MARIA STUARDA
tragedia di
FEDERICO SHILLER
tradotta in versi italiani
da
EDVIGE DE BATTISTI
di san Giorgio
Oh tetra scena! Negri addobbi sanguigni intorno intorno
A fero palco? - E chi sovresso ascende'
Oh! sei tu dessa? O gi superba tanto,
Or pure inchini la cervice altera
Alla tagliente scure? Altra accettata
Donna il gran colpo vibra.
ALFIERI. Trag: Maria Stuarda
Atto V. Scena I.
PERSONAGGI
ELISABETTA regina dInghilterra.
MARIA STUARDA regina di Scozia.
alla corte di Elisabetta
GIORGIO T ALBOT conte di Salesbury gran cancelliere guardasigilli
GUGLIELMO CECILIO barone di Burgley gran tesoriere
ROBERTO DUDLEO conte di Leicester grande scudiere
Conte di KENT gran maresciallo del palazzo
GUGLIELMO DAVISON segretario di stato
cavalieri custodi di Maria.
AMICIO POWLET
* DRUGEON DRURY
MORTIMERO nipote di Powlet.
OKELLI confidente di Mortimero.
Conte ALBASPINA ambasciatore francese.
POMPONIO conte di BELLIEVRE inviato francese
di Maria
ANDREA MELVIL maggiordomo maggiore
BURGOIN medico
GIANA KENNEDY nutrice
MARGHERITA CURLA cameriera
damigelle
ROSIMUNDA
* GERTRUDA
* ALICE
* BERTA
Un UFFICIALE della guardia
Un PACGIO dElisabetta.
* LO SCERIFFO della contea d~ Northampton. ,..
* GRANDI, d'Inghilterra, CAVALIERI francesi, GUARDIE, SERVI
L'azione succede nel 1587, e si rappresenta nel castello di Forthringhay negli atti I. III. e V. fino alla scena undicesima, e nel palazzo di Westminster negli atti II. IV. e V. dalla scena undecima innanzi.
I personaggi segnati coll'asterisco non parlano.
ATTO PRIMO
SCENA I
Stanze interne di Maria.
KENNEDI, POWLET, DRURY con iscalpelli in mano.
KENN. (1) Che fai signor? Qual nuovo ardire questo? Via di cost.
POWL. Donde le gioje? - Certo
Fur gittate dall'alto, esca gradita
Con che sedurre il giardiniere - Oh astuzia.
Esecrata di donna! Indarno affino
La vigilanza e lindagar che ascosti
Ancor sonvi ornamenti, ancor tesori! (2) Dov'eran questi, altri n'avranno
KENN. Indietro,
Indietro audace! Qui della regina
Stanno i segreti.
POWL. E questi appunto io cerco. (3)
KENN Sono inutili carte, informi note
Vergate solo ad ingannar la trista
[l] In aspra contesa con Powlet che sta per uno scrigno
[2] Si pone a visitare lo scrigno.
[3] Ne toglie alcune carte.
Noja della prigione.
POWL. lozio scuola,
In cui lanime prave ordendo vanno
I lor disegni.
KENN. Son francesi scritti.
POWL. Peggio! ch lingua questa onde distinti
Sono i nemici d'Inghilterra.
KENN. Abbozzi
Di lettere indiritte alla regina
Elisabetta.
POWL. Recherolle io stesso - (1)
Ma qual nuovo baglior 1'occhio mi fiede!
Un diadema regale, in cui conteste
Splendono ricche gemme ai gigli franchi.
Drury, colresto ponlo in serbo (2)
KENN. Ahi quale
Soffrir n forza violenza iniqua!
POWL. Nuocer pu ancor finch possieda. In arme
Tutto volto in sua man.
KENN. Ver noi benigno,
Signore, ti dimostra, e non ci terre
L'ultimo fregio della nostra vita!
Quell'infelice di veder s'allegra
Della grandezza sua gli antichi segni.
Poich dogni altro omai ne festi spoglie.
[1] Tocca una molla segreta, e toglie da un ripostiglio
alcune gioje.
[2] Drury parte portando seca le carte e le gioie.
POWL. Fedele il serber. Tutto fia rese
A tuo tempo...
KENN. Chi mai scorge da queste
Nude pareti che qui sia l'albergo
D'una regina? Ov' il regale addobbo. S
ovra il suo seggio? Il nudo suol non preme
Il morbido suo piede? Ogni pi abbietta
Donna di nobil stirpe avrebbe a schif
Di rozzo stagno i vasi, onde imbandita
la sua mensa.
POWL. Cos un giorno anch'ella
Tratt in Sterling lo sposo, e in coppe d'oro
Al suo drudo frattanto il vin mescea.
KENN. Fino lo specchio, pur comune arredo,
Tolto le fu.
POWL. Finch sue vane forme.
Ella contempli, non avran mai fine
Colle speranze gli attentati suoi.
KENN. N un libro ha pure a ricrear lo spirto.
POWL. Basti la bibbia a migliorarle il cuore.
KENN. Perfino il liuto le fu tolto.
POWL. A sozzi
Carmi d'amore un d stromento,
KENN. E fia
Questo il destin di chi, regina in fasce,
Mollemente educata, in mezzo, agli agi
Ed ai piacer nella pomposa corte
D'una Medici crebbe? Ogni possanza.
Di torle noni bast, che ancor di questi
Infelici ornamenti or si dispogli?
Delle sventure nell'arringo impara
Un'alma grande, a moderar se stessa;
Ma grave pur che della vita manchi
Ogni ancor piccol fregio.
POWL. Essi son pasco
Di vanitade al cuor, quando dovrebbe.
In se raccorsi al pentimento. giusta
Del viver rotto a turpi vizi ammenda.
Miseria, abbezion.
KENN. Se in error tratta
Fu, da sua debil giovinezza, a Dio
Conto daranne e al proprio cuor; ma nullo
Ha giudice per lei questa contrada.
POWL. Ond il delitto, anco giustizia aspetti.
KENN. Stretta fra i ceppi, di qual colpa mai
Pu farsi rea?
POWL. Ma bench in ceppi avvinta
Stese il braccio. nel mondo, e per le inglesi
Terre scotendo la terribil face
Della civil discordia arm sicari.
A stormo contro la regina, a cui
Propizio arrida il cielo! Ella da queste
Mura non spinse al regicidio infame
Di Babington e di Parry la destra?
Forse bastar questi cancelli, allora
Che di Norfolc affascinava il cuore?
Solo per lei del manigoldo cadde
Sotto la scure il pi pregiato capo
Di questo regno - Eppure ancor non valse
Il terribile esempio a trar dinganno
Que furibondi, che a gittarsi a gara
Corron per amor suo dentro labisso
D'ognor crescenti vittime per lei
Il patibol si copre, e mai l'infande
Stragi non cesseranno infin che anch'essa,
Di tutte la pi rea non si s'immoli -
Oh maladetto il d, che il nostro lido
Cotesta Elna ospitalmente accolse!
KENN. Ospitalmente accolse? Ahi sciagurata!
Dal d ch'esule il piede in questa terra
Ferm, pregando asil dalla congiunta,
Le fu tolta libertade, e vana
Le fu difesa delle genti il dritto
E la regale maest; ch in lutto
Trarre l' forza dell' et migliore
I floridanni entro le anguste mura
D'una prigione - E poich tutta bebbe
L'amarezza del carcere, condotta
indegnamente ai tribunali innanzi,
Come vil delinquente, a udir di morte
Accuse - una regina!
POWL. A questi lidi
Come donna omicida ella pervenne
Dal suo popolo espulsa, e da quel trono
Balzata alfin, che con atroci colpe
Avea bruttato. D'Inghilterra a danno
Qui venne a congiurar, le orrende stragi
Dell'ispana Maria seco recando,
A mutarne la fede, a imporle il giogo,
Per tradigion, dell' odiata Francia.
Ond che dEdimburgo ella non volle
Fermare il patto, e, rinunciando ai vani
Suoidiritti al trono dAlbione, aprirsi
Con un tratto di penna il carcer suo?
Ma stenti e prigionia piuttosto elesse,
Che un voto nome abbandonare. E dnde
Tal proposito in lei? Darti malvagie
Esperta fabbra e di congiure, immensi
Danni ci appresta, e dal suo carcer spera
Di questa terra conquistare il soglio.
KENN. Tu ne dileggi - Ed al rigore aggiungi
Anche l'amaro scherno! Ella sepolta
In queste mura alimentar si vane
Illusion? Ella a cui suon non giunge
D'amica voce, che dai patri lidi
Rechi conforto? A cui d'umane forme
Ogni altro aspetto da gran tempo ignoto
Fuor che de' carcerier l'atro cipiglio?
A, cui nuove custode ora nel rozzo
Tuo congiunto s'aggiunge, ed i cancelli
Son raddoppiati? -
POWL. Incauto ben chi avvisa
Con inferrate contener la fina
Astuzia sua. Chi m'assicura appieno
Che dalla lima sordamente rose
Queste spranghe, non sieno? E questo suol
E queste mura, al lor vedersi integre,
Non sien vote di dentro e al tradimento
Prestin ricette mentr'io dormo? Ahi tristo
Ufficio il mio di custodir cotesta
Astuta madre di sciagure e guai!
Di tutto temo, e fin di notte sbalzo
Dal letto come tormentato spirto,
E corro ai chiavistelli, non alcuno
Colla tradita f me gli abbia infranti;
E dubitoso, poich sorge il giorno,
Avverati pavento i timor miei.
Pur me felice a cui data fidanza
Che tutto volga a termine vicino!
Sulle porte d'averno io mi torrei
Guardar piuttosto le perdute turbe,
Che tal regina a tante insidie avvezza!
KENN. Ecco ella viene
POWL. In mano ha il crocifisso.
Orgoglio e voluttade in mezzo al cuore.
SCENA II.
KUNNEDY, POWLET, MARIA velata con il crocifisso in mano.
KENN. (1) Siam crudelmente. calpestate. Al colmo
Giunge il rigor, la tirannia. Di nuove
Onte ministra, ogni nascente aurora
Sul tuo capo regale aduna affanni.
MAR. Ti rincora. Che fu f Narra.
KENN. Sferrati
[I] Va frettolosa ad incontrare Maria
Furo i segreti tuoi. Le tue scritture,
Gli ultimi fregi, ancor serbati a stento,
De' nuziali arredi il solo avanzo,
Onde la Francia ti largiva, or tutto
Tutto cadde in sua man. Nulla di regio
Pi ti riman dalla costui rapina.
MAR. T'acqueta, o Kennedy, ch questi orpelli
Non fanno la regina. Essi vilmente
Trattar ne ponno, ma avvilir non mai.
Usa a oltraggi pi gravi in questo regno
Ben tollerar poss'io la nuova offesa -
Posta hai, signor, la violenta mano
Su ci ch'io stessa in questo d volea
Spontanea consegnar. Tra questi fogli
Uno diretto alla regal mia suora
Elisabetta. Or tu leal prometti
Ch'essa l'avra pria che Cecilio infido.
POWL. Avviser che far mi giovi.
MAR. Intere
Vo' il concetto svelartene. Io le chieggo
L'alto favore di parlar con lei,
Che ancor qnestocchi non han mai veduta.
D'uomini a un tribunale io son citata
Che per miei pari io non conosco, in cui
Non ho fidanza. Elisabetta donna
Della mia stirpe, del mio, grado: ad essa
Alla donna, alla suora, alla regina
Svelar mi posso.
POWL. Ad uomini men degni
Della tua stima pur fidato hai spesso
La tua fama; o signora, e il tuo destino.
MAR. Altro favore imploro, e ingiusta fora
Crudeltade il negarlo. Invan sospiro
Da gran tempo, sepolta in queste mura,
Della chiesa i conforti, i dolci pegni
Della redenzion. Colei che tolto
M'ha scettro e libert, colei che arriva,
Fino la vita a minacciarmi, chiuse
Anco del ciel non mi vorr le porte.
POWL. Il decano del luogo, ove ti piaccia
MAR. Nulla voglio da lui. Bramo un ministro
Di mia stessa credenza, e bramo insieme
Scribi e notai, che de' miei sensi estremi
Faccian strumento. Tra gli acerbi affanni
Del carcer lungo gi il mio fral vien meno.
Gi de' miei giorni il novero compiuto
Omai pavento, e come moribonda
Riguardarmi deggio.
POWL. Da saggia adopri.
Questi sono i pensier che ti s'affanno.
MAR. E chi sa non affretti opra di mano
La lenta possa dell' angoscia? Or voglio
Disporre almen di quanto ancor mi resta.
POWL. E il puoi ben tu, che l'anglica regina
Colle tue spoglie d'arricchirsi sdegna.
MAR. Dalle mie care ancelle, e da' miei servi l
o fui divisa - Ove son essi?
Quale il destin loro? Sopportare io posso
D'esserne orbata, ma saper mi giova
Che nessun de' miei fidi i d strascini.
In braccio a povert.
POWL. Cura se n'ebbe. (I)
MAR. Parti, signore, e fra l'angustie il crudo
Timor della incertezza ancor tu lasci
L'abbattuto mio cuor? Turba di compri
Esplorator dal mondo mi divide,
N pi novella del mio carcer giunge
Le mura a penetrar. Frattanto in mano
De' miei nemici la mia sorte. Un mese
Lungo, angoscioso gi trascorse omai
Dal d che d'improvviso in questa rocca
Quaranta eletti a giudicarmi entraro;
Ed affrettato tribunale alzando
Con nuovo esempio, d'orator sprovvista,
Della memoria mia col solo ajuto,
Sbalordita, confusa. orrende accuse,
alla nequizia astutamente ordite,
Fui stretta a confutare - Essi quai larve
Giunti, quai larve sparvero. Silenzio
Alto silenzio da quel d qui regna,
E cerco invan nel guardo tuo se debbo.
Aver trionfo l'innocenza mia
E lo zel degli amici, o l'arti inique
Di chi m' abborre. Il cupo arcan mi svela -
Di se temere, o se sperar degg'io.
POWL. (2) Col ciel far pace ti conviene.
MAR. Spero
[1] Vuol partire.
[2] Dopo una pausa.
Nella clemenza sua, come confido
Della giustizia nel potere in terra.
POWL. Giustizia avrai non dubitarne.
MAR. dunque,
Signor, deciso il mio destin?
POWL. L'ignoro.
MAR. Son io dannata?
POWL. Nol so dir.
MAR. Qui tutto
Uso precipitare. Il manigoldo,
Come i giudici un d, verr improvviso?
POWL. Cos creder ti giovi, ch al cimento
Pi che non fosti allor n'andrai parata.
MAR. Di nulla stupir qual ch'egli sia
Il giudizio, signor, che dare ardisca
Di Westminster nell' atrio nn tribunale
Dall'odio di Cecilio, e dallo zelo
Aggirato d'Atton. Ma so ben anco
Ci che far lice allanglica regina.
POWL. Chi regge il fren dell' Inghilterra, nulla
Pu paventar che il parlamento e insieme
La coscienza sua. Del mondo in faccia
Far il poter quanto giustizia imponga.
SCENA III.
KENNEDY, POWLET, MARIA, MORTIMERO
MORT. (1) Di te si chiede.
MAR. Un nuovo priego ascolta-
Se cosa a dirmi hai tu, molto poss' io,
Da te soffrir, ch riverenza inspira
Tua veneranda et; ma il tratto altero
Non so d'un giovin tollerare. Ah togli,
Togli che innanzi anco mi torni, e meco
Il rozzo stil de' suoi costumi adopri!
POWL. Quanto in lui ti dispiace ci ch' io pregio.
Ei non tale cui di donna il finto
Pianto ammollisca - Ei vide estranie terre,
Ma Rems, da Parigi intatto ancora
Lo schietto anglico cor riporta. Induno
Fia che con lui le soli t' arti adopri.
SCENA IV.
MARIA, KENNEDY
KENN. E tanto ardisce l'insolente in viso
Dirti, o regina? Acerba cosa!
[1] Senza alcun atto di riverenza verso Maria parla a Powlet, indi parte. Maria lo guarda con risentimento.
MAR. (1) Ai vili Adulatori troppo facil porsi
L'orecchio allor che ne ridea fortuna.
Or dritto ben ch'anco per noi s'ascolti
L'amaro suono delle altrui rampogne.
KENN. Tu che ognor lieta a me davi conforto,
Tanto avvilita, mia signora, or sei?
Onde tal cambiamento? Sei pur quella
In cui pi che tristezza una leggera
Mente io doveva riprovar.
MAR. Me lassa!
Lo riconosco!
Il sanguinoso spettro
Quello dArrigo, che furente sorge
Fuor dell' avello. E non fia mai che pace
Ei mi conceda finch tutto in prima
Non si compia il rigor di mie sciagure.
KENN. Oh che vaneggi!
MAR. Tu lo scordi, o Giana -
Ma fitto in mente l'ho ben io - Ricorre
Oggi l'infausto d, ch' espiar soglio
Fra il digiuno e le preci.
KENN. Abbiasi pace
Quel truce spettro alfin. Col pentimento
E le sciagure di tant'anni appieno
Di quella macchia gi purgata hai l'alma.
Colui che in terra ha del perdon le chiavi
Gi te D'assolse, e insiem con esso il cielo.
MAR. S, ma rimesso da gran tempo, ancora
[1] Assorta in pensieri
Dalla malchiusa tomba esce, grondando
Sangue, il delitto, n de' sacri bronzi
Il suon che invita a venerar gli altari,
N lin cruenta ostia di pace in mano
Del sacerdote, ributtar pu indietro
Ombra di sposo, che vendetta gridi!
KENN. Tu sei monda di sangue. Altri l'uccise.
MAR. Ma ne fui conscia, e non m'opposi, e furo
Le mie lusinghe di sua morte agguati.
KENN. La giovinezza tua scusa il tuo fallo:
Eri in s verde et
MAR. Giovane vero,
Ma non mi tolse giovent che turpe
Io la facessi di s grave colpa.
KENN. Di sangue oltraggio, e tracotanza troppa
Te d'uomo provoc, cui dalla polve,
Come braccio di nume, al trono alzava
Amor tuo solo, dividendo seco,
Nel fior degli anni, la corona e il letto.
Come scordar potea che altezza tanta
Opra era sol di generoso amore?
Pur l'indegno obbliollo, e con infame
Sospetto e viver sozzo, alla tua dolce
Tenerezza fe' scorno, e agli occhi tuoi.
D'odio oggetto si rese. Alfin disparve
La falsa luce onde il tuo cuor fu vinto,
E tu sdegnosa di quei turpi amplessi
Lasciavi il tristo al pubblico disprezzo -
Egli di rimertar forse ebbe cura
Il tuo favore? A tua clemenza ei forse.
Ebbe ricorso? A' piedi tuoi pentito
Forse gittossi, e vi promise emenda?
L'infame in vece provocare ardiva
Il tuo giusto rigore. Egli, a te sola
Di sua fortuna debitore, impero
Teco assunse di re. Sugli occhi tuoi
Fece scannar, del tuo favore in onta,
Rizio gentil cantor - Sangue per sangue
Solo rendesti.
MAR. Ed in me pur vendetta
Cruda di sangue ne sar, ch' io leggo
Nel tuo conforto la sentenza mia.
KENN. Tu donna di te stessa allor non eri
Che l'opra infanda permettesti. Invasa
Da delirio d'amor, te il ferreo giogo
Del seduttore Botuello oppresse -
Con tracotante tirannia la chiave
Volse quel diro del tuo cuore, e l'alma
T'infiamm, ti confuse con bevande
Ammaliate da sue perfid'arti.
MAR. L'esser egli uomo, io donna imbelle, faro
Oneste e non altre l'arti sue.
MAR. Piuttosto
Di' che tutte in suo ajuto egli d'inferno
Trasse l'alme perdute a intesser nero
Vel che offuscasse di tua mente il raggio.
Chiuse l'orecchie d'amicizia ai dolci
Ricordi, e gli occhi d'onestade al lume,
Pi l'ingenuo pudore
allor non sorse
Ad illfiorat' tue gote, che, gi prima
Sede di pudicizia, arser d'impura
Fiamma di volutt. Le ardite colpe
Di quel ribaldo soverchiato in fine
La debolezza tua. Cadde la benda
Del mistero, e svelata e baldanzosa
La tua vergogna sollev la fronte.
D'Edimburg per le vie port in trionfo
Innanzi a te di Scozia il regio brando
Quell' infame sicario in van seguito
Dall'imprecar del popolo. D'armati
Cingesti il parlamento, e di tue vili
Arti la possa a tal giugnea, che assolto
Fosse egli alfin dall'omicidio atroce
Della giustizia nel sacro delubro -
Ma pi facesti ancora oh Dio!
MAR. Finisci!
La man di sposo sull'altar gli porsi.
KENN. Notte d'eterna tenebria ravvolga
Il terribile evento, onde rifugge
Atterrito il pensier. D'alma perduta
Opra fu quella, e tal non fosti mai -
Io leggo nel tuo cuore, io ch'ebbi cura
Degli anni tuoi primieri. Esso gentile,
Ed aperto al pudore - Ogni tua colpa
Di leggerezza figlia. Anco il ripeto,
V'hanno nemici all'uom spirti maligni,
Che, invasi a un tratto i mal guardati petti,
Volgonli al peggio, e all'infernal soggiorno
Poi riparando, lascianvi la colpa
E lo spavento. La tua vita pura
D'ogni altra macchia, che il candor ne sozzi,
E dell'ammenda tua posso far fede.
Or dunque ti rincora, e datti pace.
Quanto in te di rimorsi infausto oggetto
Rea non ti rende in Inghilterra, e mai
Giudice a te non fia questa regina,
N il parlamento suo. Sol violenza
che' t' opprime, ed al giudizio innante
Ben tu il coraggio dispiegar puoi tutto
Dell'innocenza tua.
MAR. Chi vien? (1)
KENN. Ritratti: Mortimer
SCENA V.
MARIA, KENNEDY, MORTIMERO.
MORT. (2) Ti scosta e cauta attendi
Che alcun non oda. Alla regina io deggio
Qui favellare.
MAR. (3) Kennedy, t'arresta.
MORT. No, non temere e mi conosci, appieno. (4)
MAR. (5) Come! Che veggio!
[1] Mortimero si mostra al limitare della porta.
[2] A Kennedy
[3] Con dignit.
[4] Porge un foglio a Maria.
[5] Guarda il foglio e d indietro meravigliata.
MORT. (1) T'allontana, e veglia
Che Powlet non ne colga.
MAR. (2) Or va, il compiaci. (3)
SCENA VI.
MARIA, MORTIMEBO, in fine KENNEDY.
MAR. Di mio zio il cardinale di Lorena! (4).
A Mortimero apportator di questa Appien t'affida perocch non hai
Un pi fedele amico in Inghilterra. (5)
E fia possibil ci!
Me non seduce
Fatale illusion? Dunque s presso
Trovo un amico, io che dal mondo intero
Abbandonata mi credetti? - E il trovo
Nel sangue di Powlet; in te ch' io prima
Tenni il pi infesto fra nemici miei? -
MORT. (6) Di facile perdon degna , regina,
Un odiata larva, onde gi troppo
Affannato il mio cuor; ma se pur dato
Or m' d'esserti appresso e farti salva,
Sola ad essa il degg'io.
[1] A Kennedy.
[2] A Kennedy che indugia.
[3] Kennedy parte meravigliata.
[4] Legge.
[5] Guarda piena di stupore Mortimero.
[6] Ai piedi di Maria.
MAR. Sorgi, signore -
Tu mi sorprendi - Aprir l'alma non oso
Dall' estremo de' mali a tanta speme -
Parla, signor - Fa che il mio ben conosca,
Sicch sia vano il dubitarne.
MORT. (1) Il tempo
Rapido fugge, e qui sar tra poco
Mio zio con tal d' abborrimento degno.
Or pria che feral nunzio ti conturbi,
Ascolta quale scampo il ciel t'appresta.
MAR. Prodigio certo e' fia del suo potere!
MORT. Ma soffri ch'io 'l parlar da me cominci.
MAR. Narra, signore.
MORT. Il quarto lustro appena,
Fra discipline austere, io tocco avea,
Succhiando insieme avversion feroce
Al romano pastore, allora che sorta
Di veder nuove terre in me vaghezza
Del puritano pergamo alle cupe
Sale m' involo ed alla patria, e ratto,
Le Gallie trascorrendo, affretto il cono
Alla celebre Italia, a cui son volti
Gli ardenti voti miei. Correano allora
Ivi alla chiesa i pi solenni giorni.
Un incessante ire e reddir fervea
Di pellegrin per le affollate vie.
Le immagini di Dio vedeansi tutte
Inghirlandate, e mi parea che intera
[1] Alzandosi.
Al ciel movesse la mortal famiglia -
Tra la folla pur io confuso e misto
Dei credenti, fui tratto innanzi a Roma.
Quale, regina, non provai diletto,
Poich affacciarsi all' occhio mio bramoso
Vidi la maest de' trionfali
Archi e trofei I D'alto stupor m'invase
Di Vespasian la celebrata mole.
