone agli altri
di venirsi a inchinare a chi lo sente.(74)
Vengano i re a riunirsi a me dinnanzi,
davanti alla maest del mio dolore;
esso cos pesante che a sorreggerlo
non v' altro sostegno che la terra
nell'immobile sua immensit:
(Si siede per terra)
e qui per terra io e il mio dolore
sediamo(75), qui il mio trono;
e tu va' pure ad avvisare i re
di venire a inchinarsi avanti ad esso.
(Esce Salisbury con Arturo)
Entrano RE GIOVANNI, RE FILIPPO, IL DELFINO, BIANCA, ELEONORA, IL BASTARDO, IL DUCA D'AUSTRIA e altri.
COSTANZA rimane seduta a terra.
FILIPPO - (A Bianca)
cos, figlia bella; e d'ora innanzi
questo felice giorno
sar giorno di festa in tutta Francia.
A farlo pi solenne, arresta il corso
oggi il fulgido sole,
e si diverte a fare l'alchimista
in oro luccicante trasmutando
con la luce del suo prezioso occhio
l'arido, magro fango del terreno.(76)
Il volgere dell'anno, che puntuale
nel suo cammino lo ricondurr
dovr sempre veder questo giorno
santificato come d di festa.
COSTANZA - (Alzandosi)
Altro che santo! Un giorno infame questo!
Quali meriti insigni ha questo giorno?
Quale bene ha recato
per esser scritto a caratteri d'oro
tra le solennit del calendario?
Ah, piuttosto strappatelo
dagli altri giorni della settimana,(77)
esso soltanto giorno di vergogna
d'ingiustizia, di falsi giuramenti!
O, se proprio vi deve rimanere,
le donne incinte preghino il Signore
di non farle sgravare in questo giorno,
per tema che le lor belle speranze
siano mostruosamente contrariate;
in altro giorno non teman naufragio
i marinai; non sia violato patto
che non sia stato stretto in questo giorno;
tutto che in questo giorno prenda inizio
abbia per sorte rovinosa fine;
e la stessa lealt, in questo giorno,
si muti nel pi nero tradimento!
FILIPPO - Per il cielo, signora, v'assicuro
che non v' proprio motivo, per voi,
di maledire cos come fate
i lieti eventi di questa giornata:
non avete voi forse la parola
di guarentigia della mia maest?
COSTANZA - Voi m'avete ingannata
con una falsa maest, bugiarda,
rivelatasi al saggio di purezza(78)
una vera patacca. Sceso in armi
col proposito di spillare il sangue
del mio nemico, adesso l'abbracciate,
rendendolo pi forte. (79)
L'ardore ed il cipiglio d'una guerra
si fanno raggelare
in un accordo di pace posticcio,
in una pace solo di facciata,
di questa vostra lega unico mastice
l'oppressione di me e di mio figlio.
Oh, cieli, armatevi, armatevi voi,
contro due re spergiuri!
Una vedova in lacrime vi grida:
"O cieli, siate voi a me marito!(80)
Non permettete che scorrano in pace
l'ore di questo giorno sconfortato;
ma fate, prima che tramonti il sole
su di esso, che la Discordia armata
venga a porsi fra questi re spergiuri...
Oh, uditemi, o cieli!
AUSTRIA - Pace, Lady Costanza...
COSTANZA - Guerra, guerra!
Niente pace! La guerra per me pace!
Oh, Limoges, oh, Austria,
tu copri solamente di vergogna
codesta spoglia ancora insanguinata;(81)
tu, servo, miserabile, codardo!
Tu, uomo tanto piccolo in valore
per quanto grande in mascalzoneria!
Tu, sempre forte a fianco del pi forte;
tu, campione della propizia sorte,
pronto a batterti solo se al tuo fianco
c' la sua capricciosa Signoria
a insegnarti come scampar la pelle!
Sei spergiuro anche tu
che fai da leccapiedi alla Grandezza.(82)
Che stolto sei - uno stolto rampante! -
a smaggiassare, a pestare per terra
giurando d'essere dalla mia parte?
Non hai tu forse, schiavo mezzosangue,
tuonato d'essere mio paladino,
ch'io m'affidassi alla tua buona stella,
alla fortuna tua, alla tua forza?
Ed ora passi con i miei nemici?
Tu, indossare una pelle di leone?
Gettala via, che ti fa sol vergogna!(83)
E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato!
AUSTRIA - Ah, se a parlarmi cos fosse un uomo...
BASTARDO - (Rifacendo il verso a Lady Costanza)
"E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato!"
AUSTRIA - (Mettendo mano alla spada)
Non oserai ripeterlo, furfante,
se vuoi salva la vita!
BASTARDO - "E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato".
GIOVANNI - (Al Bastardo)
Non mi piace. Dimentichi chi sei.(84)
Entra il CARDINALE PANDOLFO (85)
FILIPPO - Oh, ecco il santo legato del papa!
PANDOLFO - Salvete, unti vicari del Signore!
Re Giovanni, a te indirizzato
il mio sacro messaggio. Io, Pandolfo,
della bella Milano cardinale,
e qui da Papa Innocenzo legato,
in nome della sacra sua persona
ti chiedo perch s ricalcitrante
sei contro nostra santa madre Chiesa;
e perch mai ti opponi con la forza
a che Stefano Langhton,
arcivescovo eletto di Canterbury,
occupi questa sua divina sede.
Questo, in nome del detto santo padre,
nostro papa Innocenzo, io ti domando.
GIOVANNI - Cardinale, qual nome sulla terra
pu arrogarsi il diritto
di sottoporre ad interrogatorio
d'un consacrato re il libero fiato?
Inutilmente, per trarmi a rispondere
tu tiri fuori un nome tanto futile,
e indegno ed irrisorio com' quello
del papa. Digli solamente questo.
E, dalla bocca del re d'Inghilterra,
aggiungi che nessun prete italiano
potr riscuotere balzelli e decime
nei territori di nostro dominio;
e come noi, soggetti solo a Dio,
siamo qui la suprema autorit,
cos intendiamo solo a Lui rispondere
del potere laddove noi regniamo,
senza assistenza di mano mortale.
Questo riporta al papa, ogni riguardo
messo da parte per la sua persona
e l'usurpata(86) sua autorit.
FILIPPO - Fratello Inghilterra, tu bestemmi
a parlare cos.
GIOVANNI - Fratello Francia,
se tu e tutti gli altri re cristiani
vi lasciate guidar s rozzamente
da questo prete subdolo e intrigante
per il timore d'un suo anatema
che il denaro pu sempre ricomprare,
ed acquistate, a suon di vil moneta,
polvere, scorie, corrotte indulgenze
da un personaggio che con quelle vendite
vende un perdono che vien sol da lui;(87)
se tu e tutti gli altri re cristiani,
s grossolanamente infinocchiati
intrattenete col vostro denaro
questa stregoneria da gabbamondo,
io, per quanto per me,
da oggi in poi, da solo, io, Giovanni,
mi metto contro il papa,
e terr miei nemici i suoi amici.
PANDOLFO - E allora dal legittimo potere
di cui sono investito, ti dichiaro
maledetto e colpito da scomunica;
e benedetto sia da oggi in poi
chiunque neghi propria sudditanza
ad un eretico; e meritoria,
canonizzata e venerata santa,
sar la mano che in qualsiasi modo,
anche il pi subdolo,
sopprimer l'obbrobriosa tua vita.(88)
COSTANZA - Ah, sia legittimo anche per me
associarmi con Roma a maledire!(89)
E tu rispondi alto il tuo "amen"
alle violente mie maledizioni,
buon padre cardinale, ch nessuno
che non abbia sofferto i torti miei
ha lingua ch'abbia pari buon diritto
a maledirlo con tutta la forza.
PANDOLFO - Signora, per la mia maledizione
c' la legge canonica e un mandato.
COSTANZA - E la legge c' anche per la mia.
Quando la legge non rende giustizia,
diviene giusto che la stessa legge
non impedisca che maledica.(90)
La legge non pu fare che a mio figlio
sia reso il regno che per legge suo,
perch colui che quel regno detiene,
detiene anche la legge; e se la legge
essa stessa perfetta ingiustizia,
con qual diritto pu essa impedire
alla mia lingua la maledizione?
PANDOLFO - Re Filippo di Francia,
sotto minaccia anche tu di anatema,
ritira la tua mano
dalla stretta di questo arcieretico
e leva la potenza della Francia
sul suo capo, qualora egli persista
a non voler sottomettersi a Roma.
ELEONORA - (A Filippo)
Impallidisci, Francia?...
Non ritrarre la mano.
COSTANZA - Attento, Satana,
che il re di Francia non abbia a pentirsi,
e che, staccandosi quelle due mani,
l'inferno perda un'anima.(91)
AUSTRIA - Re Filippo, ascoltate il cardinale.
BASTARDO - E appiccate una pelle di vitello
su quelle spalle sue di rinnegato!(92)
AUSTRIA - Eh, buon per te, villano,
che mi tocca intascare queste offese
perch...
BASTARDO - ... Hai braghe larghe a sufficienza. (93)
GIOVANNI - Filippo, che rispondi al cardinale?(94)
COSTANZA - Che altro pu rispondere,
se non dargli ragione?
DELFINO - Attento bene,
padre, perch le sole alternative
sono una grave condanna da Roma,
o la perdita - certo meno grave -
dell'amicizia del re d'Inghilterra.
Conviene scegliere il male minore.
BIANCA - E cio la scomunica di Roma.
COSTANZA - No, Luigi, sta' saldo!
il diavolo in persona che ti tenta
nelle false sembianze d'una sposa
che s' appena spogliata del suo velo.(95)
BIANCA - (A Filippo)
Lady Costanza vi parla cos
non mossa da lealt verso di voi,
ma dalle sue miserie.(96)
COSTANZA - Oh, se davvero tu le conoscessi
le mie miserie, che son solo vive
perch morta negli altri la lealt,
dovresti allora ammettere in principio
che la lealt ritornerebbe a vivere
quando fossero morte le miserie.
Oh, calpestate allor le mie miserie,
e la lealt sar vivificata;
tenete in vita queste mie miserie,
e la lealt ne rester schiacciata.
GIOVANNI - Re Filippo turbato, non risponde.
COSTANZA - (A Filippo)
Oh, stccati da lui. Rispondi bene
al cardinale.
AUSTRIA - Avanti, Re Filippo,
non rimanete sospeso nel dubbio.
BASTARDO - (All'Austria)
Sospesa, tu, devi solo tenere
sulle spalle una pelle di vitello,
dolcissimo pagliaccio!
FILIPPO - (Al Cardinale)
Son perplesso, non so che cosa dire.
PANDOLFO - E che dirai, ancora pi perplesso,
quando scomunica e maledizione
venissero a pesar sulle tue spalle?
FILIPPO - Padre santo, mettetevi al mio posto,
ditemi che fareste. Questa mano
(Mostrando la destra di Giovanni stretta nella sua)
s' da poco annodata con la mia
e con esse si sono cos uniti
in intima alleanza i nostri cuori
come sposati col solenne rito
d'un sacro voto. Nostro ultimo fiato
profferito con suono di parola
stato per scambiarci giuramento
di fedelt, di pace, d'amicizia
e di reciproco sincero affetto
fra i nostri regni e le nostre maest.
Ancora poco fa, le nostre mani,
prima di questa tregua,
il tempo di lavarle a suggellare
con una loro stretta questo patto,
sa il cielo come fossero imbrattate
e tinte dal pennello del massacro,
l dove la Vendetta dipingeva
il pauroso scontro tra due re
infiammati di furia distruttiva.
E dovrebbero adesso, queste mani,
cos da poco terse di quel sangue,
cos da poco unite nell'affetto,
cos forti nell'odio e nell'amore,
disannodare questa loro stretta
e questo loro patto di amicizia?
Dovremmo noi giocare a lega-e-sciogli,(97)
con la lealt? Giocar cos col cielo?
Ridurci a dei volubili bimbetti
cos da sciogliere ancora di nuovo
l'una palma dall'altra,
spergiurare la fedelt giurata,
far marciare un nemico sanguinario
sopra il letto nuziale d'una pace
che ora ci sorride,
stampare il segno della turbolenza
sulla fronte gentile
d'una vera, genuina lealt?...
Santo signore, reverendo padre,
fate che questo non abbia a succedere.
Fate sgorgare dalla vostra grazia
un mezzo, un ordine, un'imposizione,
una forma gentile di procedere,
e noi saremo allora ben felici
di compiacervi e di restare amici.
PANDOLFO - Ogni forma deforme,
ogni ordine disordine,
se non s'opponga alla vostra amicizia
con l'Inghilterra. Perci, Francia, all'armi!
Fatti campione della nostra chiesa,
o su di te la chiesa nostra madre
pronuncer la sua maledizione,
s, la maledizione d'una madre
contro il figlio ribelle.
E allora sar meglio per te, Francia,
afferrare un serpente per la lingua,(98)
o un leone infuriato(99) per le zampe,
o una tigre affamata per i denti
che seguitare a tener stretta in pace
nella tua mano quella che ora stringi.
FILIPPO - Posso disannodar da lui la mano,
non da lui la mia fede.
PANDOLFO - Della fede
tu fai cos un nemico della fede,(100)
e opponi giuramento a giuramento,
parola data a parola giurata,
come in guerra civile tra di loro.
Ah, fa' che il voto prima fatto al cielo,
quello d'esser campione della chiesa
prima d'ogni altro sia da te osservato;
ci ch'hai giurato dopo
fu giurato da te contro te stesso
e puoi esimerti dall'osservarlo,
ch giurar di far male non male,
se il giurare fu fatto a fin di bene,
ed somma lealt non osservarlo,
quando osservarlo porterebbe male.
La maniera migliore
di eseguire un proponimento errato
errare di nuovo;(101) anche se ci
pu apparire una falsa deviazione,
la falsa direzione in questo modo
diviene dritta via,
la falsit si fa alla falsit
rimedio, come il fuoco
sa raffreddare il fuoco nelle vene
di chi con esso s' appena scottato.
Mantener fede ai propri giuramenti
precetto di nostra religione;
ma tu, giurando fede ad Inghilterra,(102)
giurasti contro la tua religione,
e di questo secondo giuramento
fai ora un punto fermo di lealt
contro quel primo, alla cui verit
esiti adesso a rimaner fedele.
Se giuri lealt, e non sei certo
di poterti mantenere ad essa fede
per un contrario previo giuramento,
sol giuri per non essere spergiuro.(103)
Se no, che beffa sarebbe giurare!
Ma giurando cos,
tu giuri solo d'essere spergiuro
e tanto pi in quanto pi deciso
a tener fede al primo giuramento.
Pertanto il tuo secondo giuramento,
proprio perch in contrasto con il primo,
rivolto da te contro te stesso;
talch non potrai far miglior conquista
che armare quelle parti di te stesso
di pi costante e pi nobile tempra
a combattere contro queste folli,
insensate e perverse suggestioni.
A queste parti di te pi sensibili
sono rivolte le nostre preghiere,
se ti vorrai degnare di ascoltarle.
Tieni per certo, se diversamente,
che graver su di te la scomunica,
pesantemente, e sar tanto il peso,
che non potrai scrollartelo di dosso
fino a morire di disperazione.
AUSTRIA - Ribellione! Aperta ribellione!
BASTARDO - E come no?! Una pelle di vitello
riuscir a chiuderti la bocca?
DELFINO - All'armi, all'armi, padre!
BIANCA - (Al Delfino)
All'armi il giorno delle nostre nozze?
All'armi contro il sangue
con il quale ti sei appena unito?
E che! Vogliamo banchettare a nozze
in compagnia di uomini scannati?
Saranno musiche alla nostra pompa
lo stridulo squillare delle trombe,
il grave e cupo rullo dei tamburi,
l'infernale clamor della battaglia?
Ascoltami, marito... ah, questo nome:
"marito" che mi suona sulle labbra
s nuovo... ed io per esso ti scongiuro,
ecco, in ginocchio:
(Cade in ginocchio)
non scendere in armi
contro mio zio!
COSTANZA - (Inginocchiandosi anch'essa al Delfino)
Ah, su queste ginocchia
incallite dalle genuflessioni,
son io, virtuoso Delfino, a pregarti
di non voler alterar la sentenza
decretata dal cielo!
BIANCA - (Al Delfino)
Ora vedr se veramente m'ami:
qual motivo pu mai valer per te
pi del nome di sposa?
COSTANZA - Quello stesso
che dovrebbe valere anche per te:
l'onore. Ah, Luigi, il tuo onore!
DELFINO - (Al padre)
Perch, maest, restate cos freddo
davanti a cos gravi decisioni?
PANDOLFO - Lancer sul suo capo la scomunica.
FILIPPO - Non ce ne avrai bisogno, cardinale.
(A Giovanni, ritirando la mano)
Inghilterra, da te io mi distacco.
(Bianca e Costanza si rialzano)
COSTANZA - Oh, nobile ritorno
d'una maest che pareva bandita!
ELEONORA - Oh, turpe tradimento
della sleale incostanza francese!
GIOVANNI - Francia, m'ascolta: non passer un'ora,
che di quest'ora tu dovrai dolerti.
BASTARDO - Se sar il vecchio Tempo,
questo regolatore d'orologi,
il Tempo, questo calvo sagrestano
a decidere, allora veramente
il re di Francia avr di che dolersi.(104)
BIANCA - O mio bel giorno, addio!
Il tuo sole tramonter nel sangue!
Ed io, da quale parte dovr stare?
Mi ritrovo a met tra i due eserciti,
come tenuta per mano da entrambi,
e in mezzo al turbine della lor furia,
da entrambi tratta, come dilaniata.
Sposo, non posso pregar che tu vinca;
zio, son costretta a pregar che tu perda;
padre, non posso augurarmi per te
che la fortuna ti sia favorevole;
nonna, non posso voler avverati
i desideri tuoi. Chiunque vinca,
la sicura perdente sar io.
La mia perdita dunque assicurata,
gi prima che abbia inizio la partita.
DELFINO - Signora, a me, a me sono legate
le tue sorti.
BIANCA - Laddove esse vivranno,
l morr la mia vita.
GIOVANNI - (Al Bastardo)
Nipote,(105) va' a radunare la truppa.
(Esce il Bastardo)
Francia, mi brucia in petto tanta collera,
che solo il sangue pu spegnere il fuoco
di tanta rabbia, ed un unico sangue,
il pi prezioso di tutta la Francia!
FILIPPO - Questa tua rabbia ti brucer dentro
s da ridurti in cenere ancor prima
che il nostro sangue abbia spento il tuo fuoco.
Attento a te, piuttosto: sei in pericolo.
GIOVANNI - Non pi di chi mi fa questa minaccia.
All'armi, all'armi, via!
(Escono da parti opposte Inglesi e Francesi)
SCENA II - La piana davanti ad Angers
Allarmi di guerra. Escursioni di soldati delle due parti.
Entra IL BASTARDO recando, presala pei capelli a mo' di lanterna, la testa del Duca d'Austria
BASTARDO - Per la mia vita, questo azzuffamento
si fa sempre pi caldo!
Par come se per quest'aria attorno
aleggi qualche spirito maligno
che spedisce malanni sulla terra.
Tu, testa d'Austria, mettiti un po' qua,
che Filippo(106) riprenda un po' di fiato.
(Posa a terra la testa mozza, e si siede)
Entrano RE GIOVANNI, ARTURO e UBERTO(107)
GIOVANNI - (A Uberto, consegnandogli Arturo)
Prendi in consegna tu questo ragazzo.
Filippo muoviti. Mia madre sola
sotto la nostra tenda, ed ho paura
che sia stata assalita e catturata.
BASTARDO - Mio signore, l'ho messa in salvo io.
Sua Altezza al sicuro, non temete.
Ma avanti, mio sovrano,
baster un ultimo minimo sforzo
per menare a buon fine questa impresa.
(Escono)
SCENA III - La stessa
Allarmi. Escursioni. Ritirata.
Rientrano RE GIOVANNI, ELEONORA, ARTURO, IL BASTARDO, UBERTO e nobili inglesi
GIOVANNI - (Alla madre)
Si far dunque cos: vostra grazia
rester in Francia, sotto buona scorta.
(Ad Arturo)
Nipote, su, non esser cos triste!
Tua nonna ti vuol bene, e questo zio
ti terr caro al pari di tuo padre.
ARTURO - Ahim, mia madre morir per questo
di crepacuore!
GIOVANNI - (Al Bastardo)
Via, nipote, via,
veloce in Inghilterra avanti a noi;
e, prima che arriviamo,
vedi di poter scuotere ben bene
i ben forniti sacchi degli abati;(108)
e metti in libert tutti quegli angeli(109)
che vi sono tenuti prigionieri.
I rimpinguati lombi della pace
ora devon nutrire gli affamati.
Usa il nostro mandato
in tutta la sua massima efficacia.
BASTARDO - Non ci sar campana, libro, cero(110)
che potran trattenermi d'un sol passo
quando l'oro e l'argento
mi daranno il segnale d'avanzata!
Vi lascio, Altezza.
(A Eleonora)
Nonna,
se mi ricorder d'esser devoto,
pregher per la vostra salvazione!
