NOVECENTO
di Alessandro Baricco
Personaggi:
TIM, trombettista
ATTO UNICO
SCENA 1
Musica lieve suonata da una tromba. Lentamente gli attori entrano in scena da varie direzioni.
TIM - Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa e la vedeva. una cosa difficile da capire ci stavamo in pi di mille su quella nave tra ricconi in viaggio, emigranti, gente strana e noi
Eppure cera sempre uno, uno solo, uno che per primo la vedeva. Magari era l che stava mangiando, o passeggiando, sul ponte. Magari era l che si stava aggiustando i pantaloni alzava la testa un attimo, buttava gli occhi verso il mare e la vedeva.
Allora si inchiodava l dovera, gli partiva il cuore a mille e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, si girava verso di noi, versa la nave, verso tutti e gridava Lamerica
Poi rimaneva l immobile, come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che laveva fatta lui lAmerica.
Quello che per primo vede lAmerica uno che da sempre aveva gi quellistante stampato nella vita.
E quando erano bambini potevi guardarli negli occhi e se guardavi bene gi la vedevi, lAmerica.
Gi l pronta a scattare, a scivolare gi per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da l alla lingua fin dentro quel grido AMERICA
SCENA 2
Questo ce lha insegnato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, il pi grande pianista che abbia mai suonato sullOceano.
Diceva sempre: Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
Noi ne abbiamo viste di Americhe. Sei anni su questa nave, cinque-sei viaggi ogni anno dallEuropa allAmerica e ritorno, sempre a mollo nellOceano.
Quando cero salito, avevo diciassette anni e di una sola cosa mi fregava nella vita: suonare la tromba. Cos, quando venne fuori che cercavano gente per il Virginian gi al porto, io mi misi in coda. Io e la tromba. Gennaio 1927.
Li abbiamo gi i suonatori.
Lo so dissi e mi misi a suonare poi mi chiese
Cosera?
Non lo so.
Quando non sai cos allora Jazz
Mi avevano preso nellunica, inimitabile, infinita, ATLANTIC JAZZ BAND!!!!
SCENA 3
Musica: ragtime.
Al clarinetto, Sam Sleepy Washington.
Al Banjo, Oscar Delaguerra.
Alla tromba, Tim Tooney.
Trombone, Jim Breath Gallup.
Alla chitarra, Samuel Hockins.
E infine, al piano, Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento.
Il pi grande. (Via musica)
Lo era davvero il pi grande. Noi suonavamo musica, lui era qualcosa di diverso.
Non esisteva quella roba prima che la suonasse lui e quando lui si alzava dal piano non cera pi, e non cera pi per sempre, la musica.
Lultima volta che ho visto Novecento era seduto su una bomba, stava seduto su una carica di dinamite una lunga storia.
Lui diceva: Non sei fregato veramente finch hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.
Lui laveva una buona storia. Lui era la sua buona storia.
Pazzesca, a ben pensarci, ma bella.
E quel giorno, seduto su tutta quella dinamite, me lha regalata.
SCENA 4
Lo trov un marinaio che si chiamava Danny Boodmann. Lo trov in una scatola di cartone. Avr avuto dieci giorni, non di pi.
Neanche piangeva; se ne stava silenzioso in quello scatolone con gli occhi aperti.
Lavevano lasciato nella sala da ballo della prima classe. Sul pianoforte.
Non aveva laria di essere un neonato di prima classe.
Quelle cose le facevano gli emigranti di solito. Partorire di nascosto, da qualche parte del ponte e poi lasciare l i bambini.
Mica per cattiveria. Era miseria quella, miseria nera. Per un emigrante una bocca in pi da sfamare e un sacco di grane allufficio immigrazione.
Li lasciavano su quella nave. Con quel bambino doveva essere andata cos.
Dovevano essersi fatti un ragionamento. Se lo lasciamo sul pianoforte a coda, nella sala da ballo di prima classe, magari lo prende qualche riccone e sar felice per tutta la vita.
Era un buon piano. Funzion a meta. Non divent ricco, ma pianista s. Il migliore, giuro, il migliore.
Comunque. Il vecchio Boodmann lo trov l e cerc qualcosa che dicesse chi era, ma trov solo una scritta sul cartone della scatola, T.D. Limoni, con il disegno di un limone blu.