Il genio creatore in dolce incanto
L'anima mi rap, non usa ancora
Dell'arti allo splendore. Ogni conforto
Di sculta o pinta imagine negato.
dalla chiesa in cui crebb'io, ch solo
Della nuda parola il senso adora!
Qual non mi scosse volutt divina,
Allor che udii d'armonici concenti
I sacri templi risuonar! Per tutto
Vive le sacre imagini vid'io
Ornar volte e pareti. I sensi miei
Tutti bearsi in quanto umana mente
Pu concepir di meraviglia degno.
Mirar quest'occhi de' celesti spirti
Le schere, e l' angel salutar Maria,
Dio nato e trino, la gran Madre, e Cristo
Nella sua gloria sul Taborre apparso.
Corrusco vidi di pompose vesti
Il supremo pastore offrir sullara
Il sacrifizio e benedir le genti.
L'oro che mai, che mai sono le gemme
Ch'ornan de' regi la temuta fronte!
Solo egli cinto di fulgor divino.
Magio celeste la sua reggia, e in terra
Gloria non , che tanta gloria adegui.
MAR. Se ti cale di me frena gli accenti,
Che mal s'addice a misera e cattiva
Tanto splendor di vita!
MORT. Anch'io, regina,
Anch'io tal fui; ma d'improvviso, sciolte
Le mie catene, a dolci aure di vita
Vol incontro il mio spirto. Allor giurai
Odio al muto volume ove ristretta
Al nudo verbo la divina legge;
E, cinto il crin di nuovo serto, io pure
Lieto m'aggiunsi de' contenti al coro.
Unirsi meco nobil! scozzesi
E francesi vivaci, e al porporato
Di Guisa, al tuo gran zio, furonmi scorta.
Oh grande in vero, oh per fermezza illustre,
Nato sll' alme a dominare, esempio
Di regal sacerdote, e della chiesa
Primo ornamento!
MAR. Lo vedesti dunque
Quell'uomo d'ogni amor, d'ogni onor degno,
Guida ed appoggio de' miei, debili anni?
Oh di lui mi favella! In cuor mi serba?
Fortuna ancor gli arride f in fior sua vita?
della chiesa ancor salda colonna?
MORT. Ei della fede i rudimenti primi
Non isdegn insegnarmi, e dal mio petto
Ogni dubbiezza dissipar. Da lui
Appresi come di novelli errori
Fonte ragion, se troppo innanzi spinge
L'insaziabil guardo; che pei sensi.
Uopo che impari il cuor quanto proposto
Alla credenza sua; che della chiesa
Tal che visibil sia deve esser capo;
E che dei padri nostri i dommi, integro
Soli serbar di veritade il nerbo.
L'invincibil sua mente e l'eloquenza
Di sue parole dal mio spirto infermo
Tutte sgombraro le fallaci larve!
Solenne abbiura d'ogni error fec'io
Nel suo cospetto, e della chiesa al grembo
Tornai.
MAR. Dunque de' mille uno tu sei
Ch' egli ritrasse dalla via smarrita,
Come il divino banditor del monte
Col vincente poter di sue parole!
MORT. Poich il chiamar l'alte sue cure in Francia,
Me a Rems mand, dove operosa educa
Del Lojola il drappello i sacri arbusti
Da trapiantare nel britanno suolo.
Lo scozzese Morgan ivi trovai
D'anni gi carco, e il tuo fedel Lesleo,
Dotto pastor di Ros, che in strania terra
Traggono amari dell' esigli o i glomi -
Con lor vivendo io rassodai mia fede -
Di quel vescovo un giorno entro la soglia
Vidi l'effigie di tal donna ch' era,
Di suprema bellezza alto prodigio,
nel fondo del cuor si commosse
Che me rap a me stesso. Egli ben dritto,
Dissemi allora il buon pastor, chogni alma
Innanzi a questa imagine si spetri:
Costei che per beltade ogni altra avanza
Degna fra tutte di maggior compianto.
Della fe nostra vittima, e de lunghi
Suoi patimenti la tua patria il centro.
MAR. Uomo pietoso! Io tutto non perdei,
Sho nelle mie sciagure un tanto amico.
MORT. Poi del suo dir colle vivaci tinte,
che mi feriano il cuor, tutti mi pinse
I tuoi martiri, e la feroce sete.
Di sangue onde son arsi i tuoi nemici.
De tuoi grand'avi il lungo ordin mostrommi
Dal ceppo insigne de' Tudor scendenti;
E mi convinse appien che d'Anglia il trono
Spetta a te sol non a costei, che nata
Da un adultero amor, lo stesso Arrigo,
Il 'padre suo, come bastarda escluse,
N pago sol di testim si egregio
De' veraci tuoi dritti, altrui consiglio
Anco ne chiesi, e le vetuste svolsi
Opre di chi saggio libroIli, e tutti,
Tutti gli esperti feronmi dimostro
Che a te dovuto di Britannia il soglio.
E questo ci che ti fa rea di colpa,
Ch' tua la terra ove innocente langui.
MAR. Dritto infausto, cagion di mie sciagure!
MORT. Seppi frattanto che di Talbot eri.
Tolta alle mani e del mio zio fidata
Alla custodia - In ci vidi del cielo,
Presto a giovarti, il prodigioso braccio,
E me trascelto dalla figura sorte
Alla salvezza tua. Lieto ogni amico
Consente allopra. Il cardinal mi assiste
Co suoi gravi consigli. Egli mi prega
Propizio il cielo, e la difficil arte
Del simular minsegna. Ordito a un tratto
Era il disegno, ed io poneami in via
Verso il suolo nativo in cui mi splende
Oggi il decimo sole (1). In te, regina,
Non nelleffige tua bearsi alfine
Gli sguardi miei - Quale tesoro asconde
Questo castello! Non prigion, ma reggia
Esso di Numi; e tal non ha splendore
DElisabetta la superba corte -
Oh fortunato chi questaure stesse
Teco respira! Accorta ben colei,
Che s gelosa in questostel ti cela!
Che se dato veder fosse il Britanno
La sua regina, sorgerebbe in armi
Tutta la giovent, n un brando, un solo
Brando starebbe nella sua vagina;
E, attraversando la sommossa questa
Terra di pace, mostrerebbe il capo
[1] Dopo una pausa.
In forma di gigante!
MAR. Oh me felice
Se lAnglo co' tuoi sguardi mi vedesse!
MORT. Testimon qual son io di tue sciagure
Sol eh'egli fosse e della nobil calma
Onde soffri il rigor di tante angoscie!
De' patimenti fra le acerbe prove
Non ti palesi ancor qual lei regina?
Forse che a tua belt scem decoro
Lo squallore del carcere? Spogliata
Fosti d'ogni ornamento, e pur di viva
Immortal luce ancor risplendi. Mai
Il pi non metto in queste soglie, ch' io
Da profondo dolor non sia trafitto,
E insiem beato dal piacer supremo
Di vederti! - Ma gi vicino incalza
Il giudizio fatal; cresce il periglio,
N pi deggio tacer, qual eh'egli sia,
Il terribile annunzio -
MAR. proferita
La mia sentenza? Aperto lo palesa,
Ch gi disposta ad ascoltarlo sono.
MORT. proferita!
Dal consenso iniquo.
De' quarantadue giudici dannata,
De comuni il consiglio a furor chiede,
Chiedelo quel de' grandi, e Londra tutta
Che il giudizio li compia. La regina
Sol essa indugia, a ci non da pietosi
Sensi d'umano cor, ma dalla trista
Arte sol mossa di venirci astretta.
MAR. (1) Mortimer, n stupore, n spavento
Mi rechi tu, ch da pi tempo io sono,
Conoscendo i miei giudici, disposta
A tale avviso. Dopo tanti oltraggi
Onde fai colma, argomentar io posso
Che libert non mi fia data mai -
Il lor disegno m' palese. Han fermo
Che sempiterno carcere mi chiuda,
Onde tra le sue tenebre sepolta
Giaccia coi dritti miei la mia vendetta
MORT Ah no, regina! - Non son paghi i tristi
Solo di ci! Mai non sospende a mezzo
I colpi suoi la tirannia feroce.
Finch tu viva desta anco la tema
D' Elisabetta in cor. Non v'ha profondo
Carcer per te, che l'assicuri appieno.
Sol la tua morte le rassoda il trono.
MAR. E fia che preda alla feral bipenne
Infamemente ardisca il coronato
Mio capo abbandonar?
MAR. L'oser, il credi.
MAR. E in me la sacra maest de' regi
Tutti e la sua vituperar nel fango?
La vendetta non teme ella di Francia?
MORT. Pronta la pace co' Francesi, or ch'ella
Offre al duca d'Angi la mano e il soglio.
MAR. Non s'armer la Spagna?
MORT. Il mondo intero
[1] Con fermezza.
Non teme in armi, se devoto a lei
Del suo popolo il brando.
MAR. E fia che mostri
S atroce scena allInghilterra?
MORT. Nuova
Non ai Britanni, a cui fresco l'esempio
Di regie donne, che dal trono al palco
Trasse un istante sol. La madre istessa
D'Elisabetta e Caterina Avarda
Corser tal sorte; e cinse anco la Greja
Serto regal.
MAR. (1) No, Mortimero! Un vano
Timor t'adombra, e imaginar fervente
Di fido cuore inutili terrori
Suscita in te. Non , non la scure
Che m'atterrisca; ma in balia son mezzi
Palesi meno a Elisabetta, ondabbia
Contro i miei dritti sicurezza piena.
Di carnefice no, d'un assassino
L'ascosa man per me fia compra. - Questa
la mia tema, n alle labbra accosto
Io tazza mai, che dall'amor ricolma
Non la paventi della suora mia.
MORT. Non temer che il tuo vivere si tronchi
Celatamente, od in palese. Tutto
omai disposto. Dodici miei pari
D'et, di patria e di natali illustri,
Diermi lor fe di toglierti da queste
[1] Dopo una pausa.
Mura coll'armi, e han confermato il giuro
Sull'ostia onde stamane ebber conforto.
Il conte d'Albaspina, e tu sai quale,
Di nostra trama a parte. Egli ci assiste,
E il suo palagio al nostro ordir ricetto.
MAR. Tremo a udirti, signor, ma non di gioja,
Ch presagio funesto il cor mi stringe.
Che ardisci tu? Sai ben qualopra imprendi?
Di Tichtboren, di Babington le teste
Di sangue intrise, a fero esempio esposte
Di Londra al ponte, non ti fan spavento?
N quanti orrendamente a perir trasse
Cimento ugual, senzaltro ottener frutto
Che d'addoppiar le mie catene? Ah fuggi,
Giovine incanto ed infelice! Fuggi,
Se ancor n' hai tempo, se la trama ignora
L'esplorator Cecilio, n gi posto
Ha un traditor fra voi. Fuggi da questa
Infausta terra! Alcun finor non ebbe
Maria Stuarda salvator felice.
MORT. Di Tichtboren, di Babington le teste
Di sangue intrise, a fero esempio esposte
Di Londra al ponte, non mi fan spavento,
N quanti orrendamente a perir trasse
Cimento egual. Frutto d' eterna fama.
Ne conseguiro. Alta ventura morte
Che a tua salvezza si consacra.
MAR. Indarno!
Forza non , non arte omai, che valga
A potermi salvar. Possente, accerto
il mio nemico. Non Powlet soltanto
N delle guardie sue lo stuol, ma tutta
Veglia Inghilterra a custodir le porte
Del carcer mio. Solo il voler pu aprirle
D'Elisabetta.
MORT. Nol sperar tu mai.
MAR. Uomo sol uno, che potria sferrarle.
MORT. Oh dimmi qual! -
MAR. Leicester.
MORT. (1) Desso! - il conte
Di Leiceater... il tuo maggior nemico, D'Elisabetta il favorito? - E speri
MAR. Sol per sua mano a me di sperar lice
Omai salute - Or vanne a lui. Fidanza
Piena gli porgi, e, in prova ch' io ti mando.
Questo scritto gli reca. (2) Il mio ritratto
In se rinchiude. Prendi. lunga pezza
Che meco io l'ho; ma il vigile rigore
Di tuo zio m'ha intercetto ogni sentiero,
Che fino a lui conduca - Or mi t'invia
L'angel mio tutelare -
MORT. Almen, regina,
Questo enimma mi sciogli -
MAR. Il far il conte. In lui t'affida, e il far teco anchesso -
Ma chi savanza?
[1] Retrocede meravigliato.
[2] Cava dal seno una carta. Mortimero di ritragge, esitando a riceverla.
KENN. (1) Powlet giunge e reca
Un signore di corte.
MORT. Egli Cecilio.
Fa cuore! e in calma il suo messaggio ascolta (2).
SCENA VII.
MARIA, CECILIO, POWLET.
POWL. Poich volevi oggi saper tua sorte, Cecilio te lannunzia, e tu la soffri
Con alma rassegnata.
MAR. Oh s, lo spero!
Con quel contegno che innocenza ispira.
CEC. Del tribunale a te messo vengh'io.
MAR. Al tribunale, a cui prest gi il senno
Pronto presta Cecilio anche la lingua.
CEC. Qual se sapessi tua sentenza parli.
MAR. Ben solla io gi se a me Burgley la reca -
Signore, esponi.
CEC. De' quarantadue
Ti soggettasti al tribunal
MAR. Perdona,
Signor, se da principio i detti tuoi
Interromper m' forza - Assoggettata
De' quarantadue giudici al consesso
Tu mi dichiari, e in nessun modo io 'l fui.
[1] Entra frettolosa.
[2] Esce con Kennedy da una porta laterale.
Come farlo io poeta? - Come in oblio
Por s vilmente mia regale altezza,
Della Scozia il decoro e di mio figlio,
E il sacro dritto di quanti han corona?
Legge pur tra i Britanni, ch'ogni reo
De' giurati suoi pari, al tribunale
Soggetto sia. Ma quale a me sagguaglia
Infra i giudici miei? Solo i monarchi
Son pari a me.
CEC. Capo per capo udite
Hai pur le accuse, e ai giudici ragione.
Anco ne davi, domandata -
MAR. vero
Difeso ho l'onor mio. Dalle scaltrite
Arti d'Atton sedotta, e dalla speme
Sicura, ahi troppo! di trionfo, orecchie
Porsi alle apposte colpe, e men purgai -
A ci spingeami ancor, non gi l'ufficio
Che nol conobbi io mai, ma degli illustri
Grandi il rispetto personal.
CEC. Negato
Assentimento a trattener non vale,
D'un giudice il potere. Or dInghilterra
L'aura respiri, di sue leggi all' ombra
Tu vivi, e ne soggiaci anco allimpero.
MAR. Qui d'un carcere l'aura chio respiro.
Vivere questo, e di sue leggi allombra?
Io le conosco appena, e ad osservarle
Non condiscesi io mai. Di questo regno
Cittadina io non nacqui, ma sovrana
Libera daltre genti.
CEC. In van presumi,
Che il regio nome esser ti possa schermo
Sicuro s, che in stranio suol tu ardisca
Impunemente d'allumar la dita
Face della discordia. E qual mai regno
Fora sicuro, se di Temi il giusto
Braccie a colpire non giungesse il reo
Capo di regal ospite, s pronto
Come la fronte d'un mendico?
MAR. Aperta,
Ragion dell'opre mie render non niego
Ma ricuso tai giudici.
CEC. Ch mai
Ricusarli, signora? Eletti a caso
Son essi forse dalla yolgar turba?
O impudenti ciarlieri a mercar usi
Il giusto e il vero, o a farsi altrui strumento
Di patteggiata oppression? Non essi
Son gli ottimati tra i Britanno, etali
I cui liberi spirti non soggioga
Tema di prence, o sete doro alletta?
Quegli stessi non son, che mite e giusto
Reggon il fren di nazione illustre,
S che il solo nomarli appien disgombra
Ogni dubbio dal cuo? Siede lor capo
Delle genti il pastore, il pio primate
Di conturbia, e Talbot saggio custode
Del sigillo del regno, e Avardo duce
Dellangelico naviglio. Che pi pote
D'Inghilterra per te l'alma regina
Che scerre a giudicar di tua contesa
Quanti ha miglior per nobilt di sangue
Tutto il suo regno? E se dalcuno il senno
Pur avesse offuscato odio di parte,
Come possibil fia che di quaranta
Egregie menti il giudicar saccordi
Ad ingiusta sentenza?
MAR. Or quanta sia
La possa del tuo dire, a me di mali
Fonte inesausta, con stupore ascolto
Come a tenzon teco venirne io mai,
Oratore tu esperto, io debil donna? -
Se, qual l'esponi a me, salda, io corrotta
Fosse virt di questi grandi in petto,
Muto fora il mio labbro, e la mia sorte
Irreparabilmente omai decisa
Dal loro giudicar. M assai diversi
Sono i colori onde la storia pinge
S eccelsi nomi, che schiacciar mi denno
Col peso lor. Vegg'io questa di sangue.
Eletta nobilt, questo del regno
Maestoso senato innanzi al mio
Progenitor, lottavo Arrigo, umile
Prostrar la fronte, e sue voglie tiranne
Vili blandir, quali in Bisanzio schiavi -
E questa vostra camera suprema,
Non men che l'altra de' comun, venale
Veggo dar leggi e rivocarle; sciorre
Ed unir maritaggi, al voler sempre
Vendute di chi regna: oggi bastarde
Dell'Anglia proclamar le figlie auguste,
E diredarle, ed il doman regine
Plaudirle in soglio. E questi pari illustri,
Pronti pur sempre a variar consiglio,
Quattro volte con rapida vicenda
Sotto quattro signor mutar di fede -
CEC. D'Anglia ignori le leggi, ma ben tutte
Sai, noverar le sue sciagure.
MAR. (1) E sono
Questi i giudici miei? - Signore? io voglio
Teco esser giusta, e tu l sia meco - Corre
Fama di te, che al miglior bene intenda
Di questo stato e della tua regina
Ogni tua cura, e in petto un cuor tu nutra
Incorruttibil, rigido, indefesso -
Creder vogl'io che a' tuoi desir sia norma
L'util tuo no, ma quello sol del prence
E della patria tua. Per paventa,
Nobil signor, che la ragion di stato
Te non abbagli e da giustizia stolga
Non lice dubitar: seggon fra i miei
Giudici teco personaggi egregi;
Ma d'altra fe' seguaci, e sol di quanto
Giovi all'Anglia zelanti. Or d'onde han essi
Il dritto a giudicar me della Scozia
Regina, e fida al gran pastor di Roma?
Corre antico un proverbio, che il Britanno
[1] Dopo una pausa
Con lo Scozzese esser non pu mai giusto -
Quindi dagli avi a noi venne il costume
Che l'un dell' altro ai tribunali avante
Esser divieta accusatore. Impose
Necessit s strana legge. Il credi,
Signore, alta ragion da rispettarli.
Ne' prischi usi de padri si rinchiude.
In mezzo all' ocean gitt natura
I due rivali popoli su questa
Tavola in parte disugual divisa,
E a fame acquisto gli eccit. Confine
Solo la Tweda con angusto letto
Tra i bellicosi spirti, e il sangue spesso
De' combattenti ne fe' rosse l'acque
Di ferro armati dalle opposte rive
Gi da mill'anni minacciosi in atto
Stansi guastando. Alcuno ancor non sorse
Nemico a danno d'Inghilterra a cui,
Non saggiungesse lo Scozzese, e mai
Fin or non divamp civile incendio.
Tra, le citt di Scozia, che il Brittanno
Non l'attizzasse. N mai fia che tanto
Odio si spenga infin che con fraterno
Nodo gli unisca un parlamento e un regno.
CEC. E tanto ben dovrassi a una Stuarda!
MAR. Perch il degg'io negar? S, lo confesso,
Liberi e lieti dell' ulivo all' ombra
I due popoli invitti unir sperai. N dell' odio comun vittima farmi
Ebb'io, temenza, allor che dolce nacque
In me lusinga di troncar le eterne
Loro gare golose e la tua funesta
Fiamma smorzar della discordia antica,
E come il mio grandavo Riccamundo,
Dopo aspra lotta, ad accoppiar giugnea
Le due rose, io sperava le corone
Di Scozia e dAnglia insiem comporre in pace.
CEC. A questa meta per tristo cammino
Correvi tu mettendo a fuoco il regno
Onde salirne tra le fiamme al soglio.
MAR. Ci non volli io - m testimonio il cielo!
Come volerlo? Dove son le prove?
CEC. Qui non venni a piatir, ch fora indarno
Ogni disputa omai. Quaranta voti
Contro due soli giudicano infranta
Per te la legge, gi bandita a un anno,
Che dove sorga moto dritto nel regno
A pro di tal, che dritto alla corona
Osi vantar, contro di lui simprenda
Tosto il giudizio, e si persegue a morte
E perch ci provato
MAR. Io ben maccorgo
Che contro me tal legge or si ritorce,
Solo creata per la mia ruina.
Quanto infelice chi dannato viene
Dal giudice, che fatto anco ha la legge!
Negar puoi tu che in danno mio dettato
Quelleditto non fosse?
CEC. Erati avviso
E in tuo danno lhai velato. Innanzi ai passi
Schiuso labisso tu vedesti, e, in vano
Ammonita a camparne, entro a suoi gerghi
Ti gettavi a tua posta. A te palesi.
Di Babington le trame e deglinsani.
Suoi seguaci eran tutte, e tu gli stami
Della congiura dal tuo carcer stesso
Volgevi.
MAR. Quando lo fecio? Le prove?
CEC. non molto al tribunale in faccia
Date ti furo.
MAR. Quelle daltrui mano
Mentite scritte! Chi prov chio stesso
Le abbia vergate, o le dettassi quali
Lette mi furo?
CEC. Anzi il motit chiarille
Pur veritiere Babington.
MAR. Forsegli
Vivo fu tratto al mio cospetto innanzi?
Onde tal fretta di troncar sua vita
Pria che pormelo a fronte?
CEC. Curlo e Navo
Scrittori tuoi, da te giurar dettati
Que fogli stessi.
MAR. Ed io de servi miei
Sono dannata sulla fe? de servi,
Che traditori della lor regina,
Mancan di fede in quel medesimo istante
In che fan fede contro lei?
CEC. Tu setssa
Curlo scozzese dipingevi uom degno
per interezza di costumi e senno.
MAR. Tal lo conobbi - Ma il periglio il solo
In cui delluomo la virt si provi.
Forsanco indotto dai tormenti ei disse,
O confermo cose ignorate! Speme
A ci lo spinse di salvar suoi giorni
E nuocer poco a me regina.
CEC. Ai detti,
Libero appieno, il giuramento aggiunse.
Non nel cospetto mio - Ma ancor serbati
Son essi in vita! Innanzi a me, signore,
Sian posti; in faccia mia ripetean essi
Quanto attestar! Perch un favore, un dritto
Si niega a me, ch allassassin concesso?
Un editto band chi appunto or regge,
E talbot mel dicea, gi mio custode,
Per cui laccusatore posto a fronte
Dellincolpato. Intesi io l ver? - Leale,
Powlet, ti vidi io sempre, e tal ti mostra.
Dimmi sullonor tuo: tal legge esiste
In Inghilterra?
POWL. Avvi, signora. dritto
In questo regno. Io non ascondo il vero.
MAR. Dunque se a danno mio tutto dispiega
Il suo rigor cotesta anglica legge,
Ond che apertamente sia negletta
Allor ch in mio favore? A me davante
Ch non si trasse Babington? - Rispondi!
Il vuol pur dritto? Ch non ambo i miei
Scrittori, che ancor vivono?
CEC. Signora,
Non indignarti. Non sol laccordo
Con Babington
MAR. Ma questo solo al brando
Or m'assoggetta della legge, e debbo.
Purgarmen'io. Non disviar, signore;
Al proposto rimanti.
CEC. Con Mendoza
Ibero ambasciator segrete trame
MAR. (1) Non disviar ripeto.
CEC. La credenza
Tu dello stato di mutar tentavi,
E tutti in armi d'Inghilterra a danno
D'Europa i regi suscitar -
MAR. Nol feci -
Ma fatto anco l'avessi? - Io qui cattiva
Contro ogni dritto delle genti or sono.
A questi lidi colla spada in mano
Non venni io gi, ma supplice implorando
Un asilo ospitale a una regina,
A una congiunta in sen - Catene, oltraggi
Ebb' io l dove ogni favor sperai-
Or di', qual deggio io fede a questo regno?
Qual mi stringe dover verso i Britanni?
Se di spezzare questi ceppi io tento,
Sacro ne ho il dritto, ed'oppor forza a forza,
E muover tutto in mio soccorso il mondo.
Tutti giustizia mi concede i mezzi
Cavallereschi d'onorata guerra:
Sol l'assassinio e l'opere di sangue
Celatamente usate mi divieta
Orgoglio e religione. Eterna macchia
[1] Con vivacit.
Dall'assassino mi verrebbe, e fora
D'infamia, intendi ben, d'infamia oggetto,
Non di giudizio e di condanna mai;
Ch tra il regno britanno e me non lice
Parlar di dritto, ma solo di forza.
CEC. (1) Non appellarti alla ragion del forte,
Tremenda ahi troppo a chi tra' ceppi avvinto!