Per il momento vi bacio le mani.
ELEONORA - Addio, mio bel nipote.
GIOVANNI - Addio, nipote.
(Esce il Bastardo)
ELEONORA - (Ad Arturo)
Vieni qui, nipotino,
tua nonna deve dirti una parola.
(Lo trae in disparte)
GIOVANNI - Uberto, ascolta. Uberto mio gentile,
noi molto ti dobbiamo.
Uberto, in questo involucro di carne
vive e respira un'anima
che si considera tuo debitore
e intende ripagar la tua affezione
cogli interessi; vivo nel mio petto
ed affettuosamente carezzato,
mio buono e caro amico, il giuramento
che tu spontaneamente m'hai profferto.
Qua, dammi la tua mano. Avevo in mente
qualcosa che volevo dirti, ma...
ma convien che la dica in miglior tono.(111)
Perdio, Uberto, quasi mi vergogno
ad esprimerti solo a parole
quale grande rispetto ho io per te.
UBERTO - Sono molto obbligato a Vostra altezza.
GIOVANNI - Buon amico, non hai alcun motivo
di dir cos, finora; ma l'avrai;
ch mai striscer il tempo tanto lento
che a me non giunga di farti del bene.
Avevo dunque una cosa da dirti...
ma no, lasciamo stare: il sole alto
sulla volta del cielo, e il giorno splendido
col suo corteggio di gioie mondane
troppo pieno d'attrattive e svaghi
perch tu sia proclive ad ascoltarla.
Se la campana della mezzanotte
battesse con la sua lingua metallica
sulla sua bronzea bocca la sua ora
all'assonnato scorrer della notte;
se questo luogo fosse un cimitero
e tu oppresso da mille angherie;
o se t'avesse la malinconia,
quello spirito arcigno, raggrumato
ed ispessito il sangue che altrimenti,
pulsando, va scorrendo per le vene
e fa che in noi il riso, quell'idiota,
s'insedii da padrone sopra gli occhi,
stirando in una inutile gaiezza
le nostre guance, odioso stato d'animo
ai miei propositi; o se vedermi
tu potessi senz'occhi, ed ascoltarmi
senza orecchi, e rispondermi
senza usar la voce, col pensiero,
ma non usando n occhi n orecchi,
n il malefico suon delle parole,
allora s, e a dispetto del giorno,
dell'impiccione ed occhialuto giorno,(112)
potrei versarti in cuore i miei pensieri.
Ma, oh, non lo far;
anche se tu, Uberto, mi sei caro,
cos come, in coscienza,
io son sicuro d'esser caro a te.
UBERTO - Oh, s, e tanto che, davanti al cielo,
qualunque cosa voi mi comandaste,
la farei, mi costasse pur la vita!(113)
GIOVANNI - E non lo so che la faresti, Uberto?
Ecco, mio buon Uberto, Uberto, Uberto,
getta un'occhiata sopra quel ragazzo.
(Indica Arturo che sta discosto con Eleonora)
Ti dir una cosa: quello, amico,
un serpe che attraversa il mio cammino;
e dovunque io posi questo piede
me lo trovo davanti... Mi capisci?
Tu l'hai in custodia...
UBERTO - E lo custodir
cos ch'egli non possa recar danno
alla Vostra maest.
GIOVANNI - Morto.
UBERTO - Signore?...
GIOVANNI - Una tomba.
UBERTO - Va bene. Non vivr.
GIOVANNI - Basta cos. Ora vivo contento.
Ti voglio bene, Uberto... Beh, per ora
non ti dir quel ch'ho in mente per te:
ma tu ricordalo.
(A Eleonora)
Addio, signora.
Mander quei soldati a vostra altezza.
ELEONORA - E sia con te la mia benedizione.
GIOVANNI - (Ad Arturo)
Per l'Inghilterra, nipotino, va'.
Uberto ti sar compagno al viaggio,
ti servir con tutta fedelt.
(Agli altri)
E noi in marcia, ol!, verso Calais.
(Escono, la regina Eleonora da una parte, con scorta di soldati; tutti gli altri dall'altra parte)
SCENA IV - Il campo francese
Entrano RE FILIPPO, il DELFINO LUIGI, il CARDINALE PANDOLFO e altri
FILIPPO - Cos, da un fragoroso fortunale,
tutta una flotta di vele sconfitta,
sbaragliata, dispersa...
PANDOLFO - Animo, sire,
coraggio: potr andare ancora bene.
FILIPPO - Che volete che vada bene, ormai,
dopo che abbiam subito un tal disastro?
Non siamo vinti? Angers non perduta?
Arturo non forse prigioniero?
Non sono morti molti cari amici?
E il sanguinario Inglese
non forse tornato in Inghilterra
eludendo, a dispetto della Francia,
qualsiasi tentativo di fermarlo?
DELFINO - E lasciando assai bene presidiato
tutto quello che aveva conquistato.
E tutto fatto con tale sveltezza
sorretta da s accorta strategia,
da un ordine cos bene studiato
in un'operazione s difficile,
che non se n'ha l'esempio:
chi ha mai letto o udito di un'azione
confrontabile a questa?
FILIPPO - Eh quante lodi!
Potrei pur sopportare
che l'Inghilterra ne possa ricevere,
se si potesse rintracciar per noi
un precedente di pari vergogna.
Entra COSTANZA, discinta e scarmigliata
Ma guardate ora chi arriva!
Un'anima ridotta ad una tomba,
che trattiene lo spirito immortale,
contro sua volont,
nel chiuso della squallida prigione
di dolorosi sospiri.
(A Costanza)
Signora,
preparatevi a venir via con me.
COSTANZA - Toh, ecco, guardate,
questo il frutto della vostra pace.
FILIPPO - Non disperatevi, cara signora,
coraggio ancora, nobile Costanza.
COSTANZA - No, spregio ogni consiglio,
ogni riparazione, tranne quella
che a tutti i consigli mette fine,
unico vero conforto, la morte!
O tu, morte, benigna, dolce morte,
tu, profumato lezzo,
tu, salutar marciume,
sorgi dal cavo della notte eterna,
odio e terrore a quelli che stan bene!
Io bacer l'odiosa tua carcassa
e metter nelle tue cave occhiaie
i bulbi dei miei occhi; alle mie dita
attorcer i tuoi vermi come anelli
e chiuder con nauseabonda polvere
questo varco al respiro,(114)
fino a ridurmi mostruosa carogna
come te. Vieni, mostrami il tuo ghigno,
ed io mi penser che tu sorrida,
e ti carezzer come tua sposa.(115)
Oh, vieni, vieni, amore dei negletti!
FILIPPO - Nobile prostrazione! Ma calmatevi.
COSTANZA - Calmarmi? No, fintanto che avr fiato!
Nella bocca del tuono
vorrei che si trovasse la mia lingua!
Farei scrollare il mondo
con la violenza della mia passione,
e desterei dal sonno quello scheletro
fello che resta sordo
alla flebile voce d'una donna
e sdegna una comune invocazione.
PANDOLFO - follia, non dolore,
quella che adesso parla in voi, signora.
COSTANZA - Tu non sei santo ministro di Dio
a parlarmi cos!(116) Non sono pazza.
Son capelli miei questi che strappo;
il mio nome Costanza,
sono stata la moglie di Goffredo;
Arturo figlio mio, ed perduto!
Pazza... Volesse il cielo che lo fossi!
Potrei dimenticare allor me stessa,
probabilmente... Ah, se lo potessi!
Di qual dolore potrei io liberarmi
dimenticandolo! Insegnami tu
qualche dottrina per divenir pazza,
e sarai fatto santo, cardinale:
ch non essendo la mia mente pazza,
ed io sensibile essendo al dolore,
la parte razionale di me stessa
m'induce fatalmente a ragionare
come sgravarmi(117) di queste mie pene,
e non m'insegna per farlo altro modo
che uccidermi o impiccarmi.
Se invece fossi veramente matta,
potrei dimenticarmi di mio figlio,
oppur pensare pazzamente a lui
come ad un (118) bel pupattolo di pezza...
Non sono pazza; sento troppo bene
nel mio animo tutte, ad una ad una,
le mie sventure, e tutto il loro strazio.
FILIPPO - Rannodatevi almeno quelle trecce.
(Tra s)
Ah, quanto amore mi pare di scorgere
in quella bionda massa di capelli!
Se per caso vi si posasse sopra
una goccia d'argento,
a quella goccia diecimila fili
s'incollerebbero amichevolmente
a condividerne tutto il dolore,
come amanti fedeli, inseparabili,
stretti tra loro nell'avversit.
COSTANZA - Con voi in Inghilterra, se volete.(119)
FILIPPO - Intanto ravvolgetevi i capelli.
COSTANZA - (Cominciando a raccogliersi la chioma)
Ecco, lo faccio... Ma perch dovrei?
Con violenza li ho sciolti dai lor lacci,
e nel farlo gridavo: "Ah queste mani
liberare potessero mio figlio
come hanno liberato i miei capelli!".
Ma ora della loro libert
mi prende invidia, e voglio consegnarli
prigionieri di nuovo ai lor legacci,
come prigione il povero mio figlio.
V'ho udito dire, padre cardinale,
che noi un giorno rivedremo in cielo
e riconosceremo i nostri cari;
se questo vero, padre,
io riconoscer il mio ragazzo,
ch da Caino, primo figlio maschio,
fino a quello che ha dato solo ieri
il primo suo respiro,
mai venne al mondo pi bella creatura.
Ora per il verme del dolore
divorer quel vago mio boccilo,
canceller la nativa bellezza
dalla sua guancia, ed ei si ridurr
un vuoto spettro, pallido e smagrito
come per un attacco di quartana,
e cos morir; e quando io,
risorto che sar, come voi dite,
lo incontrer nei giardini del cielo,
non potr riconoscerlo: e cos
mai pi, mai pi potr io rivedere
il mio Arturo, il dolce mio bambino.
PANDOLFO - Indulgete con troppo accanimento
alla disperazione, mia signora.
COSTANZA - Dice questo chi mai ha avuto un figlio.
PANDOLFO - Voi siete innamorata del dolore,
come di vostro figlio.
COSTANZA - Il dolore riempie in me quel vuoto
ch'egli ha lasciato; giace nel suo letto,
passeggia in su e in gi insieme a me,
assume il suo piacevole sembiante,
mi ripete le stesse sue parole,
mi ricorda i suoi tratti delicati,
riempie con la forma del suo corpo
i suoi abiti vuoti: ho io ragione
allora, o no, d'amare il mio dolore?
Io vado, addio: fosse toccato a voi
di subire una tale privazione
v'avrei saputo dar miglior conforto
che non abbiate dato voi a me.
(Scarmigliandosi di nuovo)
Via, via quest'ordine dalla mia testa,
mentre ho tanto disordine nell'animo!
Oh, Dio Signore!... Arturo, figlio mio,
mia vita, mia letizia, mio alimento,
tutto il mio mondo, tutto il mio conforto
di vedova, sollievo al mio dolore!(120)
(Esce)
FILIPPO - Temo qualche pazzia, le vado dietro.
DELFINO - Non c' pi nulla ormai su questo mondo
che mi rallegri: la vita stucchevole
come una favola gi raccontata(121)
che dia fastidio all'assonnato orecchio
d'uno che si sia mezzo-addormentato:
e la vergogna amara(122) ha reso amaro
anche il dolce sapor della parola
lasciando sol vergogna e amaritudine.
PANDOLFO - Succede, prima della guarigione
da grave malattia, proprio nel tempo
del recupero e del risanamento,
che il male che da noi prende congedo
faccia sentire di pi le sue fitte
col mostrar, proprio mentre s'allontana,
pi forte il morso della sua malizia.
In sostanza, che avete voi perduto
con la sconfitta di questa giornata?
DELFINO - Tutti i sognati giorni della gloria,
della gioia, della felicit.
PANDOLFO - Questi avreste perduto certamente,
se aveste vinto. No, no, la fortuna
proprio quando vuol far del bene agli uomini
mostra loro il suo sguardo pi terribile.
Per contro, veramente straordinario
pensare quanto ha perso Re Giovanni
in questa ch'egli giudica per lui
una chiara vittoria. Vi addolora
forse che Arturo sia suo prigioniero?
DELFINO - Tanto quanto pu rallegrare lui
il tenerlo in sua mano.
PANDOLFO - La vostra mente , come il vostro sangue,
troppo giovane ancora. Ma ascoltate
quanto con vero spirito profetico
io vi pronostico: baster il fiato
con cui profferir le mie parole
a spazzar via ogni grano di polvere,
ogni pagliuzza, ogni minimo intralcio
dal sentiero che vi potr condurre
al trono d'Inghilterra. Attento bene:
Giovanni tiene prigioniero Arturo
presso di s, e non concepibile
che finch nelle vene del ragazzo
continui a giocar calma la vita,
Giovanni, nella sua insicurezza,
possa goder di un'ora, di un minuto,
che dico, d'un sol fiato di riposo.
Uno scettro carpito col sopruso
dev'esser per forza mantenuto
con la violenza con cui fu ottenuto.
E lui, che sta su un trono scivoloso,
non trover altro modo per tenervisi
che prendersi al pi vile degli appigli:
Giovanni, insomma, per restare in piedi,
deve abbattere Arturo. Cos ,
e non pu esser altro che cos.
DELFINO - Ma che guadagno mi pu derivare
dalla caduta del giovane Arturo?
PANDOLFO - Il diritto di far valer per voi,
nei diritti di Bianca, vostra moglie,
tutti gli stessi diritti di Arturo.
DELFINO - E perder, come Arturo, vita e tutto!
PANDOLFO - Come siete ancor nuovo ed inesperto
di questo vecchio mondo!
Giovanni trama egli stesso per voi,
cospirano con voi le circostanze,
ch chi intinge la propria sicurezza
su del sangue innocente,
non avr altro che una sicurezza
malsicura e cruenta. Quest'azione,
cos malvagiamente concepita,
geler i cuori di tutto il suo popolo
spegnendone ogni buon zelo di sudditi,
ed essi accoglieranno volentieri
ogni buona occasione
per poterlo scalzare dal suo regno:
non vi sar comune esalazione
nell'aria, non normale accadimento
nel regno, non temperie naturale,
non semplice spirar di venticello,
del quale non saranno tutti pronti
a contestar la naturale origine,
e a dirli strani prodigi, meteore,
presagi, segni, linguaggi del cielo
che chiaramente annuncino vendetta
sul capo di Giovanni.
DELFINO - Sulla vita di Arturo s'asterr
probabilmente di metter le mani:
gli baster d'averlo prigioniero
per sentirsi al sicuro.
PANDOLFO - No, signore.
Quando sapr del vostro avvicinarsi,
se Arturo non sia stato gi spacciato,
lo sar allora, e sar a quel momento
che si rivolter contro di lui
il cuore del suo popolo
e tutti andranno a baciar sulle labbra(123)
quel subito inatteso cambiamento,
e trarranno argomento di rivolta
e d'ira dalle dita di Giovanni
tinte di rosso sangue.
Mi par gi di vederlo scatenarsi
questo grande tumulto popolare!
E, oh!, qual messe di migliori frutti
per voi, che non ve n'abbia gi indicati!
In Inghilterra gi il bastardo Faulconbridge
a far man bassa dei beni ecclesiastici,
a sfregio d'ogni carit cristiana.
Se solo dodici Francesi in armi
fossero l, sarebbero gi esca
per far passare diecimila Inglesi
al loro fianco, come poca neve,
rotolando, si fa tosto valanga.
Oh, nobile Delfino,
venite, accompagnatemi dal re;
c' da restar davvero stupefatti
a pensar tutto quel che di vantaggio
si pu trarre dal loro malcontento,
in un momento in cui i loro animi
sono all'estremo dell'indignazione!
Avanti, in marcia verso l'Inghilterra!
Penser io a pungolare il re.
DELFINO - Imperiose ragioni
partoriscono temerarie azioni.
Al vostro "s", il re non dir "no".
Andiamo pur da lui.
(Escono)
ATTO QUARTO
SCENA I - Northampton, stanza del castello.(124) Un arazzo su una parete; in mezzo un tavolo, una sedia, un braciere con carboni accesi e dentro due pezzi di ferro arroventati.
Entra UBERTO con due SGHERRI
UBERTO - Fate arroventar bene questi ferri,
e poi mettetevi dietro l'arazzo.
Tosto ch'io batter a terra il piede,(125)
uscite fuori e legate alla sedia
il ragazzo che sar qui con me.
PRIMO SGHERRO - Spero che questa azione
sia coperta da apposito mandato.
UBERTO - Vani scrupoli! Niente da temere.
Badate solo a fare.
(I due sgherri si ritirano dietro l'arazzo.
Uberto s'affaccia al vano d'una porta e chiama)
Giovanotto, venite: ho da parlarvi.
Entra ARTURO
ARTURO - Buongiorno, Uberto.
UBERTO - Buond, principino.
ARTURO - Un principino che pi picciol principe
non pu essere, pur avendo titolo
ad essere di pi... Vi vedo triste.
UBERTO - M'avrete visto, in effetti, pi allegro.
ARTURO - Piet di Dio! All'infuori di me,
nessuno, credo, dovrebb'esser triste;
ricordo invece che quand'ero in Francia
c'eran giovani della nobilt
che usavan, sol per essere alla moda,
di darsi tutta un'aria di tristezza
cupa come la notte. Per mio conto,
per come vero che son battezzato,
se mi trovassi fuori di prigione,
magari solo a pascolare pecore,
sarei felice quanto lungo il giorno;
e felice sarei anche qui dentro,
non avessi paura che mio zio
ha in animo di farmi ancor pi male.
Ha paura di me, ed io di lui.
Ma che colpa ne ho io
se sono nato figlio di Goffredo?
No, non colpa mia! Avesse il cielo
voluto che nascessi figlio vostro,
Uberto, ch cos m'avreste amato!
UBERTO - (Tra s)
Se mi metto a discorrere con lui,
questo con le sue chiacchiere innocenti
finir per destar la mia piet,
che giace nel profondo addormentata:(126)
devo esser deciso e sbrigativo.
ARTURO - Che avete, Uberto, vi sentite male?
Siete pallido, oggi. In verit,
mi piacerebbe foste un po' malato,
cos potrei seder tutta la notte
a vegliarvi; perch'io vi voglio bene,
ve l'assicuro, pi che voi a me.
UBERTO - (c.s.)
Le sue parole mi strappano l'anima...(127)
(Forte, porgendogli un foglio)
Leggete qua...
(Mentre Arturo legge, si asciuga gli occhi e sussurra tra s)
Ah, stupide mie lacrime!
Voi vorreste cacciar fuor della porta
la spietata tortura... Alla svelta, alla svelta,
o succede che la risolutezza
mi cola via tutta quanta dagli occhi
in lacrime di fragile donnetta!
(Forte)
Riuscite a leggere? Non ben chiaro?
ARTURO - Fin troppo chiaro, per s nero scopo,
Uberto. Ma davvero
mi dovete bruciare entrambi gli occhi
con quei ferri roventi?
UBERTO - S, ragazzo.
ARTURO - E lo farete?
UBERTO - Lo far, ragazzo.
ARTURO - Ne avete il cuore? Io, vi ricordate,(128)
quella volta che aveste il mal di testa
v'annodai sulla fronte un fazzoletto,
il pi bello che avevo, ricamato
per me dall'ago d'una principessa,
e non ve l'ho pi mai richiesto indietro;
a mezzanotte v'ero ancora accanto
a tenervi la testa con la mano,
e, come i vigili minuti all'ora,
io ho lenito di continuo a voi
il pesante trascorrere del tempo
domandandovi sempre, di continuo:
"Che vi occorre? Dov' che vi fa male?
"Che posso fare per farvi piacere?"(129)
Molti figlioli di povera gente
se ne sarebbero rimasti a letto
senza mai dirvi una buona parola;
voi ad assistervi avevate un principe.
Siete padrone certo di pensare
che il mio fosse uno zelo interessato,
e potrete chiamarlo anche furbizia;
e pensatelo pure, se volete.
Se ha decretato il cielo
che mi dobbiate fare questo male,
allora certamente lo dovete.
Ma davvero mi spegnerete gli occhi?
Questi occhi che mai ebbero per voi
uno sguardo cattivo?
UBERTO - L'ho giurato.
E devo farlo, e con ferri roventi.
ARTURO - Ah, nessuno farebbe una tal cosa
se non fossimo in questa et del ferro!(130)
Lo stesso ferro, pur se arroventato,
quando fosse a questi occhi avvicinato,
berrebbe le mie lacrime
e spegnerebbe la sua rabbia ardente
nel succo stesso della mia innocenza;
anzi, dopo di ci,
se n'andrebbe consunto tutto in ruggine
sol per aver portato in s quel fuoco
che avrebbe fatto male agli occhi miei.
Siete voi pi inflessibile,
pi duro di quel ferro temperato?
Fosse venuto un angelo da me
a dirmi che m'avrebbe spento gli occhi
Uberto, non gli avrei certo creduto...
ma non avrei creduto a nessun altro,
all'infuori di Uberto.
UBERTO - (Battendo un piede a terra)
Uscite fuori!
(I due sgherri escono da dietro l'arazzo)
Fate quel che vi ho detto!