Danny era un negro di Philadelphia, un gigante duomo che era una meraviglia.
Pigli il bambino in braccio e gli disse: Hello, Lemon.
E gli scatt qualcosa dentro. Qualcosa come la sensazione che era diventato padre.
Per tutta la vita continu a sostenere che quel T.D. significava evidentemente Thanks Danny.
Era assurdo, ma lui ci credeva davvero. Lavevano lasciato l per lui quel bambino. Ne era convinto.
A quel bambino cominci a dare il suo di nome: Danny Boodmann. Lunica vanit che si concesse in tutta la vita.
Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che cera sulla scatola di cartone, perch diceva che faceva fine avere delle lettere in mezzo al nome.
Tutti gli avvocati ce le hanno, disse un macchinista che era finito in galera grazie ad un avvocato che si chiamava John P.T.K. Wonder.
Se fa lavvocato lo ammazzo, per le iniziali le lasci e cos venne fuori Danny Boodmann T.D. Lemon.
Era un bel nome. Lo studiarono un po ripetendolo a bassa voce, il vecchio Danny e gli altri.
Un bel nome, disse il vecchio Boodmann per gli manca qualcosa gli manca un gran finale.
Era vero. Gli mancava un gran finale
Aggiungiamo marted
Lhai trovato di marted
Chiamalo marted.
Danny ci pens un po. Poi sorrise.
unidea buona. Lho trovato nel primo anno di questo nuovo fottutissimo secolo, no? Lo chiamer Novecento.
Novecento?
Ma un numero.
Era un numero, adesso un nome
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento. perfetto.
bellissimo.
un gran nome
Andr lontano con un nome cos.
Si chinarono sulla scatola di cartone. Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento sorrise: loro rimasero di stucco.
Nessuno si aspettava che un bambino cos piccolo potesse fare tutta quella merda.
SCENA 5
Musica lenta e corteo.
Danny Boodmann fece ancora il marinaio per otto anni, due mesi e undici giorni.
Poi, durante una burrasca, in pieno oceano, si prese una carrucola impazzita in mezzo alla schiena.
Ci mise tre giorni a morire.
Era rotto dentro. Non cera verso di rimetterlo insieme.
Novecento era un bambino allora.
Si sedette vicino al letto di Danny e da l non si mosse pi. (Musica)
Cos dimprovviso, Novecento divenne orfano per la seconda volta.
Aveva otto anni e loceano era casa sua.
E quanto alla terra, beh non ci aveva mai messo piede.
Laveva vista, dai porti certo. Ma sceso, mai.
Il fatto che Danny aveva paura che glielo portassero via con qualche storia di documenti e visti e storie del genere.
A voler essere precisi, Novecento non esisteva nemmeno, per il mondo.
Non cera citt, parrocchia, ospedale, galera, squadra di baseball che avesse scritto da qualche parte il suo nome.
Non aveva patria, non aveva data di nascita, non aveva famiglia.
Aveva otto anni, ma ufficialmente non era mai nato.
Non potr continuare a lungo questa storia, dicevano ogni tanto a Danny.
Oltre tutto anche contro la legge.
Ma Danny aveva una risposta che non faceva una piega: in culo la legge diceva.
Non che si potesse discutere un granch con quella partenza.
Quando arrivarono a Southampton alla fine del viaggio in cui Danny mor, il capitano decise che era ora di farla finita con quella recita.
Chiam le autorit portuali e disse al suo vice che gli andasse a prendere Novecento.
Beh, non lo trov mai. Lo cercarono per tutta la nave per due giorni. Niente, era sparito.
Non andava gi a nessuno quella storia perch, insomma, sul Virginian si erano abituati a quel ragazzino.
E nessuno osava dirlo ma ci vuol poco a buttarsi gi dalla murata.
E poi il mare fa quel che vuole e cos
Avevano la morte nel cuore quando ventidue giorni dopo ripartirono per Rio de Janeiro, senza che Novecento fosse tornato o che si fosse saputo qualcosa di lui.
Stelle filanti.
Sirene.
Fuochi dartificio.
Alla partenza come tutte le volte .
Ma era diverso quella volta stavano per perdere Novecento e qualcosa gli rosicchiava il sorriso, a tutti, e gli mordeva dentro.