MAR. Essa possente, e debile son io -
Ebbene usi la forza; alfin mi uccida;
Un'ostia immoli al suo timori ma almeno
A ci condotta dal poter si dica,
Non da giustizia mai. L'augusto brando
Non usurpi alle leggi a tor di vita
L'odiata rival, N sotto il velo
Del venerando dritto asconder osi
Di rozza prepotenza opra crudele.
Con s turpi menzogne non s'attenti
Di deludere il mondo! Essa ben puote
Farmi scannare, giudicar non mai!
D'accoppiar cessi di virt col santo
Aspetto i frutti del delitto, e alfine
Quale in se stessa anche di fuor si mostri.
SCENA VIII.
CECILIO, POWLET
CEC. Ella ne incita, Amicio - e tal fia sempre,
Anco salendo il feral palco - vano
[1] Con espressione.
Ad atterrire quell'indomit'alma
Il decreto di morte - Hai tu veduto
Una lagrima sorgerle sul ciglio? Forse il suo volto di color mutossi?
Nostra piet non chiede. Ancor s'affida
Nell'esitar della regina, e tragge
Essa ardimento donde a noi vien tema.
POWL. Ove fia tolto ogni pretesto a lei
Sua vana audacia sparir pur anco ...
Ma, se dir lice il ver, di mende scevro
Non il giudizio suo, ch a fronte posti.
Di lei non furo gli scrittori suoi,
N Tichtboren, n Babington.
CEC. Mal cauto
Era il farlo, o Powlet, ch grande troppo
La sua possa sull'alme, e assai pi vale
Di donna il pianto. Innanzi a lei chiamato
Curlo a far fede onde il suo viver penda,
Tosto il vedresti titubante, incerto
Negar quanto gi ammise e ritrattarlo -
POWL. Ma d'Inghilterra ogni nemico intanto
Andr assordando di querele il mondo,
Odio contressa suscitando e guai;
E il solenne apparato del giudizio
Taccia otterr di temeraria colpa.
CEC. E ci addolora la regina. Oh fosse
Questa madre di guai perita almeno
Pria che il piede ponesse in questa terra!
POWL. Il fosse pure!
CEC. O lento morbo i suoi
Giorni avesse nel carcere consunti!
POWL. Da tante traversie non fora oppresso
Or questo regno no.
CEC. Ma bench spenta
Da naturale evento, a noi pur sempre
Verrebbe accusa d'assassinio.
POWL. vero:
Ma chi ad uomo frenar, non che la mente,
Puote la lingua.
CEC. Meno audace fora
Il sussurrar, n rimarria pur prova,
Se
POWL. II mormorar che importa! Non si curi. Si dee temer delle censure giuste,
Dell' altre no, che non arrecan danno.
CEC. Oh non isfugge la giustizia anch'essa
Della calunnia al cinguettar procace!
Sempre ha favor lo sventurato, e segno
dell' invidia ai morsi ognun, che stringa
Vittorioso alla fortuna il crine.
Ornamento viril di Temi il brando,
Oggetto dodio in man di donna, e ingiusta
Ognor l'estima il mondo, ove l'impugni
Contro altra donna. A giudicarla il retto
Sentir di nostra coscienza indarno
Seguimmo noi, ch la regina il dritto
Ha di far grazia, e il debbe usare. In lei
Fora durezza insopportabil troppo
Della legge al rigor lasciare il corso.
POWL. Dunque
CEC. Dunque soffrir che costei viva? -
Vivere no - non mai! - Ma questo appunto
Ci che il cuor ange alla regina, e insonni
Rende sue notti - Nel suo volto io leggo
La tempesta che dentro la flagella.
Delle interne sue brame non ardisce
Farsi interprete il labbro, ma col muto
Suo sguardo esprime appien quanto ella chiede:
Non avvi alcun tra i servi miei, che vaglia
A tormi omai dall' odiosa eletta,
Di tremar sempre sul mal fermo soglio,
O spinger cruda sotto le bipenne
Una regina, una congiunta mia?
POWL. Necessitade il vuol; non v'ha riparo.
CEC. Ben v'avrebbe, ella crede, se pi accorti
I servi
POWL. Accorti!
CEC. Se il suo muto cenno
Leggendole nellalma
POWL. Muto cenno!
CEC. N, se lor fosse velenosa serpe
Data in custodia, di s reo nemico
Qual di sacro tesoro avesser cura.
POWL. (1) Sacro tesor della regina il nome
E lincolpata fama; e mai non sono
Guardati troppo!
CEC. Allor che a Talbot tolta
Fu la Stuarda ed a guardarsi data
Al cavalier Powlet, fu avviso
POWL. Avviso
Fu, spero, di fidar s grave incarco
[1] Con voce significante.
A purissime man. Ch se, per Dio!
D'uopo non era a ci il miglior del regno,
Questo ufficio di sgherro io non m'avrei
Tolto. Deh non voler che ad altro io debba
Che al mio buon nome s gelosa scelta!
CEC. Grido si sparge, ch' ella gi vien meno
E pi langue ogni d; poi, che in quiete
Alfin chiuse ha le luci - Andr con essa
La sua memoria spenta, e insiem fia integra
La fama a noi.
POWL. Ma noi sar del pari
La coscienza mia.
CEC. Se la tua mano
Nieghi prestar, non torre almeno ch' altri
POWL. Certo non fia che queste soglie varchi
Sicario alcuno In fin che di mia casa
La proteggon gli Dei. M' la ma vita
Sacra cos che non l' pi l'augusto
Capo della regina. Voi, voi siete
I giudici! Spezzate voi la verga!
E quando tempo giunga coll'accetta
Il legnajuolo ad innalzarle il palco -
Per lo sceriffo e il giustizier le porte
Del castello apriransi. Ora alla mia
Fede commessa, e guarderolla, il giuro,
S ch'altri a lei, n ad altri ella mai noccia!
ATTO SECONDO.
SCENA I.
Gran sala.
KENT e DAVISON incontrandosi.
DAV. E che? S presto dal torneo ritorni?
compiuta la festa?
KENT Spettatore
Non fosti tu della tenzone illustre?
DAV. Del ministero mio 'l vietar gli incarchi.
KENT Il pi vago spettacolo, che possa
Ingegno imaginare, e nobil arte
Con decoro eseguir, perdesti - Ascolta!
Della Bellezza alla pudica rocca
Muove assalto il Desio. Stanno attelati
Alla difesa il giudice supremo
Del regno, il siniscalco, ed altri dieci
Campion della regina. I guerrier franchi
Vanno alle offese. Avanzasi un araldo
E in culte rime la disfida intima.
Cui dalle mura il cancellier risponde.
Comincia il trar degli artiglieri, e un nembo
Scaglian di fiori e d'odorose essenze
Da gentili bombarde. tutto indarn!
Gli oppugnatori son respinti, e il campo
Abbandona il Desio.
DAV. Sinistro augurio
Per gli sponsali cui la Francia agogna.
KENT Quest' da gioco lo ferma ho in cor speranza,
Che alfin la rocca arrendersi pur debba.
DAV. Il credi tu? Non io di certo.
KENT Accorda
Gli ardui patti la Francia, e usente omai
L'augusto sposo di serbar suo culto
In privata cappella, e a quel del regno
Favor promette e pubblico rispetto -
Oh! le veduto avessi tu l'ebbrezza
Di gioja onde fu il popolo compreso
A tal novella! Egli temea che un giorno
Morendo, orba d'eredi, la regina
Salisse al soglio la Stuarda, e seco
L'Anglia tornasse nel roman servaggio.
DAV. Vano timore! - Elisabetta al fausto
Talamo andranne, o la Stuarda al palco.
KENT Vien la regina.
SCENA II.
ELISABETTA condotta a braccio da DUDLEO, TALBOT, CECILIO, ALBASPINA, BELLIEVRE, corteggio di grandi del regno e cavalieri francesi.
ELIS. (1) Assai, conte, mi duole
Di questi egregi cavalier, che tratti
Qui, d'oltre mare da gentil vaghezza,
Non vi trovaro lo splendor, che abbella
Di San Germano la famosa corte.
Non io la pompa di divine feste
So imaginar, come leccelsa mente
Della regal madre di Francia - lo solo,
Non senza orgoglio offrir posso a' stranieri
Lo spettacol d'un popolo che lieto
E costumato, ove mi mostri a lui,
A benedirmi affollasi d'intorno
Alla lettiga mia. Me offuschi pure
E i pochi merti miei l'alto ornamento
Delle illustri donzelle, onde la chiostra
Di bellezza sinfiora a Caterina.
ALB. L'attonito stranier solo una donna
Di Westminster ammira entro la corte;
Ma quanti han pregi nel leggiadro sesso
Tutti in quest' una trovansi raccolti.
BELL. Alma regina de' Britanni, or lascia
[1] Ad Albaspina.
Che da te m'accomiati, onde felice.
Col sospirato annunzio io render possa
Il mio signor. L'insofferente brama
Del suo fervido cuor non gli permise
Di starai entro Parigi, e il lieto avviso
Di sua fortuna attende in Amiens. Stanno
A Cal pronti i messaggier, che all' ebbre
Orecchie sue su velocissim'ale
Rechino il s della regal tua bocca.
ELIS. Vano linsister, conte. Anco il ripeto,
Or non tempo in che l'allegre faci
Ardan d'Imene. Spiega orrido nembo
Su questa terra i tenebrosi vanni,
E la veste di lutto or mi s'addice
Pi che la pompa nuzial, Vicino
troppo il colpo, che al mio cuor sovrasta
Orribilmente, ed alla casa mia.
BELL. Solo la tua promessa or ci conforti,
E in d migliori compimento ottenga.
ELIS. Schiavi di lor grandezza, i propri affetti
Seguir non ponno i re. Dolce speranza
Erami sempre di morir donzella;
Ed alla gloria mia bastava un sasso
In cui leggesse il pellegrin: Qui giace
Della vergin regina il mortal velo.
In van! ch il popol mio lo mi divieta,
E vigile anzi tempo al giorno intende,
In cui fia tronco di mia vita il filo -
Non basta no che a questo regno arrida
Ora propizio il cielo, alla futura
Felicit de' miei vassalli io deggio
Sacrificare il mio tesor pi caro,
La virginal mia libertade, e impormi
Da me stessa un signor. Dirmi essi vonno
Ch'altro io non son che donna; eppur credei
Reggere anch'io com'uomo e re l'impero.
Dio mal servesi, il so, se di natura
L'ordin supremo s'abbanbona; e laude
Avranno i miei predecessor, che, schiusi
I chiostri, mille vittime d'insana
Divozion tornaro ai dover sacri
Che natura segn. Ma una regina,
Che in ozioso contemplar non perde
I giorni suoi, che infaticabil sempre
Senza lagnarsi il pi difficil compie
D'ogni dovere, esser non dee soggetta
A quel bisogno, che met del mondo
Rende schiava dell' altra-
ALB. Ogni virtude
Hai tu sul trono resa illustre.
Or solo Ti resta che del sesso, onde sei gloria,
Ti facci esempio in ci che il pi pregiato
Merto ne forma. Ben ver che in terra
Non vive uom degno che tu debba omaggio
Fargli di libert; ma se natali,
Vero valor, maschia bellezza e grado
Posson mertare ad un mortale il vanto
ELIS. Assai di Francia con sua man m'onora
Un regio figlio. Schiettamente l'alma
Io ti disvelo. Se avvenir pur debbe
Se a' miei sudditi alfin ceder m' forza,
Che di me stessa io temo assai pi forti,
Prence miglior non ha l'Europa a cui
Meno io ripugni consacrare il mio
Tesor pi caro, libert. Ti basti
Ch'io tanto assevri omai.
BELL. Bella speranza,
Ma non si pasce il signor mio di speme -
ELIS. Che vuole ei pi? (1) Non' fa ch'abbia regina
Su volgar donna privilegio alcuno?
Un legno istesso egual servaggio addita,
Doveri eguali. Dall'anello stretti
Son maritaggi, e le catene inteste
Sono d'anella - Questo dono arreca
Al tuo signore. Ancor non catena;
Non avvincemi ancor, ma tal pu farsi
Ond'io per sempre a libert sia tolta.
BELL. (2) In suo nome a' tuoi pi, regina eccelsa.
Ricevo il dono e sulla mano imprimo
Della sovrana mia bacio d'omaggio.
ELIS. (3) Conte, permetti. (4) Di tal fregio cingi,
Com io fo teco, il tuo signore. Ai sacri
Dover dell' ordin mio la f n'impegno:
[1] Togliesi un anello dal dito e lo guarda pensierosa;
[2] Singinocchia e riceve l'anello.
[3] A Dudleo nel quale aveva tenuti gli sguardi dicendo le ultime parole.
[4] Toglie a Dudleo il nastro tirchino e lo mette e Bellievre.
Vituperato sia chi mal ne pensa.
Tra i due popoli or sgombri ogni sospetto,
E insieme un nodo d' amistade eterna
Stringa di Francia e di Brettagna i serti.
ALB. Giorno di goja, alta regina, questo!
Per tutti il fosse almeno, e non gemesse
In quest'isola alcun! Grazia sfavilla
Dalle tue luci. Solo abbiane un raggio
La sventurata principessa a cui
Legame egual Francia e Inghilterra unisce!
ELIS. Conte, non pi. Male confondi cose
Fra loro opposte. Se alleanza vera
Meco desia la Francia, ogni mia cura
Con me divida ancor, n a miei nemici
Porga favore -
ALB. Agli occhi tuoi di spregio
Degna sarebbe, se infelice donna,
Vedova d'un suo re, con essa unita
Di fede abbandonasse in questo accordo.
Lumanit, lonore
ELIS. In questi sensi
Sapr dar prezzo al suo pregar. La Francia
Obbligo compie d' amist. Concesso
A me fia d'adoprar come regina. (1)
[1] S'inchina verso i cavalieri francesi, che si allontanano rispettosamente, poi siede.
SCENA III
ELISABETTA, DUDLEO, TALBOT, CECILIO.
CEC. Oggi del popol tuo gli ardenti voti,
Grande regina, tu coroni. giunto
Il sospirato istante in cui si possa
Gioir pei fausti d, che ci prepari.
Svan il timor d'un torbido avvenire:
Solo una cura conturbar pu il lieto
Destin di questa terra. Il comun grido
Una vittima chiede, e se l'accordi
Sar felice l'Inghilterra appieno.
ELIS. Che pi brama il mio popolo? L'esponi.
CEC. Della Stuarda il capo - Se ti cale
Di far sicuri a' tuoi vaBsalli il sommo
Dono di libert, del vero il lume
A s gran prezzo compro, uopo che cada.
Se pe' tuoi giorni preziosi eterno
Esser non debbe il timor nostro, pera
Questa nemica alfin. Tu sai che un solo
Pensiero ancor non cape entro le menti
Dei divisi Britanni, e molti alberga
Venerator quest'isola secreti
Della romana idolatria. Nemiche
Brame covando, di costor son tutte
Volte le cure alla Stuarda, e in lega,
Stan co' fratelli di Lorena, acerbi
Del nome tuo nemici. Orrida guerra
Sterminatrice a te giur la trista
Furibonda genia, che nelle oscure
Fraudi d'averno ha sua fidanza intera.
A Rems, del porporato nell'infida
Pastoral sede, la fucina in cui
Stan di morte le folgori temprando,
E son le genti al regicidio istrutte -
Il fanatismo, a conturbar di questi
Lidi la pace, mission feroci
Di l spinge indefesso, e forsennati
In mille vesti ascosi. A noi gi il terzo
Sicario giunse dall'infame terra;
E segreti nemici mai non cessa
Di vomitar quel baratro Inesausto,
Vive in Fortheringhay l'Ate, che attizza
Colla face d'amor di questa eterna
Guerra lincendio, onde Brettagna avvampa.
Maestra di lusinghe, a certa morte
Spinge per lei la giovent sedotta -
Dell'impresa il pretesto liberarla,
Lo scopo vero d'inalzarla al soglio;
Ch questa razza di Lorena i tuoi
Sacri dritti non cura, e te del trono
Usurpatrice appella, incoronata
Dalla fortuna - Il lor consiglio indusse
L'insana ad usurparsi il titol vano
Di regina degli Angli. Indarno pace
Fora sperar colla sua schiatta mai!
Soffrire il colpo o darlo t pur forza.
Sua vita a te, morte tua vita a lei!
ELIS. Uffizio tristo il tuo. Conosco i puri
Moti dell'alto zelo, e il senno apprezzo
Onde son gravi i detti tuoi, ma abborro
Nel pi addentro dell' alma ogni consiglio
Che sia di sangue. A suggerirmi attendi
Pi mite avviso - II tuo sentir palesa
Or tu, nobil Talbot!
TALB. Mertata laude
Ebbe lo zelo onde s'accende il petto
Fedele di Burgley, ma non men fido.
Bench'io non abbia s facondo il labbro,
In questo seno batte un cuore. Oh viva
Tu lunghi giorni, acci durevol sia
Del popol tuo la gija, e la serena
Pace di questo regno! Altra non vide
Et miglior quest'isola beata,
Dacch a servire a suoi monarchi apprese.
Ma tolga il ciel, che della gloria a prezzo
La sua felicit si compri, o chiusi.
Esser di Talbot pria possano gli occhi,
Se pure il debbe!
ELIS. Non sar che macchia
Giammai deturpi la sua fama.
TALB. E d'altro
Meno dunque t' d'uopo onde si salvi
Or questo regno - poich ingiusto troppo
Fora il dar morte alla Stuarda. Mai
Lecito a te non fia di dar sentenza
Sovra il suo capo, che non t' soggetto.
ELIS. Il mio consiglio, il parlamento' e tutti
Dunque ingannarsi i tribunali del regno,
Che m'han tal dritto d'un parer cocesso?
TALB. Parer di molti non sempre al dritto
Scorta sicura. Non l'Anglia il mondo,
N il parlamento l'assemblea di tutto
L'uman legnaggio. Tale or l'Inghilterra
quale non fu pria n sar poi,
E de' giudizi il fiutto instabil siegue
De' nostri affetti l'alternar frequente.
Non affermar che ti fia forza a dura
Necessit piegar la fronte, e al fermo
Insister d'el tuo popolo, ch, dove
Tu il voglia, appien se' libera, e puoi farne
Mostra ogni istante. Provalo. Proclama
Che sangue abborri, che veder vuoi salva
La suora tua. L'ira regal tua vera
Abbia chi ad altro ti consiglia; e tosto
Vedrai qual lampo scomparir la dura
Necessitade e iniquo farsi il giusto.
Tu stessa devi giudicar, tu sola.
Non affidarti a cos fievol canna.
Siegui gl'impulsi di piet. Non pose
Iddio rigore in cuor molle di donna.
E chi fondava questo regno e a parte
Volle del soglio anche le donne, appieno
Mostr che in questa terra esser non debbe
Virt de' regi la soverchia asprezza.
ELIS. Della nemica de' Britanni, e mia
Di Salesbury il conte aperto troppo
Sostenitor. Io m'abbandono al senno
Di chi felici i giorni miei pi brama.
TALB. Le si ricusa un difensor; non osa
Aprirsi un labbro ad impetrar per lei.
Ed esporsi al tuo sdegno - Almen concedi
Ad uom d'anni gi carco, a cui terrena
Speme non puote rare inganno omai
Sull'orlo della tomba, che si accinga
La deserta a proteggere. Non dica
Il mondo no, che alta levasser voce
Solo egoismo e passione, e muta
Stesse piet nel tuo consiglio. Tutto
Cospira a' danni suoi o Tu stessa ancora
Non l'ammettesti al tuo cospetto, e nulla
Per la straniera ti favella al cuore -
Non difendo lerror. Fama che a morte
Il marito traesse. All' assassino
Dar poi si vide la sua mano. questo
Delitto atroce in ver, ma che seguia
In cieca notte d'infelici tempi,
Di civil] guerra fra gli orrori. Cinta
Da violenti indomiti vassalli,
Del pi audace di lor gittossi in braccio -
Vinta chi sa da quali arti malvage!
Ch per natura sua debile donna.
ELIS. Debile! Non vero. Alme robuste
V'hanno tra noi - Non s'oda a me dinanzi
Apporci nota di fralezza mai
TALB. Dura maestra a te fu sorte avversa.
Nel suo aspetto ridente a te la vita
Non venne incontro. Tu da lunge un trono
Non rimiravi, ma a tuoi pi la tomba.
Delle sciagure nella scuola ai primi
Doveri della vita Iddio clemente
Verso i Britanni ti educ fra i crudi
Orror di Vodstoc e del Tower, dove
Adulator non ti cerc. Dal vano
Mondan tumulto non turbato, apprese!
Ivi il tuo spirto a meditar, raccolto
Tutto in se stesso, e ad apprezzar ci solo
Che della vita vero ben - Ma alcuno
Nume non fu, che soccorrevol mano
Porgesse a quella misera. Fanciulla
Fievole ancora trapiantata in Francia,
Vi crebbe all' ombra di corrotta corte,
In ozio molle e spensierata gioja.
D'assidua ebbrezza in quell'asil, l'austera
Voce tuonar mai non ud del vero;
E del vizio allettata alla dole' esca
Nella corrente dell' error fu tratta.
Ricca del dono di bellezza vana
Ogni altra donna col lustro vincea
Del sembiante non men che de' natali
ELIS. Conte! riedi in te stesso, e ti rammenta
In qual consesso or siedi. Oh! pi che umane
Certo esser denno s laudate forme,
Se in cor di vecchio tanta fiamma han desta -
Leicester, tu se' il sol che taccia. Inceppa
Forse a te il labbro ci che in costui vale
A renderlo facondo?
DUDL. Io fin or tacqui
Maravigliando, che di tai spaventi
S'empian le orecchie tue, che queste fole,
Ond' atterrito per le vie di Londra
Il credul volgo, salgano all' auguste
Sedi del tuo consiglio, e i pensier gravi
Giungano ad occupar d'uomini illustri.
Stupor prendemi invero che cotesta
Regina della Scozia, lenza terra,
Inetta a conservarsi un piccol trono,
Scherno de' suoi, del proprio suol rifiuto,
Dalla prigione sua diventi a un tratto
Il tuo terror - Ond' per Dio che tanta
Tema tu nabbia? Perch a questo soglio
Osa vantar pretese, e i Guisa audaci
Te negano regina? E fia che valga
Inutil vanto a menomar que' dritti,
Che dalla culla tu sortisti, e giusto
Il parlamento conferm. D'Arrigo
Tacitamente dal volere estremo
Esclusa ella non fu? Vorr il Britanno,
Lieto or de' nuovi ricovrati lumi,
Darsi di Roma a questa schiava in braccio?
E te, de' voti suoi sublime obbietto,
Te sua regina abbandonando, farsi
Suddito all' omicida di Darnley?
Molesto troppo il domandar di questi
Irrequieti spirti, che un erede,
Te vi va ancora, van chiedendo, e cura
Hanno soverchia d'affrettar tue nozze,
Perch sien salvi omai la chiesa e il regno.
Non se' tu nel vigor de' tuoi verd'anni,
Mentre ogni d languendo ella declina
Verso la tomba? Ben sperar mi lice
Che lunga pezza ancor sul suo sepolcro
Passeggerai, senza che dentro a forza
Ve la sospinga la tua man. -
CEC. Del conte
Non era tale in altri d l'avviso.
DUDL. vero. Il voto anch'io per la sua morte
Diedi nel tribunal; ma qui diverso
Or il mio favellar, ch non del dritto
Ma dell' utile solo qui consiglio. Tempo forse di tema or che la Francia,
Unica sua speranza, l'abbandona?
Or che il germe regal colla tua mano
A bear pensi, e a questo regno arride
Dolce lusinga di novella schiatta?
A che ucciderla dunque? Ella gi spenta;
Ch morte vera lo disprezzo. Guarda
Che la piet non la richiami a vita!
mio consiglio, che in vigor rimanga
La sentenza, che il suo capo proscrive. V
iva, ma del carnefice la scure
Ognor le penda sovra il collo, pronta
A piombar, dove un ferro anco si snudi
A pro di lei
ELIS. (1) Signori, i parer vostri
Intesi, e a grado n'ho lo zelo. Or fia.
[1] S'alza.
Sola mia scorta Iddio, lume de' regi,
Perch il migliore tra i partiti io scelga.
SCENA IV.
ELISABETTA, DUDLEO, TALBOT, CECILIO, POWLET, MORTIMERO.
ELIS. Amicio vien.
Nobil signor, che rechi?
POWL. Gloriosa regina, ai patri lidi,
Dopo errar lungo per estranie terre,
Reduce alfine a' piedi tuoi si prostra
Il mio nipote, e a te rende tributo
Del giovanil suo omaggio. Tu benigna
L'accogli, e lascia che del tuo favore
Ei cresca all' ombra.
MORT. (1) Lunga vita il cielo
Alla regina mia conceda, e unite
Gloria e felicit faccian corona
All'augusta sua fronte!
ELIS. Alzati, e sii
Il ben tornato in Inghilterra. Lungo
Cammino hai fatto. Il franco regno e Roma
Da te fur visti, e in Rems fatta hai dimora.
Narrami or quali de' nemici nostri
Sieno le trame.
MORT. Tutti li confonda
[1] Inginocchiandosi.