(I due s'affaccendano intorno al braciere)
ARTURO - Oh, salvatemi, Uberto! Aiuto, Aiuto!
Questi assassini mi cavano gli occhi
gi con quei loro sguardi inferociti!
UBERTO - A me quel ferro, e legatelo l.
(Indica la sedia e prende dal braciere un ferro arroventato)
ARTURO - (Divincolandosi dai due che vogliono legarlo alla sedia)
Ahim, ahim, ma che bisogno c'
d'essere s brutali e disumani?
Non far resistenza,
star fermo ed inerte come un sasso....
Ma per amor del cielo, Uberto, no,
non fatemi legare! Ahim, Uberto,
sentitemi, mandate via questi uomini,
ed io mi sieder con voi, tranquillo
come un agnello, non far una mossa,
non tremer, non far pi parola;
n guarder quel ferro con rancore.
Ma questi ceffi mandateli via,
e vi perdoner ogni tortura
a cui vi piacer di sottopormi.
UBERTO - (Ai due sgherri)
Andate via, ma non vi allontanate,
e lasciatemi qui solo con lui.
PRIMO SGHERRO - Meno male cos: non mi par vero
di star lontano da un'azione simile.
(Escono i due)
ARTURO - Ahim, che allora ho fatto mandar via
un amico. L'aspetto era feroce,
ma il cuor gentile. Fatelo tornare,
cos che possa la sua compassione
destare anche la vostra.
UBERTO - Su, ragazzo,
preprati.
ARTURO - Non c' proprio rimedio?
UBERTO - Nessuno, no. Devi perdere gli occhi.
ARTURO - Oh, santo cielo, Uberto, se nei vostri
aveste solamente un granellino
di polvere, un moschino,
un capello volante, un bruscoletto
che recassero il minimo fastidio
ad un organo tanto delicato,
s da provar quale grande molestia
pu recarvi una cosa anche minuscola,
vi dovreste sentire inorridito
da questa vostra barbara intenzione.
UBERTO - cos che tenete la promessa?
Tenete a freno dunque quella lingua.
ARTURO - Non una ma due lingue
ci vorrebbero, Uberto, ad intercedere
per la salvezza di due occhi, Uberto;
e voi mi dite di frenar la mia:
non me lo dite, Uberto! O, se volete,
tagliatemela pure questa lingua,
se pu valere a risparmiarmi gli occhi.
Ah, salvatemi gli occhi,
anche se non dovranno pi servirmi
a vedere che voi... Ecco, vedete,
lo strumento s' ora raffreddato
e non vorrebbe pi farmi del male.
UBERTO - Posso di nuovo farlo arroventare,
ragazzo.
ARTURO - No, non lo potrete pi;
creato per recar conforto agli uomini,
il fuoco ora morto di dolore:
per il dolore di dover servire
a certe immeritate crudelt.
Guardatelo voi stesso:
non c' malizia in quel carbone ardente;
un alito celeste ne ha soffiato
via per l'aria lo spirito malvagio
e l'ha cosparso di contrite ceneri.(131)
UBERTO - Ma posso ravvivarlo col mio fiato,
ragazzo.
ARTURO - Tutto quello che otterrete,
a far cos, di farlo arrossire,
Uberto, e divampare di vergogna,
per quello che volete fargli fare;
anzi, i tizzoni sprizzeran faville
contro i vostri occhi, simili ad un cane
che costretto per forza ad aggredire
dal suo padrone, gli si volta contro.
Qualunque ordigno vorreste adoprare
per farmi male si rifiuter
al natural suo modo di servire.
Soltanto voi vi dimostrate privo
della piet che san perfin mostrare
il ferro e il fuoco, creature crudeli,
notoriamente dagli uomini usate
a compiere le azioni pi spietate.
UBERTO - Ebbene vedi, vivi... gli occhi tuoi
io non li toccher; non lo far,
nemmeno al prezzo di tutti i tesori
che sono posseduti da tuo zio;
nonostante abbia fatto giuramento,
ragazzo, e fossi proprio intenzionato
a bruciarli con questi stessi ferri,
ARTURO - Oh, adesso siete Uberto!
Fino ad ora eravate proprio un altro.(132)
UBERTO - Basta, non pi parole. Addio, ragazzo.
Vostro zio vi dovr credere morto.
Riferir fandonie
a quei cagnacci-spia che son di l.
Tu, gentile ragazzo,
dormi tranquillo e non aver paura,
ch Uberto non ti far mai del male
per tutte le ricchezze della terra.
ARTURO - Oh, santo cielo, ti ringrazio, Uberto!
UBERTO - Silenzio ora, non pi. Venite dentro
di nascosto. Mi son messo per te,
ragazzo, in un pericolo mortale.
(Escono)
SCENA II - Inghilterra, la sala del trono nel palazzo di Re Giovanni.
Fanfara. Entrano RE GIOVANNI, PEMBROKE, SALISBURY e altri nobili che non parlano.
GIOVANNI - (Andando a sedersi sul trono)
Eccoci qui insediati un'altra volta,
eccoci un'altra volta incoronati,
e, spero, da lieti occhi riguardati.(133)
PEMBROKE - Quest'"altra volta", stata, in verit,
salvo che sia piaciuto a vostra altezza,
una volta di troppo. Incoronato
l'eravate gi stato, e mai dal capo
quell'alta dignit vi fu strappata;
n mai la lealt dei vostri sudditi
si macchi di rivolta; e il vostro regno
mai fu turbato da pi fresche attese
di cambiamenti o di miglior governo.
SALISBURY - Perci questo voler ora addossarvi
una seconda epifania regale,
questo voler coprire d'ornamenti
un titolo che n'era gi s ricco,
come a voler dorare l'oro fino
o a voler tingere di bianco il giglio.
o spruzzare profumo sulla viola,
o levigare una lastra di ghiaccio,
o aggiungere un colore nuovo all'iride,
o guarnire col lume di candela
il fulgidissimo occhio del cielo,(134)
vano spreco e ridicolo eccesso.
PEMBROKE - Vostro regale gradimento a parte,
cui sar data comunque osservanza,
questo vostro procedere, signore,
come mettersi a narrar di nuovo
una storia da tutti risaputa,
che a ripeterla pu riuscir noiosa,
specie se raccontata fuori tempo.
SALISBURY - Ne pu restar non poco sfigurato
il volto antico e ben identicato
della buona, vetusta consuetudine:
e, come un subito mutar di vento
per una vela, pu far cambiar rotta
al corso dei pensieri della gente,
generare paura e confusione
in ogni mente che pensa e ragiona,
indebolire le opinioni salde,
gettar sospetto sulla verit
col fatto di volerla rivestire
d'un cos ricco e inusitato manto.(135)
PEMBROKE - Quando buoni artigiani
s'adoperano a fare pi che bene
quel che han gi fatto bene,
va a finire che con il troppo zelo
recano danno alla lor maestria;
spesse volte peggiora il male fatto
colui che di sua colpa chiede scusa;
cos come la toppa su uno strappo
per celarlo, lo rende ancor pi brutto
ch'esso non fosse prima del rammendo.
SALISBURY - Ad evitare ci, prima che voi
veniste nuovamente incoronato,
vi sconsigliammo a farlo;
ma del nostro consiglio a vostra altezza
piacque di non tenere conto alcuno;
e noi ne siamo tutti ben contenti,
coscienti che ogni nostro desiderio
conviene che s'arresti e faccia luogo
al desiderio dell'altezza vostra.
GIOVANNI - Di alcuni dei motivi che m'indussero
a questa duplice incoronazione,
v'ho gi detto, e ritengo siano gi
forti abbastanza per giustificarla;
altri ve ne dir, di assai pi forti
che non sian deboli le mie paure.(136)
Nel frattempo non esitate a chiedermi
quel che vorreste fosse riformato
perch pensate che non vada bene,
e vedrete con quanto buon volere
mi troverete pronto a dare ascolto
alle vostre richieste e a soddisfarle.
PEMBROKE - Allora, maest, con tutto il cuore,
facendomi di tutti portavoce
per risuonare a voi l'aspirazione
che tutti hanno nell'animo,
per me, per loro, per voi soprattutto
alla cui sicurezza tutti noi
rivolgiamo le massime premure,
io vi chiedo di liberare Arturo:
la sua relegazione
muove del mormorante malcontento
le labbra a questo tipo di giudizi
pericolosi: "Se ci che tenete
voi lo tenete di pieno diritto,
- dicono - perch allora la paura,
che sempre s'accompagna con il torto,
dovrebbe indurvi a tener segregato
il vostro ancora tenero parente,
e a tenere i suoi giorni soffocati
nello stato di barbara ignoranza,
con il negare alla sua giovinezza
il prezioso vantaggio
d'un'adeguata buona educazione?"
Ad evitare che argomenti simili
sian pretesto ai nemici del momento
per perseguire i loro tristi scopi,
concedete che nostra prima supplica
da sottoporvi, come ci invitaste,
sia la liberazione del ragazzo,
che non chiediamo per nostro interesse
se non in quanto l'interesse nostro
ch' strettamente legato col vostro,
considera che sia vostro interesse
che Arturo ottenga la sua libert.(137)
GIOVANNI - E sia cos. Affido a voi la guida
della sua giovinezza.
Entra UBERTO
(A parte, a Uberto)
Ebbene, Uberto, che notizie?
(Uberto s'avvicina al re e parla con lui in disparte)
SALISBURY - (A parte a Pembroke, indicando Uberto)
Quello l'uomo da lui incaricato
di commettere il sanguinoso fatto.
Ha mostrato il mandato ad un mio amico.
L'immagine di chi s'appresta a compiere
un'obbrobriosa scellerata colpa
gli traspare dall'occhio; il suo aspetto
rivela un forte turbamento interno;
e temo molto che abbia gi eseguito
l'incarico che gli stato affidato.
SALISBURY - Sulla guancia del re il colorito
un continuo va-e-vieni
tra il suo proposito e la sua coscienza,
simile ad un araldo tra due eserciti
pronti a darsi battaglia.
La sua passione giunta ad un tal punto,
che scoppier.
PEMBROKE - E quando scoppier,
ho gran paura che n'uscir fuori
l'immonda purulenza della morte
d'un tenero fanciullo.
GIOVANNI - A noi purtroppo, amici, non dato
frenar la forte mano della morte.
Per viva che possa essere
in me la volont di assecondarvi,
la vostra supplica vanificata
dalla morte: costui mi riferisce
che Arturo deceduto questa notte.
SALISBURY - Avevamo ragione di temere
che la sua malattia fosse incurabile.
PEMBROKE - Avevamo avvertito, in verit,
come fosse vicino alla sua fine,
il ragazzo, ancor prima ch'egli stesso
potesse accorgersi d'esser malato.
Di ci per qualcuno in terra o in cielo(138)
dovr rispondere...
GIOVANNI - Ebbene, che c'?
Perch gettate tutti quegli sguardi
gravidi di sospetto su di me?
Pensate forse tutti che sia io
a reggere la forbice del fato?(139)
O ch'io comandi il polso della vita?
SALISBURY - Questa sfacciata ciarlataneria!
Ed vergogna che sia la maest
a farvi s grossolano ricorso!
Continuate pure il vostro gioco,
e prosperate. Io vi dico addio!
PEMBROKE - Aspettami, Lord Salisbury,
vengo con te a cercar l'eredit
toccata a questo povero fanciullo:
il minuscolo regno d'una tomba
aperta a forza: quel nobile sangue
cui spettava di posseder da re
quest'isola per quanto essa s'estende,
ora ne occuper s e no tre palmi:
malvagit del mondo in cui viviamo!
Ma questa non dev'esser tollerata:
questa, non passer gran tempo ancora,
dovr scoppiare, ne sono sicuro,
e con danno e dolore per noi tutti.
(Escono Salisbury e Pembroke)
GIOVANNI - Sono accesi di sdegno...
Son pentito: mai stabil fondamenta
poggi sul sangue; sempre fu insicura
vita sull'altrui morte costruita.
Entra un MESSO
Hai l'occhio spaventato:
dov' andato quel sangue che soleva
aver dimora sopra le tue guance?
Un cielo cos cupo
non si rischiara senza un temporale.
Avanti, su, rovescia la tua pioggia:
come va tutto in Francia?
MESSO - Va tutto dalla Francia all'Inghilterra.
Mai pi potente esercito
fu levato dal corpo d'una terra
per una spedizione oltre confine.
Li ha istruiti l'esempio
della vostra fulminea speditezza:
nel momento che voi dovreste avere
notizia che si stiano preparando,
vi si annuncia che sono gi arrivati.
GIOVANNI - Oh, dov'erano i nostri informatori?
A ubriacarsi? Stavano a dormire?
E mia madre, che diavolo faceva,(140)
se in Francia s' potuto metter su
un tale esercito, senza che nulla
le sia potuto giungere all'orecchio?
MESSO - Il suo orecchio, purtroppo, signore,
tappato per sempre dalla polvere:
la vostra nobile madre passata
il primo aprile; e da quanto ho saputo,
tre giorni prima anche Lady Costanza
era morta in un raptus di follia.(141)
Ma sono voci udite casualmente,
se vere o false, non vi saprei dire.
GIOVANNI - Ferma, tremenda sorte, la tua corsa
precipitosa! O allati con me,
fino a tanto che non avr placato
gli scontenti miei Pari.
Mia madre morta!... Ahim, in quale caos
saranno allora i miei domini in Francia!
(Al messo)
Al comando di chi sono venute
queste forze di Francia che tu dici
essere gi sbarcate in Inghilterra?
MESSO - Al comando del principe Delfino.
Entrano IL BASTARDO e PIETRO DA POMFRET (142)
GIOVANNI - M'hai messo nella testa un mulinello
con tutte queste tue brutte notizie.
(Al Bastardo)
Beh, che dice la gente
delle faccende che vai disbrigando?(143)
Non tentare di riempirmi il capo
anche tu di sgradevoli notizie,
perch n' gi ripieno fino al colmo.
BASTARDO - Se paventate di ascoltare il peggio,
lasciate pure che vi cada in testa,
senza ascoltarlo.
GIOVANNI - Scusami, nipote:
ero come sommerso, senza fiato,
sotto questa marea; ora respiro,
come tornato nuovamente a galla,
e posso udire qualsivoglia lingua,
e che dica ciascuna quel che vuole.
BASTARDO - A darvi conto di come ho sbrigato
la mia bisogna in mezzo a preti e frati
parleranno le somme che ho raccolto.
Ma nel passare attraverso il paese
per venir qui, la gente che ho incontrato
era in preda a bizzarre fantasie,
posseduta da voci incontrollate,
piena di vani sogni, inconsapevole
essa stessa di cosa paventare,
e tuttavia pervasa da paure.
(Presentando Pomfret)
Ecco, questo un profeta
che ho portato con me fin qui da Pomfret;
l'ho trovato per strada
che in mezzo a centinaia di persone,
andava loro rapsodiando in rime
che suonavan parecchio rozze e goffe,
che nel prossimo d dell'Ascensione,
prima di mezzogiorno, Vostra altezza
avrebbe rassegnato la corona.
GIOVANNI - (Al profeta)
Tu, sciocco visionario,
che cos' che ti fa predire questo?
PROFETA - La mia antiveggenza, monsignore;
essa mi dice che sar cos.
GIOVANNI - Via, via! Uberto, portalo in prigione;
e a mezzogiorno esatto di quel giorno
ch'io, a sentire la sua predizione,
ceder la corona, sia impiccato.
Va', mettilo al sicuro,
e poi ritorna, ho bisogno di te.
(Esce Uberto con il Profeta)
Nipote mio gentile,
hai udito quel che si dice in giro?
Sai chi arrivato?
BASTARDO - I Francesi, signore.
cosa ch' sulla bocca di tutti.
Ho incontrato lord Bigot e lord Salisbury
con gli occhi rossi come brace ardente,
che andavano insieme ad altri nobili
a ricercare la tomba di Arturo;
il quale, come li ho sentiti dire,
stato assassinato questa notte.
su vostra personale istigazione
GIOVANNI - Nipote mio, da bravo, va', raggiungili,
intrfolati in loro compagnia,
e riconducili davanti a me;
so io il modo di riconquistarmeli.
BASTARDO - Cercher di trovarli.
GIOVANNI - S, ma presto,
quanto pi presto puoi.
Ah, non sia mai ch'io abbia a me nemici
anche i miei sudditi, in un momento
in cui le truppe d'un nemico esterno
mi van terrorizzando le citt
con un pauroso apparecchio di guerra!
Siimi Mercurio, metti ali ai piedi
e torna, celere come il pensiero.
BASTARDO - Mi dar l'ali la necessit.(144)
(Esce)
GIOVANNI - Parole di animosa nobilt!(145)
(Al messo)
Tu seguilo, ch forse avr bisogno
d'un messaggero tra quei pari e me.
Sii tu quello.
MESSO - Con tutto il cuore, sire.
(Esce)
GIOVANNI - Mia madre non c' pi...
Rientra UBERTO
UBERTO - Mio signore, si dice che stanotte
si siano viste in cielo cinque lune,
quattro fisse ed immobili, la quinta
che turbinava in moto prodigioso
intorno all'altre quattro...
GIOVANNI - Cinque lune?
UBERTO - E i vecchi e le nonnette, per le strade,
ne traggono sinistre profezie;
fra tutti loro non si parla d'altro
che della morte del giovane Arturo;
e li si vede scuotere la testa
e bisbigliarsi qualcosa all'orecchio,
e quell'uno che parla
stringe il polso di quello che l'ascolta,
mentre questi fa gesti di paura,
e lo si vede corrugar la fronte,
e ciondolare in qua e in l la testa,
e ruotar le pupille. Ho visto un fabbro
fermarsi, inebetito, ecco, cos,
con la mazza a mezz'aria; sull'incudine
si raffreddava il ferro arroventato,
e lui a bersi, l, a bocca aperta,
le nuove che gli propinava un sarto;
e questo, forbici e misura in mano,
era l, in ciabatte, per la fretta
infilatesi ai piedi al verso storto,
a raccontare loro che nel Kent
ci son molte migliaia di Francesi
in assetto di guerra, pronti a battersi;
ed un altro artigiano smilzo e sporco,
ecco che arriva e gli tronca il discorso
e vuol parlar della morte Arturo.
GIOVANNI - Perch t'affanni tanto
a caricarmi di queste paure?
Perch insisti a battere cos
sulla morte di Arturo? la tua mano?
che l'ha spento. Io, per volerlo morto
ne avrei avute di ragioni, e forti:
tu, per ucciderlo cos, nessuna.
UBERTO - Diamine! Non ne avevo, mio signore?
Non siete stato voi ad incitarmi?
GIOVANNI - la maledizione dei regnanti
avere al lor servizio dei balordi
che scambiano un semplice parola
gettata l in uno scatto d'ira
per un mandato esplicito
a irrompere nella casa sanguigna
d'una vita;(146) che prendono per legge
una strizzata d'occhio del padrone,
e che presumono d'interpretare
come chi sa qual sovrana minaccia
un suo casuale aggrottare di ciglia,
dovuto pi ad un momentaneo cruccio
che ad un determinato suo proposito.
UBERTO - Ecco il vostro mandato,
con vostra firma e con real sigillo.
GIOVANNI - Oh, quando verr l'ora
che si dovr saldar l'ultimo conto
fra cielo e terra, allora questa firma
e sigillo saranno testimoni
contro di noi per la condanna eterna!
Quante volte la vista di un ordigno
per sua natura inteso a fare il male
basta da sola a farci fare il male!
Se non avessi avuto accanto a me
te, che sei ben marchiato di natura
e chiarissimamente designato
a commettere azioni abominevoli,
l'idea di consumar questo assassinio
non mi sarebbe sorta nella mente;
ma la vista del tuo sinistro aspetto
m'ha suggerito essere tu l'uomo
adatto ad ogni sanguinaria impresa,
malleabile e pronto ad ogni rischio,
e bast che accennassi vagamente
alla morte d'Arturo, perch tu,
per guadagnarti le grazie d'un re,
non ti facessi il pur minimo scrupolo
di sopprimere un principe.
UBERTO - Signore....
GIOVANNI - Ma s, sol che tu avessi scosso il capo,
o avessi appena accennato a interrompermi
mentr'io con un parlare un po' coperto
ti venivo esponendo il mio proposito,
o sol che tu m'avessi pur rivolto
un'occhiata dubbiosa, quasi a chiedermi
di parlarti pi esplicito, a qual punto
m'avresti ammutolito di vergogna
facendomi interrompere il discorso:
e allora dalle tue esitazioni
sarebbero ben nate anche le mie.
Tu da quei segni, invece, hai ritenuto
di capire l'antifona, ed a segni
sei entrato in contatto col delitto.
S, senza un attimo d'esitazione
hai fatto che il tuo cuore acconsentisse
e la tua rude mano s'inducesse
a compier quell'azione
che poco prima le nostre due lingue
avevan ritenuto vile ed infame
perfino di chiamare col suo nome.