SCENA 6
Musica leggera in sottofondo.
La seconda notte di viaggio che non si vedevano pi nemmeno le luci della costa irlandese, Barry, il nostromo, entr come un pazzo nella cabina del comandante svegliandolo e dicendogli che doveva assolutamente venire a vedere.
Il comandante bestemmi, ma poi and.
Salone da ballo della prima classe.
Luci spente.
Gente in pigiama, in piedi, allingresso.
Passeggeri usciti dalla cabina,
E poi marinai saliti dalla sala macchine.
Tutti in silenzio a guardare.
Novecento.
Stava seduto sul seggiolino del pianoforte, con le gambe che penzolavano gi, non toccavano nemmeno per terra
E com vero Iddio stava suonando. (Musica)
Suonava non so che diavolo di musica, ma piccola e bella.
Non cera trucco, era proprio lui a suonare Dio solo sa come
E cera una signora in vestaglia rosa e certe pinzette nei capelli, una piena di soldi, per capirsi, la moglie americana di un assicuratore, beh aveva dei lacrimoni cos che le scendevano sulla crema da notte
Guardava e piangeva, non la smetteva pi
Quando si trov il comandante di fianco, bollito dalla sorpresa, lui letteralmente bollito, quando se lo trov di fianco, tir su col naso, la riccona dico, tir su col naso, e indicando il pianoforte gli chiese.
Come si chiama?
Novecento.
Non la canzone, il bambino.
Novecento.
Come la canzone?
Era quel genere di conversazione che un comandante di marina non pu sostenere pi di quattro o cinque battute.
Soprattutto quando ha scoperto che un bambino che credeva morto non solo era vivo, ma nel frattempo aveva anche imparato a suonare il pianoforte.
Piant la riccona l dovera con le sue lacrime e tutto il resto e attravers a passi decisi il salone: pantaloni del pigiama e giacca della divisa non abbottonata.
Si ferm solo quando arriv al pianoforte.
Avrebbe voluto dire molte cose in quel momento, e tra le altre: dove cazzo hai imparato?
O anche: dove diavolo ti eri nascosto?
Per, come tanti uomini abituati a vivere in divisa aveva finito per pensare, anche, in divisa.
Cos quel che disse fu. Novecento tutto questo assolutamente contrario al regolamento.
Novecento smise di suonare.
Era un ragazzino di poche parole.
Guard con dolcezza il comandante e disse: in culo il regolamento. (Musica)
Ci vollero degli anni ma alla fine un giorno presi il coraggio e glielo chiesi.
Novecento perch non scendi, una volta, anche solo una volta, perch non lo vai a vedere il mondo con gli occhi tuoi?
Suoni il pianoforte da Dio, impazzirebbero per te.
Tu sei grande e il mondo l, c solo quella fottuta scaletta da scendere.
Cosa sar mai qualche stupido gradino? Perch non la fai finita e te ne scendi da qui, una volta almeno, una sola volta.
Novecento perch non scendi?
Perch?
Perch?
Non rispose
SCENA 7
Fu destate, nellestate del 1931, che sul Virginian sal Jelly Roll Morton. Tutto vestito di bianco, anche il cappello. E un diamante cos al dito.
Lui era uno che quando faceva i concerti scriveva sui manifesti: stasera Jelly Roll Morton, linventore del jazz.
Suonava il pianoforte.
Sempre un po seduto di tre quarti e con due mani che erano farfalle. Leggerissime.
Aveva iniziato nei bordelli di New Orleans, e aveva imparato l a sfiorare i tasti e accarezzare le note.
Facevano lamore al piano di sopra e non volevano baccano. Volevano una musica che scivolasse dietro le tende e sotto i letti, senza disturbare.
Lui faceva quella musica l e in quello era veramente il migliore.
Qualcuno da qualche parte un giorno gli disse di Novecento. Dovettero dirgli una cosa del tipo quello il pi grande. Il pi grande pianista del mondo.
Pu sembrare assurdo, ma una cosa che poteva succedere. Non aveva mai suonato una sola nota fuori dal Virginian, Novecento, eppure era un personaggio a suo modo celebre, ai tempi, una piccola leggenda.
Quelli che scendevano dalla nave raccontavano di una musica strana e di un pianista che sembrava avesse quattro mani tante note faceva.