L'Onnipossente, e tornar faccia al petto
De' propri arcier gli strali tratti a danno
Dell' alta mia regina.
ELIS. Hai tu veduto Morgan, e il tristo tessitor d'inganni
Pastor di Ros, Lesleo?
MORT. Tutti conobbi
I proscritti di Scozia, che in segreto
Vanno tramando contro l'Inghilterra
Di Rems entro le mura. Io seppi destro
La confidenza guadagnarne, i rei
Loro artifizi a disvelare intento.
POWL. E n'ebbe in cifra lettere segrete
Per la Stuarda, che con man fedele
Egli ne reca.
ELIS. Or dimmi, quali ordendo
Vanno fraudi recenti?
MORT. Alla novella
Che, cogli Inglesi a collegarsi pronta,
La Francia gli abbandona, come colti
Da fulmine restaro, ed alla Spagna
Ogni lor speme ora hanno volta.
ELIS. Avviso
N'ebbi da Valsinganno.
MORT. A Rems pervenne
Prima del mio partire l'anatema,
Dal Vaticano contro te scagliato
Dal pontefice Sisto; e a questi lidi
Col primo legno giugner.
DUDL. Pi l'Anglia
Non ha timor di queste armi spuntate.
CEC. Ma terribili in man del fanatismo.
ELIS. (1) Fosti accusato di mutata fede,
Di Rems le scuole frequentando.
MORT. vero
Ne fei sembiante. A tanto mi condusse
La brama di giovarti.
ELIS. (2.) Che mi rechi?
POWL. questo un foglio che per me tinvia
La regina di Scozia.
CEC. (3) A me quel foglio.
POWL. (4) Signor, perdona. Alle sue man m'impose
Di consegnarlo. Ognora ella m'appella
Nemico suo, ma sol de' suoi delitti
Sono nemico, e di buon grado accordo
Quanto dal dover mio non mi diparte. (5)
CEC. (6) Che pu lo scritto contener? Querele
Vane, che meglio fora al cuor pietoso
Della regina risparmiar.
POWL. Mistero
Non mea fece ella. Di veder l'aspetto
Della regina implora.
[1] Fissando Mortimero con occhio indagatore.
[2] A Powlet che le porge un foglio.
[3] Tenta di torgli di mano il foglio.
[4] Consegna il foglio ad Elisabetta.
[5] Elisabetta avendo preso il foglio lo legge, e intanto Mortimero e Dudleo si parlano in segreto.
[6] A Powlet.
CEC. (1) Nol fia mai.
TALB. E perch no? Cosa non chiede ingiusta.
CEC. Tal non merta favor questa di stragi
Istigatrice, che nel sangue anela
Della regina disbramar sua sete.
Chi alla sovrana sua fedel si serba
Porger non pu s perfido consiglio.
TALB. E se felice renderla disegna
La regina, vuoi tu di sua clemenza
Gli impulsi soffocar?
CEC. Essa dannata:
Sulla sua fronte pende la bipenne; E mal s'addice a maest regale
Di mirar capo destinato a morte.
Di compier la sentenza pi non lice
Dove la vegga la regina. solo
Di grazia apportatore il regio aspetto.
ELIS. (2) L'uomo che mai! Che mai mortal fortuna!
In che stato vegg'io questa regina,
Che fra il riso di splendide speranze
Era chiamata al pi vetusto trono
Del mondo cristiano, e alla festosa
Fronte gi in suo pensier triplice serto
Di cingere credea! Come mutato
il suo linguaggio da quel d che assume
D'Anglia lo stemma, e dalla adulatrice
[1] In fretta.
[2] Dopo aver letta la lettera ed essersi asciugata le lagrime agli occhi.
Turba di corte se nomar facea
Delle britannich'isole regina.
Perdonate, signore. Affranto ho il cuore
Dal duol che m'ange; e l'alma mia vien meno,
Imaginando come frale in terra
Ogni destino, e come ognor sovrasti,
Sovra il mio capo a traboccar gi pronta
Delle sciagure la terribil piena.
TALB. Regina! Iddio tocco t'ha il cuor. Deh segui
Del ciel la voce! Aspra gi fece ammenda
Della colpa sua grave. Abbia un confine
La dura prova. Alla prostrata porgi
La man pietosa, e come angel di luce
Scendi a sgombrar la tenebria di morte
Onde avvolto il suo carcere.
CEC. Resisti, Alta regina. Te laudabil senso
Di piet non disvii, Non dispogliarti
Del libero poter di acerre or quanto
Necessit consiglia. Pi non puoi
Assolverla o salvarla. Ah dunque sfuggi,
Sfuggi, regina, l'odiosa taccia
Di voler con trionfo dileggiante
Nella vittima tua pascere il guardo!
DUDL. Dai confin nostri non usciam, signori.
saggia Elisabetta, e non ha d'uopo
D'altrui consiglio fra i partiti opposti
A scegliere il miglior. Delle regine
L'abboccamento nulla ha di comune
Col tribunal. Dannata hanno Maria
D'Anglia le leggi, non d'Elisabetta
La volont. Di sua magnanim'alma
Degno che segua del pio cuor le voci,
Mentre alla legge il suo rigor rimane.
ELIS. Ite, signori o Mio sar 'l pensiero
Di conciliar quanto piet reclama
Con quanto vuoi necessit. Per ora
Partite - (1) Mortimer vo' favellarti.
SCENA V.
ELISABETTA, MORTIMERO.
ELIS. (2) Nella tua verde et saldo ardimento
Tu mostri, e cauto, sai frenar te stesso.
Chi s per tempo la scabrosa apprese
Arte del simular di laude degno,
Ed accorciati ha della prova gli anni.
Ad opre eccelse il tuo destin ti chiama.
Io tel predico; e a tua ventura ascrivi
Che compier posso i miei presagi io stessa.
MORT. Quanto io son, quanto io valgo, alta regina,
Tutto offro a' cenni tuoi.
ELIS. Di questa terra
Tu conosci i nemici. Eterno l'odio
[1] A Mortimero, che alla porta per uscire.
[2] Dopo averlo attentamente considerato per qualche tempo.
Che mhan giurato. Non ristanno i vili
Dai loro propositi sanguinosi. Il cielo
Mi protesse finor, ma la corona
Vacillerammi mal sicura in fronte
Finch iva colei che ne alimenta
Laudace speme, e al fanatismo insano
Porge pretesti.
MORT. A un cenno sol, se il brami
Essa gi non pi.
ELIS. Signor, la meta
Toccare io mi credea, ma del cammino
Sono al principio ancor. Le leggi sole
Usare, e monde conseservar di sangue
Volli le mani. La sentenza data:
Ma pur che giova? Or duopo che sadempia,
O Mortimeto. Da me LAnglia aspetta
Il comando ferale; e di sua morte
Tutto sul capo mio lodio ricade.
Debbo assentivi, e le apparenze insieme
Vorrei salvar. E il peggio ci!
MORT. Che importa?
Apparenza contraria non offende
Dove giustizia scorta.
ELIS: Non conosci
Tu il mondo, o cavalier! Giudica ei sempre
Da ci che sembra, non da ci che vero.
Vano sperar che del mio dritto appieno
Convinto ognu rimanga; e quindi cura
Aver deggio, cheterno dubbio avvolga
Qual nella morte sua parte mi prenda.
L dove il fatto doppio aspett assume
Son ministre le tenebre di schermo.
Partito incauto il confessar. Perduto
Mai non ci che non si lascia.
MORT. [1] Avviso
Dunque fora miglior
ELIS. (2) S certo il fora -
In te favella il mio buon angel. Segni,
Signor; finisci. Tu, tu appien comprendi
Quanto mestieri. Oh come dal tuo zio
Tu sei diverso!
MORT. (3) Al cavaliere aperte
Fors'hai le brame tue?
ELIS. D'averlo fatto
Ora mi duolo
MORT. Perdona al veglio. Gli anni
Indeciso lo rendono. A securo
Coraggio giovanil si addicon solo
Si ardite imprese.
ELIS (4) Posso io dunque
MORT. Il braccio -
Io presterotti. Come puoi, tu salva
La fama tua.
ELIS. Deh se un mattin, signore,
Tu mi svegliassi coll'annuncio: spenta
[1] Tenta scoprire lanimo di Elisabetta
[2] In fretta.
[3] Meravigliato.
[4] In fretta.
La tua nemica capital Maria!
MORT. Non dubitare di me.
ELIS. Quando tranquille
Esser potranno le mie notti alfine?
MORT. La prima luna i tuoi timor gi tronchi
Vedr.
ELIS. Signore, addio! Non ti sia grave,
Che tra il velo dell'ombre ti raggiunga
La gratitudin mia. De venturati
Nume il silenzio, e i pi soavi e saldi
Nodi son quelli che il mistero ordisce.
SCENA VI.
MORTIMERO.
Vanne, ipocrita trista! Io ti deludo
Come tu inganni il mondo.
Un merto teco
Lessere traditor! Ha la mia fronte
Di sicario limpronta? Hai tu veduto
Sedervi sopra orribile il delitto?
Fidati pur della mia mano, e inerme
Resti la tua. Piet bugiarda ostenta
In faccia al mondo, mentre in tuo secreto
Dell' assassinio a me il pugnal confidi.
Cos a salvarla giover l'indugio!
Tu prometti fregiarmi d'odori,
E m'additi da lunge i tesori,
Ch' io seguir con la brama non so
E se premio a me fosse lo stesso
Lusinghiero splendor del tuo sesso,
Nel rifiuto costante io sar.
Ahi meschina! e di che puoi far pago
Chi non mai di mercede fu vago
Per tal vanto che pregio non ha?
Troppo vili i tuoi doni io disprezzo:
In lei sola le grazie hanno vezzo,
In lei sola ha l'amor volutt.
Il pi caro piacer della vita,
Il piacere onde ognalma rapita
Solo ha seggio in quel candido sen.
In lei sola la gioja pi pura
E il pi santo desir di natura,
Che n'infiamma d'un raggio seren;
Quando i cor si confondono insieme,
L'un dell' altro diventa la speme,
E sinebbria di fervido amor
Ah giammai non fu dato a te il tanto
Di goder d'un bel viso all'incanto
Di serbar dolce piaga nel cor!
Attender deggio il conte, e dargli il foglio.
Ingrato incarco! Io spregio queste Vile
Genia di corte. Io spezzar posso, io solo
Le sue ritorte, e averne voglio solo
Il periglio, la gloria e la mercede. (1)
[1] Mentre vuol partire incontra Powlet.
SCENA VII
POWLET, MORTIMERO, poi DUDLEO.
POWL. E che ti disse la regina?
MOERT. Nulla,
Nulla, signor, di grave.
POWL. (1) Mortimero,
Odi. Lubrico e infido il suol che premi,
Lusinghiero il favor de regi, e vaga
Donori giovent. Ma non tadeschi
Ambizion.
MORT. Tu stesso pur maprivi
Ladito della corte?
POWL. Non lavessi
Io fatto mai! ch da nostravi compro
Non fu lonore entro le corti. Indarno
Altri tenti sedurti. Abbiti a vile
Le grandi offerte, n bruttar giammai
La coscienza tua.
MORT. Quali sospetti?
Quali cure, signor?
POWL. Alle lusinghe
Della regian, che inalzarti a eccelso
Grado prometta, non prestar tu fede,
Negher poi se lubbidisci, e illeso
Il proprio nome serber volgendo.
[1] Fissando con occhio severo.
Sullassassin la comandata colpa.
MORT. Sullassassin? Che dici?
POWL. In van tu meco
Tinfingi moai. So di qual opra incarco
La regina ti die, ch volger spera
A suoi voler, pi che leta mia salda,
Tua giovinile ambizion. La fede
Nhai tu forse impegnata? Tu?
MORT. Mio zio!
POWL. S vero, ti maledico, ti rigetto
DUDL. (1) Signor, permetti chio breve favelli
Col tuo nipote. Di sua grazia dono
La regina gli fece, e impon chegli abbia
Libero accesso alla Stuarda. Piena
Nel leale suo cuore ella ha fidanza.
POWL. Fidanza? - In vero! -
DUDL. Che vuoi dire?
POWL. In lui
La regina riposa, ed io, signore,
Solo in me, solo in questi occhi veglianti.
[1] Entrando.
SCENA VIII
DUDLEO, MORTIMERO.
DUDL. (1) Che volge in mente il cavalier?
MORT. Lignoro -
L'improvvisa fiducia in me riposta
Dalla regina
DUDL. (2) Cavalier, fiducia
Meriti tu?
MORT. (3) Di Cosa or mi richiedi,
Signor, che di te stesso io saper bramo.
DUDL. Meco in segreto favellar chiedevi.
MORT. E tu giurami pria ch'io far lo possa.
DUDL. Chi di te massecura? Non t'offenda
Il sospetto. lo ti veggo in questa corte
Doppio sembiante sostener. Mentito
Forza che uno sia. Ma come scerre il vero?
MORT. Tale, signor, vegg'io di te.
DUDL. Chi il primo
Di noi si fider?
MORT. Chi meno arrischia.
DUDL. Questi appunto sei tu.
MORT. No, che un sol detto
D'uomo possente, qual tu sei, schiacciarmi
[1] Sorpreso.
[2] Indagando in Mortimero collo sguardo.
[3] Indagando ugualmente.
Pu in un istante, ed io contro il tuo grado,
Contro il favor che godi, io nulla posso.
DUDL. Oh mal t'apponi! Grande il mio potere
In corte in ver, ma in ci che alla tua fede
Io deggio abbandonar, men ch'altri valgo
In questa reggia; e fora assai liev'opra
Il rovinarmi al testimon pi vile.
MORT. Poich da tanta altezza a me s'abbassa
Il possente Leicester, n disdegna
Svelarsi meco, di me stesso io deggio
Pensar pi nobilmente, e di grandezza
Dargli un esempio.
DUDL. Il primo a me t' affida,
Ch'io pur farollo.
MORT. (1) Questo foglio invia
A te di Scozia la regina.
DUDL. (2) Zitto: Parla sommesso. Oh vista! Il suo ritratto. (3)
MORT. (4) Signore, ora ti credo.
DUDL. (5) Cavaliere,
Sai che contenga questo scritto?
MORT. Nulla
Io so.
DUDL. Ma pur t'avr narrato
[1] Tragge in fretta e consegna la lettera.
[2] Si scuote, prende la lettera e l'apre ansiosamente.
[3] Bacia il ritratto e lo considera muto ed estatico.
[4] Dopo averlo guardalo attentamente.
[5] Dopo aver letto la lettera.
MORT. Nulla
A me narr. Sol dissemi che aperto
Da te mi fora questo arcano; e in vero
Emmi un arcano che della Stuarda
Il nemico maggior, Leicester, uno
Infra i giudici suoi, d'Elisabetta
Il favorito, debba esser ministro
Or di salvezza fra' suoi tanti affanni
Alla regina - Eppur ci fia, ch in viso
Chiaro io ti scerno quali in cor nascondi
Alti sensi per lei.
DUDL. Pria mi palesa
Ci che s stretto al suo destin ti unisce,
E come sua fidanza in te riponga.
MORT. Signor, t'appago in brevi accenti. In Roma
La mia fede abbiurai; coi Guisa in lega
Saldamente mi strinsi, e alla regina
Di Scozia appien mi rese accetto un foglio
Del pastore di Rems.
DUDL. So che mutata
Hai tua credenza, e da ci vien ch'io possa
Fidarmi il te. Dammi la man, Perdona
I dubbi miei. Quanto m' d'uopo, in vano
D'esser cauto io procuro. Odianmi a gara
Valsingam e Cecilio, e stan vegliando
Onde cogliermi al laccio. Esser potevi
Di lor fraudi stromento a' danni miei.
MORT. Oh come uom si potente in questa corte
A rilento procede! Io ti compiango.
DUDL. Lieto riposo or d'un amico in seno,
E mi posso spogliar d'ogni ritegno.
Tu stupisci, signor, d'un mutamento
Tanto repente in ver Maria; ma, il giuro,
Mai non colpilla l'odio mio - Costretto
Dall' imperante potest de' tempi
Suo nemico divenni. Erami offerta
Da molt'anni, e tu il sai, quando, non anco
Fatta sposa a Darnley, cingeala intero
Di sua grandezza lo splendor. Respinsi
Incauto allor tanta fortuna, ed oggi
Prigioniera, sull'orlo della tomba,
Di lei vo in traccia della vita a rischio.
MORT. Nobile impresa.
DUDL. Assai cambiar le cose
Ora d'aspetto. Ambizion fu sola,
Che di giovin bellezza al dolce incanto
Insensibil mi rese. Allor minore
Di mia grandezza di Maria la mano,
Folle! credei, ch d'Anglia la regina
Di possedere ebbi speranza.
MORT. noto
Che anteponeati a tutti.
DUDL. Tali almeno
Fur le sembianze. Ed or dopo dieci anni
Di pazienza ed abborriti sforzi
Ah mi si spezza il cuor! D'uopo ch' io sfoghi
Il duol, che a lungo in petto vo covando -
Son creduto felice, ma se noti
Fossero i ceppi onde d'invidia oggetto
Son fatto altrui... Due lustri amari, indarno
Di sue vanezze all' idolo sacrai,
Reso giuoco servil de' suoi capricci,
Pari a quelli d'un despota, ludibrio
Di sue voglie bizzarre; ora ricolmo
D'allettanti carezze; ora respinto
Con aspro.orgoglio; tormentato sempre
Dalle lusinghe e dal rigor; guardato
Della sua gelosia cogli occhi d'Argo
Qual prigionier; come fanciul richiesto
A dar ragion dell' opre mie; qual servo
Vilipeso... Ah che in van tenta mia lingua
Pingere appieno questinferno!
MORT. Conte, Io ti compiango.
DUDL. E allor che omai la meta
Veggo vicina, il guiderdon m' tolto!
De' miei sudori il frutto altri mi toglie!
Giovine sposo or mi rapisce i dritti
Gi lungamente posseduti, e forza
M' di scendere alfin dall' alto leggio
Dove primiere fino ad or brillai.
N sol la man, ma il suo favore insieme
Tormi minaecia lo straniero. donna
Elisabetta, ed egli amabil troppo!
MORT. Di Caterina figlio. A buona scuola
Attinse l'arte d'adular.
DUDL. Si sperde
Ogni mia speme. Nel naufragio un legno
Io cerco almeno d'afferrare; e il raggio
Tornami a sfolgorar, che amico un giorno
Mi lusing. Limagin di Maria,
Nello splendor di sua belt, di nuovo
Mi venne incontro, I dritti lor ripreso
Hanno le grazie a giovent congiunte.
Non pi la fredda ambizion, ma il cuore
Fece il confronto, e appien conobbi il pregio
Del perduto tesoro. Inorridito
Lei veggo in braccio a crude ambascie, e tutta
Esserne mia la colpa. In me la dolce
Speme si desta di poterla ancora
Salvare e posseder. Per fido messo
Giungo ad aprirle i miei cangiati affetti;
E il foglio che recasti ora maffida
Del suo perdono, e insiem la man di sposa
Moffre se le catene io le disciolgo.
MORT. E nulla ancora a sua salvezza imprendi?
La sua condanna hai sopportato, e il voto
Desti tu etesso contro a lei di morte.
Fu mestier d'un prodigio, e che la luce
Del vero a me giungesse, a me nipote
Del suo custode. In Roma, entro le mura
Del Vaticano, il ciel dispor dovette
Il suo liberatore; e in van senz'esso
Tentata avrebbe infino a te la via.
DUDL. Oh quai non furo i miei tormenti! Tolta
Dal castel di Talbot fu chiusa allora,
Entro Fortheringay, sotto l'austera.
Custodia del tuo zio. Tutti serrati
Furmi gli accessi in fino a lei. Fu forza
Suo nemico mostrarmi al mondo in faccia.
Ma non pensar che inoperoso a morte
Trar la luciusi io mai. No: ferma in cuore
Speme sempre ho nutrita ed ancor nutro
D'impedir tale eccesso fin che aperta
Mi sia la strada di salvarla.
MORT. Pronta
la strada, signor. La tua fidanza
Merita contraccambio. Io voglio, io stesso
Farla libera omai. Questo lo scopo
Che qui m'addusse. Tutto gi disposto,
E il tuo saldo sostegno or mi rinfranca.
DUDL. Che di' tu mai? Mi fai tremar - Ma come? Vuoi tu?
MORT. Vo del suo carcere le porte
A forza aprir. Compagni ho all'opra, e pronto
DUDL. Hai compagni! - Oh me lasso, in quale abisso
Tu mi strascini! - E son costoro a parte
Del mio segreto?
MORT. Non temere. Ordito
Senza di te venne il disegno, e a fine
Tratto sara senza di te, le ferma
Ella non fosse nel voler te solo
Fabbro di sua salvezza.
DUDL. Esser possio
Sicuro appien che il nome mio non entri
Nella congiura?
MORT. La mia f n'impegno.
Ma donde mai tanti riguardi, O conte,
Nell'udir cosa, che a tuoi voti arride?
Salvare e posseder vuoi la Stuarda,
Amici bai pronti all'opra, inaspettati
Mezzi e sicuri ti dispone il cielo,
E tu, pi che piacer, ne mostri tema?
DUDL. Vana la forza. Perigliosa troppo
tale impresa.
MORT. Da temer non meno
Fora ogni indugio.
DUDL. Cavaliere, il credi,
Inopportuno il cimentarsi.
MORT. (1) Il fia
Solo per te che a possederla aspiri!
Noi salvarla vogliamo, e all'alme nostre
Senso ignoto il timor.
DUDL. Troppo t'affretti,
Inesperto garzone, ad ardua impresa
E di rischi ripiena.
MORT. E tu guardingo,
In quest'opra d'onor, troppo ti mostri.
DUDL. Io veggo i lacci onde siam cinti.
MOIRT. E tutti
Io di spezzarli ho fede.
DUDL. Un tal coraggio
demenza, furor.
MORT. Non valore
Questa prudenza tua.
DUDL. La fine ambisci
Dell' infelice Babiogton.
[1] Con sarcasmo.
MORT. Tu sdegni
Dell'invitto Norfolc seguir lesempio.
DUDL. Alla sposa Norfolc non si congiunse.
MORT. D'esserne degno egli mostrossi almeno.
DUDL. Se ci perdiamo, fia perduta anch'ella.
MORT. E col salverci essa riman cattiva.
DUDL. Tu non rifletti, non ascolti e serri
Col tuo cieco furor la via dischiusa.
MORT. La via che apristi tu? Quale? Che hai fatto
Per liberarla? - Come? E s'io pur fossi
Vile cotanto da vibrarle in cuore
Il pugnale omicida, come imposto
Fummi ed attende la regina, dimmi
Quale hai tu schermo per salvar sua vita?
DUDL. (1) E tale opra di sangue a te commessa
Ha la regina?
MORT. Ella s mal sua fede
In me ripose come in te Maria.
DUDL. E tu obbedirla promettesti?
MORT. Il mio
Braccio le offersi, acci compra non fosse
A tal uopo altra man.
DUDL. Saggio consiglio.
Avremo agio maggior. Mentre s'affida
Sull'opra tua di sangue, la sentenza
Ineseguita resta, e tempo intanto
Guadagniam noi.
[1] Sorpreso.
MORT. (1) No, il tempo anzi si perde.
DUDL. Ella di te fa conto, e assai scemato
Le fa 'l ritegno ad affettar clemenza
In faccia al mondo. Io destramente indurla
Sapr a veder la sua rivale, e assai
Di nuocerle il poter con ci fia tolto.
Bene apponsi Burgley. Pi la condanna
Non lice d'eseguire ove una volta
Vegga Maria - S vo' tentarlo. Tutto
Io porr in opra.
MORT. Ed a qual pro? Delusa
Se da me si conosca e in vita resti
Maria, non tutto come prima? Indarno
Fora sperar che caggiano i suoi ceppi
Ed altro ottenga, che di trarre i giorni
In perpetua prigion. Se dunque d'uopo
D'un risoluto colpo, a che l'impresa
Non cominciar da ci? Tu n'hai la possa.
De' tuoi molti castelli arma i vassalli,
E un esercito fatto. Molti amici,
Bench segreti, ha la Stuarda ancora.
D'Avardo e di Percy le illustri case,
Ricche d'eroi, sebben caduti i capi,
Stanno aspettando il generoso esempio
D'alcun possente. Omai, conte, deponi
Il simular, e apertamente adopra.
Da cavalier l'amata tua difendi;
[1] Impaziente.
Per lei pugna da prode. In tua balia,
Purch tu 'l voglia, Elisabetta avrai.
Opra fia lieve il trarla entro tue rocche
Dove gi spesso ti segu. Ti vegga
Ivi essa, uom risoluto, assumer tutto
Il tuo potere; e uscrne in van presuma
Finch non sciolga la Stuarda.
DUDL. Ah! dove
Cieco ardor ti trascina? I detti tuoi
M'empiono di spavento - Mal conosci
Tu questa terra, e come qui si regna.
Ha quest' impero femminil conquise
Omai tutte le menti, e invan le traccie
Del valor prisco in questo suol ricerchi.