Via da me, e non farti pi vedere!(147)
I miei baroni adesso m'abbandonano,
e si sfida la mia autorit
fino alle porte stesse del mio regno
anche con schiere di nemici esterni,
mentre all'interno del mio stesso corpo,
questo reame che ha per confini
il mio sangue e il mio alito vitale,
regnano ostilit e civil conflitto
tra la coscienza e la morte di Arturo.
UBERTO - Contro vostri nemici esterni armatevi,
perch tra i vostri interni,
ossia tra voi e la vostra coscienza,
metter pace io: Arturo vivo.
Questa mia mano vergine e innocente,
mai si macchi del vermiglio del sangue,
n mai ancora entrato in questo petto
l'orrendo impulso d'un'idea omicida;
e voi, parlando prima del mio aspetto,
avete calunniato la natura;
ch, per rude che possa esso apparire,
ricopre un animo troppo sensibile
perch s'induca a farsi macellaio
d'un fanciullo innocente.
GIOVANNI - Arturo vive?.... Oh allora, corri, Uberto,
corri, dai miei baroni, corri, corri!
Getta questa notizia
sul fuoco della lor furiosa collera,
e riconducili da me ammansiti,
restituiti alla loro obbedienza.
Perdonami per quello che poc'anzi
m'ha fatto dire il mio stato nervoso
sul tuo aspetto: m'accecava l'ira,
e gli occhi della mente
pieni di crude immagini di sangue
t'han visto pi sinistro che non sei.
No, non rispondermi, non dir pi niente:
pensa solo ora a ricondurmi qui
nella mia stanza gli infuriati Pari,
al pi presto che puoi.
Gi ti trattengo troppo col pregarti;
sii tanto pi veloce.
(Escono)
SCENA III - Davanti al castello di Northumberland
Sugli spalti del castello appare ARTURO
ARTURO - Il muro alto... ma mi butter:
e tu, suolo gentile,
abbi piet di me, non farmi male!
Qui son pochi a conoscermi,
o nessuno, e seppure ce ne fossero,
questo travestimento mio da mozzo
mi fa irriconoscibile da tutti.
Ho paura... ma mi ci prover.
Se arrivo gi senza rompermi l'ossa,
sapr trovare poi mille maniere
per dileguarmi; ma ad ogni buon conto,
meglio morire nel tentar la fuga,
che aspettare la morte in questo carcere.
(Si getta nel vuoto, e resta accasciato a terra)
Oh, me! Lo spirito di zio Giovanni
sta dentro a queste pietre!....
O cielo, prenditi tu la mia anima,
e serbi l'Inghilterra le mie ossa!
(Muore) (148)
Entrano i conti di PEMBROKE e SALISBURY e lord BIGOT.
Salisbury ha in mano una lettera.
SALISBURY - Signori, io vado a Bury Sant'Edmondo(149)
ad incontrarlo. la nostra salvezza,
e ci conviene accoglier di buon grado
questa gentile offerta
in un'ora s piena di pericoli.
PEMBROKE - Chi venuto latore
di questa lettera del Cardinale?
SALISBURY - Il conte di Melun,
un nobile di Francia: il suo colloquio
sul favorevole atteggiamento
verso di noi del principe Delfino
m'ha detto assai di pi
di quanto contenuto in queste righe.
BIGOT - Partiremo domani.
SALISBURY - Meglio subito,
perch per arrivare fin laggi
ci son due buone giornate di viaggio.
Entra il BASTARDO
BASTARDO - Bene incontrati una seconda volta,
oggi, adirati nobili signori!
Il re vi manda a dire, per mio mezzo,
che vi desidera subito a corte.
SALISBURY - Il re di noi s' voluto spogliare,
e noi siamo tutt'altro che disposti
a foderargli il frusto e sporco manto
con la nostra illibata dignit,
e tanto meno a seguire i suoi passi
che lasciano, dovunque posi il piede,
orme di sangue. Tornate da lui,
e diteglielo. Conosciamo il peggio.
BASTARDO - Qualunque cosa possiate conoscere,
penso, comunque, che sarebbe meglio
che usiate modi meno sconvenevoli.
SALISBURY - A parlare per noi in questo modo
non son le buone regole civili,
ma l'angoscia che tutti abbiamo dentro.
BASTARDO - Non c' nessun motivo d'angosciarvi;
c' invece buon motivo, salvognuno,
che adopriate maniere pi civili.
PEMBROKE - Eh, mio caro signore,
anche lo sdegno vuole i suoi diritti!
BASTARDO - S, quello di far danno a chi lo nutre.
SALISBURY - (Additando a Pembroke e Bigot il castello)
Qui la prigione.
(Vede il corpo di Arturo a terra)
Ma che c' l in terra?...
PEMBROKE - (Avvicinandosi al cadavere e riconoscendolo)
Oh, morte, come sei resa superba
da questa pura e regale bellezza!
La terra non ha un buco
in cui celare quest'orrendo crimine!
SALISBURY - L'assassinio come se avesse in odio
ci ch'esso stesso ha fatto,
l'ha lasciato a giacer cos per terra,
alla vista di tutti,
cos da provocare alla vendetta.
BIGOT - O anche, dopo avere condannato
questa belt alla tomba,
s' accorto che la sua regalit
era troppo preziosa
per esser chiusa in una vile fossa.
SALISBURY - Sir Riccardo, che dite?
Avete visto, o letto, o udito mai,
potreste mai pensare e creder vero
quello che giace sotto gli occhi vostri?
Potrebbe immaginarlo mente umana,
senza questa palpabile evidenza?
Questo l'apice, il culmine, la cresta,
anzi, di pi, la cresta della cresta
dell'elmo del delitto:(150)
la pi cruda, cruenta nefandezza,
la pi selvaggia, barbara ferocia,
il pi vile assassinio
che mai la collera dall'occhio bieco
o la rabbia dall'impietrito sguardo
abbian potuto presentare al pianto
dell'umana piet.
PEMBROKE - Tutti i delitti commessi in passato
sono niente se confrontati a questo;
questo, straordinario e ineguagliabile
com', dar color di santit e purezza
ad ogni altro peccato che in futuro
mente umana potr mai concepire;
ed ogni azione di sangue e di morte
apparir nient'altro che uno scherzo
al confronto di questa orrenda vista.
BASTARDO - una dannata sanguinaria impresa,
opera scempia d'una man crudele,
sempre che mano d'uomo l'abbia fatta.(151)
SALISBURY - Sempre che mano d'uomo l'abbia fatta?
Tutti avevamo gi qualche barlume
che sarebbe accaduto! Questa l'opera
della mano d'Uberto, scellerata,
su disegno e proposito del re:
della cui obbedienza, d'ora in poi,
ordino alla mia anima il rifiuto,
inginocchiato avanti a questi resti
d'una tenera vita, ed alzo al cielo,
come fumo di sacro incenso, un voto,
davanti a questa perfezione esanime:
il sacro voto di non pi gustare
i piaceri mondani,
di non concedermi un solo istante
alle corrotte volutt dei sensi,
o abbandonarmi agli agi ed all'inerzia
fintanto ch'io non abbia reso gloria
a questa mano con l'averle offerto
il sacrosanto onor della vendetta.
BIGOT e PEMBROKE - Le nostre anime con un "amn"
confermano codeste tue parole.(152)
Entra UBERTO
UBERTO - Signori, ho corso a perdita di fiato
per rintracciarvi tutti. Arturo vivo!
Il re vi manda a dire che v'aspetta.
SALISBURY - Oh, che sfrontato, che non arrossisce
manco avanti alla morte! (153)
Esecrato assassino, via di qua!
UBERTO - Non sono un assassino.
SALISBURY - (Traendo la spada)
Devo rubare il mestiere al carnefice?(154)
BASTARDO - Troppo bella e lucente quella spada,
signore, riponetela nel fodero.
SALISBURY - (Assalendo Uberto)
Non senza averla prima inguainata
nella pelle d'un assassino!
UBERTO - (Traendo anch'egli la spada)
Indietro!
State indietro, Lord Salisbury, dico!
Per il cielo, la mia spada affilata
quanto la vostra. Non vorrei, signore,
che vi dimentichiate di voi stesso
e vi metteste al rischio
di forzarmi a legittima difesa;
perch di fronte alla vostra sfuriata
potrei dimenticare il vostro merito,
la vostra dignit, il vostro rango.
BIGOT - Via di qua, letamaio!
E che! Osi sfidare un gentiluomo?
UBERTO - Per la mia vita, no; ma questa vita
mia innocente son pronto a difendere
contro un imperatore.
SALISBURY - Tu sei un assassino.
UBERTO - Non lo sono,
ma non forzatemi a diventarlo.
La lingua di chi dice questo falso,
sa di non dire il vero,
e chi non dice il vero mentitore.
PEMBROKE - Fatelo a pezzi.
BASTARDO - State calmi, dico!
SALISBURY - Tu, Faulconbridge, mettiti da parte,
se non vuoi che t'infilzo.
BASTARDO - Faresti meglio, in questo caso, Slisbury,
a pretendere d'infilzare il diavolo.
Se solo ardisci di guardarmi storto,
o di muovere un piede, o farmi offesa
con la foga del tuo temperamento,
ti stendo morto. Metti via la spada,
o ch'io ti concio, te e il tuo spiedone
cos da farti credere che il diavolo
veramente uscito dall'inferno.
BIGOT - Ma che vuoi fare, illustre Faulconbridge,
secondare un furfante e un assassino?
UBERTO - Non sono n furfante n assassino,
Lord Bigot.
BIGOT - Chi ha ucciso allora il principe?
UBERTO - Io l'ho lasciato, or meno di un'ora,
ch'era vivo e in salute;
io l'onoravo, e gli volevo bene,
e pianger per tutta la mia vita
la perdita di quella sua, s dolce.
(Si asciuga le lacrime)
SALISBURY - Non credete all'ipocrite sue lacrime.
Di tali umori non fu mai sprovvisto
il tradimento; e lui che sa il mestiere,
sa come far passare quelle lacrime
per fiumi di rimorso o d'innocenza.
Andiamo via, venite via con me
tutti voi le cui anime aborriscono
il sozzo tanfo d'uno scannatoio:
mi sento soffocare
da questa pestilenza di peccato.
BIGOT - S, via: a Sant'Edmondo dal Delfino.
PEMBROKE - (Al Bastardo)
E dite al re che pu cercarci l.
(Escono Salisbury, Pembroke e Bigot)
BASTARDO - Che mondo!... Ma, Uberto, veramente
non sapevi di questo bel lavoro?
Se davvero quest'opera di morte
sei stato tu a commetterla,
sarai dannato al di l dei confini
dell'infinita Dio misericordia.
UBERTO - Signore, se soltanto mi ascoltaste...
BASTARDO - Anzi, sai che ti dico?
Che sei una dannata anima nera
che pi nera non c': sarai dannato
pi profondo del Principe Lucifero; (155)
pi brutto(156) diavolo di te all'inferno
non c' se tu sei stato il suo assassino.
UBERTO - Sulla mia anima...
BASTARDO - Se avessi tu
sol consentito a un atto s crudele,
non ti resta che la disperazione;
e, se avessi bisogno d'una corda,
baster il filo d'una ragnatela
a strangolarti, baster una canna
a servirti da palo dove appenderti,
baster poca acqua in un cucchiaio
- e sar tanta come il grande oceano -,
per affogare un tristo come te.
Di te sospetto fortemente, Uberto.
UBERTO - Se ho agito, o solo consentito,
o soltanto sfiorato col pensiero
di spegnere quell'alito soave
ch'era racchiuso in quella bella argilla,
per me non abbia sufficienti pene
l'inferno. L'ho lasciato ch'era vivo.
BASTARDO - Orvia, prendilo su, tra le tue braccia.
Mi sento tutto come frastornato
come uno che non trova pi la strada
tra le spine e le trappole del mondo.
Vedi ora tu con che facilit
ti tieni in braccio tutta l'Inghilterra!
Da questa spoglia di regalit
vita, giustizia e fedelt di sudditi
di questo regno son volati al cielo;
pi non rimane adesso all'Inghilterra
che dividersi a morsi ed a strattoni
l'incustodita eredit d'un regno
che fu gi fiero e florido; (157)
ed a contendersi gi sin da ora
l'osso spolpato della maest
la canea della guerra drizza il pelo
rabbiosa e va ringhiando
contro il dolce sorriso della pace;
nemici esterni e scontenti di casa
s'uniscon ora in una sola schiera;
e sovra tutti incombe, come un corvo
sovra una bestia ch' ferita a morte,
il totale sconquasso e la rovina,
in attesa dell'imminente crollo
d'un usurpato trono. E fortunato
chi, protetto da un saio o da un cordiglio,
pu stornare da s questa tempesta.(158)
Porta via il ragazzo
e seguimi al pi presto; andr dal re.
Ci sono mille affari sottomano
e il cielo stesso guarda di lass
con aggrottato ciglio questa terra.
(Escono)
ATTO QUINTO
SCENA I - Inghilterra, il palazzo di Re Giovanni.
Entrano RE GIOVANNI, IL CARDINALE PANDOLFO e nobili
GIOVANNI - (Porgendo al cardinale la corona)
Cos rassegno nelle vostre mani
il cerchio della mia sovranit.
PANDOLFO - (Rendendogli la corona)
E da queste mie mani riprendetela,
a significazione che dal papa
voi derivate la sovranit
e la vostra regale autorit.
GIOVANNI - Ora a voi d'osservare fedelt
alla vostra parola di prelato:
recarvi di persona dai Francesi,
adoperare tutta l'influenza
che vi deriva da Sua Santit
per arrestare la loro avanzata
prima che tutto il paese s'infiammi.(159)
Le irrequiete contee son in rivolta,
il popolo recalcitra a obbedirmi,
giurando fedelt e un ben dell'anima
a estraneo sangue, a straniera maest.
Soltanto voi potete, Cardinale,
porre un argine a questa inondazione
di sregolati umori; e senza indugio,
perch la situazione cos grave (160)
da richiedere un subito rimedio,
o seguiranno effetti irreparabili.(161)
PANDOLFO - Cos come il mio soffio ha suscitato
lo scatenarsi di questa tempesta,
a causa della vostra ostinazione
contro il papa, sar or la mia lingua
- poich siete un gentile convertito -
a sedar questo turbine di guerra
e riportare la bella stagione
su questo vostro procelloso regno.
E dunque in questo d dell'Ascensione
(ricordatela bene questa data),
io, dopo aver raccolto il vostro voto
di rinnovata obbedienza al papa,
mi reco dai Francesi
ad ottener che depongano l'armi.
(Esce)
GIOVANNI - questo il d dell'Ascensione? oggi?
Non mi predisse forse quel profeta
che il d dell'Ascensione, a mezzogiorno,
io avrei rinunciato alla corona?
cos ho fatto; non perch costretto,
per, come pensavo, se Dio vuole,
ma per spontanea mia volont.
Entra il BASTARDO
BASTARDO - Il Kent s' arreso tutto; solo a Dover
il castello fa ancora resistenza;
Londra ha accolto il Delfino e le sue truppe
come ospiti graditi; i vostri nobili,
rimasti sordi alla vostra chiamata,
sono andati ad offrirgli i lor servigi;
e un generale selvaggio sgomento
fa disperdere ormai di qua e di l
i pochi vostri malsicuri amici.
GIOVANNI - I miei baroni han dunque rifiutato
di ritornar da me,
all'annuncio che Arturo ancora vivo?
BASTARDO - L'hanno trovato morto, proprio loro:
il suo corpo gettato per la strada
come uno scrigno vuoto dal cui seno
fosse stato da maledetta mano
trafugato il gioiello della vita.
GIOVANNI - E quel dannato furfante di Uberto,
m'aveva assicurato ch'era vivo!
BASTARDO - E tale era per lui, sulla mia anima,
per quanto ne potesse egli sapere.
Ma perch vi avvilite?
Perch fate quell'aria cos triste?
Siate grande all'azione
come lo siete stato nel pensiero,
che non si mostri agli occhi della gente
che paura e scorato smarrimento
governino lo sguardo d'un sovrano.
Siate duro, come son duri i tempi,
fuoco col fuoco, minaccia a minaccia,
ed affrontate l'accigliato volto
dell'orrore smargiasso; in questo modo
gli occhi degli inferiori che dai grandi
prendono esempio ai lor comportamenti,
col vostro esempio si faranno grandi
e sapranno anche loro rivestirsi
d'uno spirito indomito e deciso.
Animo, dunque; e sappiate rifulgere
come il dio della guerra quando sceso
ad adornare della sua presenza
il campo di battaglia: fronte altera
e negli occhi certezza di vittoria!
E che! Verranno a scovare il leone
nella sua tana, e creder, proprio l
di spaventarlo, di farlo tremare?
Non sia mai detto! Siate voi per primo
ad uscir fuori in cerca della preda,
andate incontro ai guai
ben a distanza dalle vostre porte,
e correte voi stesso ad artigliarli
prima che vi si faccian troppo sotto.
GIOVANNI - stato qui il legato del papa:
con lui mi sono rappacificato
felicemente; ed egli m'ha promesso
che avrebbe fatto liberare il campo
dalle truppe guidate dal Delfino.
BASTARDO - Oh, ingloriosa alleanza!
E noi dovremmo, sulla nostra terra,
offrir cavalleresche condizioni,
scendere ad umilianti compromessi,
a segreti maneggi, a parlamenti,
alla ricerca d'una vile tregua
con l'invasore in armi?
E sopportare che uno sbarbatello,
un damerino tutto sete e sbuffi
venga sui nostri campi a minacciare
e a fare il suo noviziato di sangue
in una terra di esperti guerrieri,
sfottendo l'aria che noi respiriamo
col pigro svolazzar dei suoi colori,
senza trovar nessuno che lo fermi?
Ohib, corriamo all'armi, mio sovrano!
assai probabile che il Cardinale
non riesca a comporre questa pace;
e se pur riuscisse nell'intento,
si dica almeno che ci avevan visti
ben decisi a difenderci.
GIOVANNI - Va bene.
Disponi tu il da farsi, assumi tu
tutte le iniziative del momento.(162)
BASTARDO - Avanti, allora, con tutto coraggio!
Son sicuro, comunque,
che il nostro esercito pu confrontarsi
bene con un nemico ancor pi forte.
(Escono)
SCENA II - Il campo del Delfino di Francia davanti a Sant'Edmondo
Entrano in armi il DELFINO, MELUN, SALISBURY, PEMBROKE, BIGOT e altri
DELFINO - (Porgendo un foglio a Melun)
Ecco, Melun, fate fare una copia
e custoditela a nostra memoria:
l'originale sia restituito
a questi nobili signori inglesi,
cos che avendo messo il nostro accordo
nero su bianco, tanto noi che loro
potremo, rileggendo queste note,
ricordarci di quanto abbiam giurato
e mantenere ad esso salda e ferma
la nostra fedelt.
SALISBURY - Da parte nostra,
non ci sar chi mai possa violarlo;
ci nondimeno, nobile Delfino,
anche se tutti noi abbiam giurato
volontaria adesione e non forzata
a questa vostra impresa,
tuttavia, principe, non un piacere
per me, credetemi, che ad una piaga
come quella che affligge il nostro tempo,(163)
si debba ricercare un cataplasma
in una deprecabile rivolta,
e si debba curare una cancrena
aprendo altre ferite.
Oh, sapeste come mi pesa l'anima
esser costretto a trarre questo ferro
per fabbricare vedove!
E questo l, dove il nome di Salisbury
gridano un'onorevole riscossa
al par d'un'onorevole difesa.(164)
Ma i tempi sono ormai cos corrotti,
che per ridar salute e integrit
alla giustizia non resta altra via
che porre mano alla dura ingiustizia
e farci correi di aberranti torti.
Non infatti un peccato,
o miei affranti amici, per noi qui,
di quest'isola figli e creature,
esser nati per esser spettatori
d'un'ora sconsolata come questa,
che ci vede, seguendo uno straniero,
marciare sopra il suo nobile petto,
e ingrossare le file del nemico?
Ah, scusate, ho bisogno di appartarmi,
mi vien da piangere sopra la macchia
di questo ignominioso imperativo
onde siamo costretti a render grazia
alla gente d'una lontana terra,(165)
al seguito di sconosciute insegne!
E proprio qui?...(166) O patria,
se tu potessi trasferirti altrove!
Potessero le braccia di Nettuno
che tutt'intorno ti fanno cintura
strapparti alla coscienza di te stessa
ed ormeggiarti ad un lido lontano
dove questi due eserciti cristiani
potrebbero, in un patto d'alleanza,
far confluire il lor sangue nemico
in un sol rivo, invece di versarlo
in risse di cattivi vicinanti!
(Piange)
DELFINO - Queste parole, Salisbury,
ti proclaman di ben nobile tempra,
e nel tuo petto nobili passioni
devono certamente scatenare
un terremoto di nobili sensi.
Qual nobile conflitto
si dev'essere acceso nel tuo animo
tra la coscienza e la necessit!
Lascia ch'io terga con queste mie mani
quel flusso di onorevole rugiada
che argenteo scende gi dalla tua guancia.
Ho sentito il mio cuore intenerirsi
pi d'una volta alle usuali lacrime
che inondavano il volto di una dama.