Insomma, qualcuno and da Jelly Roll Morton e gli disse: su quella nave c uno che col pianoforte fa quel che vuole. E quando ha voglia suona jazz, ma quando non ha voglia suona qualcosa che come dieci jazz messi insieme.
Jelly Roll Morton aveva un caratterino, lo sapevano tutti, e disse
Come fa a suonare bene uno che non ha nemmeno le palle per scendere da una stupida nave?
E gi a ridere come un matto, lui, linventore del jazz.
Poteva finire l, solo che uno a quel punto disse: Fai bene a ridere, perch se solo quello si decide a scendere tu ritorni a suonare nei bordelli.
Jelly Roll smise di ridere, tir fuori dalla tasca una piccola pistola con il calcio in madreperla, la punt alla testa del tizio che aveva parlato e non spar. Per disse: dov sto cazzo di nave?
Quel che aveva in mente era un duello.
Si usava allora. Si sfidavano a colpi di pezzi di bravura e alla fine uno vinceva. Cose da musicisti. Niente sangue.
Ma un bel po di odio, di odio vero sotto la pelle. Poteva durare anche una notte intera.
Era quella cosa l che aveva in mente Jelly Roll per farla finita con sta storia del pianista sulloceano, e tutte quelle balle. Per farla finita.
Il problema era che Novecento, a dire il vero, nei porti non suonava mai, non voleva suonare. Erano gi un po terra, i porti, e non gli andava. Lui suonava dove voleva lui.
E dove voleva lui era in mezzo al mare, quando la terra solo luci lontane, o un ricordo, o una speranza. Era fatto cos.
Jelly Roll Morton bestemmi mille volte, poi pago di tasca sua il biglietto di andata e ritorno per lEuropa e sal sul Virginian.
Novecento, lui, non che si interessasse molto alla cosa. Non la capiva neanche bene. Un duello? E perch? Per era curioso.
Voleva sentire come diavolo suonava linventore del Jazz. Non lo diceva per scherzo, ci credeva: che fosse davvero linventore del jazz.
Credo che avesse in mente di imparare qualcosa, qualcosa di nuovo. Era fatto cos lui.
Un po come il vecchio Danny: non aveva il senso della gara, non gli fregava niente sapere che vinceva, era il resto che lo stupiva. Tutto il resto.
Alle 21 e 37 del secondo giorno di navigazione, Jelly Roll Morton si present nella sala da ballo di prima classe, elegantissimo, in nero.
Tutti sapevano benissimo cosa fare.
I ballerini si fermarono.
Noi della band posammo gli strumenti.
Il barman vers un whisky, la gente ammutol.
Jelly Roll prese il whisky, si avvicin al pianoforte e guard negli occhi Novecento.
Non disse nulla, ma quello che si sent nellaria fu: alzati da l.
Novecento si alz.
Lei quello che ha inventato il jazz vero?
Gi. E tu sei quello che suona solo se ha loceano sotto il culo, vero?
Gi.
Si erano presentati. Jelly Roll si accese una sigaretta, lappoggi in bilico sul bordo del pianoforte, e inizi a suonare. Ragtime. Ma sembrava una cosa mai sentita prima. Non suonava, scivolava. Era come una sottoveste di seta che scivola via dal corpo di una donna, e lo faceva ballando. Cerano tutti i bordelli dAmerica, in quella musica, ma i bordelli di lusso, quelli dove bella anche la guardarobiera. Jelly Roll fin ricamando delle notine invisibili, in alto in alto, alla fine della tastiera, come una piccola cascata di perle su un pavimento di marmo.
La sigaretta era sempre l, sul bordo del pianoforte: mezza consumata, ma la cenere era ancora tutta l. Avresti detto che non aveva voluto cadere per non far rumore. Jelly Roll prese la sigaretta tra le dita, aveva mani che erano farfalle, lho detto, prese la sigaretta e la cenere se ne stette l, non voleva saperne di cadere, forse cera anche un trucco, non so, certo non cadeva. Si alz, linventore del jazz, si avvicin a Novecento, gli mise la sigaretta sotto il naso, lei e tutta la sua cenere bella ordinata, e disse: tocca a te, marinaio.