Tutto soggiace ad una donna, e spento
il coraggio in ogni alma. Il mio consiglio
Non isdegnar. Di troppo incauta impresa
Non porti a rischio. Giunge alcun. Mi lascia.
MORT. In te sua speme ha la Stuarda. A lei
Io me ne andr senza conforto?
DUDL. Dille
Che eterno amor le giuro.
MORT. Ad essa arreca
Tu stesso i giuri tuoi, ch' io suo campione
Moffersi, non mesagger d'amore.
SCENA IX.
ELISABETTA, DUDLEO.
ELIS. Chi se ne and da te? Parlare intesi.
DUDL. (1) Fu Mortimero.
ELIS. Ond', conte, che tanto
Sembri confuso?
DUDL. (2) Alla tua vista. Oh mai
Di tante grazie non ti scorsi adorna!
La tua bellezza abbagliami - Oh!
ELIS. Sospiri? E di che mai?
DUDL. Di che? Ragion ben io
Honne profonda. In contemplar gli incanti
Delle tue forme, pi crudel risorge
Della temuta perdita laffanno.
ELIS. Perdita! E quale?
DUDL. L'adorato aspetto
Io perdo e il cuore della mia sovrana.
Felice in breve i giovanili amplessi
D'ardente sposo ti faranno. Ei tutto
Posseder il tuo cuore. Egli di regia
Stirpe, e tal io non son, Tal no; ma giuro
All'universo in faccia, ch'uom non vive
Che pi di me t'adori. Mai te il duca
[I] Si volge in fretta spaventato.
[2] Ricomponendosi.
D'Angi non vide, e non pu amar che illustro,
La gloria onde sei cinta. Io te sola amo.
Se tu umil pastorella, e il primo al mondo
Fossio de' regi, infino a te da tanta
Altezza scender mi vedresti, e a tuoi
Piedi deporre la corona mia.
ELIS. Pi che rampogne il tuo compianto io merto,
O mio Dudleo. Del cuore ai moti sorda
Esser m' forza. Ah ben diversa fora
La scelta sua! Quanto d'invidia degne
Son l'altre donne a cui d'innalzar lice
Del proprio amor l'oggetto. Io sola, io sola
L'uom ch'elesse il mio cuore ornar non posso
Del regio serto. Di sua man dispose
La Stuarda a sua voglia. Soverchiando
Ogni ritegno, tutto a se permise;
E de' piaceri fino al fondo il nappo
Ella si bevve.
DUDL. Ed or sugge l'amaro
Calice degli affanni.
ELIS. Essa ebbe a spregio
Il giudizio degli uomini. Sua molle
Vita sdegn di assoggettare al giogo
Ch' io m'addossai. Con sue dolcezze il mondo
A me pure arridea, ma l'ardue cure
Gli preposi di re. D'ogni uom l'affetto
Ella saccinse a guadagnar, ch solo
Fu suo studio esser donna, e a se d'intorno
Trasse la bionda e la canuta etade.
S fatto l'uomo! Volutt l'adesca,
Corre al diletto, alle vanezze e appieno.
Mai non apprezza quanto pur n' degno.
E lo stesso Talbot non sera anch'egli
Ringiovinito, allor che a dire imprese
Delle sue grazie?
DUDL. degno di perdono.
Fu suo custode, e l'ammali l'astuta
Con sue lusinghe.
ELIS. Di s vaghe forme
Dunque non mente il grido? Odo s spesso
Laudar quel volto, che vorrei pur certa
Farmene alfine. La pittura adula,
Spesso bugiarda anche la fama. A questi
Occhi soltanto darei fede. Oh come,
M'affisi or tu!
DUDL. Nel mio pender con lei
Ti paragono. Di vederti a fronte
Della Stuarda, no 'l ti celo, somma
Avrei vaghezza, ove possibil fosse
Farlo in segreto. Allor la prima volta
Dato ti fora di gustare intero
Della, vittoria il vanto. Appien convinta
Io la vedrei con sua vergogna - e acuto
Ha l'invidia lo sguardo - ch in van tenta
La nobil maest delle tue forme
Di pareggiar, come ad immense pezza
Ceder l' forza anco in ogni altro pregio
Onde un'alma sublime in te s'abbella.
ELIS. Ella d'anni minor.
DUDL. Minore! In vero.
Tal non rassembra. I patimenti forse
Certo a vecchiezza innanzi tempo volge -
Ma al cuor spina le fora ancor pi acerba
Il mirarti alfin sposa. Ella gi indietro
Lasci d'ogni sua speme i d felici,
E te vedrebbe a lieti giorni incontro
Muovere i passi col regal rampollo
Di Francia unita, ella che tanto un tempo
Nella Francia fidava, insuperbendo
De suoi legami, e nella poderosa
Sua mano ancor di sicurezza ha speme.
ELIS. (1) Quanto tentasi mai perch'io la vegga.
DUDL. (2) Per favor lo domanda, e tu il concedi
A suo castigo. Tu puoi trarla al palco,
Ma men duro le fia ch'esser prostrata
Dall' avvenenza tua. Cos l'uccidi
Com' ella volea te. Del tuo sembiante
Le grazie miri ad onest composte,
A cui col suo candor fanno ornamento
Quelle virt, che a vile ella si tenne,
Perduta dietro a sconsigliati amori.
Splendor novello a tua bellezza aggiunto
Vegga dal regal serto e dalle dolci
Cure d'Imene. Questo fia l'acerbo
Colpo, che l'inabissi. Ah s, se gli occhi
Io fiso in te, veggo che mai com' oggi
[1] Con noncuranza.
[2] Vivacemente.
Meglio disposta a riportar non fosti
La palma di belt! Conquiso io stesso
Rimasi allor che come angel di luce
Test giungesti in questa sala. Il credi,
Se, quale or sei, tu le apparisci innanzi
Coglier certo non puoi pi fausto istante.
ELIS. No, Leicester, pe - No; duopo pria,
Che con me stessa mi consigli, e i sensi
Di Burgley
DUDL. Di Burgley? Solo egli intende
Allutile del regno. Ha i dritti suoi
Anche il tuo sesso, e solo a te saspetta
Il giudica di ci, senza che a parte
Altri ne venga - Anche ragion di stato
Vuole che tu la vegga, e fama acquisti
Di generosa con s nobil fatto.
Dellodiosa tua rival potrai
A tuo talento liberarti poscia.
ELIS. Al mio decoro disdicevol fora
Il ritrovar tra la penuria e lonte
Una congiunta. grido, che sia spoglia
Dogni fregio regale: acerba accusa
Del suo squallore mi saria laspetto.
DUDL. Duopo non che dentro le sue soglie
Tu ponga il piede. Odi. Pretesto acconcio
Te ne prepara il caso. Oggi allestita
la gran caccia, e nel cammino forza
Toccar Fortheringay. Quivi nel parco
Scender pu la Stuarda, e tu vi giugni
Come a fortuna. Non parr disegno
Allor l'incontro, e, Se cos t'aggrada,
Non le favelli pur.
ELIS. D'un'imprudenza
Tua, Leicester, sar tutta la colpa.
In questo glomo, che tra i miei vassalli
Te pi che ogni altro addolorai, (1) non voglio
Oppormi ai desir tuoi. Mero capriccio
Sia pure il tuo. Maggior si manifesta
Del cuor leffetto in chi spontaneo accorda
Come favore quel che disapprova (2).
[1] Lo guarda con tenerezza.
[2] Dudleo si prostra ai suoi piedi.
ATTO TERZO
SCENA I.
Una parte del parco, con folti alberi dai lati, e veduta del mare e dei monti da lontano. Maria che fra gli alberi si avanza con passo celere, KENNEDY che le tiene dietro a fatica.
KENN. Frena il rapido pi. Sembra che al volo
Tu l'ali impenni, n seguirti io posso.
MAR. Non turbarmi la gioja che sento
In s dolce e soave momento,
Ch'orme libere imprimo lui fior.
Oh dolcezza che l'alma trastulla,
Che m'agguaglia a danzante fanciulla
Cui la pace sorride nel cor!
Or vo' sciorre l'aligero piede,
Or che pi non m'affanna e mi fiede
Tenebroso di carcere orror.
Son fuggita di morte all'ostello,
E nell'onda d'un aer novello
Si dilata dell'alma il vigor.
KENN. Esci d'errore, o mia diletta. solo
Ampliato il tuo carcere di poco.
Tu nel folto degli alberi non vedi
Le mura, che ci tengono rinchiuse.
MAR. Oh sieno grazie a queste
Amiche piante le cui verdi spoglie
Ascondon le funeste
Mura del carcer mio!
Gi sogna libert l'alma rapita -
Perch lasciar degg'io
L'illusion gradita?
Me l'ampio sen dell' emisfero accoglie.
Per l'infinite vie
Del ciel non erran le pupille mie?
Col dove quel monte
Erge la grigia fronte,
Ivi del regno mio giace il confine;
E queste nubi aurate,
Che verso l'austro han mote,
Cercan di Francia locean remoto.
Velocissime nubi lucenti,
Che le strade solcate de' venti,
Perch eguale il destino non ho!
Salutate l'amico terreno,
Ove un tempo il tranquillo baleno
De' miei giorni pi verdi brill.
Io mi giaccio fra due catene:
Ah voi dite le acerbe mie pene,
Messaggiere voi sole al mio duol!
Di regina soggette al potere
Voi non siete, e tra l'aure leggiere
Trascorrete con libero vol.
KENN. O mia regina, in te pi non capisci.
La dolce libert, che da gran tempo
Ti fu rapita, a delirar ti mena.
MAR. Ve' un pescatore, che l'a per l'onda.
E il lieve abete move alla sponda:
Me il sottil legno potria salvar.
Parco alimento da lui procura;
Ma tra le opposte turrite mura
Ben io sua sorte potrei cangiar.
Dalle mie mani vedria com'esca.
Per lui quelloro, che mai non pesca;
Sol che me in salvo sappia ei guidar.
KENN. Inutil voto! Degli esploratori
Ci sieguon lungi i passi, e tu nol vedi?
Alto divieto ogn'anima pietosa
Dal cammin nostro crudelmente fuga.
MAR. No, buon'amica, in van schiuse non furo
Del carcer mio le porte. Un raggio questo
Di fortuna miglior. Mal non m'appongo:
Opra destra d'amore, e vi ravviso
Di Leicester la possa; A grado a grado
Vogliono del mio carcere gli angusti
Limiti dilatare, ed avvezzarmi
Dal meno al pi, finch, disciolta appieno,
Dato mi sia di rimirar da presso
Lui che per sempre i lacci miei disferri.
KENN. Qual sia l'arcana di s opposti eventi
Cagion non so! JerI di morte annunzio,
Oggi improvvisa libert. De' ceppi
Udii toglierai il peso anche ai meschini
Cui si prepara libertade eterna.
MAR. L'alto squillo a ogni poggio d'intorno
Rimbombar tu non senti del corno,
Che alla caccia sospinge il desir?
Potess'io sull'audace destriero
Per le valli e pei clivi il guerriero
Stuol festoso contenta seguir.
Dolce e acerbo ricordo! Gi presso
Move il suono ben noto, che spesso
Al mio cuore la strada s'apr.
Gi lintesi tra i monti e le selve
Quando, ardita incalzando le belve,
Strepitar sulle vette sud.
SCENA II.
MARIA, KENNEDY, POWLET.
POWL. Ho ben compiuto il dover mio, signora?
Ora ne merto gratitudin.
MAR. Quale, Cavaliere? Sei tu, che tal m'ottenne
Favore? Tu?
POWL. Perch non io? Recato
Ho alla corte il tuo scritto.
MAR. E il consegnasti? -
A lei da vero? - Del mio foglio frutto
Questa che or godo libert?
POWL. (1) N il solo:
[1] Con espressione.
Ti prepara a un maggior.
MAR. Che vuoi tu dire?
POWL. Senti lo squillo?
NAR. (1) Tu tremar mi fai!
POWL. Qui presso a caccia la regina.
MAR. Come?
POWL. E a te dinanzi la vedrai fra poco.
KENN. (2) Che hai tu, signora? Impallidisci!
POWL. E donde?
Non ne sei paga? Fu pur tua preghiera?
Prima che tu nol pensi essa compiuta.
Eri si pronta al dir tu sempre. Or questo,
Questo di scior tua lingua il vero istante.
MAR. Oh perch prima non vi fui disposta!
Per or nol sono io no. Quanto richiesi
Come favore, di spavento e tema
Or tutta m'empie - Giana, entro 'l castello
Mi riconduci fin ch' io torni in calma.
POWL. Rimanti. Qui la dei vedere. Ah il credo,
L'aspetto del tuo giudice paventi!
SCENA III.
MARIA, KENNEDY, POWLET, TALBOT.
MAR. No non questo. Oh quanto il cuor mutato
Mi sento in petto! A me opportuno or giungi,
[1] Atterita.
[2] Avvicinandosi frettolosamente a Maria, che trema e sta per cadere.
Nobil Talbot, com'angelo che il cielo
In tant'uopo m'invii! Ch'io non la miri!
Salvami tu dalI' abborrita vista!
TALB. In te ritorna; l'anima raccogli:
Questo , regina, il decisivo istante.
MAR. Io l'attendea. Gi per molt'anni ad esso
Mi preparai. Gi tutto in me ravvolsi,
Tutto nel libro della mente ho scritto,
Ci che toccar, che intenerir potea!
Ma svan tutto in un balen! Non vive
Pi nulla in me che la memoria acerba
Del lungo mio penare. Il cuor trabocca
Contro costei di sanguinosa rabbia.
Tutti fuggiro i pensier queti, e intorno
Mi stan d'averno i tenebrosi spirti,
Alto scuotendo le viperee chiome.
TALB. Di sangue affrena il reo furore, e vinci
L'amarezza del cuor. Funesti frutti
Nascono d'odio che contr'odio cozzi.
Per quanto l'alma vi ripugni, al tempo.
Al duro impero del momento or d'uopo
Fia d' obbedir. Ella potente - forza
China: la fronte.
MAR. Innanzi a lei? - Nol posso;
Nol posso io certo.
TALB. Tu dei farlo. Umile
E tranquilla le parla. Alla grandezza
Dell'alma ma magnanima ricorri;
Non ostinarti ne' tuoi dritti. Or fora
Inopportuno.
MAR. Oim! di mia rovina
La ministra son io. La mia preghiera
Accolta venne per maggior mio danno.
Quanto era meglio il non vederci mai!
Nullo venirne pu vantaggio. Insieme
Andran frammisti in pria l'acqua ed il fuoco,
E il timid'agno bacer la tigre!
Troppo io soffersi - a troppo acerbi insulti
Per lei fui segno! - In van tra noi si speri
Pace giammai!
TALB. Mirala prima almeno.
Pur io la vidi dal tuo foglio scossa;
E gli occhi suoi nuotavano nel pianto.
Insensibil non . Meglio confida.
Per questo solo prevenirne i passi
Volli, e giovarti di consiglio, e lalma
Disporti.
MAR. (1) Ah tu l'amico mio pur sempre
Eri, o Talbot! Rimasta ognor fossop
Nella pietosa custodia! A quali
Durezze esposta, o mio Talbot, non fui!
TALB. Tutto di scorda. Pensa solo or come
Umil convienti comparirle avante.
MAR. E con lei vedr pur langel mio tristo,
Bargley?
TALB. Con essa antri non che il conte di Leicester.
MAR. Leicester!
[1] Prendendolo per mano.
TALB. S. Di lui
Nulla temere. Egli desio non nutre
Di tua caduta; ed opra sua se assente
Or di vederti la regina.
MAR. Ah il dissi!
TALB. Teco che parli!
POWL. La regina arriva. (1)
SCENA IV.
MARIA, KENNEDY, POWLET, TALBOT, ELISABETTA, DUDLEO, corteggio.
ELIS. (2) Come si noma quest'asil campestre?
DUDL. Fortheringhay.
ELIS. (3) Fa che il corteggio a Londra
Ci preceda. Del popolo la calca
Troppo s'addensa sulle strade. In questo
Solingo parco ricerchiam rifugio. (4)
Troppo m'ama il mio popolo. Trascende
L'idolatra sua gioja ogni confine.
Non a mortal, ma solo a Dio si debbe
[1] Ognuno di ritragge e rimane solo Maria appoggiata a Kennedy.
[2] A Dudleo.
[3] A Talbot.
[4] Talbot allontana il seguito. Elisabetta fissa lo sguardo in Maria mentre prosegue il discorso verso Powlet.
Cotanto onore.
MAR. (1) Oh Dio! da quell'aspetto
Non parla un cuor.
ELIS. Chi costei? (2)
DUDL. Regina,
Siamo al Fortheringhay.
ELIS. (3) Chi n' cagione, O conte?
DUDL. Il fatto omai non ha riparo:
E poich il cielo i passi tuoi qui trasse
Lascia, regina, che piet trionfi
E il tuo cuore magnanimo.
TALB. Ti muovi,
Donna regale, ed un benigno sguardo
Volgi alla sventurata, che vien meno
Innanzi a te! (4)
ELIS. Come signori? In lei
Chi fu che un'avvilita mi dipinse?
Una superba ancor vegg'io, lottante
Contro il rigore delle sue sventure.
MAR. Si faccia! Alfine anche a s dura prova
[1] Dopo essere stata per tutto questo tempo, quasi svenuta, appoggiata alla nutrice, alza gli occhi, e si incontra collo sguardo immobile di Elisabetta. Si scuote e si getta nuovamente in seno alla nutrice.
[2] Silenzio universale.
[3] Si finge sorpresa gettando un bieco sguardo a Dudleo.
[4] Maria si fa animo, vuole avanzarsi verso Elisabetta, poi a mezzo cammino si ferma spaventata.
M'abbasser. Vanne impotente orgoglio.
Di nobil alma! Vo' a scordar chi sono,
E quanto sopportai. Gittarmi a' piedi
Voglio di lei. che revesciommi in questo
Vitupero (1) - Sorella, in tuo favore
Deciso ha il ciel! Ti coron vittoria
L'avventurata fronte. Adoro il Dio
Che tinnalz (2.) ; ma sia tu pur, sorella,
Generosa con me, Deh non lasciarmi,
Languir pi a lungo nellobbrobrio! Stendi
La man; mi porgi la regal tua destra.
Che mi rialzi da s gran caduta.
ELIS. (3) Nel tuo posto ti trovi, e grazie rendo
Alla merc di Dio che me non volle
Ai piedi tuoi prostrata, come or giaci
A me dinanzi tu.
MAR. (4) Pensa che spesso
Mutansi i casi umani, e veglia un Nume
Vendicator dellorgoglio. Adora
E temi insiem questo tremendo Iddio,
Chora matterra innanzi a te. Per questi
Testimoni stranieri, in me rispetta
Te stessa almen. Non profanare il sangue
Illustre dei Tudor, che a entrambe scorre
Entro le vene - Oh cielo! non restarti
[1] Si volge verso Elisabetta.
[2] Cade ai piedi di Elisabetta.
[3] Retrocede.
[4] Con affetto crescente.
Inaccessibil, aspra come scoglio,
Che il naufrago afferrare in van sadopra.
Quanto mio, la mia vita, il mio destino
Dal vigor de miei detti, e dal mio pianto
Perdono or sol. Scioglimi il cuor, ondabbia
Forza che valga ad ammollire il tuo!
Se tu mi guati con occhio di gelo,
Abbrividito il cuor mi si ristringe,
Chiusa la fonte del dolore, e un freddo
orror minceppa i prieghi.
ELIS. (1) Che vuoi dirmi,
Maria? Chiedevi favellarmi - Io scordo
Or la regina gravemente offesa,
E compiere vo' teco di sorella
Il pio dovere. Accordo a te il conforto
Di mia presenza. Ancor che biasmo incontri
L'abbassamento mio, le voci io sieguo
D'animo generoso - E pur tu il braccio
Del tradimento a trucidarmi armavi;
E bene il sai.
MAR. Quale or principio avranno
Le mie parole? Con qual arte ordirle
Perch ritrovin del tuo cuor le vie
Senza inasprirlo? O Dio, tu mi d forza,
Tn reggi il mio parlar, s che non punga -
Ancor ch'io teco favellar, non possa
Senza gravi rampogne, non vo' farlo -
Modi tenesti nell'oprare ingiusti,
[1] Fredda e severa.
Che sono io pure al par di te regina;
E prigioniera tu mi festi. Asilo
Supplice io chiesi, ma le sante leggi
Dell' ospitalit spregiando, e il sacro
Pubblico dritto, in carcere m'hai chiusa,
Toltimi crudelmente amici e servi,
E allindigenza abbandonata. Innanzi
A obbrobrioso tribunal fui tratta
Ma, se ne taccia. Eterno obblio ricopra
Tutti gli affanni onde fui colma - Or modi!
Tutto al destino ascriver. Di colpa
Siam scevre entrambe. Dagli abissi uscito
Nemico spirto, ancor fanciulle, i nostri
Cuori divise e vi dest la dira
Fiamma dell'odio, che con noi si crebbe,
Fatta maggiore dal soffiar maligno
D'anime inique. Forsennato zelo
Pose, il pugnale in non richieste mani -
Tale de' re la maledetta sorte
Che, se tra lor mette discordia il capo,
Dalle furie commesse il mondo intero
Or pi non fra noi lingua straniera: (1)
Ambe a fronte ci stiam. Parla, sorella,
Palesa l'error mio, che a te vo' darne
Piena l'ammenda. Oh se m'avessi porte
Orecchio allora, che pregai vederti!
Le cose a tal non forano mai giunte,
[1] Si avvicina a Elisabetta in atto di confidenza e con tuono di voce lusinghiera.
N in questo di tristezza infausto luogo
Or seguirebbe linfelice incontr.
ELIS. Se non accolsi in sen 1'aspide, il deggio
Al mio buon astro; e tu non il destino,
Ma il tuo cuor negro accusa e la feroce
Ambizion della tua schiatta. Ostile
Atto fra noi non era sorto ancora,
Allor che di grandezza avido troppo,
L'ardita man sacerdotal stendendo
A tutte le corone, la disfida
Il tuo zio m'intim. Lo stemma, e il mio
Titolo regio ad usurpar ti trasse
Insanamente, ed a mortaI tenzone
Ti sospinse egli meco - E che non mosse
Contro di me? De' popoli le spade
Ed il garrir de' sacerdoti, orrende
Armi, che il cieco fanatismo aguzza.
Fin dentro il, regno mio, sede di pace,
Egli soffi di ribellion la fiamma -
Ma Dio sta meco, e la superba possa
Del prete dilegu. Contro il mio capo
Volto era il colpo, che su te ricade!
MAR. In Dio riposo; e il tuo poter non fia
Da te trasceso in s cruento modo.
ELS. Chi mel contende? A tutti i re del mondo
Di l'esempio il tuo zio come li fermi
Co' nemici la pace. A me fia scuola
La notte che copr l'orrendo eccidio
Degli ugonotti e il tradimento infame.
Ragion di sangue e delle genti dritto
Che son per me? La chiesa ogni dovere,
Ogni vincolo scioglie. Il regicida
Essa fa santo e mancator di fede.
De sacerdoti vostri or voglio anchio
Le dottrine seguir. Chi massicura,
Sio generosa i lacci tuoi disciolgo?
Qual fia chio ponga alla tua f cancello
Che di san Pietro le possenti chiavi
Nol sappiano
sferrar? Unica forza
La sicurezza mia; ch vana speme
Di serbar lega con genia di serpi.
MAR. Ecco gli acerbi tuoi cupi sospetti!
Qual nemica e straniera ognor mi tieni.
Che se, com pur dritto, al tuo retaggio
Tu mi chiamavi, una fedel congiunta,
Unamica serbata avrianti amore
E gratitudin sempre.
ELIS. In questa terra
In van cerchi, Stuarda, i tuoi parenti.
Il Vaticano la tua casa, e sono
A te fratelli i monaci - Del soglio
Io proclamarti erede? Oh, astuta insidia!
Perch, me viva ancor, tu l mio fedele
Popol seduca, e scaltra Armida intrichi
Nella pania damor tutta del regno
Leletta giovent - Perch si volga
Ognocchio al sol, che nuovo sorge, ed io
MAR. Qui regna in pace! ogni mio dritto io cedo.
Il genio mio tarpati ha i vanni, e nullo
Desio pi di grandezza non madesca -
Essa tutta di te. Pi in me non resta
Che di me l'ombra. Il nobile, ardimento
Dalle angustie del carcere fiaccato -
Tu soverchiando ogni confin m'hai spenta
Nel mio fiorir Sorella mia, finisci,
E la ragion del tuo venir palesa.
Ch'io non vo sospettar che qui condotta
T'abbia brama crudel di fare oltraggio
Alla vittima tua. Su via pronuncia
Una parola di conforto. Dimmi:
Libera, sei, Maria. Della mia possa
Avesti prova; or di mia nobil alma,
Venera i semi generosi. Ah dillo!
E, come dono, libertade e vita
Dalle tue mani avr - Tutto cancella
Un detto solo, ed io da te l'aspetto.
Deh nol mi ritardar! Guai se il suggello
Questo non di tue parole! Il credi,
Se propizia, magnanima qual nume
Da me, sorella mia, non ti diparti,
N per tutta quest'isola felice,
N per quant'altre il mar terre circonda,
Com'or tu a me, star ti vorrei davante!