Ma l'effusione di questo tuo pianto,
questo tuo scroscio di virilit
esplosa dentro un'anima in tempesta
mi colpisce e mi lascia sbigottito
pi che se avessi visto all'improvviso
tutto l'arco del cielo esser solcato
da meteore infiammate.
Su, rialza la fronte, illustre Salisbury,
e con la forza del tuo grande cuore
disperdi via da te questa tempesta:
affida questi lacrimosi umori
ad infantili occhi che mai l'ira
conobbero del gigantesco mondo,
e non hanno incontrato la Fortuna
altro che nel tripudio dei festini
pieni di sangue caldo, risa e chiacchiere.
Su, su, perch anche tu, come voi tutti,
affonderete, al pari di Luigi,
la vostra mano nella ricca borsa
della prosperit, nobili inglesi,
che i vostri nervi avete ora allacciato
alla forza del mio.
(Squillo di tromba)
Ed ecco, appunto,
mi par che l un angelo ha parlato.(167)
Entra il CARDINALE PANDOLFO
Ecco infatti arrivare di buon passo
il legato del papa
ad apportarci la malleveria
della mano del cielo al nostro agire
e ad apporvi, con il divino fiato
della sua bocca il crisma di giustizia.
PANDOLFO - Salve, nobile principe di Francia!
La novit questa: Re Giovanni
s' conciliato di nuovo con Roma;
il suo spirito, che cos protervo
si lev contro santa madre chiesa,
ritornato adesso nel suo seno.
Perci ravvolgi i minacciosi labari
e ammansisci lo spirito selvaggio
d'una guerra selvaggia,
cos che questa, simile ad un leone
da domestica mano ammaestrato,
docile si accovacci e inoffensivo
ai piedi della santa pace,
minaccioso soltanto nell'aspetto.
DELFINO - Vostra Grazia vorr ben perdonarmi,
ma indietro io non torno:
sono creatura di troppo alta nascita,
per esser propriet di chicchessia, (168)
per prender ordini da un inferiore
o farmi servo e inutile strumento
di qualunque sovrana autorit
su questa terra. stato il vostro fiato
a ravvivare i gi spenti carboni
della guerra tra me e questo regno
da me punito; siete stato voi
a dare nuova esca a questo fuoco;
ed esso diventato troppo grosso
perch lo possa spegnere quel fiato
che l'ha prima avvivato e rattizzato.
Voi m'avete insegnato a riconoscere
il vero volto del mio buon diritto,
a farmi consapevole dei titoli
che potevo vantar su questa terra;
voi siete stato, a mettermi nel cuore
quest'impresa; e venite ora a informarmi
che Giovanni ha concluso la sua pace
con Roma? Che pu mai importare a me
di questa pace? Io reclamo qui,
in virt di legittimi sponsali,
dopo il giovane Arturo, questa terra;
ed ora che l'ho mezza conquistata
con l'armi, dovrei fare dietro-front
perch Giovanni ha concluso con Roma
la sua pace? Son io servo di Roma?
Quanto denaro ha disborsato Roma,
quanti uomini, quante munizioni
ha mandato in aiuto a questa azione?
Non son io solo a sostenerne il peso?
Chi altri, se non io
e tutti quelli che mi son fedeli
nella mia causa, stiamo qui sudando
per sostenerla? Non ho io sentito
questi isolani gridarmi all'unisono:
"vive le roi!" mentre ho tenuto banco(169)
nelle loro citt? Non ho con questo
nella mia mano le migliori carte
per vincer questa facile partita,
che ha come sua posta una corona?
E dovrei rinunciare proprio ora
a quello che finora ho guadagnato?
No, sull'anima mia, non sia mai detto!
PANDOLFO - Voi non guardate che la faccia esterna
di quest'iniziativa.
DELFINO - Esterna o interna,
io indietro non torno fino a quando
il mio sforzo sia stato coronato
da quella gloria che fu prospettata
all'alte mie speranze
prima che m'accingessi ad allestire
questo superbo strumento di guerra,
scegliendomi da gente di ogni ceto
questi spiriti fieri
per guardare negli occhi la conquista
e procacciarci gloria
tra le fauci del rischio e della morte.
(Tromba)
Che allegro squillo questo che ci chiama?
Entra il BASTARDO con seguito
BASTARDO - In nome della buona consuetudine
della cavalleria, vi chiedo udienza.
Mio sacro monsignore di Milano,
sono inviato dal mio re Giovanni
per conoscere quali risultati
avete conseguito in suo favore.
Dalla risposta che voi mi darete
sapr dirvi lo scopo ed il mandato
che sono confidati alla mia lingua.
PANDOLFO - Il Delfino testardamente ostile,
e non vuole nemmeno negoziare
le mie richieste; dice seccamente
che non intende deporre le armi.
BASTARDO - Per tutto il sangue ch'abbia mai sprizzato
furia rabbiosa, il giovane ha ragione!
Udite allora quello che vi dice
il nostro re inglese,
ch la sua maest che parla in me:
egli pronto a combattere,
e ragion vuole che lo sia fin troppo.
Questa avanzata scimmiesca e scomposta,
questa sbrigliata mascherata in armi
simile ad un orgiastico festino,
questa imberbe masnada d'insolenza,
questa truppa di piccoli bambocci
lo fa soltanto ridere;
ed pronto a cacciare via a frustate
dai confini dei propri territori
quest'armata di nani e di pigmei.
Quella sua mano ch'ebbe gi la forza
di bastonarvi di santa ragione
fin sulla porta delle vostre case,
mandandovi a nascondere a gran salti
in fondo ai pozzi, come tanti secchi,
o a restare accucciati tutto il giorno
sotto lo sterco delle vostre stalle,
o chiusi dentro cofani e cassoni
come dei pegni, (170) o abbarbicati ai porci,
o a cercar di scampar la cara pelle
in luoghi sotterranei o prigioni,
e l rabbrividendo e sussultando
solo a sentire da lontano il verso
del vostro cantachiaro nazionale, (171)
perch lo scambiavate, spauriti,
per il grido di guerra d'un inglese;
s, quella stessa mano
che venne vittoriosa a castigarvi
fin nelle vostre camere da letto,
deve mostrarsi fiacca proprio qui?
No, il valoroso nostro re, sappiatelo,
in armi, come un'aquila,
volteggia sull'aerea sua nidiata,
pronto a difenderla contro chiunque,
tenti solo di avvicinarsi ad essa.
(Ai nobili inglesi)
E voi, degeneri e ingrati ribelli,
Neroni sanguinari che squarciate
il ventre della vostra cara madre
Inghilterra,(172) arrossite di vergogna,
perch le vostre mogli,
le vostre pallide vergini figlie
vanno accorrendo sotto le bandiere
al rullar dei tamburi, come amazzoni,
avendo trasformato i lor ditali,
in guantoni di ferro, gli aghi in lance,
e mutato la natural lor grazia
in sanguinario e superbo cipiglio.
DELFINO - Beh, basta con codeste smargiassate.
Fa' dietro-front, e vattene con Dio!
Ti diamo atto che a sputare frottole
sei pi bravo di noi. Addio. Sta' bene.
Stimiamo il nostro tempo
troppo prezioso per starlo a sprecare
con un simile sciocco boccalone.
PANDOLFO - (Al Bastardo)
Fate parlare me.
BASTARDO - No, parlo io.
DELFINO - Io non voglio ascoltar n voi n lui.
Si battano i tamburi,
e sia solo la voce della guerra
a perorare pel nostro interesse
a restar qui.
BASTARDO - Certo i vostri tamburi,
battuti, avranno voce e grideranno,
e voi con loro, una volta battuti.
Prvati solo a risvegliare un'eco
col fragore d'un tuo tamburo, e subito
un tamburo sar gi qui da presso
bene stirato e pronto a rimandarti
alto un fragore almeno quanto il tuo;
fanne rullare un altro,
e ancora un altro, dalla nostra parte,
rintroner nell'orecchio del cielo,
schernendosi del boccaluto tuono,(173)
ch non distante da qui, Re Giovanni,
non fidandosi degli affidamenti
di codesto legato banderuola,
da lui usato pi per suo trastullo
che per real necessit, sta in armi,
e sulla fronte sua si trova assisa
la scheletrita morte,
oggi decisa a far grande banchetto
coi corpi di migliaia di francesi.
DELFINO - Tamburi e in marcia,
ad incontrare questo gran pericolo!
BASTARDO - Lo incontrerai, Delfino, sta' sicuro!
(Rullo di tamburi. Escono il Bastardo col suo seguito da una
parte; dall'altra tutti gli altri, marciando)
SCENA III - Un'altra parte del campo.
Entrano RE GIOVANNI e UBERTO, incontrandosi, mentre s'odono allarmi di guerra
GIOVANNI - Come va la giornata, Uberto? Parla.
UBERTO - Male per noi, ho paura, signore.
Come si sente Vostra maest?
GIOVANNI - Questa febbraccia che da tanto tempo
mi tormenta, mi pesa sempre pi.
Ah, il mio cuore malato!
Entra un MESSO
MESSO - Mio signore, il valoroso Faulconbridge,
vostro parente, ha espresso il desiderio
che Vostra maest abbandoni il campo,
e gli faccia sapere, per mio mezzo,
dove avrebbe intenzione di dirigersi.
GIOVANNI - A Swinstead, digli, presso l'Abbazia.(174)
MESSO - Restate di buon animo, maest,
perch i grossi rinforzi che il Delfino
aspettava venire dalla Francia
tre notti fa hanno fatto naufragio
sulle sabbie di Goodwin. (175) La notizia
giunta solo poco fa a Riccardo;
i francesi si stanno ritirando,
dopo aver fiaccamente combattuto.
GIOVANNI - Ah, questa febbre che mi brucia dentro,
questa tiranna che ora m'impedisce
d'accogliere con animo contento
questa buona notizia!...
Avanti, avanti, in viaggio verso Swinstead!
Presto, portatemi alla mia lettiga.
Son tutto indebolito, senza forze.
(Esce appoggiandosi a Uberto e al messo)
SCENA IV - Altra parte del campo
Entrano SALISBURY, PEMBROKE e BIGOT
SALISBURY - Non pensavo che il re
fosse provvisto di tanti alleati.
PEMBROKE - Sferriamo noi coi nostri un nuovo assalto:
ridiamo spirito a questi francesi.
Se va male per loro,
va male certamente anche per noi.
SALISBURY - Quel Faulconbridge, quel diavolo malnato,
regge da solo, a dispetto di tutto,
tutto il carico del combattimento.
PEMBROKE - Re Giovanni, secondo quel che dicono,
assai malato, ha abbandonato il campo.
Entra MELUN, ferito, sostenuto da soldati
MELUN - Conducetemi dai ribelli inglesi.
SALISBURY - "Ribelli inglesi..." Avevamo altri nomi
in tempi pi felici, in verit....
PEMBROKE - il conte di Melun...
SALISBURY - Ferito a morte.
MELUN - Fuggite via da qui, nobili inglesi!
Siete stati comprati e rivenduti! (176)
Sfilatevi dalla maldestra cruna
della rivolta, e accogliete con gioia
il ritorno d'una smarrita fede.(177)
Cercate Re Giovanni
e cadete in ginocchio avanti a lui;
ch se oggi i Francesi
dovessero riuscire vittoriosi
da questo fragoroso pandemonio,
Luigi ha in mente di ricompensare
lo sforzo da voi fatto in suo favore
tagliandovi la testa: l'ha giurato,
e cos io con lui e con molti altri,
su quello stesso altare, a Sant'Edmondo,
dove giurammo a voi buona amicizia
e sempiterno amore.
SALISBURY - Possibile! Parlate seriamente?
MELUN - Non ho io forse gi, alla mia vista,
l'immagine dell'esecrata morte,
mentre trattengo a stento un fil di vita
che se ne va sanguinando via via,
come perde via via davanti al fuoco
la sua figura una forma di cera?
Che cosa al mondo ormai
mi potrebbe condurre ad ingannarvi,
quando non c' pi inganno
da cui potessi trarre alcun vantaggio?
Perch dovrei allora essere falso,
se vero che dovr morire qui
per viver nell'eterna verit?
Ve lo ripeto: se Luigi vince
questa giornata, si far spergiuro
se i vostri occhi vedranno un altro giorno
spuntare a oriente. Questa notte stessa,
il cui alito nero di miasmi
gi copre d'un alone di vapori
il fiammeggiante cammino d'un sole
gi vecchio, stanco per la lunga corsa,
voi spirerete il vostro ultimo fiato,
pagando il fio del vostro tradimento
con l'essere traditi a vostra volta,
non importa se grazie al vostro appoggio
Luigi possa ottener la vittoria.
Portate il mio saluto a un certo Uberto,
che sta col vostro re;
l'amicizia affettuosa che ho con lui
e il fatto che mio nonno era un inglese
sono stati a svegliar la mia coscienza
e indurmi a rivelare tutto questo.
Vi prego, in contraccambio,
di trasportarmi via da questi luoghi,
lontano dal fragor della battaglia,
dov'io possa raccogliere in silenzio
gli estremi miei pensieri ed aspettare
di separare il mio corpo dall'anima
in religiosa e pia contemplazione
e devote speranze di salvezza.
SALISBURY - Ti crediamo, Melun; e sia dannata
l'anima mia se non con gran gioia
che accolgo le fattezze ed il favore
di questa splendidissima occasione
che ci permette di fare a ritroso
i passi d'una fuga maledetta;
e, simili ad un flutto straripato
che decrescendo rientra nell'alveo,
rientrare anche noi nei nostri argini
e fluire tranquilli ed obbedienti
al nostro mare, il grande re Giovanni.
Il mio braccio t'aiuter a portarti
via da qui; perch vedo nei tuoi occhi
lo spasimo crudele della morte.
Andiamo, amici: nuova diserzione!
E fortunata questa circostanza
che ci riporta sulla retta via.
(Escono sorreggendo Melun)
SCENA V - Il campo francese
Entra il DELFINO con seguito
DELFINO - Il sole m' sembrato questa sera
restio a tramontare, quasi ansioso
d'arrossar di vergogna ad occidente
tutto l'arco del cielo,
quando l'inglese, in fiacca ritirata,
misurava a ritroso il suo terreno.
Ah, ne siamo sortiti con onore!
Dopo una zuffa tanto sanguinosa,
con una salve d'inutili colpi,
abbiamo dato lor la buona notte,
e, ravvolte le lacere bandiere
senza nessun disturbo, ultimi in campo,
ne siamo quasi rimasti padroni.
Entra un MESSO
MESSO - Dov' il mio principe, dov' il Delfino?
DELFINO - qui; che novit?
MESSO - Il conte di Melun stato ucciso,
ed i nobili inglesi,
dietro sua persuasione, han disertato
di nuovo, e son passati all'altra parte.
I rinforzi da voi tanto aspettati
hanno fatto naufragio
e sono tutti dispersi o annegati
nelle sabbie di Goodwin.
DELFINO - Ah, sciagura!
Maledetta, terribile notizia!
E maledetto tu che me la rechi!
Non m'attendevo proprio, questa sera,
d'attristarmi cos
come queste notizie m'han ridotto!
Chi ha detto, poco fa, che re Giovanni
era fuggito un'ora o due prima
che la notte col suo impervio buio(178)
separasse gli stanchi nostri eserciti?
MESSO - Chiunque l'abbia detto, ha detto il vero,
mio signore.
DELFINO - Va bene. Questa notte
restiamo qui; si faccia buona guardia.
Domani non sar pi lesto il giorno
a levarsi, di quanto sar io
a tentare la mia bella avventura.
(Escono)
SCENA VI - Luogo aperto presso l'Abbazia di Swinstead.
Notte.
Entrano, da opposte parti, il BASTARDO e UBERTO
UBERTO - Chi sei, oh! Parla, e subito, o sei morto!(179)
BASTARDO - Un amico. Chi sei?
UBERTO - Di parte inglese.
BASTARDO - Dove vai?
UBERTO - Che t'importa?
T'ho chiesto forse io i fatti tuoi?
BASTARDO - (Riconoscendolo)
Uberto, immagino?
UBERTO - Immagini giusto.
Ed io m'arrischio a crederti un amico,
visto che riconosci la mia voce.
Chi sei dunque?
BASTARDO - Chiunque vuoi ch'io sia,
e se ti fa piacere essermi amico,
lo potrai fino al punto di pensare
che sono un ramo dei Plantageneti.
UBERTO - Oh, scostumata mia memoria! Tu,
insieme a questa notte senza fine,
m'hai fatto vergognare di me stesso!
Prode soldato, scusa se il mio orecchio
non ha riconosciuto la tua voce.(180)
BASTARDO - Via, via, sans compliments! Che nuove in giro?
UBERTO - Eh, me ne andavo appunto, per cercarvi,
di qua e di l brancolando a tentoni
sotto l'oscuro piglio della notte...
BASTARDO - Su, insomma, alla svelta: che notizie?
UBERTO - Ah, caro signor mio, notizie tetre,
cnsone alla nottata: paurose,
orrende, sconfortanti.
BASTARDO - Ebbene, avanti,
mostrami, senza farmi ancora attendere
la piaga aperta di queste notizie:
non svenir a sentirle, non son donna.
UBERTO - Temo che il re sia stato avvelenato,
ad opera di un frate... L'ho lasciato
che quasi non riusciva pi a parlare,
e son corso a cercarvi
per informarvi di questa disgrazia,
cos che, conoscendo l'accaduto,
voi possiate esser meglio preparato
ad affrontare il corso degli eventi,
che se l'aveste appreso all'improvviso.
BASTARDO - Come ha potuto ingerire il veleno?
Chi gli assaggiava prima le vivande?
UBERTO - Un frate, vi ripeto, un miserabile,
risoluto a morire, come morto,
con le budella subito crepate.(181)
Il re in grado ancora di parlare,
e forse si potr anche riprendere.
BASTARDO - Chi hai lasciato con lui ad assisterlo?
UBERTO - Ah, voi non lo sapete. I suoi baroni
sono tutti tornati intorno a lui,
in compagnia del principino Enrico,
per la cui intercessione(182)
il re ha concesso a tutti il suo perdono.
BASTARDO - Possente cielo, trattieni il tuo sdegno,
e non tentarci alla sopportazione
oltre le nostre forze!(183) Uberto, ascolta:
questa notte met delle mie forze,
nel traversare queste basse terre,
si son trovate clte all'improvviso
dalla marea, e gli stagni di Lincoln
l'hanno tutte inghiottite. A mala pena
io stesso in sella ad un buon palafreno
sono riuscito a scampare la pelle.
Ma fammi strada, portami dal re,
ch'io possa rivederlo ancora vivo.(184)
(Escono)
SCENA VII - L'orto dell'Abbazia di Wisntead
Entrano il PRINCIPE ENRICO, SALISBURY E BIGOT
ENRICO - Troppo tardi. L'essenza del suo sangue
corrosivamente contagiata,
ed il suo sempre lucido cervello
che dicono la fragile dimora
dell'anima, coi suoi vaneggiamenti
preannuncia imminente
la fine della sua vita mortale.
Entra PEMBROKE
PEMBROKE - Sua Altezza parla ancora,
e si dice convinto
che se lo trasportiamo all'aria aperta
gli si allevia l'effetto del bruciore
del crudele veleno che lo assale.
ENRICO - Trasportiamolo allora qui nell'orto.
(Esce Bigot)
Delira ancora?
PEMBROKE - No, sembra pi calmo.
Anzi, accennava perfino a cantare.
ENRICO - Assurdit del male! Al loro estremo,
i dolori non si fan pi sentire.
La morte, dopo avere depredato
le parti esterne, le lascia insensibili(185)
e va a portare l'assedio alla mente,
ch'essa attacca e ferisce
con legioni di strane fantasie
le quali in grande ressa ed accalcandosi
tutte contro quell'ultimo bastione,
si fondono e confondono tra loro.
strano che la morte
debba cantare. Il pulcino son io
di questo pallido cigno languente
che canta alla sua morte
un inno di dolore,
ed accompagna sulla canna d'organo
della fragilit anima e corpo
all'eterno riposo.(186)
SALISBURY - Principe, fate cuore;
voi siete nato a dar forma finita
all'informe congerie delle cose
ch'egli lascia s grezza e indefinita.
Entra BIGOT con altri nobili recando RE GIOVANNI su una sedia
GIOVANNI - Oh, per la Vergine, qui la mia anima
pu spaziare,(187) non costretta a sporgersi
in cerca d'aria per porte e finestre!
Sento bruciarmi dentro una canicola
da incenerirmi tutte le interiora:
non son pi altro che uno scarabocchio
stirato a penna su una pergamena,
e m'accartoccio tutto a poco a poco
all'ardore di questo interno fuoco.
ENRICO - Come state, maest?
GIOVANNI - Avvelenato,
malatissimo, morto, abbandonato.
E nessuno di voi chiama l'Inverno
che mi venga a ficcare nello stomaco
le sue dita di ghiaccio;
nessuno chiama i fiumi del mio regno
a riversare le loro correnti
sul mio petto che brucia; o chiama il Nord
perch spedisca gli aridi suoi venti
a baciar le mie labbra inaridite,
a confortarmi col lor soffio gelido.
Io non vi chiedo che un po' di frescura,
e voi qui, tutti sordi e sconoscenti,
mi negate anche questo refrigerio!