Novecento sorrise. Si stava divertendo. Sul serio. Si sedette al piano e fece la cosa pi stupida che poteva fare. Suon Torna indietro paparino, una canzone di unidiozia infinita, una roba da bambini. Laveva sentita da un emigrante anni prima, e da allora non se lera pi tolta da dosso, gli piaceva, non so cosa ci trovasse ma gli piaceva, la trovava commovente da pazzi. Certo non era quello che si direbbe un pezzo di bravura. Volendo lavrei saputa suonare perfino io. Lui la suon giocando un po coi bassi, raddoppiando qualcosa, aggiungendo due o tre svolazzi dei suoi, ma insomma era unidiozia e unidiozia rimase.
Jelly Roll aveva la faccia di uno a cui avevano rubato i regali di Natale. Fulmin Novecento con due occhi da lupo e si risedette al piano. Stacc un blues che avrebbe fatto piangere anche un macchinista tedesco, sembrava che tutto il cotone del mondo fosse l e lo stesse raccogliendo lui, con quelle note. Una cosa da lasciarci lanima. Tutta la gente si alz in piedi: tirava su col naso e applaudiva. Jelly Roll non fece nemmeno un accenno di inchino, niente, si vedeva che stava per averne le palle piene di tutta quella storia.
Toccava di nuovo a Novecento. Gi part male perch si sedette al piano con negli occhi due lacrimoni cos, per via del blues, si era commosso, e questo si pu anche capire. Il fatto che con tutta la musica che aveva in testa e nelle mani cosa gli venne in mente di suonare? Il blues che aveva appena sentito. Era cos bello, mi disse poi, il giorno dopo. Proprio non aveva la minima idea di cosa fosse un duello, non ne aveva la minima idea. Suon quel blues. Per lo pi nella sua testa si era trasformato in una serie di accordi, lentissimi, uno dopo laltro, in processione, una noia micidiale. Lui suonava tutto accartocciato sulla tastiera, se li godeva a uno a uno quegli accordi, anche strani oltretutto, roba dissonante, lui se li godeva proprio. Gli altri, meno. Quando fin part perfino qualche fischio.
Fu a quel punto che Jelly Roll Morton perse definitivamente la pazienza. Pi che andare al piano ci salt sopra. Tra s e s, ma in modo che tutti capissero benissimo, sibil poche parole, molto chiare. E allora vai a fare in culo, coglione. Poi attacc a suonare. Ma suonare non la parola. Un giocoliere, un acrobata. Tutto quello che si pu fare con una tastiera di ottantotto tasti lui la fece. A una velocit mostruosa. Senza sbagliare una nota, senza muovere un muscolo della faccia. Non era nemmeno musica, erano giochi di prestigio. Una magia bella e buona. Era una meraviglia, non cerano santi. Una meraviglia e la gente diede di matto. Strillavano e applaudivano, una cosa cos non lavevano mai vista. Cera un casino che sembrava capodanno. In quel casino mi trovai davanti Novecento: aveva la faccia pi delusa del mondo. E anche un po stupita. Mi guard e disse: ma quello completamente scemo non gli risposi. Poi lui si pieg verso di me e mi disse: dammi una sigaretta, va
Ero talmente stranito che la presi e gliela diedi. Voglio dire, Novecento non fumava. Non aveva mai fumato prima. Prese la sigaretta, si gir e and a sedersi al pianoforte. Ci misero un po in sala a capire che si era seduto l e che magari voleva suonare. Ci scapparono anche un paio di battute pesanti, e risate, qualche fischio, la gente fa cos, cattiva con quelli che perdono. Novecento aspett paziente che ci fu una specie di silenzio intorno. Poi gett unocchiata a Jelly Roll che se ne stava in piedi al bar a bere una coppa di Champagne e disse sottovoce: Lhai voluto tu, pianista di merda. Poi appoggi la sigaretta sul bordo del pianoforte. Spenta. E inizi. (silenzio totale) Cos.