ELIS. Ti dai per vinta alfin? Cessar tue insidie?
Vha pi sicario o venturier per via
Che tuo tristo campion di farsi ardisca? -
Tutto finito omai. Pi non ho tema,
Che alcun tu mi seduca. Or d'altre cure
S'occupa il mondo, e pi non v' ha cui caglia
D'esserti il quarto sposo, poich sai
Non men che proci trucidar mariti.
MAR. (1) O suora, suora! O Dio, tu mi raffrena!
ELIS. (2.) Questi, Leicester, dunque son gl'incanti
Che impunemente uomo non vede? Queste
Le grazie a cui donna non , s ardita
Da porsi a paro? Oh facil opra in vero
Era un tal vanto! Universal si merca
Di belt grido il comunarsi a tutti.
MAR. Quest' troppo!
ELIS. (3) Ben mostri or le tue vere
Sembianze che fin ora arte coverse.
MAR. (4) Di giovinezza errori, error di frale
Natura furo i miei. Me il poter trasse
Dalla diritta via. Farne un arcano
Altrui non seppi, e con regal franchezza
Di simular sdegnai. Sol di me il peggio
noto al mondo, e asseverar mi lice
Che assai miglior della mia fama io sono.
Guai pure a te, se un d spogliar fia forza
Quella vesta d'onor, che tutte ascende
Or l'opre tue; sotto cui cela astuta,
Ipocrisia della lussuria il fuoco,
Che furtivo e brutal t'arde e consuma,
Gi non avesti d'onest retaggio
[1] Con risentimento.
[2] La guarda molto tempo con disprezzante alterigia.
[3] Con riso ironico.
[4] Avvampante di collera, ma con nobile dignit.
Dalla tua madre, poich noto quale
Virt traesse Anna Bolena al palco.
TALB. (1) O Dio del ciel! Fin dove ella trascorre!
D'alma sommessa e moderata questo
Lo stil, signora?
MAR. Moderata! Tutto
Soffersi io gi quant'uomo possa. Or vanno
Rassegnazion codarda. Al ciel rifuggi
Penosa pazienza, e i lacci tuoi
Frangi, che tempo, e dalla tua caverna
Esci, o rancor, troppo represso omai -
E tu, che al basilisco irato desti
Guardo di morte, sul mio labbro or poni
Attossicati dardi -
TALB. Essa delira!
Deh tu perdona a forsennata lingua
Acerbamente provocata! (2.)
DUDL. (3) Chiudi, Chiudi l'orecchio al vaneggiar furente!
Via, via da questo sventurato luogo.
MAR. D' Anglia deturpa una bastarda il trono,
Ed aggirato dalle perfidarti
D'astuta ciurmatrice il generoso
[1] Si pone tra le due regine
[2] Elisabetta, muta dalla rabbia, getta sguardi di furore sopra Maria.
[3] Nella maggior inquietudine tenta di allontanare Elisabetta.
Popol britanno. Oh se valesse dritto!
Innanzi a me prostata nella polve
Tu giaceresti, ch il tuo re son io (1).
SCENA V.
MARIA, KENNEDY
KENN. Oh che mai festi! Furibonda parte.
Tutto finito. tronca ogni speranza.
MAR. (2) Parte fremendo, e reca in cuor la morte! (3)
Quanto or mi sento alleviata! Alfine,
Alfin giunsi a gustar, dopo tant' anni
D'avvilimento e pena, anco un istante
Di vittoria e vendetta. Il cuor sgravato
S' d'un gran pondo. Alla nemica in seno
Confitto ho il mio pugnal.
KENN. Lassa! ti vince
Il delirar. Tu d'implacabil donna
Punto hai l'orgoglio. Essa la folgor stringe,
Essa regina, e del suo drudo in faccia
Tu l' hai schernita.
MAR. Io l'avvilii sugli occhi
Di Leicester. Lo vide egli, e del mio
Trionfo testimon. Mentrio dal sommo
[1] Elisabetta, parte in fretta, i grandi la seguono nella maggior costernazione.
[2] Sempre fuor di se stessa.
[3] Si getta, al collo di Kennedy.
La rovesciava di sua tanta altezza,
Vicino egli era, e vigoria novella
La sua presenza m'aggiungea.
SCENA VI.
MARIA, KENNEDY, MORTIMERO.
KENN. Signore,
Oh quale evento!
MORT. Udiva io tutto. (1) Hai vinto!
L'hai pur nel fango calpestata! Fosti
Tu la regina e la colpevol essa!
Il tuo coraggio con trasporto ammiro,
E t'adoro qual Dea. Grande; sublime
In quest'istante agli occhi miei ti mostri.
MAR. Hai tu parlato al conte? A lui recato
Hai tu il mio foglio, il dono mio? - Deh parla, Signor!
MORT. (2) Di quanta maest splendea
Il tuo sdegno regal, che a me i tesori
Della vaghezza, tua tutti dischiuse.
Donna di te pi bella occhio non mira!
MAR. Signor, ti priego, il mio desire appaga.
[1] Fa segno a Kennedy di ritirarsi. Il suo aspetto indica essere egli combattuto da forte passione. [2] La guarda con occhio pieno di fuoco.
Come pensa di me Leicester? Narra:
Che mi resta a sperar!
MORT. Chi! - Egli? un vile!
Da lui rimovi ogni speranza, e sabbia
Da te spregio ed obblio!
MAR. Che di' tu mai?
MORT. Ei liberarti? Ei possederti? Invano
Fia che tant'osi. Di mia vita a prezzo
Sol torti a me potria.
MAR. Forse il mio foglio
Non gli recasti? - Ahi che perduto tutto!
MORT. La vita ama il codardo. Incontro a morte
Spingersi dee senza timor: chi brama
Farti libera e sua.
MAR. Per me non vuole
Ei tentar nulla?
MORT. Omai di lui si taccia.
Che fare ei pu? Qual v' ha di lui bisogno!
Io solo, io sol basto a salvarti.
MAR. E tanto
Dunque presumi?
MORT. tempo ora che caggia
Dell' inganno la benda. Il tuo destino
Non pi quel di pria. Dacch divisa
Fu da te la regina e in peggio volse
L'abboccamento, ogni speranza tolta,
Chiuso alla grazia ogni sentiero. Or d'uopo
Solo di fatti. Or sol l'ardir decida.
Tutto si tenti se periglio tutto.
Tu libera esser devi anzi che splenda
Il nuovo albor.
MAR. Che dici? Questa notte?
MORT. Tutto gi fermo. Entro romita cella
I compagni adunai. Timor di colpa
Non ne conturba, ch del pan celeste
Le terse anime nostre ebber conforto,
E siam disposti allultimo viaggio.
MAR. Spaventoso apparato!
MORT. Al nostro assalto
Contro la rocca della notte il bujo
Dar favor. Le chiavi io ne posseggo.
Trucidati i custodi, uscirai salva
Dalle tue stanze. Ognun forza che cada
Ai nostri colpi onde si celi il ratto.
MAR. Ma Powlet e Drury custodi miei?
Tutto innanzi vorranno essi il lor sangue
MORT. Primi fian segno al mio pugnalo
MAR. Lo zio? Il tuo secondo genitore?
MORT. Io stesso
Vo' trucidarlo di mia mano
MAR. Ahi dira
Opra di sangue!
MORT. Confidenza ho intera
Nel perdono del cielo. Usare io posso,
Ed usar voglio ogni rimedio estremo.
MAR. Oh quale orror!
MORT. Se la regina anch'ella
Giovasse trucidar, forza m' farlo,
Ch sacro un giuramento mi v'astringe.
MAR. No Mortimero! Pria che tanto sangue
Per me si versi
MORT. Quale aver pu prezzo
Vita mortal, che a te, che all'amor mio
Ceder non debba? Ne suoi gorghi inghiotta
Nuovo diluvio quanto in terra ha vita,
Fuor de' cardini suoi rovini il mondo,
Pi non mi cal di nulla. Sia distrutto,
Pria che ti lasci, l'universo intero.
MAR: (1) Che ascolto, o Dio! Signore . Ahi quali sguardi! -
Mempion d' orrore e di spavento.
MORT. (2) Un solo
Istante nostra vita; un solo morte.
Tratto io venga al Tiburno, a brani a brani
Con tanaglie infuocate a me le membra
Si squarcino, (3) pur ch'io, donna adorata,
Ti stringa
MAR. (4) Forsennato!
MORT. A questo seno,
A questa bocca, che respira amore
MAR. Deh! per piet lascia, signor, ch' io parta.
MORT. Folle colui, che con tenaci nodi
Non cinge la fortuna, allor che UN nume
Nelle sue mani l' ha condotta. Mille
[1] Ritirandosi.
[2] Collo sguardo torvo e colla espressione del delirio.
[3] Mentre le si accosta con veemenza a braccia aperte.
[4] Retrocedendo.
Sincontrin morti, ma ti voglio io salva.
Salva, e il sarai. Ma giuro a Dio ch' il prezzo
Corre vo' ancor dell' opra mia.
MAR. Me lassa!
Nume non v'ha, non angelo pieteso,
Che mi protegga? Oh mio destin tremendo!
D'uno in altro spavento mi trabalza
L'ira implacabil tua: Nacqui io soltanto
Per risvegliar le furie? Odio ed amore
Congiuran collegati a farmi guerra?
MORT. Ah s, possente in me d'amor la foga
Quanto dell'odio in quei feroci petti!
Devoto a morte hanno il tuo capo, fia
Contaminato dall'infame scure
Il tuo collo di neve. Oh dona al nume
Della vita, al piacer, ci che t forza Di
sacrare a vendetta! Il caldo amante
De' vezzi non pi tuoi bear ti piaccia,
E del lucido crio gi preda agli atri
Numi daverno, indistricabil tessi
Nodo che il fido prigioniero avvinca.
MAR. Quale linguaggio io debbo udir!Signore,
Le mie sventure, i miei martiri almeno
Ti siano sacri, se non l' la regia
Maest del mio capo.
MORT. Or gi caduta
Dalla tua fronte la corona. Nulla
Di maest terrena in te pi resta.
Fa prova se a un tuo cenno imperioso
Sorga amico o campione a farti salva.
Sol ti rimane il commovente aspetto
E il divino poter d'alta bellezza.
Audace a tutto cimentar mi rende
Sol essa, e il capo mio sotto la scure
Del carnefice spinge.
MAR. Ah chi mi scampa
Dal suo furor!
MORT. Dall'ardimento coglie
Opra ardita il suo premio! Ond' che il prode
Sparge animoso tra i perigli il sangue?
Sommo ben della vita pur la vita,
E folle lui che ne fa getto indarno!
Ch'io pria riposi sul caldo suo seno - (1)
MAR. Lassa! che deggio io far? Contro di lui.
Del mio liberator chiedere ajuto?
MORT. Insensibil non sei. Non per freddo
Rigor che il mondo ti censuri. Ardente
Priego d'amore sa trovar la via
Del tuo tenero cuor. Felice hai reso
Rizio cantore, e Botuello anch'esso
Pot rapirti!
MORT. Temerario!
MORT. Egli era
A te tiranno; e tu d'amor tremando
Lo ricambiavi! Se il terror soltanto
Vincer ti puote, per lo Dio daverno
MAR. Lasciami, forsennato!
MORT. Anchio ben posso
[1] La strinse con forza.
Farti tremar!
KENN. (I) V'ha chi saccosta. Ingombra
Schiera d'armato popolo il giardino.
MORT. (2.) Ti difendo io.
MART. Deh Kennedy mi salva
Dalle sue mani! Ahi sciagurata! dov'e
Trovo un asilo? A qual nume degg'io,
Volger mie preci? Qui - la violenza,
L dentro l'assassinio. (3)
SCENA VII.
MORTIMERO; indi POWLET e DRURY che entrano precipitosamente, ed in agitazione.
Molta gente corre per la, scena.
POWL. Ol! Le porte Chiudete. Alzinsi i ponti.
MORT. Onde tal foga?
POWL. L'omicida dov' ? Nella pi tetra
Prigion con essa!
MORT. D che avvenne?
POWL. Oh mani,
Mani esecrate! Oh atroce tradimento!
La regina
[1] Entra precipitosamente.
[2] Pieno dimpeto mette mallo alla spada.
[3] Fugge nel castello, Kennedy la segue.
MORT. Ma quale?
POWL. DInghilterra! Fu trucidata nella torre di Londra. (1)
SCENA VIII.
MORTIMERO, poi, OKELLY.
MORT. Vaneggio io forse? Non qui passato
Uom che gridava la regina uccisa?
No, no, fu un sogno. Un delirar fervente
Vera mi mostra la terribil larva
Che m'ingombra il pensiero - Chi s'accolta?
Okelly! Oh come spaventato!
OK. (2.) Fuggi,
T'invola, o Mortimer! Tutto perduto.
MORT. Perduto! E che?
OK. Nol domandar pi a lungo.
Pensa or solo a fuggir.
MORT. Parla, che avvenne?
OK. Selvaggio il furibondo vibr il colpo.
MORT. E vero fia?
OK. Pur troppo ver! Ti salva.
MORT. Essa trafitta, e de' Britanni al soglio
Sale Maria.
OK. Trafitta? Chi lo dice?
[I] Entra in fretta nel castello.
[2] Precipitoso.
MORT. Tu stesso.
OK. Io no. Vive ella; e noi, noi tutti Siam preda a morte.
MORT. Essa ancor vive?
OK. Il colpo
And fallito, e sol percesse il manto.
Talbot l acciaro all' omicida tolse.
MORT. Ella respira?
OK. Vive! S, per trarci
Tutti in rovina! Andiam, che gi d'intorno
Si cinge il parco.
MORT. Chi os latto insano?
OK. Il barnabita di Tolon, colui
Che tutto in suo pensier stava raccolto
Nella cappella, allor che l'anatema,
Onde dal Vaticano maladetta
Fu l' Anglica regina, a noi sponendo
Il monaco venia. Spedito mezzo
Egli abbracci. Con disperato colpo
Di Dio la chiesa liberare ei volle,
E del martirio meritar la palma.
L'audace impresa solo al sacerdote
Ei confidava, e sulla via di Londra
Poi la tent.
MORT. (I) Qual reo destin sua rabbia
In te tutta satolla! Ahi sciagurata!
Or s d'uopo morir. L'angel tuo stesso
[1] Dopo lungo silenzio.
Il tuo cader prepara.
OK. Or dove pensi
Tu di fuggire? lo corro alle foreste
Del norte in traccia d' un asilo.
MORT. Fuggi, E ti sia scorta il cielo! Io qui rimango.
Vo' ancor tentare di salvarla, o tutto
Sulla sua bara verser il mio sangue. (1)
[1] Partono da diversi lati.
ATTO QUARTO.
SCENA I.
Anticamera.
ALBASPINA, DUDLEO, KENT.
ALB. E la regina? Chi men d contezza?
Fuor di me stesso ancor dallo spavento
Mi vedete, signori. Il reo misfatto
Come successe? Come osarsi tanto
Fra il popolo pi fido?
DUDL. Alcun de' nostri
Non alz lempia man; del tuo monarca
Fu un suddito, un Francese.
ALB. Un forsennato;
KENT. Di Roma partigiano, conte Albaspina.
SCENA II.
ALBASPINA, KENT, DUDLEO, CECILIO che entra parlando con DAVISON.
CEC. Tosto di morte lordine s'appresti,
E del sigil munito, alla sovrana
Rechisi, perch il segni. Or pi d'indugi
Tempo non .
DAV. Si faccia (1).
ALB (2) Il mio leale
Cuore, signor, del giusto gaudio a parte
Onde compreso il popolo britanno.
Al ciel sia laude che dal regio capo
Seppe il colpo stornar.
CEC. Laude gli sia,
Che smascherate ha de' nemici nostri
L'arti malvagie.
ALB. Iddio l'autor punisca
Dell'opra maladetta.
CEC. E seco ancora
Il malnato orditor del tradimento.
ALB. (3) Introdurmi, signore, ora ti piaccia
Presso l'angusta donna ond'io deponga
A piedi suoi, com' dovere, i voti
Sinceri del mio re.
CEC. Non darten cura,
Conte Albaspina.
ALB (4) Noto emmi, signore,
Ci che mi spetta.
CEC. Di sgombrar ti spetta
Tosto da questo regno.
[1] Parte.
[2] A Cecilio.
[3] A Kent.
[4] Officiosamente.
ALB (1) Che favelli!
E donde ci?
CEC. Per questo d soltanto
Il sacro ufficio tuo qui ti protegge;
Col nuovo sol non pi.
ALB. Qual la colpa
Che mi sappone?
CEC. Se il ti dico, indegna
di perdon.
ALB. Spero, signor, che il diritto
Per cui son sacri gli orator
CEC. Non puote
Ai traditor di stato essere schermo.
DUDL. E KENT Oh che dici?
ALB. Signor, poni tu mente
CEC. Da un passaporto di tua man vergato
Munito era il sicario.
KENT. Il ver tu narrri?
ALB. Molti deggio accordarne, ed il mio guardo
Non di lince chentro ai cuori penetri.
CEC. Si confess in tua casa lomicida.
ALB. Aperta la mia casa.
CEC. Aperta a ognuno
Che sia nemico dInghilterra.
ALB. Io chieggo
Che si chiarisca il fatto.
CEC. Ne paventa.
[1] Retrocede meravigliato.
ALB. Quest'onta in me colpisce il mio monarca.
Con voi fia rotta ogni alleanza.
CEC. Infranta Gi l'ha omai la regina. In van la Francia
Or fia che speri dottener la mano
D'Elisabetta - Di scortare il conte
Sicuro fino al mar tua cura sia,
O Kent. Commosso il popolo, d'assalto
Gi penetr nel suo soggiorno, e molte
Armi raccolte vi rinvenne. A brani
Farlo minaccia ove si mostri a lui.
Tu lo nascondi finch tomi in calma
Tanto furore; e di sua vita intanto
La tua risponder.
ALB. Parto; abbandono
Questa terra, ove a vile ogni, diritto
Tiensi, e si scherza coi trattati. Il mio
Signor ben sapr chiedere del torto
Sanguinosa ragion.
CEC. Per essa venga.
SCENA III.
DUDLEO, CECILIO.
DUDL. Cos tu stesso que' legami or sciogli,
Che con tanto fervor non cerco ordivi.
Poco a te gli Angli n'avran grado, e l' opra
Risparmiar ne potevi.
CEC. Il fin fu retto,
Ma vi si oppose il cielo. Oh avventurato
Chi a se stesso di peggio non conscio!
DUDL. Ben di Cecilio in te l'arte si scopre
Misteriosa, quando ponsi in caccia
Di delitti di stato - Ecco un momento,
Signor, per te propizio. Alto delitto
Avvenne, e ancora nel segreto avvolti
Ne son gli autori. Or via, pronto s'eriga
Un tribunale - Le parole e i guardi
Sieno librati con rigore, e tratto
Venga in giudizio anche l'altrui pensiero.
Uom di gran vaglia in ci se' tu, l'Atlante
Di questo regno. Tutta l'Anglia posa
Sovra gli omeri tuoi.
CEC. No. Tale ottenne
Il tuo labbro eloquente oggi vittoria,
Mai non concessa al mio, che in te il maestro
Io riconosco.
DUDL. Che vuoi dir?
CEC. Tuo merto
Fa pur se, a me celandone il disegno,
Tratta a Fortheringhay fu la regina.
DUDL. Celandone il disegno! E quando mai
Temuto han l' opre mie della tua vista?
CEC. Che dissi? Tratta ivi da te? Fu dessa
Che di trarvi te invece si compiacque.
DUDL. A che miran, signore, i detti tuoi?
CEC. Decorosa comparsa in ver vi ha fatto
La regina per te! Nobil trionfo
Tu v' hai disposto alla sua cieca fede! -
Ahi troppo incauta principessa! A scherno,
Sfacciatamente fosti presa, e in mezzo
Al vilipendio abbandonata! - Questi,
Questi son dunque i generosi sensi
Onde s di repente eri compreso
Tu nel consiglio? quesa la Stuarda
Debil nemica e disprezzabil tanto,
Da non mertar ch'altri la mano imbratti
Entro il suo sangue? Bel disegno in vero
Con accortezza ordito! Eppure il troppo
Assottigliato ne spezz la punta.
DUDL. Sieguimi tosto, indegno. Innanzi al trono
Della regina men darai ragione.
CEC. Ivi mi troverai. Ma bada, o conte,
Che sulle labbra tue non venga meno
La facondia del dir.
SCENA IV.
DUDLEO, MORTIMERO, indi un UFFICIALE della guardia.
DUDL. Sono scoperto -
S'indagano i miei passi - Ond' che siegue
Le traccie mie quel tristo? Me tapino!
Segli le prove ne possiede, e giunge
Elisabetta a discoprir gli accordi
Ch'ebbi colla Stuarda! Oh quanto io debbo,
Colpevole apparire agli occhi noi!
Oh quanto infido e a tradimento ordito
Non dee sembrarle il mio consiglio! Ahi lasso!
Perch la trassi a quell'infausto incontro!
Da me schernita vedesi, e al dileggio
Esposta della sua maggior nemica.
Mai perdonarmi non sapr tal colpa.
Tutto parralle meditato in prima:
Anco gli amari detti, il tuon superbo,
Il motteggiar della rivale; e fino
Del sicarlo la man, che inpreveduto
Terribile destino vi frappose,
Sar armata da me. Salvezza alcuna
Io pi non veggo. Ah chi sappressa!
MORT. (1) Conte,
Sei tu? Siam soli?
DUDL. Indietro, sciagurato! Che vuoi tu qui?
MORT. Di noi si corre in traccia, E di te pur. Ti guarda
DUDL. Via! Ti scosta!
MORT. Noto che d'Albaspina entro l'albergo
Seguian convegni occulti
DUDL. A me che importa?
MORT. Che l'omicida vintervenne
DUDL. Tutta
tua la trama, o temerario. Come?
[1] Entra vivamente agitato guardando intorno con sospetto.
Ardisci forse nell'atroce fatto
Me pure inviluppar? Pensa, tu stesso,
Pensa a purgarti di tue perfidopre.
MORT. Odimi almen.
DUDL. (1) L'inferno tinabissi!
Perch sull'orme mie, come maligno
Spirto, taggiri? Via di qui! Giammai
Non ti conobbi, Nulla di comune
Aver poss'io cogli assassini.
MORT. E vuoi
Negar d'udirmi? A tuo pro sol qui vengo.
Son palesi i tuoi passi.
DUDL. Ah!
MORT. Non s tosto
Segu il colpo fatal, ch'entro il castello
Giunse il gran tesorier. Tutti i recessi
Della regina con rigor cercati
Furo, e vi si trov
DUDL. Che mai?
MORT. D'un foglio
Diretto a te le prime note.
DUDL. Incauta!
MORT. Chiedeati in esso che la data fede
Tu le serbassi, e di sua mano il dono
Promettendo di nuovo, il suo ritratto
Ti rammentava.
DUDL. Ah maladetta sorte!
[1] Nella massima collera.
MORT. Cecilio ha il foglio.
DUDL. Son perduto! (1)
MORT. Cogli
Alfin l'istante. Prevenirlo d'uopo.
Salva te stesso e la regina. Giura
Che reo non sei; discolpe ordisei; opponti
Al maggior male almeno. Io pi non posso
Nulla per lei. Dispersi i miei compagni,
Disciolto ogni disegno. Nella Scozia
Volo gli amici ad adunare. Or tocca
A te d'oprare. Or di far mostra tempo
D'ardita fronte, e del poter tuo sommo.
DUDL. (2) Lo far. (3) Guardie, ol! (4) Quel traditore
S'arresti e s'incateni. La pi infame
Trama ho scoperta. Io stesso alla regina
Vo a recarne l'avviso. (5)
MORT. (6) Ah scellerato! -
Ma tutto io merto! E come mai fidarmi
Io potei di quel vile? Or sul mio collo
Ei si fa un ponte onde ridursi in salvo -
Ebben! Ti salva! Un detto, un detto solo
[1] Passeggia in atto di disperazione.
[2] Si ferma, poi quasi decidendosi a un tratto.
[3] Va verso la porta, e lapre.
[4] All' ufficiale che entra con guardie.
[5] Parte.
[6] Da prima rimane preso da stupore, ma ben presto si ricompone, e slancia dietro a Dudleo uno sguardo di disprezzo.
Non uscir da labbri miei. Non voglio
Nella caduta strasinarti meco.
N aver lega con te neppure in morte!
del malvagio unico ben la vita. (1)
Che vuoi tu, schiave a tirannia venduto?
Di te mi rido. Libero son io (2)
UFF. armato - Il ferro gli si strappi. (3)
MORT. E il cuore
Liberamente aprire io posso, e sciorre
Nel punto estremo della mia lingua! Tutta
Sui capi vostri maledetti cada
Lira del ciel, che il vostro Dio, la vostra
Vera regina abbandonando, volti
Gli omeri avete con perfidia orrenda
Alla Maria terrena e alla celeste,
Vili servendo a una bastarda in trono.