ENRICO - Oh, avessero almeno le mie lacrime
la virt di recarvi alcun sollievo!
GIOVANNI - caldo il sale che sta dentro ad esse.
Io ho l'inferno dentro,
e il veleno un demonio che sta l
ad angariare il povero mio sangue
irrimediabilmente condannato.
Entra il BASTARDO
BASTARDO - Oh, Altezza, son tutto trafelato
per la precipitosa galoppata
e l'ansia di potervi rivedere.
GIOVANNI - Ah, nipote, tu giungi giusto in tempo
per chiudermi le palpebre;
tutto il sartiame del mio cuore arso
e cade a pezzi, e tutte le sartie
che dovrebbero tendere le vele
della mia vita si sono ridotte
ad un sol filo, un capello sottile;
il cuore non ha pi che lo sorregga
che una povera fibra
che lo sta trattenendo quanto basta
perch'io oda da te le tue notizie;
e poi, quella che vedi innanzi a te
sar soltanto una povera zolla,
un simulacro di maest distrutta.
BASTARDO - Il Delfino in procinto di marciare
fin qui, dove Dio sa come faremo
ad opporgli una qualche resistenza;
perch la miglior parte del mio esercito
in una sola notte, mentre in marcia
muovevo ad attestarci in miglior sito,
s' trovata sommersa ed inghiottita
da un improvviso flusso di marea.
(Re Giovanni s'accascia e muore)
SALISBURY - State soffiando notizie di morte
dentro un orecchio morto...
Il mio sovrano! Il mio signore... un re,
solo un attimo fa, ed ora questo!
ENRICO - E come lui dovr correre anch'io,
e come lui fermarmi... ecco, cos!
Che certezza c' al mondo, che speranza,
che fermezza, se solo poco fa
questo era un re, ed ora solo argilla?
BASTARDO - E te ne vai cos?... Io non ti seguo,
sol perch devo far di te vendetta;(188)
poi la mia anima ti servir
in cielo, come t'ha servito in terra.
(Ai nobili)
Ed ora, ed ora a voi,
stelle, che nelle vostre giuste sfere
siete tornate a ruotare di nuovo,(189)
dove sono le vostre forze armate?
Questa l'ora per voi di dimostrare
la vostra rinnovata fedelt,
unendo a quelle mie le vostre truppe
per cacciar via dalla sconnessa porta(190)
di questa nostra boccheggiante terra
la distruzione e la vergogna eterna.
Dobbiamo cercar subito il nemico,
o sar esso a cercar noi fra poco:
il Delfino imperversa e ci sta addosso.
SALISBURY - Siete allora informato, a quanto pare,
meno di noi. Il Cardinal Pandolfo
nel convento, qui, che si riposa.
tornato da noi mezz'ora fa
dopo essersi incontrato col Delfino,
e ci ha recato proposte di pace
che possiamo accettare con onore
e con pieno rispetto di noi stessi,
ponendo subito fine alla guerra.
BASTARDO - Egli sar meglio disposto a tanto,
quanto meglio innervati ci sapr
a difenderci.
SALISBURY - Ma gi cosa fatta.
In realt, ha gi spedito in mare
molti dei suoi carriaggi,
ed ha rimesso in mano al Cardinale
la sua causa e l'intera controversia.
Ordunque, voi ed io, con gli altri nobili,
se lo vorrete, questo pomeriggio
andremo ad incontrare il Cardinale
per condurre felicemente a termine
l'intera faccenda.
BASTARDO - E cos sia.
(A Enrico)
E voi, nobile principe,
con gli altri nobili, la cui presenza
non sar necessaria a questo incontro,
penserete alle funebri onoranze
da tributare al vostro genitore.
ENRICO - Sar sepolto a Worchester,
perch cos egli ha lasciato detto.
BASTARDO - Ed a Worchester abbia sepoltura;
e cos possa la vostra persona
addossarsi la giusta successione
in linea retta della dinastia
e la gloria di questa nostra terra,
com'io a voi, in piena devozione,
consacro qui, in ginocchio, i miei servizi
e leale ed eterna sudditanza.
(S'inginocchia a Enrico)
SALISBURY - E pari lealt e devozione
vi professiamo noi, con l'auspicio
ch'essa duri perenne e inalterata.
ENRICO - Ho l'animo commosso,
che vi vorrebbe tutti ringraziare,
e non sa come farlo che piangendo.
BASTARDO - (Rialzandosi e avvicinandosi a Enrico che piange)
Oh, tributiamo al doloroso evento
non pi dell'afflizione necessaria,
ch tanta gi ne abbiamo anticipata!
Giammai quest'Inghilterra
soggiaciuta, e mai soggiacer
all'orgoglioso piede d'un nemico
conquistatore, se non sar essa
a ferirsi per prima, di sua mano.
Ora che questi suoi grandi baroni
son ritornati alla casa comune,
vengano pure i tre quarti del mondo
contro di essa in armi,
e noi sapremo ben come colpirli!
Nulla ci far mai doler di nulla,
se l'Inghilterra rester fedele
a quel che , e a quel che sempre stata.
FINE
NOTE
(1) "What would France with us?": i re, al pari dei nobili titolari di principati, ducati, contee, marchesati ecc., sono indicati spesso in Shakespeare col nome del regno o del dominio di cui sono titolari. La sineddoche della identificazione del nome della persona con la terra era consueta anche nel linguaggio comune.
(2) Goffredo il quarto figlio di Enrico II, Giovanni il quinto. Alla morte di Enrico (1189), il trono era andato al suo terzo figlio Riccardo (detto Cuor-di-leone). Goffredo morto prima (1186), ma ha lasciato un figlio maschio, Arturo, al quale, alla morte di Riccardo, sarebbe spettato il trono per diritto di rappresentazione osservato dalla regola dinastica. Se ne impadronisce invece Giovanni, col favore e la complicit della madre Eleonora d'Aquitania. Costei, moglie ripudiata di Luigi VII di Francia, aveva sposato Enrico due anni prima (1152) che questi ascendesse al trono dello zio Stefano. All'apertura del dramma (1200) Arturo ha 13 anni, Giovanni 33, Eleonora 78. Secondo alcuni storici, lo stesso Riccardo Cuor-di-leone, partendo per la crociata in Terrasanta (v. pi sotto la nota 27) aveva esplicitamente istituito suo erede il giovane Arturo.
(3) Erano, salvo l'Irlanda, i possedimenti della corona inglese in terra di Francia.
(4) Costanza, figlia del duca di Bretagna Conan IV e moglie di Goffredo Plantageneto, alla morte di questi (1186) si era in realt risposata, dopo aver vissuto con Goffredo meno di un anno. Ma qui Shakespeare, al quale serve di accentuare il suo stato di vedovanza ai fini del contrasto con la suocera Eleonora, finge di ignorarlo.
(5) "... or else it must go wrong with you and me": "... o altrimenti le cose dovranno per forza andar male per te e per me". Per intendere il senso implicito di questa riflessione di Eleonora - la quale dice, in sostanza: "Per fortuna tu hai il possesso, anche se non hai il titolo" - giova rifarsi alla controversia tra "possesso" e titolo formale in corso al tempo di Shakespeare a proposito della stessa regina Elisabetta. A questa si contestava la legittimit del titolo alla corona, che sarebbe spettata alla sorella Maria. Come Elisabetta, Eleonora sembra affermare il principio, non sancito da nessuna legge, che in materia di corona, il possesso vale titolo; principio che lo storico contemporaneo William Calden (1551-1623) nei suoi "Annales" (B, 1, pag. l4) cos enuncia: "... la corona, una volta posseduta, chiarisce e purifica tutte le colpe e le imperfezioni".
(6) lo sceriffo della Contea dell'Hamps, dove si trova Southampton. Lo sceriffo era il funzionario, di nomina regia, incaricato, nell'ambito della contea, delle funzioni giudiziarie (custodia delle carceri, preparazione delle liste dei giurati, esecuzione delle sentenze e altre incombenze). Il personaggio non parla.
(7) La spedizione in Francia, si capisce. il primo accenno a quello che il motivo ispiratore, l'impostazione ideologica del dramma: il contrasto tra la corona inglese e la chiesa di Roma; contrasto che ha inizio appunto col regno di Giovanni, da alcuni storici ritenuto precorritore della riforma protestante in Inghilterra, che prender corpo con Enrico VIII. Abilmente, il drammaturgo lo introduce quasi di sfuggita, come un pensiero che sfiora improvvisamente la mente di Giovanni mentre questo intento ad altro.
(8) "A good blunt fellow...": "blunt" qui nel senso di "abrupt of speech and manner" come in "Enrico V", IV, 7, l72:"By "his blunt bearing he will keep his word": "A giudicare dai suoi modi spicci/ Manterr certamente la parola".
(9) "Con mia madre" non nel testo, che ha semplicemente "how he did prevail", dove "he did prevail " ha il senso di "he succeded in persuading (or inducing) (my mother)".
(10) La legge inglese del tempo, fedele al principio del diritto romano: "Pater est quem nuptiae demostrant" ("Il padre colui che tale dichiarato dallo stato di coniuge"), prescriveva che il nato da donna sposata poteva essere dichiarato "bastardo" solo se fosse provato che il marito, al tempo del concepimento, si fosse trovato "lontano al di l dei quattro mari" (cfr. C. K. Davis, "Law in Shakespeare"). Ci spiega il riferimento alla "distanza di mari e spiagge" fatto poc'anzi da Roberto Faulconbridge.
(11) Veramente di "disturbo" ha parlato prima Filippo; Giovanni si diverte a dare una lezione di diritto di famiglia al sempliciotto Roberto per convincerlo della inanit della sua pretesa. Roberto sparir dalla scena dopo questo dialogo.
Questi personaggi Faulconbridge - padre, madre, figlio Roberto e figlio bastardo Filippo - non hanno riscontro storico: sono inventati da Shakespeare, soprattutto il Bastardo, che ha una parte assai cospicua in tutto il dramma - all'evidente scopo di animare una vicenda altrimenti piuttosto confusa e scarsamente caratterizzata di questa sua "history" di Giovanni Senzaterra.
Sulle inclinazioni lascive di Riccardo Cuor-di-leone gli storici G. Galibert e C. Pell ("Storia d'Inghilterra", I, pag. 350, Venezia 1845) cos scrivono: "Era principe valoroso ma avido... un vero cavaliere dell'epoca che all'amore delle pugne univa quello della poesia e il gusto dei piaceri sensuali... Di passaggio per Cipro, durante la sua crociata in Terrasanta, rap, oltre a un bottino considerevole, una bellissima principessa, che lo segu nella sua spedizione".
(12) "Look where three-fanting goes!": il "fanting" era la quarta parte di un penny; il termine "three-fanting" equivale al nostro "tre soldi", poco pi che niente.
(13) "... were heir of all this land", "... fossi erede di tutta questa terra": "this land" qui chiaramente "questo paese".
(14) "I would not be Sir Nob in any case": "nob" nel gioco della carte chiamato "cribbage" la carta del mazzo di pi basso valore nel conteggio dei punti; recava di solito la figura di un soldato o di un servo in livrea. l'equivalente, quanto a significato spregiativo, del nostro "due di briscola".
(15) Il "cavaliere senza terra" ("landless") lui stesso, Giovanni, che sa di essere cos chiamato perch il suo diritto di succedere al fratello Riccardo contestato dal giovane nipote Arturo, figlio di Goffredo; sicch si diceva che Giovanni regnava, ma era un re "senza terra", la "terra" (l'Inghilterra) appartenendo di diritto ad Arturo.
(16) "Well, now I can make any Joan a lady": "Joan", femminile di "John" , come questo, nome proprio generico per indicare una donna qualunque di bassa condizione; "lady" la dama dell'alta nobilt, la nobildonna. Il Bastardo, ora che divenuto nobile, pu far diventar nobildonna qualunque donna, di qualunque condizione, sposandola.
(17) Stuzzicarsi i denti a fine pasto era segno di distinzione. S'usava all'uopo il calamo appuntito d'una penna d'oca.
(18) Shakespeare si diverte qui visibilmente a mettere in ridicolo per bocca del Bastardo la vanesia fatuit di certi nobili parvenus (lo far in altre diverse occasioni, perfino nell'"Amleto"). Il viaggio in Italia e, meno, in Spagna era una specie di status symbol. Perci le Alpi, gli Appennini, il Po, i Pirenei.
(19) "But this is worshipful society": l'assenza dell'articolo d a questa "worshipful society" il significato di qualcosa di immanente, di istituzionale al disopra degli uomini, la "societ adorata che noi siamo e che non possiamo non essere essendo uomini", ineluttabile.
(20) "But who comes in such haste in riding-robes?": "in riding-robes" "in veste di cavaliere", ma s' tradotto "in veste di cavallerizza" perch il Bastardo s' accorto subito che una donna, anche se non ha riconosciuto in lei sua madre; la chiama infatti "donna-postiglione" ("woman post"). I postiglioni vestivano gli stivali e usavano annunciare il loro arrivo con la diligenza ai luoghi di posta con un corno; qui, trattandosi di Lady Faulconbridge, c', nella menzione del marito e del corno un'ammiccante allusione del figlio alle corna messe dalla madre al marito.
(21) il nome di un mitico gigante della favolistica danese, simbolo di sproporzionata robustezza.
(22) Questo breve scambio di battute tra il Bastardo e Gurney troppo legato all'inglese per potersi rendere nel giusto tono. Gurney, nel rispondere al Bastardo che gli ha chiesto di lasciarlo un momento solo con la madre ("... will thou give us leave awhile?) risponde, ripetendo il "leave" di lui: "Good leave, Philip", ma pronuncia "Phlip" che il nomignolo dato agli inglesi al passero. Il Bastardo, che sa ora di chiamarsi Riccardo e non pi Filippo, prende a volo la metafora del passero/Filippo che volato via, e annuncia a Gurney che, dopo aver parlato con la madre, dir anche a lui il come e il quando.
(23) Allusione ad un personaggio con questo nome nel dramma di Thomas Kyd "Solimano e Perseda" che il pubblico doveva ben conoscere, perch il lavoro del Kyd era rappresentato con successo sulle scene dell'epoca.
(24) "By this light": una delle formule del giuramento; si giurava sulla luce del giorno ("light" sta qui per "daylight"), come sul proprio onore, sulla propria spada, ecc.
(25) "Your fault is not your folly!: "La vostra colpa non peccaminosa lascivia": "Folly" sta qui nel suo significato di "wantoness", "lewdness".
(26) la leggenda per cui Riccardo fu soprannominato Cuor-di-leone: incontrato un leone ruggente, lo affront, gli cacci nella bocca una mano con tal forza da arrivare a strappargli il cuore.
(27) In realt, ad uccidere Riccardo Cuor-di-leone non fu il Duca d'Austria. Riccardo, di ritorno dalla crociata in Terrasanta (1192), voleva raggiungere Venezia, e si mise con un sol legno in Adriatico, ma fece naufragio sulle coste dell'Illiria. Da l, invece di raggiungere Venezia, decise di tornare in Inghilterra attraverso l'Austria e la Germania, travestito da pellegrino: ma, riconosciuto nei pressi di Vienna, fu dal Duca Leopoldo d'Austria arrestato e consegnato all'imperatore di Germania Enrico IV, il quale vantava, da parte di sua moglie, diritti sulla corona di Sicilia e considerava Riccardo suo nemico in quanto alleato del re di Sicilia Tancredi d'Altavilla il cui fratello, Guglielmo, aveva sposato la sorella di Riccardo, Giovanna. Tornato in Inghilterra dopo 52 mesi da questi fatti - di cui 14 trascorsi in prigione in Germania, non tard molto a ripartirne per andare in Francia a rimettere ordine in quei domini della corona inglese; e l, durante un assedio al Castello di Chalus, presso Limoges, fu colpito alla spalla da una freccia e in dieci giorni mor. Non fu quindi n il Duca d'Austria n il visconte di Limoges (che qui Shakespeare, seguendo una leggenda popolare, unisce nella stessa persona di questo Limoges) a "spedirlo innanzi tempo alla tomba", ma un modesto ed ignoto arciere francese.
(28) Questa battuta di Filippo, come anche la prima della scena, sono da molti testi attribuite al Delfino Luigi.
(29) "that pale, that wite-faced shore / Whose foot spurns back the ocean's roaring tides / Amd coops from other lands her islanders.": una descrizione poetica della costa inglese verso la Francia, "le bianche scogliere di Dover", che sembra incongrua sulla bocca di un allocco come il Limoges.
(30) Questo verso non nel testo, che ha semplicemente "le grazie d'una vedova" ("a widow's thanks"), ma il suo concetto implicito nel senso della frase di Costanza.
(31) "Our cannons shall be bent...": uno dei soliti anacronismi di Shakespeare: all'epoca di Giovanni Senzaterra la polvere da sparo non era stata ancora inventata, e non c'erano "cannoni"; le "artiglierie" erano i frombolieri e gli arieti.
(32) La piazza del mercato ("market-place") nella citt medioevale era il centro, il cuore dell'abitato.
(33) Ate era la divinit della discordia della mitologia greca, scagliata da Zeus dall'Olimpo sulla terra.
(34) "... ladies' faces and fierce dragons' spleens": la milza ("spleen") era ritenuta l'organo umano sede della violenza, della irritabilit, del capriccio e della mutevolezza del carattere.
(35) "The interruption of their curlish drums / Cuts off more circumstance. They are at hand": letteralm.: "L'interruzione dei loro petulanti tamburi taglia via maggiori particolari. Essi son sottomano".
(36) How much unlooked-for is this expedition!: letteralm: "Quanto inattesa questa spedizione!"
(37) Questa interrogazione esclamativa ("My boy a bastard?") si trova nel testo alcuni versi pi sotto.
(38) Il Duca d'Austria s' presentato in scena con una pelle di leone a tracollo. Questa grottesca acconciatura sar oggetto di altri salaci commenti nel corso della scena.
(39) Alcide il nome greco di Ercole, l'eroe-semidio rappresentato nella iconografia classica vestito d'una pelle di leone (quella del leone da lui ucciso a Nemea) e con una clava in mano.
(40) Arturo "di Bretagna" perch il nonno materno, come s' visto, era duca di Bretagna. Stupisce per che Giovanni lo chiami cos, come se fosse duca di Bretagna, quando sar lo stesso Giovanni, pi sotto, a pensare di conferirgli quel titolo per dare un contentino alla madre Costanza.
(41) " The canon of the law is laid on him": il "canone della legge" quello della Bibbia ("Esodo", XX, 5)."... Imperocch io, Jeova,... punisco l'iniquit fino alla terza e alla quarta generazione". Arturo ancora la seconda generazione dopo Eleonora, e quindi ricade su di lui la sanzione divina per l'iniquit dell'ava.
(42) "Bedlam, have done!": "Bedlam" l'antico nome di Betlemme. Era cos chiamato a Londra l'ospizio di S. Maria di
Betlemme adibito ad asilo dei malati di mente. Il termine pass ad indicare "pazzo", "demente" in generale (v. anche "Re Lear", I, 2,132).
(43) "her sin his injury, / Her injury the beadle of her sin": passo oltremodo involuto, sorretto da una strampalata allegoria; il peccato di lei, che si fa malanno a lui e si fa malanno anche a lei, diventa lo scaccino della parrocchia ("beadle") che punisce il peccato di lei. "Beadle" era, al tempo di Shakespeare (pi tardi il termine assunse altri significati) l'addetto alla chiesa che aveva la mansione di mantenere l'ordine, punire i ragazzi che vi recavano danno, annunciare gli orari delle funzioni, ecc.
(44) Questo accenno al testamento da collegare, secondo alcuni critici (v. per tutti Sabbadini, note alla sua traduzione, Garzanti, Milano, l993), alla questione, che si agitava pubblicamente al tempo di Shakespeare, del testamento di Enrico VIII che, testando in favore di sua figlia Elisabetta, aveva "annullato" i diritti al trono della linea scozzese di Maria Stuarda.
(45) "These flags of France": non si trattava, in realt, di vere e proprie "bandiere" (che il solo senso di "flags", ma che all'epoca di Giovanni non esistevano), bens di altre forme d'insegne di guerra. Quella francese era l'"orifiamma", uno stendardo con stelle e fiamme d'oro in campo rosso.
(46) Questa "tirata" di Re Giovanni un palese esercizio di manierismo retorico e artificioso; tutto il passo costruito su metafore riferite a organi e funzioni del corpo umano: i cannoni hanno le viscere; le porte chiuse sono occhi dalle ciglia abbassate ("winkling"); le pietre sono sonnolente, e dormono nei loro letti di calcina; poi, per una metafora alla rovescia, le bocche dei francesi "sparano" tranquille parole...
(47) Cio i cannoni spareranno a salve per salutare il raggiunto accordo.
(48) "... our messengers of war": le palle dei nostri cannoni.
(49) In assenza di qualsiasi "stage instruction", non si capisce da dove questa corona esca fuori; se Giovanni sia entrato in scena con essa in testa, o se la mostri estraendola da qualche posto. Immagini il lettore quel che vuole, e il regista si regoli a suo talento.