Il pubblico si bevve tutto senza respirare. Tutto in apnea. Con gli occhi inchiodati sul piano e la bocca aperta, come dei perfetti imbecilli. Rimasero cos in silenzio completamente tronati, anche dopo quella micidiale scarica finale di accordi che sembrava avesse cento mani, sembrava che il piano dovesse scoppiare da un momento allaltro. In quel silenzio pazzesco, Novecento si alz, prese la mia sigaretta, si sporse un po in avanti, oltre la tastiera, e la avvicin alle corde del piano. Leggero sfrigolio. La ritir fuori ed era accesa. Giuro. Bella accesa. Novecento la teneva in mano come fosse una piccola candela. Non fumava, lui, neanche sapeva tenerla fra le dita. Fece qualche passo e arriv davanti a Jelly Roll Morton. Gli porse la sigaretta e disse: fumala tu. Io non sono buono.
Fu l che la gente si risvegli dallincantesimo e venne gi unapoteosi di grida e applausi non si capiva pi niente.
Jelly Roll pass il resto del viaggio chiuso nella sua cabina. Arrivato a Southampton, scesa dal Virginian. Il giorno dopo ripart per lAmerica. Su unaltra nave, per. Non voleva pi saperne di Novecento e tutto il resto. Voleva tornare e basta.
SCENA 8
Fu un giorno che in mezzo allOceano Novecento alz lo sguardo dal piatto e mi disse: a New York, fra tre giorni io scender da questa nave. Ci rimasi secco. Lo lasciai in pace per un po, poi cominciai a sfinirlo.
Volevo sapere perch, una ragione doveva pur esserci, uno non sta trentadue anni su una nave e poi un giorno dimprovviso se ne scende, come se niente fosse, senza nemmeno dire perch al suo migliore amico.
Devo vedere una cosa laggi.
Quale cosa?
Il mare.
Il mare?
Il mare.
Sono trentadue anni che lo vedi il mare, Novecento.
Dalla nave. Io lo voglio vedere da laggi. Non la stessa cosa.
Non la stessa cosa. Gli dissi che ero contento davvero e che gli avrei regalato il mio cappotto di cammello, avrebbe fatto un figurone scendendo gi dalla scaletta con il mio cappotto.
Per mi verrai a trovare sulla terra?
Avevo un sasso qui in gola io odio gli addii gli dissi di s. Ma dentro sapevamo tutti e due che la verit era che stava per finire tutto e non cera niente da fare.
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento sarebbe sceso dal Virginian nel porto di New York un giorno di febbraio. Dopo trentadue anni vissuti sul mare, sarebbe sceso a terra per vedere il mare.
Quel giorno arriv come un lampo a ciel sereno.
Novecento inizi a scendere la scaletta del piroscafo con il mio cappotto, il cappello e una grande valigia.
Se ne sta un po l nel vento, immobile.
Guarda New York.
Poi scende il primo gradino, il secondo, il terzo.
Fu al terzo gradino che si ferm di colpo.
Che ? Ha pestato una merda? Disse Neil O Connor.
Avr dimenticato qualcosa.
Cosa?
E che ne so.
Forse si dimenticato perch sta scendendo.
E intanto lui l, fermo, con un piede sul secondo gradino e uno sul terzo. Se ne rimase cos per un tempo eterno. Guardava davanti a s, sembrava che cercasse qualcosa. E alla fine fece una cosa strana.
Si tolse il cappello e lo lasci cadere in mare.
Quando rialzammo gli occhi verso la scaletta vedemmo Novecento col suo cappotto cammello che risaliva quei due gradini, con le spalle al mondo e uno strano sorriso in faccia. Due passi e spar dentro la nave.
Hai visto? arrivato il nuovo pianista. Disse O Connor.
Dicono che sia il pi grande, dissi io e non sapevo se ero triste o felice da pazzi. Cosa aveva visto da quel maledetto terzo gradino, non lo volle dire.
SCENA 9
Io dal Virginian ci scesi il 21 agosto 1933. Cero salito sopra sei anni prima. Ma mi sembrava fosse passata una vita.
Non ci scesi per un giorno o per una settimana: ci scesi per sempre. Coi documenti di sbarco e la paga arretrata e tutto quanto. Tutto in regola, avevo chiuso con loceano.
Lo dissi a Novecento e si vedeva che non aveva nessuna voglia di vedermi scendere da quella scaletta, ma dirmelo, non me lo disse mai.