UFF. Udite le bestemmie! Su! Safferri.
MORT. Oh amata! Se non giunsi a scior tuoi ceppi,
prova vo darti almen dalma virile. (4)
[1] Allufficiale che si avanza per arrestarlo.
[2] Cava un pugnale.
[3] Le guardie gli vanno addosso, ma egli si difende.
[4] Si ferisce e cade tra le braccia delle guardie.
SCENA V.
Stanza interna.
ELISABETTA con una lettera in mano, CECILIO, poi un PAGGIO.
ELIS. Trarmi col! S iniquamente a scherno
Prendermi! Traditor! Della sua deruda
In trionfo condurmi innanzi agli occhi!
A Cecilio! Finor non fu mai donna
In tal modo delusa!
CEC. Io non comprendo
Come, per qual potere, per quale incanto
Lacuto spirto della mia regina
Siffattamente ad ingannar sia giunto.
ELIS. I o muojo di vergogna! Oh qual si fece
Giuco il fellon della fralezza mia!
Dumiliarla io credetti, e oggetto io stessa
Fui di dileggio.
CEC. Or ti fia chiaro appieno
Se il mio consiglio era fedele.
ELIS. Acerba
Pena mebbio di non laver seguito.
Ma come io f gli avrei negata? Come
Temer di fraude in mezzo ai giuramenti
Del pi sincero amor? Di chi fidarmi
Io pi potr segli ingannommi? Ei chera
Per me salito a s sublime altezza,
Che pi, di tutti era al mio cuor vicino,
A cui permisi di mostrarsi in corte
Quasi padrone, quasi re!
CEC. Per questa
Finta regina ei ti tradiva intanto.
ELIS. Oh col suo sangue ora ben vo' che il fio
Ella men paghi! Pronta la sentenza?
CEC. Come imponesti pronta.
ELIS. Innanzi a' suoi
Sguardi cader debb' ella, e poscia anch'esso
Cada. Bandito dal mio cuore in cui
Cesse l'amore alla vendetta il luogo.
Pari all'altezza vergognosa sia,
La sua caduta. Del rigor mio giusto,
Monumento ei rimanga, ei che fe' prova
Della mia debolezza. Al Tower tratto
Sar. Tra i pari io scieglier chi debba
Farne giudizio. Contro lui severo
Spieghi la legge il suo vigore.
CEC. Strada
Ei sapr farsi infino a te; purgarsi,
D'ogni colpa sapr.
ELIS. Quali discolpe
Fia ch'egli adduca. Il foglio nol convince?
Al par del giorno il suo delitto chiaro!
CEC. Tu se' mite e clemente. I modi suoi,
La sua presenza
ELIS. Pi non vo vederlo.
Hai tu ordinato che se ardisce ancora
Di presentarsi, si, rimandi?
CEC. Tale
il mio comando.
PAGG. (1) Il conte.
ELIS. Tracotante!
Veder nol voglio; a lui dillo, nol voglio.
PAGG. Dirlo io non oso, e non sarei creduto.
ELIS. A tale io dunque l'innalzai che i servi
Pi che di me deggian tremar di lui?
CEC. (2.) L'ingresso gli divieta la regina.
ELIS. (3) Se pur fosse possibile? E se mai
Giugnesse a discolparsi? Dimmi, un laccio
Esser ci forse non potrebbe ad arte
Teso dalla Stuarda, acci disgiunta
Io mi restassi dal pi fido amico?
La sua nequizia molto innanzi arriva!
E se quel foglio ad installarmi in cuore
Del sospetto il velen vergato fosse,
E lui, che abborre, a trabalzar nel fango?
CEC. Pensa, o regina...
[1] Entrando.
[2] Al paggio che poi parte indeciso.
[3] Dopo una pausa.
SCENA VI.
ELISABETTA, CECILIO, DUDLEO che entra con aria imperiosa spalancando la porta.
DUDL. Vo' veder audace
Che divietare a me l'ingresso ardisca
Della regina mia dentro le stanze.
ELIS. Oh temerario!
DUDL. Rimandarmi! Io pure
Vederla vo', se ad un Cecilio dato.
CEC. Ben ardito sei tu, se qui pretendi
Contro un divieto penetrare a forza!
DUDL. E tu insolente ch'osi
aprir qui bocca.
Divieto! E qual? Null'uomo in questa corte
V'ha, dal cui labbro attender debba il conte
Di Leicester licenza, oppur divieto. (1)
Sol dalla stessa mia sovrana io voglio
ELI (2) Togliti, indegno, dalla mia presenza.
DUDL. No, la mia buona Elisabetta! In queste
Dure parole sol Cecilio io sento,
Il mio nemico - Alla regina mia
Voglio appellarmi - Se a lui desti ascolto,
Anch'io posso pretenderlo.
ELIS. Favella,
Infame! Accresci il tuo delitto! Il nega!
[1] Accostandosi umilmente a Elisabetta.
[2] Senza guardarlo.
DUDL. Fa che questo importuno sallontani -
Vanne, o signore, che non ha mestieri
Di testimon ci' che trattare io deggio
Colla regina. Va.
ELIS. (1) Resta. L'impongo.
DUDL. A che fra noi cotesto terzo? Ho cose
Che all'adorata mia regina io solo
Vo' palesar. Del posto mio sostengo
I sacri dritti, e nuovamente io chieggo
Che costui parta.
ELIS. Questi audaci accenti
Bene ti stan.
DUDL. S ben mi stan, ch'io sono
L'avventurato a cui donar ti piacque
La preferenza tua. Per essa a lui
Sovrasto e agli altri tutti. Al tuo cuor debbo
L'illustre grado; e quanto diemmi amore
Sapr, per Dio! della mia vita a costo
Io sostener. Esca; e in, un solo istante
Io m'intendo con te.
ELIS. Tu speri in vano
Di guadagnarmi con parole accorte.
DUDL. Ei da ciarliero guadagnar ti seppe.
Io favello al tuo cuore, a cui vo solo
Render ragion di quanto osai, fidando
Nel tuo favor - Dell' opre mie non soffro,
Fuor che laffetto tuo, giudice alcuno.
[1] A Cecilio.
ELIS. E questo, audace! appunto ti condanna -
Mostragli tu lo scritto.
CEC. Eccolo!
DUDL. (1) In esso I caratteri io veggo di Maria.
ELIS. Leggi e ammutisci!
DUDL. (2) Contro me, nol niego
Sta l'apparenza, ma sperar mi lice
Ch'essa non basti a condannarmi.
ELIS. Nega,
Nega se il puoi gli ascosi tradimenti
Colla Stuarda orditi. Il suo ritratto
N'avesti in dono, e in lei speme hai nutrita
Di libert.
DUDL. Potrei d'una nemica
I detti rigettar se reo foss'io.
Ma non ho colpa che mi gravi. vero
Ci ch'ella scrive.
ELIS. ver dunque? Fellone!
CEC. Ei da se si condanna.
ELIS. Esci. Tinvola
Dagli occhi miei. Nel Tower traditore!
DUDL. Tal io non sono. Errai, teco il disegno
Celando, ma leal ne fu lo scopo.
Io la nemica ho d'esplorar tentato
Per rovinarla.
ELIS. Debile discolpa!
[1] Scorre la lettera senza perdersi danimo.
[2] Dopo aver letto tranquillamente.
CEC. Come? Pretendi tu
DUDL. Molto arrischiai,
Lo so. Leicester solo in questa corte,
Tanto osare potea, ch a tutti noto
Quant'odio io porti alla Stuarda. Il mio
Grado, la confidenza onde mi onora
La mia sovrana appien distrugger denno,
Ogni sospetto contro il mio pensiero.
Lecito ad uom dal tuo favor distinto
Per non usate e perigliose vie
Compiere il suo dover.
CEC. A che tacerlo
Se il tuo consiglio fu leal?
DUDL. Tu suoli
L'opre vantar pria di compirle, e sei
Di tue prodezze lodatore eterno.
Tale, signore, il tuo costume. Il mio
d'agir prima e favellarne poi.
CEC. Or ne parli costretto.
DUDL. (1) Di prodigi
Tu ti dai vanto. Sol per te la vita
Della regina salva. Per, te solo
Smascherata la trama - Tu sai tutto.
Nulla si cela all' occhio tuo di lince -
Vano millantator! Tu esplori, e intanto
Maria Stuarda libera gi fora
In questo di se l'arte mia men pronta
Era al riparo.
[1] Misura Cecilio con occhio dironica alterigia.
CEC. E avresti?
DUDL. Io s. Riposta
In Mortimero la regina avea
Piena Fidanza. Il pi profondo arcano,
Del sui cuor gli svel. Contro Maria
A commettegli giunse opera di sangue,
Dallo zio con ribrezzo ricusata -
Non dico il vero?
CEC. (1) Onde nhai tu contezza?
DUDL. Il ver non dico? - Overano i tuoi mille
Occhi, signor, che il tradimento in cuore
A Mortimero non lessero? Di Roma
Furente partigian, vile stromento
De Guisa, amico alla Stuarda, spinto
A questo suol da insano fanatismo,
Era suo scopo di salvar Maria,
E uccidere la reina.
ELIS. (2) Mortimero!
DUDL. Il mezzo ei fu per cui Maria si volso
Meco a trattar. Cos li conobbi. Ed oggi
Esser dovea dal carcer suo strappata.
Tutto maperse in questo istante ei stesso.
Io lo feci arrstar; ma poich vide
Fallito il colpo, e il suo pensier palese,
Da se stesso si uccise.
ELIS. Ah! orrendamente
Sono ingannata - Mortimero!
CEC. E tutto
Avvenne or or? Da chio da te mi tolsi?
DUDL. Duolmi, e men duol per me, che a 'questo fine
Siasi condotto. Testimonio ei fora,
Se pur vivesse, ond'io purgato appieno
Avrei mia f d'ogni sospetto. In mano
Solo tal uopo io gi posto, lavea
Della giustizia. Un'accurata inchiesta
Al mondo intero palesar doveva
E far pi bella l' innocenza mia.
CEC. Egli, tu di', morte si diede? Ei stesso?
O luccidevi tu?
DUDL. Sospetto indegno!
S'oda la guardia a ch'io l fidai. (1) Tu esponi
Alla regina come Mortimero
Desse fine a' suoi d.
UFF. Vegghiando io stava
Nell'atrio allor che, spalancate in fretta
Le porte, il conte d'arrestar m'impose
Il cavaliere come reo di stato.
Ed egli il suo pugnal tratto di furto,
Fra i vili oltraggi e l'imprecar feroce
Contro della regina, il seno il volse,
Pria che a noi dato fosse d'impedirlo,
E di sua mano al suolI cadde trafitto.
DUDL. Basta cos. Partire or puoi. N' istrutta
Gi la regina appieno. (1)
ELIS. Quale abisso
Orrendo di misfatti!
DUDL. Or chi fu dunque,
Che ti salv? Cecilio? Era a lui noto
L'alto, periglio ond'eri avvolta? Ei forse
Allontanollo? - No. Leicester solo
Fu l'angelo tuo fido.
CEC. Gran ventura,
Conte, per te che Mortimero sia spento!
ELIS. Che pensare io non so. Sono indecisa
S'io ti creda, o diffidi; se innocente,
O reo tu sia. Quanto abborrire io deggio
Colei che a me di tanti affanni fonte!
DUDL. Duopo che ceda. Il voto or porgo anch' io
Per la sua morte. Consigliato ho dianzi,
Che il suo destino rimanesse in forse
Finch alzata di nuovo, in suo favore
Fosse una mano. Ora lo fu: si compia,
Si compia alfin la tua sentenza. Il chieggo.
CEC. Tu lo consigli? Tu?
DOL. Partiti estremi
Abborro ver, ma poich il bene esige
Della regina che si sparga il sangue
D'una vittima, anch'io cogli altri chieggo
Che di sua morte l'ordine li verghi,
[1] Lufficiale parte.
CEC. (1) Or che s saggio e s fedel del conte
l'avviso, l'ufficio a lui simponga
Che la sentenza compimento ottenga.
DUDL. A me?
CEC. S, conte, a te. D'averla amata
Laccusa, onde ancor dubbia in te la fede,
Meglio purgar non puoi, quanto alla scure
Il suo capo tu stesso abbandonando.
ELIS. (2) Saggio il consiglio suo. Cos si faccia.
DUDL. Ben mi potria del grado mio l'altezza
A dritto, dispensar dal tristo incarco,
Che meglio in vero ad un Burgley conviensi.
Chi alla regina s vicino posto
Com'io, ministro di funesto ufficio
Essere non dovrebbe. Ma dar prova
Vo' del mio zelo; e, ad appagar le brame
Della sovrana mia, d'ogni diritto
Del mio grado mi spoglio, Co l'odiosa
Incumbenza mi tolgo.
ELIS. La divida
Teco Cecilio. (3) L' ordine si stenda. (4)
[1] A Elisabetta.
[2] Guardando fisso Dudleo.
[3] A Cecilio.
[4] Cecilio parte. Si ode strepito fuori della scena.
SCENA, VII.
ELISABETTA, DUDLEO, KENT.
ELIS. Che ne apporti signor? Quale tumulto
Sorge nella citt? - Che, ci?
KENT Regina,
il popol tuo che a queste mura intorno
S'affolla e chiede e violento insiste
Di vederti.
ELIS. Che vuole il popol mio?
KENT. Londra, agitata da sinistre voci,
Crede in periglio i giorni tuoi, mandati
Nuovi assasini dal roman gerarca
A trucidarti, comgiurati insieme
Gl'inquieti cattolici a spezzare
Forzatamente alla Stuarda i ceppi,
E porla in trono. Il fido popol crede
Ed infierisce. Di Maria pu solo
Sedarlo il capo, s'oggi omai fia tronco.
ELIS. E di sforzarmi ardisce?
KENT. risoluto
Di non partirsi infin che la sentenza
Non sia segnata.
SCENA VIII.
ELISABETTA, DUDLEO, KENT, CECILIO, DAVISON con uno scritto.
ELIS. DAVISON, CHE CERCHI?
DAV. (1) Tu imponesti, o regina
ELIS. E che! (2) Gran Dio!
CEC. Del popolo la voci odi ed appaga,
Chell voce del ciel.
ELIS (3) Chi fia che possa
Farmi sicura, che il mio popol tutto,
Che luniverso approvar possa il grido
Che intorno a me si leva. Io temo, io temo
Che se or di molti al desiderio io cedo,
Poscia non sorga un sussurar diverso,
E gli stessi che allultimo partito
Mi sospingono a forza, al biasmo poi
Severamente volgano la lingua.
[1] Savvicina con seriet.
[2] Nellatto di prendere lo scritto abbrividisce e retrocede.
[3] Irresoluta.
SCENA IX.
ELISABETTA, DUDLEO, KENT, CECILIO, DAVIN, TALBOT.
TALB. (1) Si tenta di sorprenderti, o regina!
Deh non lasciarti vincere! Sii ferma - (2)
O troppo tardi forse? Ah s, ch io veggo
Un fatal scritto in quella mano! Il togli
Per or dagli occhi della mia sovrana.
ELIS. Nobil Salesbury, sono forzata!
TALB. Chi il pu? Tu imperi; e tempo che tu faccia
Prova del tuo poter. Silenzio intima
A quel brutale schiamazzar che ardisce
Insorger contro il tuo voler, e imporre
A' tuoi giudizi legge. Un timor cieco,
Un insano delirio quel che muove
Ora il popolo tuo. Tu pure in senno
Or non ti trovi. Acerbamente offesa,
Sei di tempra mortale, e la tua mente
Troppo mal fora al giudicar disposta.
CEC. Il fu gi da gran tempo. Or non d'uopo
Qui di giudizi, ma di compier solo
La sentenza gi data.
KENT. (3) Omai pi a lungo
[1] Nella massima agitazione.
[2] Mentre vede Davison collo scritto.
[3] Era uscito all' arrivo di Talbot e ritorna.
Non tiensi a fren del popolo il tumulto
Ognor crescente.
ELIS. (1) Vedi resistenza!
TALB. Non chieggo che un indugio. Il ben, la pace
De' giorni tuoi dipende sol da questo
Tratto di penna. Vi pensasti interi
Anni, e un istante di tempesta or seco
Strascinarti potr? Breve, ritardo
Accorda almeno. I tuoi pensier raccogli;
E un'ora attendi pi tranquilla.
CEC. (2) Attendi,
Indugia pur, ritarda infin che in fiamme
Vada il tuo regno, e il fatal colpo intanto
Giunga a vibrar la tua nemica. Un nume
Da te lo stolse gi tre volte, e anch'oggi
Vicino ti, strisci. Nutrir speranza
D'altro prodigio, tentar fora Iddio.
TALB. Lui che la mano portentosa stese
Quattro volte a proteggerti, che al braccio
Di debil veglio in questo d concesse
Tal vigoria, che un furibondo vinse,
Merta fiducia ancor! Non vo' che sorga
Di giustizia or la voce: non acconcio
A ci il momento, n tu udir la puoi
In tal trambusto. Odi ci sol. Tu tremi,
Ora innanzi a Maria che ancora in vita!
Ma non dei viva paventarla. Trema
[1]A Talbot.
[2] Con impeto.
Sol dellestinta a cui fu tronco il capo.
Fuor ellavello sorger la vedrai,
E qual dea di discrodie, o formidato
Spirto della vendetta, errar pel regno,
E seco del tuo popolo conquisto
Trarsi lamore. Ora il Britanno abborre
Quella che teme; ma se cade uccisa
Vendicarla sapr. Non la nemica
Della sua fede, ma de suoi monarchi
Nella infelice scorger il rampollo,
Dodio rival la vittima. Fia pronto
Il cambiamento. Per vie di Londra
Esci dopo il ferale atto di sangue,
E al popolo ti mostra, che di gioja
Ebbro gi pria ti affollava intorno.
Altro popolo allora, altra inghilterra
Vedrai, ch il serto tuo pi non circonda
La sublime giustizia, onde rapito
Era dianzi ogni cuor! L paura,
La orribile compagna de tiranni,
Preceder i tuoi passi, e il raccapriccio
Far deserto dogni mezzo avrai trascelto!
Qual capo fia sicuro, se colpisce
Questo, che sacro, la bipenne?
ELIS. Salva
Oggi, nobil Talbot, tu mhai la vita!
Dellassassino dal mio petto il ferro
Stogliesti! - A che troncargli il corso? Almeno
Tolta sarebbe ogni contesa, e scevra
Dogni dubbiezza, senza colpa in pace
Nella mia tomba giacerei. Di vita
Sono sazia, e di regno. Ah! se pur forza
che di noi regine una sia spenta
Acci laltra abbia vita (e indarno, il veggo,
Omai fora il nutrir speme diversa)
Perchesser non deggio che allaltra ceda?
Scelga il popolo. A lui rendo il suo dritto
Di maest. M testimonio il cielo,
Chio non per me, ma pel mio popolo solo
Vissi fin ora. Se pi felici giorni
Ei pu sperar da questa lusinghiera
Pi giovane regina, io di buon grado
Scendo dal soglio, e di Vodtsoo ritorno
Nella solinga sede, ove gi trassi
Senza pretese i miei pi floridanni
Dove lontana dal fatal prestigio
Delle umane grandezze io mi trovai
In me stessa sublime - Io non son atta
A dominar. Deve talor chi regna
Usar durezza, ed il mio cuor mite
Lunga stagion felicemente il freno
Di questisola io ressi, infin che tutti
Potei render felici. Or giunge il primo
Grave dovere di regnante, e io sento
Tutta la mia fralezza.
CEC. Or che, per Dio!
Udir mi tocca dalla mia sovrana
Parole di re indegne, io tradirei
Il mio dover, la patria mia tacendo -
Tu di che del tuo popolo ti cale
Pi di te stessa? Or di mostraro duopo!
Non cercare a te pace allor he il regno
Rimansi in presa alla burrasca! pensa
Alla chiesa! E fia ver che con Maria
Faccian ritorno i prischi error? Di nuovo
Il monachismo innalzer la fronte
Dominatrice? E giunger da Roma
Legato altier che i nostri templi chiudad,
E dere nostri al suol rovesci il trono? -
Lanime de tuoi sudditi ti chiedo -
Da te il dannarle o farle salve or pende.
Se a te salv Salesbury la vita,
Il salvar vo la patria - ed pi assai!
ELIS. Lasciatemi a me stessa! van chio speri
Negli umani consigli aver conforto
In s granduopo. Abbandonar mi voglio
A pi sublime giudice, a far presta
Quanto minspirer. Signori, uscite.
E tu, rimanti, Davison, da presso. (1)
[1] Partono i grandi; Talbot resta alcuni momenti ancora, guardando Elisabetta con occhio pieno di espressione, indi si allontana lentamente mostrando allaspetto il pi vivo dolore.
SCENA X.
ELISABETTA
Vituperevol giogo! Oh quanto grave
La servit del popolo! - Son stanca
D'accarezzar quest'idolo che sprezzo
Nel profondo del cuori! Quando mai fia
Che sopra il trono mio libera io segga?
Venerare il voler, mercar le lodi,
Compier le brame dell' instabil plebe
All'esca sol de' ciurmadori avvezza,
M forza. Ah non re chi il volgo insano
Debbe blandir! Vero monarca solo
Quei che d'uopo non ha ch'altri consenta
A suoi voler - Dunque, da poi che vivo,
Ognor seguite ho di giustizia l'orme,
E portato all'arbitrio un odio acerbo
Perch le mani da me stessa inceppi
Quand' mestieri a violenza usarle
La prima volta! Egli il mio stesso esempio
Quello che mi condanna. Oh le crudele
Stata fosl' io, come la fera Ispana
Che mi prevenne al trono, or senza biasmo
Sparger potrei da regal vena il sangue!
Ma se finor fui giusta mia la scelta? -
Questa virt necessit o m'impose
Che imperiosa anche dei re governa
Il libero volere - D'ogni parte
Da' nemici assiepata, il favor solo
Del popol regge il mio mal fermo soglio.
Tutti d'Europa tentano i monarchi
D'annichilarmi. Al capo mio da Roma
Scaglia anatemi l'implacabil Sisto.
Sotto bacio fraterno infida cela
La Francia il tradimento. In mar la Spagna
Cruda mappresta sanguinosa guerra.
Ed io fievole donna, io sola stommi
Contro un intero mondo! Asconder debbo
Sotto l'ammanto di virt sublimi
Tutta la nudit de' dritti miei,
E quella macchia onde il regal mio sangue
Il genitor brutt. La copro indarno -
De' miei nemici l'odio la palesa,
E ponmi innanzi ognor questa Stuarda ,
Eterno spettro minaccioso! d'uopo
Ch'abbia termine alfin questo spavento.
Cada! Voglio aver pace. Essa la furia
Della mia vita, un tormentoso spirto.
Postomi a' fianchi dal destino. Ovunque
Un. diletto m'arrida, una speranza,
Quest' aspide daverno m'attraversa.
Sempre il cammin. Lamante ella mi toglie,
Mi rapisce lo sposo. Ogni sciagura
De' giorni miei Maria Stuarda ha nome!
Tolta, a' vivi. coste, libera io sono.
Come l'aura de' monti. Qual dileggio
Non apparia nel suo superbo sguardo,
[1] Fa una pausa.
Quasi bastasse a rovesciarmi al suolo!
Impotente! Io brandisco armi pi certe:
Esse a morte colpiscono, e tu stessa
Non vivi pi! (1) Ti sono una bastarda?
Sciagurata! lo son finch tu viva;
Ma se cade il tuo capo, ogni dubbiezza
De' regii miei natali insieme spenta.
Ove a' Britanni il sceglier manchi, anch'io
Da leggittimi nodi ebbi la vita. (2).
SCENA XI.
ELISABETTA, DAVISON.
ELIS. Dove sono i miei grandi?
DAV. Iti son tutti
A contener del popolo la furia.
Ogni tumulto all'apparir del conte
Di Salesbury tacque. desso, desso,
Cento voci gridar, quegli che salva
Oggi nha la regina! Or via sascolti
L'uomo il pi prode dInghilterra. Allora
[1] Va frettolosa al tavolino ed afferra la penna per sottoscrivere la sentenza che vi sta sopra, poi si ferma.
[2] Sottoscrive la sentenza con movimento rapido e fermo, indi lascia cadere la penna e retrocede con espressione di spavento. Dopo una pausa suona il campanello.
Il buon Talbot con mansueti accenti
L'intemperante cospirar riprese
Dell' affollato popolo, e tal possa
Ebbe il suo dir cha tranquillosi ognuno,
Ed il foro fu sgombro.
ELIS. Instabil turba
Ch'ogni soffio di vento agita e sperde!
Folle chi a questa canna sabbandona! -
Basta cos, signore: irtene or puoi. (1)
E questo foglio? - Lo riprendi Il fido
Alle tue mani.
DAV. (2) Regina! - Il tuo nome!
Hai tu deciso?
ELIS. D'uopo era il firmarlo,
E il feci. Un foglio non risolve ancora:
N un nome ammazza'.
DAV. A pi di questo scritto
Tutto risolve il nome tuo! Diventa
Fulmin che scroscia rapido ed uccide!