(50) Certa critica ha creduto di ravvisare nel modo con cui Shakespeare rappresenta la vicenda di Re Giovanni, e in questa insistenza del testo sul possesso conferito dal possesso della corona in opposto al titolo formale - dinastico o altro - un riferimento all'attuale contrasto tra Elisabetta e Maria Stuarda, dopo la morte di Maria Tudor. Anche ad Elisabetta si contestava, da parte del partito dei sostenitori di Maria, la legittimit del titolo, nonostante l'esplicita volont del padre Enrico VIII, espressa in testamento. Ma che nella legge non scritta inglese il possesso della corona valesse titolo testimoniato dallo storico contemporaneo di Shakespeare William Calden (1551-1623) che nei suoi "Annales" del regno di Elisabetta scrive (B, 1, pag. 14): "... la corona, una volta posseduta, chiarisce e purifica tutte le imperfezioni...".
Nella prima scena del I atto la regina Eleonora, al figlio che le dice: "Stanno per noi il saldo mio possesso / e il mio diritto", risponde: "Il saldo tuo possesso / ben pi che il tuo diritto".
(51) "... at mine hostess' door": era frequente veder sospesa, a mo' d'insegna, sulla porta delle taverne, impressa su legno o su lamina di ferro, l'immagine di San Giorgio che uccide il drago. San Giorgio il santo patrono degli inglesi.
(52) "... and make a monster of you": un animale con la pelle di leone e la testa di bue certamente un mostro: ma il Bastardo fa un'ironia pi sottile, giocando sulle pelle di leone di cui vestito l'Austria e sulla dabbenaggine di questo personaggio, una scialba figura di principe. chiara l'allusione: "Se mi trovassi solo con vostra moglie (la vostra leonessa), vi farei cornuto". Il Bastardo veramente - come bene osserva il Lampedusa (Giuseppe Tomasi di Lampedusa - "Shakespeare", Mondadori, 1995, pag.41) - il primo personaggio, irruento nel buonumore cavalleresco, simpatico e jingoist di Shakespeare".
(53) "... our regiments": i "reggimenti", come specifiche unit di un esercito, in realt non esistevano al tempo di Giovanni. Si comincia a parlare di "reggimento" nel sec. XVI.
(54) Il testo ha "God and our right!" che la traduzione inglese del motto che figura sugli stemmi gentilizi dei re di Francia. Si preferito riprodurlo cos.
(55) La citt di Angers era famosa per le torri della sua cinta, che erano in numero di 17.
(56) "Or add a royal number to the dead...": senso: "Non deporr le armi prima d'aver rovesciato te, a costo di morire in battaglia". Si capisce che il "numero reale" da aggiungere a quello degli altri caduti sar lui stesso. Altri intende - erroneamente a nostro avviso - che il "royal number" si riferisca a Re Giovanni.
(57) "... whence they gape and poin / At your industrious scenes and acts of death": "scene", "atti": continua la metafora introdotta dal precedente "come a teatro"; dove pertanto il significato di "industrious", riferito alle scene e agli atti, quello di "bene allestite", "ben recitate" (per gli occhio degli spettatori di Angers). Il tutto in chiave ironica, s'intende. Il Bastardo, che ha ironizzato prima sulla "maest in furore", ironizza qui sulla futilit della guerra tra due re assetati di potere.
(58) "Do like the mutinies of Jerusalem": si riferisce alla ribellione dei palestinesi contro il dominio di Roma, nel 70 d.C., che provoc l'incendio del tempio di Gerusalemme da parte dei Romani comandati dall'imperatore Tito. Il Bastardo si fa qui consigliere politico di due re, preludio alla sua missione di mediatore politico tra Re Giovanni e i baroni ribelli.
(59) "Smacks it not something of the policy?": "policy" qui per "political cunning". un'altra pennellata a tratteggiare la figura del personaggio, vero protagonista del dramma: prima sconosciuto figlio naturale d'un re, poi riconosciuto e fatto cavaliere, ora consigliere politico; pi oltre sar l'esecutore materiale della politica di spoliazione dei beni della chiesa, e finalmente colui al quale Giovanni morente dir: "Prendi tutto in mano tu".
(60) "I'll stir them to do it. Come, away, away!": letteralm.: "Io li sproner a farlo. Andiamo via, via!". Con questa uscita del Bastardo, che alcuni vogliono non sia diretta al re ma al pubblico, si conclude, in chiave comica, il dramma del confronto dei due sovrani davanti ad Angers, gi costato molti morti alle due parti, come s' visto. Da ora in poi, la vicenda volger al pacifico tono dell'improvviso matrimonio tra il Delfino e Lady Bianca di Spagna, che metter d'accordo i due e la citt, ma lascer insoluto il problema della legittimit della corona di Giovanni, tanto che questi si sentir grottescamente costretto a farsi incoronare di nuovo.
(61) "... the mouth of passage shall we fling wide ope": letteralm.: "... apriremo subito e con violenza la bocca del passaggio". La solita manierata sineddoche della personizzazione del luogo.
(62) "But without this match...": bisticcio sul doppio senso di "match": prima l'ha usato nel senso di "miccia"; ora ripete: "Ma senza questa miccia...", ma "match" anche "unione", "matrimonio".
(63) Here is a stay / That shakes the rotten carcass of old Death / out of his rags": perifrasi immaginifica per dire: "Ecco una proposta che viene a frenare la corsa di molte vite verso la morte". L'immagine quella della morte, una vecchia scheletrita vestita di stracci, che riceve una scrollata dai suoi stracci ("out of his rags": la morte in inglese maschile e qualche volta neutra) dalla proposta del primo cittadino. Il Bastardo lo dice un po' ironizzando, un po' credendoci.
(64) "Shall have no sun to ripe": prosegue la metafora introdotta dal precedente "ragazzo in erba" ("green boy").
(65) "... lest zeal now melted": l'immagine dello zelo come metallo giunto al punto di fusione sorretta dal successivo "cool and congeal again", "non abbia a raffreddarsi e irrigidirsi di nuovo".
(66) "... which, being but the shadow of your son / Becomes a sun and makes your son a shadow": senso: "Se mi specchio nel suo occhio, la mia immagine ivi riflessa diventa un sole; al suo confronto, quello ch'io sono in carne e ossa diventa la mia ombra". Il linguaggio del Delfino volutamente maccheronico e artificioso, e gioca sull'omofonia di "sun", "sole" e "son", "figlio".
(67) "Command thy son and daughter to join hands": gli sponsali "a mani giunte" ("Zur gesamten hand" dei tedeschi) erano una forma di rito matrimoniale detta "sponsalia per verba praesentium" consistente nel dichiararsi marito e moglie in presenza di testimoni, tenendosi le mani congiunte. Tale matrimonio era riconosciuto valido dalla legge inglese: subito dopo, infatti, Bianca chiamer il Delfino col nome di marito; cos anche da intendere che si siano sposati - come annota J. W. Lever nell'"Arden Shakespeare"- Claudio e Giulietta in "Misura per misura", I, 2, 133 e segg.
(68) "... that broker, that still breaks the pate of faith": gioco sull'assonanza dei termini - peraltro di diverso etimo -"broker", "mediatore", "mezzano" e "break", "rompere", "ridurre in frantumi". Senso: "... quell'intermediario (tra la buona coscienza e il vantaggio personale: l'interesse, il tornaconto) che capace di frantumare il cranio della lealt." S' cercato di rendere alla meglio il bisticcio con "mezzano" e "smezzare".
(69) Il corsivo del traduttore.
(70) Il testo ha "This all-changing word", "Questa parola che tutto cambia".
(71) "... when his fair angels would salute my palm": "angel" si chiamava una moneta antica recante sul verso l'immagine dell'arcangelo Michele che uccide il drago; era d'oro zecchino e aveva il valore oscillante nel tempo tra i 6 e i 10 scellini.
(72) "... for grief is proud and makes his owner stoop": "to stoop" che, usato transitivamente, ha il senso di "curvare", "inclinare", qui usato, come altrove in Shakespeare, nel senso passivo di "venir fatto inclinare", "fare inclinare altri avanti a s" ("to cause to bow down").
(73) "Nature and Fortune joined to make thee great": natura e fortuna che s'alleano per formare una creatura umana massimo della perfezione di questa, ch le due, secondo un luogo classico, sono generalmente nemiche. Il tema ripreso da Shakespeare anche altrove; cos in "Come vi piaccia", (I, 2, 40-41) (Rosalinda:" Fortune reigns in gifts of the world/ Not in the leamenys of Nature", "Fortuna impera sui doni del mondo, non sopra i tratti che ci d natura"; e Falstaff ad Alice Ford nelle "Allegre mogli di Windsor", (III, 3, 58-59):" I see what you were, if Fortune thy foe were not, Nature thy friend": "Ti vedo qual saresti/ se Fortuna ti fosse stata amica/ come ti fu Natura".
(74) "... for grief is proud and makes his owner stoop": il verbo "to stoop" che, usato transitivamente, "curvare", "inclinare", qui, come altrove in Shakespeare, usato nel senso passivo di "essere oggetto d'inchino", "far inchinare gli altri avanti a s" ("to cause to bow down"), come del resto riesce chiaro dalle successive parole di Costanza.
(75) Il logo classico del dolore che si asside in terra, quasi a trovare sulla terra, dura, inerte ed immensa, unico rifugio e sollievo al dolore anche in "Riccardo III" laddove (IV, 4, 28.) la regina spodestata Elisabetta dice, sedendosi appunto a terra: "Rest thy unrest on England's lawful earth", "Racqueta ora la tua inquietudine / su questo leal suolo d'Inghilterra".
(76) Gli alchimisti erano proverbiali nel medioevo per la loro pretesa di mutare in oro i metalli, con la pietra filosofale.
(77) "... rather turn this day out of the week": una delle numerose reminiscenze bibliche di Shakespeare; cfr. "Giobbe", III, 6: " Dopo questo, Giobbe maledisse il suo giorno, e prese a dire: ... e caligine ingombri quella notte; non rallegrisi fra i giorni dell'anno, non sia annoverata nel mese".
(78) "... which being touched and tried proved valueless": "to touch and try" l'azione del verificare, col mezzo della pietra di paragone (detta appunto "touchstone") il grado di purezza dell'oro; operazione usata abitualmente per le monete (cfr. per lo stesso traslato, in "Riccardo III", (IV, 2, 9-l0):"... now I do play the touch/ To try if thou be current gold", "... voglio prendermi il gusto / ora a saggiarti se sei d'oro schietto"; e in "Timone di Atene"(III, 3, 6):"They have been touched and found base metal" "E tutti sono stati gi saggiati / e si son rivelati vil metallo".
(79) "You came in arms... but now in arms you strangten...": il bisticcio del testo, basato sul doppio significato di "arms" che vale "armi" e "braccia", non si pu rendere.
(80) Altra reminiscenza biblica: da "Isaia", LIV, 4,5:"... e non ti ricorderai pi il vituperio della tua vedovit, perciocch il tuo marito quel che ti ha fatta, il Signore degli eserciti...".
(81) La pelle di leone che il Duca d'Austria porta addosso.
(82) "... and south'st greatness": "greatness" per "great men", l'astratto per il concreto, come spesso in Shakespeare.
(83) "... doff it for shame": altri intende:"... gettala via, che non abbia a vergognarsi (la pelle di leone, di stare addosso a te).
(84) A questo punto, in mancanza di qualsiasi "stage instruction" da immaginare che il Duca d'Austria rinfoderi la spada e si tiri da parte in buon ordine. Si noti comunque l'astuzia del drammaturgo: qui come altrove, ogni volta che il Bastardo ha da dire col Duca d'Austria, interviene Re Giovanni a interrompere il discorso, per evitate il peggio.
(85) la scena-madre di quella che la sottotrama del dramma, e cio il contrasto tra la corona inglese e la Chiesa di Roma; contrasto che storicamente ha inizio proprio da Giovanni Senzaterra, dopo che il suo predecessore, il fratello Riccardo Cuor-di-leone, era stato invece pio condottiero della crociata in Terrasanta.
La prima ruggine personale di Giovanni col papa Innocenzo III nasce dal rifiuto di questi di benedire il divorzio di Giovanni dalla prima moglie, una Gloucester, che Giovanni ripudia per sposare (ottobre 1199) Isabella, la giovane figlia di Aimaro conte di Angoulme, strappandola al promesso Ugo di Bruno, conte della Marca. Ma l'urto ufficiale con Roma si verific con la nomina del nuovo arcivescovo di Canterbury, alla morte di Uberto nel 1205. Giovanni fece nominare dal capitolo dei vescovi inglesi il suo candidato John Gray; il papa, che sosteneva la candidatura di Stefano Langhton, cardinale di nascita inglese ma alleato della Francia, colp Giovanni d'interdetto; questi, in risposta, confisc tutti i beni appartenenti ad ordini ecclesiastici, esili i prelati e confin i monaci nei loro conventi. All'interdetto segu la scomunica e una sentenza pontificia di deposizione di Giovanni dal trono.
(86) "... to him and his usurp'd authority": "usurped" deve intendersi qui nel senso di "pretesa" ("injustly claimed").
(87) Cio non da Dio, come dovrebbe.
(88) Sulla "santa liceit" di uccidere, anche a tradimento, un cattivo monarca, specie se colpito da interdetto papale, concordava, con la Chiesa di Roma, anche il radicalismo puritano. La questione era attuale al tempo di Shakespeare, perch Elisabetta era stata scomunicata da papa Pio V, e il successore di questi, Gregorio XIII, aveva perfino promesso la beatificazione a chi l'avesse assassinata.
(89) Cio associarmi al papa nel maledire Giovanni. Testo:"That I have room with Rome to curse": il bisticcio "room with Rome", basato sull'omofonia dei due termini - che al tempo di Shakespeare era pi marcata - non si pu rendere. Doveva far ridere il pubblico, perch si ritrova identico in "Giulio Cesare" (I, 2, 155) "Now it is Rome indeed, and room enough...", "Ora s che Roma, e v' assai spazio...".
(90) "... when law can do no right, / Let it be lawful that law bar non wrong": questo sfoggio di retorica piuttosto artificiosa che Shakespeare mette in bocca a Costanza, e che contrasta, in verit, col suo stato di grande ambascia, fa il paio con la successiva invocazione di costei a Satana.
(91) L'anima di Filippo di Francia: Filippo per Costanza spergiuro, quindi dannato all'inferno, per essersi associato a Giovanni; se ora da lui si dissocia, si purifica davanti a Dio (davanti al quale si giura), e la sua anima non va pi all'inferno.
(92) Il Bastardo ripete la frase di scherno pronunciata poco prima da Costanza - e da lui provocatoriamente ripetuta - all'indirizzo del duca d'Austria.
(93) Il Bastardo coglie a volo il traslato dell'"intascare", e lo prosegue: le braghe dell'Austria sono larghe ed hanno tasche capaci.
(94) V. sopra la nota 84.
(95) "In likeness of a new untrimmed bride": Bianca ha appena concluso i suoi sponsali col Delfino, e s' idealmente spogliata ("untrimmed") del velo nuziale. Altri intende "untrimmed" "discinta", "coi capelli sciolti"; ma Bianca non n discinta n spettinata. La lingua di Costanza batte sul dente del matrimonio di Bianca col Delfino, quello che le duole.
(96) "... but for her need": "need" sta qui nel senso di "distress".
(97) "... play fast-and-loose with faith": "fast-and-loose" si chiamava un gioco di abilit, giocato con una cordicella e una stecca di legno. L'espressione "to play fast-and-loose" aveva il senso di "essere incostante, facile a scivolare".
(98) La stessa immagine si ritrover in "Molto trambusto per nulla", laddove (V, 1, 90) Antonio dice di Claudio che questi ha il coraggio di battersi con lui, come lui di afferrare un serpente per la lingua (... as I dare take a serpent by the tongue").
(99) "Chafed", ossia "raging", "become to rage": si adotta questa lezione (Alexander) in luogo delle altre due: "crazed", "impazzito" e "cased", "dalla ricca pelliccia" che si ritrovano in altri testi.
(100) Cio: della fede giurata a Giovanni, scomunicato, fai un nemico della fede cristiana.
(101) Intendi: il modo migliore per porre rimedio ad un nostro proposito, se deviato, deviare dalla devianza.
(102) "... giurando fede ad Inghilterra" non nel testo, che ha semplicemente: "But thou has sworn agains religion", "Ma tu hai giurato contro la religione".
(103) Ragionamento contorto in una sintassi contorta. Testo: "Against an oath the truth thou are unsure / To swear... swears only not to be forlorn!", che letteralmente suonerebbe: "Contro un giuramento (precedente) la lealt che tu non sei sicuro di giurare... giura solo a patto di non esser tenuta per spergiura!" Senso: "Se hai giurato lealt a Giovanni, sapendo che un precedente giuramento te lo vietava, hai giurato solo a condizione che, venendo meno al secondo giuramento, non fossi spergiuro (davanti a Dio, per aver tradito il primo)". Ma tutta questa tirata del Cardinal Pandolfo una specie di arzigogolo - come bene osserva nella sua traduzione il Sabbadini ("I Classici Garzanti", 1993) - che riecheggia la dottrina gesuitica dell'"equivoco", in discussione all'epoca tra il pubblico elisabettiano (ci gioca sopra ancora Shakespeare con il personaggio del Portiere nella terza scena del II atto di "Macbeth" quando esclama, sentendo bussare alla porta: "Parola mia, un equivocante ("an equivocator") / di quelli che ti giurano su un piatto / della bilancia contro l'altro piatto / e viceversa; che commetton frodi / a non finire per l'amor di Dio...".
(104) Il senso di questa battuta del Bastardo, che in italiano riesce sibillina e inopportuna, cos spiegato dal Sabbadini (op. cit.): il Bastardo gioca sulla parola "rue" pronunciata prima da re Giovanni a Filippo ("Thou shall rue this hour within this hour"); " rue" verbo "dolersi", "pentirsi", ed in tal senso l'ha usata Giovanni; "rue" sostantivo l'erba "ruta"; il Bastardo associa questo termine a "thime", "timo", che si pronuncia come "time", "tempo"; e, rifacendosi a una serie di luoghi proverbiali in cui i due termini sono accoppiati ("Rue and thime grow both in the same garden"), accoppia a sua volta "tempo" e "dolersi" e dice che se sar il tempo a decidere (l'ora annunciata poc'anzi da Giovanni), il dolersi di Filippo star al tempo come la ruta al timo. Sembra, in realt, inverosimile - e prodigioso, se vero - che il pubblico di Shakespeare, per eletto che fosse, potesse cogliere a volo tutte queste sottili implicazioni, al solo fugace pronunciar la battuta da parte dell'attore.
(105) "Cousin, go draw our puissance together": "cousin", "cugino" anche termine generico per "parente", quindi anche "nipote". Il Bastardo infatti nipote di Giovanni, perch figlio naturale del fratello Riccardo.
(106) Filippo, si capisce, lui stesso, che si chiamava cos alla nascita.
(107) Alcuni curatori hanno creduto di identificare questo personaggio con il Primo Cittadino che ha colloquiato coi due re dalle mura di Angers nel II atto: congettura che, oltre a non aver riscontro storico, smentita dal fatto che Angers, a questo punto del dramma non stata ancora conquistata; Giovanni sta vincendo lo scontro coi francesi, il Bastardo ha ucciso il Duca d'Austria ed Arturo stato catturato, ma l'impresa non compiuta (lo dice pi sotto lo stesso Bastardo): come avrebbe fatto questo cittadino di Angers ad entrare subito in tanta fiducia col re da indurre questi a consegnargli in custodia un prigioniero cos prezioso come Arturo, e poi di farne, tornati a Southamptom, il suo sicario per uccidere il ragazzo?
(108) "... the bags of hoarding abbots", "... i sacchi (d'oro) degli abati accumulatori". Si ricordi il dantesco "... e papi e cardinali / in che usa avarizia il suo soverchio", Inf., VII, 47-48).
(109) Le monete d'oro che vi sono contenute. Per "angels", v. sopra la nota 71.
(110) Sono gli strumenti che venivano usati dagli esorcizzatori per scacciare il diavolo da chi si credeva ne fosse impossessato. Shakespeare ne fa qui, per bocca del Bastardo, la dissacrazione; il Bastardo lo strumento di Re Giovanni nella sua azione politica di revindica delle prerogative della corona contro l'ingerenza del potere ecclesiastico negli affari dello Stato: - secondo la critica storica - il prodromo storico della riforma anglicana realizzata dal padre di Elisabetta, Enrico VIII.
(111) "... but I will fit it with some better tune": cio con diverso accento ed in altro pi propizio momento. Per altri "tune" in espressioni idiomatiche come questa cfr. in "Molto trambusto per nulla", III, 4, 42: "I am out of all other tune"; e in "Macbeth", I, 3, 88: "To the self tune and words".
(112) "... in despite of broad-eyed watchful day": si adotta la lezione "broad-eyed" dell'"Oxford Shakespeare" in luogo di quella del testo seguito dell'Alexander che ha: "broaded watchful day", "... a dispetto della luce del giorno che ci vigila come se ci covasse".
(113) "... though that my death were adjunt to my act": letteralm.: "... se pur la mia morte fosse associata al mio atto".