Lultima sera stavamo l a suonare per i soliti imbecilli della prima classe, venne il momento del mio assolo, incominciai a suonare e dopo poche note sentii il pianoforte che veniva con me, sottovoce, con dolcezza, ma suonava con me, e io suonavo meglio che potevo, e suonai proprio bene, con Novecento che mi seguiva ovunque, come sapeva fare lui. Ci lasciarono andare avanti per un bel po, la mia tromba e il suo pianoforte, per lultima volta, l a dirci tutte le cose che mica puoi dirti, con le parole.
Intorno la gente continuava a ballare, non si era accorta di niente, non poteva accorgersene, continuavano a ballare come se niente fosse.
Forse qualcuno avr giusto detto ad un altro: Guarda quello con la tromba che buffo, sar ubriaco o matto. Guarda quello con la tromba: mentre suona, piange.
Come sono andate le cose poi, dopo essere sceso da l, quella unaltra storia. Magari mi riusciva persino a combinare qualcosa di buono se solo non si ficcava in mezzo quella dannata guerra.
Comunque, del Virginian e di Novecento non seppi pi nulla, per anni.
Non che me ne fossi dimenticato. Mi capitava sempre di chiedermi: chiss cosa direbbe Novecento se fosse qui. In culo la guerra direbbe.
Ma se lo dicevo io non era la stessa cosa.
Insomma, era una storia finita, quella.
Poi un giorno mi arriv una lettera, me laveva scritta Neil O Connor, quellirlandese che scherzava in continuazione. Quella volta per era una lettera seria.
Diceva che il Virginian se nera tornato a pezzi dalla guerra, lavevano usato come ospedale viaggiante e alla fine era cos mal ridotto che avevano deciso di buttarlo a fondo.
Avevano sbarcato a Playmouth il poco equipaggio rimasto, lavevano riempita di dinamite e prima o poi lavrebbero portata al largo per farla finita: bum e via. Poi cera un poscritto: diceva: ce lhai cento dollari? Giuro te li restituisco. E sotto un altro poscritto e diceva: Novecento, lui, mica sceso. Solo quello: Novecento, lui, mica sceso.
Io mi rigirai la lettera in mano per dei giorni. Poi presi il treno per Playmouth e andai al porto, cercai il Virginian, lo trovai, e riuscii a salire sulla nave.
Cera dinamite dappertutto. Mi sedetti su una cassa di dinamite, mi tolsi il cappello e rimasi l in silenzio senza sapere cosa dire.
Fermo l a guardarlo, fermo l a guardarmi.
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento.
Avresti detto che sapeva che sarei arrivato.
Come sapeva sempre le note che avresti suonato.
Con quella faccia invecchiata, ma in un modo bello, senza stanchezza.
Mica era sceso lui.
Mica era sceso sarebbe saltato insieme a tutto il resto in mezzo al mare.
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento.
In quella nave ingoiata dal buio, lultimo ricordo di lui una voce, quasi soltanto, adagio, a parlare
Tutta quella citt, non se ne vedeva la fine
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
E il rumore.
Su quella maledettissima scaletta era molto bello, tutto, e io sarei sceso, garantito, nessun problema.
Col mio cappello blu.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino.
Primo gradino, secondo.
Non quel che vidi che mi ferm.
quel che non vidi.
Puoi capirlo?
quel che non vidi. Lo cercai ma non cera, in tutta quella sterminata citt cera tutto tranne
Cera tutto ma non cera la fine.
Ora, tu pensa un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono ottantotto, su questo nessuno pu fregarti.
Non sono infiniti loro. Tu sei infinito e dentro quei tasti infinita la musica che puoi fare.
Questo a me piace. Questo si pu vivere. Ma se tu
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai perch quella tastiera infinita
Se quella tastiera infinita, allora non c musica che puoi suonare.
Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello il pianoforte su cui suona Dio.
Ma le vedevi le strade?
Ce nera a migliaia, come fate voi laggi a sceglierne una?
A scegliere una donna?
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire?
Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce.
E quanto ce n.
Non avete mai paura, voi, solo a pensarla quellenormit? E a viverla?
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma duemila persone alla volta. E di desideri ce nerano anche qui, ma non pi di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicit su una tastiera che non era infinita.
La terra. Quella una nave troppo grande per me. un viaggio troppo lungo. una donna troppo bella. un profumo troppo forte. una musica che non so suonare.
Perdonatemi, ma io non scender.
Lasciatemi tornare indietro.
Per favore.
FINE
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