(114) "... this gap of breath": "la bocca con cui sto parlando ("this")".
(115) "... and buss thee as thy wife": la morte ("death") in inglese maschile (e talvolta neutro) (Cfr. in Milton, "Paradiso perduto", XI, 40: "Over the triumphant Death his dart", "... e il fatal dardo / Morte sovr'essi trionfando scuote" (Traduz. Lazaro Papi).
(116) "Thou art not holy to belie me so!", letteralm.: "tu non sei santo a calunniarmi cos". "Holy" sta qui nel suo significato di "person specially commissionaed by God" ("Oxford Int: Dict.", alla voce).
(117) "How I may be deliver'd of these woes": prosegue la metafora prima introdotta con l'immagine della morte come suo sposo, da carezzare con lussuria ("... and buss thee as thy wife"): l'abbraccio con quello sposo la far partorire e sgravare di tutti gli affanni.
(118) "... or madly think a babe of clouts were he": il Lodovici traduce, pi poeticamente: "... e crederei di poterlo accarezzare in un fantoccio di stracci".
(119) Risponde all'invito che le ha rivolto prima Re Filippo ("Venite via con me").
(120) Costanza una delle figure femminili tratteggiate a pi forti tinte da Shakespeare. Il suo dolore di vedova e di madre dei pi esasperati e pi pieni di dispetto; la sua figura si muove per tutto il dramma come un'ombra nel panorama della contesa fra due nazioni, l'inglese e la francese, "i suoi lamenti e le sue invettive le conferiscono una dimensione profetica" (G. Melchiori, "Shakespeare",1994, pag. 134).
(121) "... as a twice told tale": altra reminiscenza biblica: "We spent our years as a tale that was told", "Salmo CX"; il paragone ripetuto quasi letteralmente pi sotto, IV, 2, 18.
(122) La vergogna per la sconfitta subita ad opera di re Giovanni.
(123) "... and (all shall) kiss the lips": cio accoglieranno come si accoglie un amante.
(124) Per la storia (le "Cronache" dell'Holished, che sono la fonte principale delle "histories" di Shakespeare) gli eventi qui rappresentati dovrebbero svolgersi nella prigione di Rouen, dove Arturo fu racchiuso. L'ubicazione a Northampton quella comunemente ipotizzata dai vari curatori nel tempo, e non ci siamo sentiti di modificarla.
(125) "When I strike my foot upon the bosom of the ground, rush forth...": "quando batter il piede sul petto della terra, precipitatevi fuori...": la terra ("il bel suolo inglese", come amano chiamarlo i personaggi delle "histories" shakespeariane) personificata.
(126) "Which lies dead": qui "dead" sta per "asleep"; nell'antico inglese i due termini erano in certo modo intercambiabili: qui Uberto non pu dire - come intendono molti - "la mia piet giace morta", se ha paura che si svegli; cos come in "Otello", Desdemona che dice a Emilia che le domanda come sta dopo la scenata di Otello, "Faith half asleep", (IV, 2, 101) non pu rispondere - come anche intendono molti - "Mezzo addormentata", ma "Mezzo morta".
(127) "His words do take possession of my bosom...": "Le sue parole s'impossessano del mio cuore".
(128) "Vi ricordate" non nel testo.
(129) "What good love may I perform for you": L'uso di "to do good love" ("fare atto di gentilezza") nel senso di "far piacere" frequente in Shakespeare.
(130) "Ah, none in this iron age would do it!": "iron age" va inteso qui nel doppio senso: cosmologico, di "et del ferro" riferito alle quattro classiche et del mondo (oro, argento, bronzo, ferro); e metaforico di "et feroce", riferito ai mezzi di tortura che di questo metallo erano fatti. L'espressione, che suona senza dubbio retoricamente artificiosa in bocca ad un ragazzo, visibilmente un espediente dialettico del drammaturgo per preparare lo spettatore al momento drammatico della scena, che il pentimento di Uberto e il "rientrato" accecamento del giovane Arturo.
(131) L'immagine del fuoco personificato, che si copre di cenere in segno di dolore o di pentimento si ritrova, meglio esplicitata dal poeta, in "Riccardo II" (V, 1, 49 e segg.). "... giacch perfino gli inerti tizzoni / ai tristi accenti delle tue parole / avranno un empito di compassione / e spegneran col pianto la lor brace; / e qualcuno si coprir di cenere / qual altro ancora di nero carbone / come segno di lutto e di cordoglio...".
(132) "O, now you like Ubert! All this while you were disguis'd": letteralm: "Oh, ora rassomigliate a Uberto! In tutto questo tempo siete stato travestito".
(133) Questa seconda incoronazione di Giovanni Senzaterra, da lui stesso voluta, apre, con il dialogo di questa scena, una finestra sulla situazione politica interna del regno, che giustifica il "troublesome reign" del titolo. Giovanni Senzaterra - anche se Shakespeare non ne fa menzione in questo dramma - storicamente il sovrano che ha dovuto dare ai baroni inglesi la "Magna Carta", cio il documento delle guarentigie concesse dal re ai baroni, considerato il principio della legge costituzionale d'Inghilterra. Che cosa questa sia costata, in termini di conflitto di interessi, di ribollire di giochi di potere e d'intrecci politici solo qui sfiorato da lontano, con il frequente accenno alle rivolte di popolo e di nobili e alle grandi aspettative di mutamenti del sistema feudale verso uno Stato migliore.
(134) "the beauteous eye of heaven": il sole.
(135) La "verit" di cui parla Salisbury, sulla quale la doppia incoronazione di Giovanni pu gettare il sospetto la stessa legittimit del suo titolo di re, che, per essere stato usurpato, mostrerebbe agli occhi del popolo di aver bisogno di nuovi paludamenti per legittimarsi.
(136) "... and more, more strong than lesser is my fear": passo variamente inteso: "... e altre ve ne aggiunger, via via che s'attenua il mio timore " (Pisanti); "... altri e molti pi validi ve ne far noti, appena siano cessate le mie presenti preoccupazioni". Noi crediamo che Shakespeare abbia voluto far dire a Giovanni, per giustificarsi della inutile incoronazione di cui lo accusano i suoi baroni. "Voi dite che le mie paure sono esagerate; io penso di no, e vi dico i motivi che le giustificano".
(137) Qui Shakespeare raggiunge veramente il limite della bolsa retorica, in voga in certi circoli del tempo, e sulla quale egli stesso ironizzer pi tardi. Varr comunque di citare, nel merito storico, a proposito del sostengo dato da una parte della nobilt inglese al prigioniero Arturo, quanto osserva Lily B. Campbell nel suo "Shakespeare's Tragic Heroes", London, l930, pag. 157). " Arturo prigioniero che ci viene presentato, perch Maria (di Scozia) che ricevette il sostegno della nobilt inglese, quella nobilt cattolica che sotto Elisabetta suscit la ribellione del Nord e quella lotta degli anni seguenti durante i quali il Duca di Norfolk fu condannato a morte per i suoi sforzi in favore di Maria".
(138) "... either here and hence": "... o qui o altrove"; espressione idiomatica per "in terra o in cielo". (Cfr. pi sotto, al v. 29 della quarta scena del V atto: "That I must dy here and live hnce...").
(139) L'immagine della forbice che recide lo stame della vita degli uomini della mitologia classica: la funzione era svolta da una delle tre Parche, Atropo. "Ebbene, che c'?" non nel testo.
(140) "Where is my mother's care?": letteralm. "Dov' la vigilanza di mia madre?" Si ricorder che la regina Eleonora rimasta in Francia.
(141) In realt, Costanza era morta tre anni prima; Eleonora d'Aquitania, madre di Giovanni, mor effettivamente in Francia il primo di aprile dell'anno 1204: il che lascerebbe intendere che dall'inizio del dramma a questa scena siano trascorsi 4 anni.
(142) Questo personaggio, del tutto immaginario, ha qui il ruolo dell'indovino nel "Giulio Cesare". Pomfret, nella Contea di York, la sede di un castello/carcere in cui sar rinchiuso prima, da Enrico Bolingbroke, Riccardo II, e poi, da Riccardo III, il gruppo di nobili (Rivers, Grey, Vaughan e Hastings) da lui giustiziati.
(143) Cio delle spoliazioni dei beni ecclesiastici, che Giovanni gli aveva ordinato di fare.
(144) "The spirit of the time shall teach me speed": letteralm.: "Lo spirito del momento m'insegner la celerit".
(145) "Spoke like a sprightful noble gentleman": "Ha parlato come un nobile gentiluomo pieno di spirito"; ma lo "sprightful" attratto, per intraducibile bisticcio, dal precedente "spirit" (v. nota precedente).
(146) "... for a warrant / To break within the bloody house of life": noi diremmo, con espressione meno immaginifica, ma anche meno poetica: "... per un mandato a spegnere nel sangue una vita"; ma ci manca l'idea dell'irruzione violenta ("to break") e quella della vita come "dimora sanguigna" (dell'anima), che non s' voluta perdere.
(147) "Out of my sight, and never see me more!": letteralm.: "Fuori dalla mia vista, e non vedermi pi!".
(148) Questa morte del giovane Arturo nel tentativo di fuga dal castello di Northumberland un'invenzione di Shakespeare. Per la storia, Arturo mor, ucciso di propria mano dallo zio Giovanni, il 3 aprile l203, dopo essere preso da lui prigioniero in Normandia mentre, al comando di truppe francesi, assediava il castello di Mirebeau, presso Poitiers, dove erasi chiusa sua nonna Eleonora, a lui nemica.
(149) Bury Saint Edmonds, localit del Suffolk occidentale, sede di una antica abbazia benedettina, fondata da Cnut nel 1020, e meta all'epoca di grandi pellegrinaggi. Si capisce che Salisbury parla del Delfino, che l accampato con le sue truppe.
(150) "... the crest unto the crest of murther's arms": l'immagine quella del delitto raffigurato come chiuso in una armatura ("arms"), con elmo e cimiero.
(151) "If that be the work of any hand": il Bastardo mostra di dubitare che si tratti d'un delitto; ha capito che Arturo s' gettato dal muro.
(152) "Our souls religiously confirm thy words": la "conferma religiosa" si esprime con un "amen".
(153) O, he is bold and blushes not at death": alcuni curatori, dal modo sintattico della frase, intendono che Salisbury si riferisca al re. Il lettore creda a suo talento.
(154) "Must I rob the law?": letteralm.: "Devo derubare la legge?".
(155) "... more deep than Prince Lucifer": si direbbe che Shakespeare qui conosca Dante (non se ne ha prova, anche se certo che conoscesse Boccaccio), perch nella struttura dell'inferno dantesco Lucifero posto nel pi profondo della sua fossa - la palude ghiacciata di Cocito - ed anch'esso chiamato "principe" o imperatore" che lo stesso ("Lo imperador del doloroso regno", XXXIV, 28).
(156) "There is no ugly a fiend of hell...": "ugly" l'attributo classico del diavolo, il "brutto per eccellenza"; cos in Marlowe, "Doctor Faustus", I, 3, 252: "You are too ugly..."; e in Dante, Inferno, XXIV, 34: "S'ei fu s bel com'egli ora brutto".
(157) "... of proud swelling state": alcuni intendono: "... di uno stato che si gonfia d'orgoglio"; altri: "... di uno stato che divien di pi in pi arrogante".
(158) "Now happy he whose cloak and ceinture can / Hold out this tempest": il Bastardo allude, verosimilmente, alla posizione dei religiosi conventuali ch'egli ha spogliato dei beni, ma che, comunque, come sudditi non di Sua maest britannica ma della chiesa di Roma, godono di immunit personali. Altri intende: "Beato colui il cui mantello e cintura potranno resistere a questa tempesta".
Questo monologo del Bastardo, come gli altri alla fine degli atti precedenti, sono classici esempi di tecnica teatrale avanzata. Essi proiettano il personaggio in una dimensione al di fuori del dramma in cui immerso, come in funzione di coro, di voce, cio, che d lingua a quello che il sentimento profondo che pervade il dramma: la condanna di un mondo dominato dalla brama di potere e dal tornaconto; di un re volubile, fedifrago e prepotente; di un clero corrotto e corruttibile; di una nobilt settaria, raramente pervasa da un sussulto di nobili virt.
(159) "... fore we are inflam'd": altri traduce: "... prima che divampi la nostra collera".
(160) "... for the present time is so sick": "... perch i tempi son cos malati".
(161) "... or overthrow incurable ensues": "... o seguiranno postumi incurabili": prosegue il traslato introdotto dal precedente "sick" riferito a "tempi".
(162) "Have thou the ordering of this present time": la battuta che segna un'altra svolta del dramma: la rinuncia di Giovanni, ormai malato e indebolito dalla febbre, ad assumere le decisioni supreme dello Stato, e l'affermazione del Bastardo come personaggio centrale della vicenda; una vicenda che vede con Re Giovanni la monarchia inglese sconfitta dalla Chiesa di Roma per mano dei Francesi: si prender la rivincita con Enrico VIII, come Shakespeare far intravvedere nelle parole del Bastardo che chiudono il dramma.
(163) "... that such a sore of time": il malgoverno, il dispotismo di Re Giovanni. Questo discorso di Salisbury un magistrale espediente drammaturgico per preparare, e giustificare, il voltafaccia dei baroni al Delfino e il loro ritorno al re.
(164) "... and there / Where honorable rescue and defense / Cries out the name os Salisbury": senso: "... e proprio quando l'onore mi imporrebbe di stare dall'altra parte, a combattere contro di voi a riscossa e difesa del mio paese invaso".
(165) "... the gentry of a land remote": "gentry" ha qui il senso dispregiativo, che aveva comunemente dell'inglese antico, di "people", "folks".
(166) "What, here?": questa interrogazione retorica, che Salisbury fa a stesso, ha fatto pensare ad alcuni critici che quando prima egli ha esclamato: "E questo l, dove il nome di Salisbury, ecc." volesse riferirsi a qualche fatto d'arme davanti a Sant'Edmondo in cui fosse rifulso il nome della sua famiglia. Quale fatto, per, nessuno indica.
(167) "And even there, methinks, an angel spoke." A chi si riferisce il Delfino con questa frase? difficile pensare che sia al cardinale di cui lo squillo di tromba ha annunciato l'arrivo al campo francese; l'accenno alla prosperit e alla ricchezza ("rich prosperity") promessa ai nobili inglesi che si sono uniti a lui contro Giovanni fa piuttosto pensare che "angel" si riferisca all'"angelo" moneta d'oro che ha fatto gi oggetto di bisticcio di doppi sensi.
Ma tutta questa "tirata" del Delfino all'indirizzo di Salisbury, che sa palesemente di smanceria ipocrita, con la parola "nobile" ripetuta tre volte in quattro versi, fa pensare ad un tono copertamente ironico. Si vedr infatti che il Delfino, mentre diceva a Salisbury tutte queste belle cose, meditava di decapitare i nobili inglesi "a battaglia conclusa".
(168) "I am high-born to be propertied": "propertied", "proprietarizzato" verbo coniato da Shakespeare.
(169) "... as I have banked their towns": cio mi sono insediato da padrone. S' tradotto cos "as I have banked" per rendere un qualche modo il "quibble" diabolico della frase, che sta in questo: "vive le roi", francese per "Viva il re" un'espressione che gli inglesi usavano in un gioco di carte, proveniente verosimilmente dalla Francia: "banked", usato solo da Shakespeare nel senso di "insediarsi" prosegue la metafora del gioco, che continua poi nei versi seguenti: "Non ho con questo / in mano le migliori carte in tavola?", ecc. Altri intende, meno correttamente, a nostro avviso, nonostante il suffragio dell'"Oxford Universal Dictionary" che, alla voce, d "to bank" sinonimo di "to coast", "costeggiare": "Mentre ho costeggiato le loro citt": lezione che n spiega la metafora del gioco e delle carte, n s'accorda col fatto che le truppe del Delfino sono sbarcate all'insaputa di tutti e non hanno "costeggiato" da mare o da fiume nessuna citt.
(170) "Like pawns": "pawns" sta qui per "gages", come in "Riccardo II", I, 1, 74 "... my honour pawn", "il mio pegno d'onore".
(171) "... even at the crying of your national crow": il gallo ("crow"), che i francesi chiamano "Cantachiaro" ("Chanteclair") l'emblema nazionale dei francesi.
(172) L'Inghilterra raffigurata come Agrippina, la madre dell'imperatore Nerone, che ebbe da questi squarciato il ventre perch ostile al di lui matrimonio con Poppea, ripudiata Ottavia.
(173) "... and mock the deep-mouth thunder": "... e si burler del tuono dalla bocca profonda" (cfr. in Dante, per lo stesso paragone del tuono con il suono del corno del gigante Nembrotte: "... un alto corno / tanto che avrebbe ogni tuon fatto fioco" ("Inferno", XXXI, 12-13).
(174) Una localit con questo nome non esiste. Altri testi hanno "Swineshed", dov'era effettivamente un'abbazia cistercense, a pi di 100 km. a nord di Sant'Edmondo. Giovanni morto a Newark, non molto lontano.
(175) "Goodwin Sands" il nome geografico dei grossi banchi sabbiosi che si stendono per circa 20 km. davanti alle coste del Kent, ai due lati della "Trinity Bay"; sono famosi per la loro pericolosit alla navigazione nella Manica.
(176) "You are bought and sold": frase idiomatica per "You are betrayed for a bribe", "Siete stati traditi prezzolatamente".
(177) "And welcome home again discarded faith": s' inteso "home" non nel senso di "a casa" ("a casa vostra, dentro di voi"), ma nell'altro suo significato avverbiale di rafforzativo ("con gioia", "nel profondo del cuore").
(178) "Before the stumbling night...": "prima che la notte che (col suo buio) induce a incespicare".
(179) "or I shot": "o io sparo"; ma abbiamo visto che far dire: "Io sparo" ad un uomo del 1200 uno degli anacronismi, scusabili in Shakespeare, non in un suo traduttore del 2000.
(180) "Pardon me that any accent breaking from your tongue should scape the true acquintance of mine ear".: letteralm.: "Perdonami se ogni accento prorompente dalla tua lingua sia sfuggito alla conoscenza verace del mio orecchio". Una parafrasi di bolsa retorica, che giustifica l'ammiccante presa in giro del Bastardo col suo francesizzante "Sans compliments".
(181) La morte di Re Giovanni per avvelenamento non ha riscontro storico. Il re morto, come s' gi detto, nel castello di Newark, Nottinghamshire, di normale malattia. Del resto, non si capisce perch doveva essere avvelenato proprio da un religioso, dopo che si era rappacificato col papa e con la Chiesa di Roma. La storia dice anzi che prima di morire dett una lettera per il nuovo papa Onorio III, raccomandando alla sua protezione gli interessi di suo figlio Enrico, designato a succedergli; e che espresse a quest'ultimo, in articulo mortis, il desiderio di essere sepolto a Worchester, presso le reliquie di San Vulstano. Shakespeare, da parte sua, d questo avvelenamento cos, quasi di sfuggita, senza spiegazioni dettagliate, da far credere che anch'egli non ne sia troppo convinto; anche perch dev'essere apparsa anche a lui l'incoerenza di un avvelenamento fatto cominciare prima ancora della battaglia di Sant'Edmondo: il veleno ha normalmente un effetto subitaneo.
(182) il primogenito di Giovanni; diventer, alla morte del padre, e in et di nove anni, il suo successore col nome di Enrico III, lasciando di s ricordo di buon marito e padre, ma di cattivo uomo di Stato. Sotto il suo regno (1250) saranno firmate le famose "Provisioni di Oxford", l'atto col quale i baroni riformisti ottennero il controllo del governo.
(183) "... and tempt us not to bear above our power!": ennesimo riecheggiamento biblico: "Genesi", IV, 13: "Cos disse il Signore. la mia iniquit pi grande che io possa portare".
(184) "... I doubt he will be dead or ere I come": "... temo che possa morire prima che io arrivi".
(185) "... leaves them invisible": "invisible" sta qui per "impercettible" nel senso attivo di "che non percepisce il dolore".
(186) Per un bambino di nove anni, non c' male! Come poeta, promette bene.
(187) "... now my soul hath elbow-room": "... ora la mia anima ha spazio per muovere i gomiti"; "To have elbow-room" frase idiomatica per intendere "muoversi liberamente senza impacci".
(188) Contro chi il Bastardo debba far vendetta della morte di Giovanni, non si sa. Il frate avvelenatore morto. Probabilmente pensa ad un complotto, di cui quello stato solo l'esecutore.
(189) "Stelle "("stars") la corrente metafora dei nobili, secondo l'immagine della nobilt che gira intorno al sole/re, ciascuno nella propria sfera come le stelle ciascuna nella propria orbita intorno al sole (cfr. in "Enrico IV - Prima parte", V, 1, 15, il discorso di re Enrico ai nobili ribelli: "... and move in that obedient orb again / Where you did give a fair and natural light"; in "Pericle principe di Tiro", II, 3, 39-40:" Had princes sit like stars about his throne/ And he, the sun...; e in "Enrico VIII", VI, 1, 5: "... These are stars indeed").
(190) "... out of the weak door": la porta "sconnessa" perch ha permesso l'entrata dei francesi.
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