Da questo foglio ogni indugiare tronco;
E ai commissari, e allo sceriffo impone
D'ire a Fortheringhay nunzi a Maria
Della sua morte, e d'eseguirla al primo
Sorger del nuovo d. Qui non tempo
Or di dimore. Se di man lo scritto
M'esce, ella spenta!
ELIS. Iddio, signor, ripone
[1] Dopo che Davison si volto verso la porta.
[2] Getta unocchiata sulla sentenza e si spaventa.
Nella debil tua destra un gran destino.
Impetra or tu de' suoi superni lumi
Il clemente favor. Parto, e ti lascio
Al tuo dover.
DAV. (1) No, mia sovrana! Svela
Pria di lasciarmi, i tuoi voleri. Or d'altro.
Lume non mestieri che il tuo cenno
Compiere fedelmente - In man mi poni
Tu questo foglio perch pronto io debba
Farlo eseguire?
ELIS. Della tua prudenza
Giusta i consigli
DAV. (2) Ah no! Tolgalo il cielo!
Nell'obbedir la mia prudenza tutta.
Nulla al tuo seno rimaner qui debbe
Da giudicar. Lieve mancanza fora
Un regicidio, una sciagura immensa,
Senza confine. Accordami ch'io sia
In s grand'opr. tuo stromento cieco,
Privo d'ogni volere. I sensi tuoi
Aprimi appien. Che' degg'io far con questo.
Ordin d morte?
ELIS. Il nome suo linsegna.
DAV. Imponi dunque che tosto si compia?
ELIS. (3) Io ci non dico, e in sol pensarlo tremo.
[1] Si pone innanzi a Elisabetta che vuole partire.
[2] Interrompendola in fretta e spaventato.
[3] Titubante.
DAV. Vuoi che pi a lungo io l serbi?
ELIS. [1] A tuo periglio! Tu ne rispondi.
DAV Io? Sommo Iddio! - Regina,
Parla, che vuoi?
ELIS. (2) Vo' che s infausto evento
Pi amai non si rammenti, acci ch'io pace
Abbia alfine, e per sempre.
DAV. Non ti costa
Che un detto solo. Oh di' che far si debba
Di questo scritto!
ELIS. Gi lo dissi. Or cessa
Di tormentarmi ancor.
DAV. L'hai detto? Nulla
Dicesti - Oh piaccia alla regina mia
Di ricordarsi!
ELIS. (3) Importuno!
DAV. Deh meco
Indulgente ti mostra! Ha poche lune
Che in questo impiego entrai. Noto Per anco,
Delle corti e dei re non m linguaggio -
Crebbi tra schietti e semplici costumi;
Perci soffri il tuo servo! Non tincresca
Un detto sil che il dover mio sadditi. (4)
[1] In fretta.
[2] Impaziente.
[3] Batte col piede il suolo.
[4] Le si accosta in atteggiamento supplichevole. Essa gli avvolge il tergo, egli si mostra disperato, indi con tuono risoluto.
Riprendilo! Riprendi questo foglio!
Nelle mie man fuoco rovente fatto.
Ah non volere in opra s funesta
Di me valerti!
ELIS. Il tuo dovere adempi.
SCENA XII.
DAVISON poi CECILIO.
DAV. Ella si parte, sconsigliato e incerto
Me qui abbandona con tremendo scritto!
Che fo? Lo serbo, o lo consegno? (1) Oh come
Giungi opportuno! Mio signore, io deggio
A te l'impiego mio: tu me ne sciogli.
Delle sue cure ignaro io laccettai.
Lascia ch'io torni nell'oscuro stato
Da cui per te fui tolto. A quest'incarco
Nato io non sono.
CEC. Onde turbato tanto?
Fa cuore. A se chiamar ti fea poco anzi
La regina. Che fu della sentenza?
DAV. Acerbamente irata la regina
Di qui si tolse. Ah tu, signor, mi porgi
Consiglio! Ah mi soccorri! Tu da questo
Dubbio infernal mi strappa. Ecco. segnata
[1] A Cecilio che entra.
la sentenza.
CEC. (1) Oh porgila! T'affretta:
DAT. Non posso.
CEC. Che?
DAV. Non fece ancor palese
Appieno il suo voler.
CEC. Non anco appieno?
La segn pure. A me ...
DAV. Debbo - non debbo -
Farla eseguire? - Oh cielo! a qual partito
Io mi volga non so.
CEC. (2) D'uopo che tosto,
Immantinente sia compiuta. Porgi,
se ancora indugi sei perduto.
DAV. Il sono
Del pari se m'affretto.
CEC. Tu deliri. Sei fuor di senno, Porgila. (3)
DAV. (4) Che fai?
Fermati. Fabbro sei di mia rovina!
[1] Ansiosamente.
[2] Insistendo con maggior forza.
[3] Gli strappa di mano lo scritto ed esce velocemente.
[4] Gli va dietro correndo.
ATTO QUINTO.
SCENA I.
Stanze dell'atto primo.
KENNEDY vestita di nero, cogli occhi pregni di lagrime, presa da profondo ma muto dolore, occupata nel sigillare pacchi e lettere. L'angoscia spesso la interrompe nel suo lavoro, e vedesi in questo mezzo orare sotto voce. Entrano POWLET e DRURY, anch'essi in abito di lutto, e tengono loro dietro molti servi con vasi doro e dargento, specchi, quadri ed altri addobbi, che vanno a deporre in fondo alla stanza. POWLET consegna a KENNEDY un cofanetto di gioje con una carta, facendole cenno che quella la nota delle cose recate. Alla vista di questi arredi rinnovasi il dolore della nutrice. Ella cade in una cupa tristezza, e gli altri ripartono in silenzio. Entra MELVIL.
KENN. (1) Melvil, sei tu? Pur ti riveggo?
MELV. O fida
Kennedy, s, ci rivediam.
KENN. Fu lungo
[1] Al vedere Melvil getta un grido.
E amaro lo distacco.
MELV. Oh quanto infausto
E doloroso il rivederci!
KENN. Oh Dio!
Vieni
MELV. L'ultimo a tor dalla regina
Congedo eterno.
KENN. Or solo,
or nel mattino Della sua morte alfine l' concessa
De' suoi la vista sospirata a lungo -
Non ti chieggo, o signor, di tue venture,
N ti narro gli affanni onde gravati
Fummo dal d che fosti a forza tolto
Dal nostro fianco. Oh ben verranne il tempo!
O Melvil, o Melvil, a qual giornata
Il fato ci serb!
Vano a vicenda
Il contristarci. Avr compagno il pianto
Fino alla tomba. Pi non fia che allegri
Le mie guancie un sorriso, o ch'io deponga
Queste lugubri vesti. Eternamente
Vo' pascermi d'angoscia, ma di tutta
La mia fermezza in questo d far prova -
Tu pure il duolo affrena, e allor che in preda
Darassi ogni altro a disperato affanno,
Noi precediamla con viril proposto,
Noi siamle appoggio nel cammino estremo.
KENN. Melvil, t'inganni.' Della nostra aita
D'uopo non ha -per incontrar la morte.
D'imperturbata calma ella ne porge
Nobile esempio. Non averne tema!
Con eroico coraggio, da regina
Morr Maria Stuarda.
MELV. Ebbe ella forza
Di sostener l'orrendo annunzio? voce
Che disposta non lera.
KENN. Non l'era.
Laceravale il petto altro spavento.
Non della morte era in timor Maria.
Ma di lui che a salvarci erasi accinto -
Nera promessa libert. Da queste
Mura trame dovea la scorsa notte
Mortimero. Esitante, conturbata
Fra la speme e il terrore, incerta ancora
Se il proprio onor e la regal persona
Debba fidare al pro' garzone, il giorno
Stava aspettando la regina. - A un punto
Improvviso tumulto entro il castello
Sorger si sente; e un sussurrar confuso,
E spessi colpi di martello i nostri
Orecchi empion di tema. Udir credemmo
Chi ne dovea redimere. La speme
Sentir si fece, e della vita in noi
Con viva forza involontario sorse
Il dolce istinto, quando aprir s'intese
La porta, ed Powlet col fero annuncio
Che sotto ai nostri pi veniasi ergendo
Da' legnajuoli il palco! (1)
[1] Volge la faccia per violento dolore.
MELV. O giusto Iddio!
Ma dimmi: come sopport Maria
Il tramutarsi della orribil scena?
MELV. (1) Alla vita immortal dalla caduca
Passar non lice lentamente. A un tratto,
A un tratto 1010 tramutare forza
Quanto hba misura coll'eterno. A lei
Pur diede Iddio tal posaa io quel momento
Che ogni lusinga di terreno affetto
Dal risoluto cor cacciata in bando,
Piena di fede si converse al cielo.
Non vilt di lamento in lei si vide,
Non segno alcun di pallida paura.
Sol pianse allor che il tradimento infame
Di Leicester conobbe, e il duro fato
Del nobile garzon che della vita
A lei fe' sacrifico; e la profonda
Doglia mir del vecchio cavaliero
A cui per sua cagione era troncata
L'ultima speme de' cadenti giorni.
Non la sua sorte, ma l'altrui sfortuna
Trassele allor le lagrime dal ciglio.
MELV. Ora dov' ? Puoi tu guidarmi a lei?
KENN Vegli pregando il resto della notte;
Dagli amici suoi cari ella in iscritto
Tolse congedo, indi i suoi sensi estremi
Di propria man verg. Breve riposo
Or prende. questo l'ultimo ristoro
[1] Dopo una pausa in cui si alquanto riavuta.
Che le concede il sonno.
MELV. Chi sta seco?
KENN. Burgoin, il suo medico, e le ancelle.
SCENA II.
MELVIL, KENNEDY, CURLA in abito di lutto.
KENN. Che ne rechi? Gi desta la regina?
CURL. (1) Gi indossate ha le vesti, e di te chiede.
KENN. Vado. (2) Non mi seguir: fin che disposta
Al rivederti io pria non l'abbia.
CURL. Come?
Melville! Il vecchio maggiordomo!
MELV. Ei stesso.
CURL. Ah che pi Non ha d'uopo questo albergo
Di chi lo regga! - Tu, Melvil, da Londra
Giugni. Hai novelle del consorte mio?
MELV. Fama che dal suo carcere fia sciolto
CURL. Tosto che muoja la regina! Ah infame,
Perfido traditor! Ei dell'amata Principessa il carnefice. Si narra
Che fu di sua condanna ei lo stromento.
MELV. vero.
CURL. L'alma sua sia maladetta
Fin nell' inferno, poich al falso pronta
[1] Asciugandosi le lagrime.
[2] A Melvil che la vuol seguire.
Ebbe la lingua. Pondera, o signora,
Le tue parole!,
CURL. Al tribunale innanzi
Lo giurer! Gliel vo' ridire in viso,
Vo' che lo sappia l'universo intero:
Ella muore innocente.
MELV. Iddio lo veglia!
SCENA III
MELVIL, CURLA, BURGOIN, poi KENNEDY
BURG. (1) Oh Melvil!
MELV. (2) Burgoin!
BURG. (3) Di vino un nappo
Alla regina prontamente appresta.
MELV. Vien ella men?
BURG. Nelle sue forze ha fede.
Linganna il suo coraggio. Ella aver dupo
Di cibo non estima; ma lattende
Duro cimento ancora, e i suoi nemici,
Dove il vigore del suo fral soggiaccia,
Vantar non denno, che il timore di morte
Coperte di pallore abbia sue gote.
[1] Vedendo Melvil.
[2] Abbraccia Burgoin.
[3] A Curla che poi parte.
MELV. (1) Di vedermi acconsente?
KENN. Ella medesma
Or qui ne vien - Tu' muovi con sorpresa
Intorno il guardo, e par ch' esso mi chieda:
Che fan di morte in questinfausto loco
S preziosi addobbi? Ognor compagna
Ne fu, vivendo, la miseria, e or solo
Insiem con morte l'abbondanza torna.
SCENA IV.
MELVIL, BURGOIN, KENNEDY; ROSIMUNDA e GERTRUDA, in abito di lutto, prorompono in diritto pianto alla vista di MELVIL. Poco dopo entrano ALICE E BERTA, egualmente in abito di lutto e nel massimo dolore.
MELV. Oh vista! Oh quale incontro! Rosimunda! Gertruda!
ROS. Di scostarci ella ne impose.
Sola vuol star con Dio lultima volta.
[1] A Kennedy che entra.
SCENA V
MELVIL, BURGOIN, KENNEDY, ROSIMUNDA, GERTRUDA, ALICE, BERTA, CURLA, la quale ultima, recando un nappo d'oro, va ad appoggiarsi pallida ad una sedia.
MELV. Che hai tu, signora? Qual terrore?
CURL. Oh Dio!
BURG. Che tavvenne?
CURL. Qual vista mi si offerse!
MELV. Riedi in te stessa. Che fu mai? Favella.
CURL. Mentre io, di vin recando questo nappo,
La gran scala salia che nel soggetto
Atrio conduce, a un tratto si spalanca
La porta guardo e vego Oh Dio!
MELV. Che mai
Vedesti? Ti rinfranca.
CURL. Le pareti
Tutte di negro rivestite; un palco
Sorge dal suolo, e negro ammanto il copre:
In mezzo un negro ceppo, a pi un cuscino,
E l da presso una tagliente scure -
La folla, onde ingombrata la gran sala,
Intorno al paleo di morte si stipa,
E con occhio di sangue sitibondo
Sta aspettando la vittima.
DAMIG. O Dio sommo,
Abbi piet di lei!
MELV. Fatevi onore!
Ella savanza.
SCENA VI.
MELVIL, BURGOIN, KENNEDY, RSIMUNDA, ALICE, BERTA, GERTRUDA, CURLA; MARIA in bianco abito festivo, con Agnus-Dei appeso al collo in un cordone infilzato di piccoli globi, un rosario alla cintura, il crocifisso in mano, e la corona in capo. Un lungo velo nero, assicurato ai capelli, le pende dietro le spalle.
MAR. (1) A che lagnarvi? In pianto
Perch cosi? Meco gioir dovreste
Che di mie pene il termine s'appressi,
Che infranti i ceppi cadano, che, aperta
Sia la prigione, e l'alma mia contenta
Sovra l'ali degli angeli sen voli
A eterna libert. Dovuto il pianto
Erami aIlor che nelle mani io caddi
Di superba nemica, allor che iniqui
Spregi, di grande e libera regina
Indegni troppo, sopportai ! - La morte,
[1] Gira intorno lo sguardo placida e piena di dignit..
Questa, amica severa, or mi si accosta
Provvidamente e co' suoi negri vanni
Copre tanta ignominia. Il fato estremo
Onora l'uom dal vilipendio oppresso.
Ancor mi sento la corona in capo,
E un degno orgoglio nella nobil alma!
(1) Come? Melvil, tu qui? - Perch in quest'atto?
Sorgi, signore. Della tua regina
Il trionfo a veder, non la sua morte,
Tu sei venuto. Oltre ogni speme arride
A me fortuna, che a' nemici miei
Tutta la fama mia non abbandona,
Or che un amico, di mia stessa fede,
Veggomi a canto, testimon sicuro
Nell'ora del morir! - Le tue vicende
In quest'avverso infausto suol mi narra,
Nobile cavalier, dal di che a forza
Mi fosti tolto. Il mio pensier sovente
Ti venne incontro, e acerba spina al cuore
Erami il tuo destin.
MELV. Null'altro affanno
Ebbi che il duolo che di te mi prese
E del fievol mio stato, inetto ahi troppo!
A poterti giovare.
MAR. Ed il canuto
Didier mio ciambellan? Dorme quel fido
L'eterno sonno? D'anni era gi carco.
(1) Mentre savanza alcuni passi e vede Melvil genuflesso a suoi piedi.
MELV. Di questa grazia
Iddio non gli fe' dono,
E vive a seppellir tua giovinezzn!
MAR. Oh dato almen pria di morir mi fosse
Di stringer d'un congiunto il capo amato!
Ma in strania terra morir debbeo, e solo
Ho delle vostre lagrime il conforto -
Melvil, depongo nel fedel tuo petto,
Gli estremi voti pei parenti miei -
Prego grazie di Francia al pio monarca,
A me cognato, e alla regal sana stirpe;
Al mio zio porporato, e al prode Arrigo
Di Guisa, mio cugin. Le prego al santo
Vicario in terra dellunto di Dio
Che me por benedice, e al generoso
Ispano re che la sua spada offerse
Alla salvezza e una vendetta, mia.
Di tutti feci nel voler mio estremo
Dolce ricordo e gradiran, lo spero,
I doni del mio amor, bench meschini - (1)
Il destin vostro al mio regal fratello
Di Francia io raccomando. Ei nuova patria
E presidio daravvi. E, se v' caro
L'ultimo pregio mio, da questo regno
Uscite, onde non sbramino i Britanni
Nelle vostre sciagure il cuor superbo,
N veggan nella polve i miei pi fidi.
Su questo pegno dell'umau riscatto
Datemi f d'abbandonar l'infausto
[1] Volgendosi ai suoi servi.
Anglico suolo com' io sia sotterra.
MELV. (I) Per tutti il giuro.
MAR. Ho gi fra voi partito
Quanto povera e spoglia ancor rimanmi.
M' il disporne concesso e rispettato
Sar, lo spero, il mio voler supremo.
Ci 'che ora indosso sulla via di morte
Vostro fia pure - Anco una volta questa
Pompa terrena, or che rivolgo i passi
Al cielo, non mi sia da voi disdetta. (2)
Gertruda, Alice, Rosimunda mie,
Le mie perle a voi dono e le mie vesti,
Ch di tali ornamenti ancor s'allegra
La giovinezza vostra: Il pi vicino
Dritto al mio cuor magnanimo possedi
Tu, Margherita, che fra tutte lascio
La pi infelice! A te far palese
Il mio legato che del tuo consorte
In te il fallire io non punisco - O fida
Kennedy mia, te non adesca d'oro,
O di gemme splender. La mia memoria
Sola bai pi cara d'ogni uman retaggio.
Questo lino ricevi! La mia mano
Nell'ore del doler per te il trapunse,
E le lagrime mie vi sono inteste.
Vo' che con esso nel fatal momento
Tu mi bendi le luci. Dalla mia
[1] Tocca il crocifisso.
[2)] Volgendosi alle donne.
Giana aver bramo quest'ufficio estremo.
KENN. Io non reggo, Melvil!
MAR. Venite tutti
A ricever da me l'ultimo addio! (1)
Addio, mia Margherita - Alice, addio -
Del fedel tuo servir grata ti sono,
Borgoin! - Mia Gertruda, oh come ardenti
Son le tue labbra! - Di molt'odio segno
Io fui, ma molto, pur amata. Ah renda
un generoso sposo appien felice
La mia Gertruda, poich tal si merta
Giusta merc d'amore un tanto affetto! -
Berta! tu muovi a pi sicura meta
Farti eleggendo casta sposa a Cristo.
Ah non frappor dimore! Il veto adempi!
Fallaci son di questa terra i beni,
E n'hai tu esempio nella tua regina! -
Ma basti alfine - Addio - Per sempre addio. (2)
SCENA VII
MARIA, MELVIL.
MAR. A ogni cura terrena ho soddisfatto
E dalla vita di staccarmi ho speme
[1] Porge la mano che gli astanti, cadendo genuflessi, baciano luno dopo laltro, dirottamente piangendo.
[2] Si stacca in fretta da loro, e tutti partono fuorch Melvil.
Senza che ad uom nulla io pi debba - Solo
Solo un impaccio ancor, Melvil, contende
All'afflitta alma mia di sciorre i vanni
Libera e trionfante.
MELV. A me, lo scopri.
Solleva il cuore; al tuo fedele amico
Le tue cure confida.
MAR. Io sto sullorlo
D'un eterno avvenir; sar tra poco
Del supreme mio giudice al cospetto,
N dell'umana tabe ancor son monda.
Del mio - culto un ministro mi s nega;
E dalle mandi falsi sacerdoti
Pascer disdegno il pane della vita.
Ivo morir della mia chiesa in grembo,
Dove solo salvezza.
MELV. Ti conforta.
Brama, fervente e pia dellopera fu luogo
Nel cielo accolta. De' tiranni solo
La violenza pu inceppar le mani,
La piet no, che libera sestolle
Nel cospetto di, Dio. Morta dell' uomo
la parola, e la f sol lavviva.
MAR. A te stesso, Melvil, non basta il cuor!
Duopo ha la fede di terrestre pegno
Che la conforti nel beato acquisto.
Per questo assunse
Iddio le umane spoglie,
E am celar sotto visibil velo
Gli invisibili suoi celesti doni.
Santa e sublime scala al ciel la chiesa,
E universal, cattolica l' appella,
Perch santo vigor la f di tutti
Alla f stessa aggiunge. Ove di mille
Sorgono i caldi, voti, ivi divampa
L'ascosa brace in fiamme, e fervoroso
Oltre i cieli lo spirito sen vola. Oh avventurati voi, che lieti unite
Nel tempio del Signore i prieghi vostri!
Corrusca l'ara di pomposi arredi,
Ardon le ceree faci, il suon del sacro
Bronzo rimbomba, in tortuose spire
Sorge l'incenso, ed il pastore, accinto
Di bianca stola, il calice sacrato,
Stringe, lo benedice e manifesta
Della mutata essenza il gran prodigio.
Pieno di fede innanzi al Dio presente
Il popolo satterra - Io sola, ahi lassa!
Io son lesclusa! Fino a me del cielo
La grazia in queste mura non penetra!
MELV. Vi penetra! L'hai presso! Ti confida
In Lui che tutto pu. L'arida verga
In mano di chi ha fede si rinfiora.
Chi dalla rupe zampillar fe' l'onda
Erger ti pu nel carcere l'altare,
E in celeste mutar l'esca caduca
Che dentro a questo calice s'asconde (1).
MAR. Comprendo i detti tuoi? - S li comprendo.
[1]. Addita il calice che trovasi sul tavolino
Melvil! Qui non v'ha chiesa, non levita,
Non il mistico pane; ma pur disse
il Redentor: L dove nel mio nome
Due stanno uniti, anchio fra lo, mi trovo.
E donde avvien che oracolo di Dio
Sia fatto il sacerdote? Da incolpata
Vita, e da mondo cuor - Dunque tu stesso
Mi sia ministro, messaggier del cielo,
Di pace apportator bench non unto -
Lultima volta a te dinanzi io voglio
Confessar le mie colpe, e la tua bocca
Nunzia sarammi di vita eterna.
MELV. Poich si ardente la tua fede, or sappi,
O mia regina, che un prodigio il cielo
Pu oprare a tuo conforto. Qui, dicesti,
Sacerdote non vha,non incruenta
Ostia, non chiesa? Esci d'inganno omai:
E sacerdote e Dio sono presenti - (1)
Ministro io stesso, a udir venni l'estrema
Accusa di tue colpe, a darti pace
Sul cammino di morte. Io porto impressi
Sovra il mio capo i sette della chiesa
Ordini, e questa, dal sovran gerarca
Ostia sacrata, in nome tuo ti reco.
MAR. Dunque tanta ventura il ciel m'appresta
Fin sulloscuro limitar di morte!
Come spirto immortal sovra dorate
[1] Si scopre il capo e mostra in una conserva doro (testo illeggibile)
Nubi discende; come l'angel sciolse
Dai ceppi un di l'apostolo, n valse
A ritenerlo chiavistello, o spada
Di vigile custode, ma possente
Pass attraverso alle ferrate imposte,
E sfavillando di divina luce
Apparve in mezzo aI carcere; tal giunge
A me insperato il messaggier celeste,
Poich indarno dagli uomini aspettai
Finor salvezza! - A' piedi tuoi, mio servo
Un giorno, ed or di Dio ministro e lingua,
Nella polve mi prostro, qual tu pria
Le ginocchia piegavi al mio cospetto. (1)
MELV. (2) DEL PADRE, DEL FIGLIUOL, DEL SANTO SPIRTO
IN NOME! Del tuo cuor, Maria regina,
Hai tu le ascose vie tutte indagate?
A chi vindice eterno il ver conosce
Prometti e giuri di svelar tu il vero?
MAR. Agli occhi dell'Eterno e a' tuoi dischiuso
Stassi il mio cuor.
MELV. Dal d che ti fu dato
L'ultima volta di scolparti a Dio,
Da qual rimorso conturbata hai l'alma?
MAR. D'odio e d'invidia il petto mio ribocco,
Volgea pensieri di vendetta. A miei
Falli io sperava dal Signor perdono. E non seppi accordarlo alla nemica.
[1] Cade ai piedi di Melvil.
[2] Fa sopra Maria il segno della croce.
MELV. E abborrimento hai di tal colpa? fermo
D'uscir dal mondo in pace in te il proposto?
MAR. S, come spero in Dio, che mi perdoni.
MELV. L'anima d'altra colpa non taccusa?
MAR. Ah non collodio solo io feci oltraggio
Al Sommo Bene, ma pi ancor d'amore
Colla colpevol fiamma! Il cuor mio folle
Diedesi ad uom, che infido mi deluse
E abbandon.
MELV. Di questo error ti penti,
E dall'idolo vano il cor staccando
Lo rendi al vere Iddio?
MAR. Fu la pi acerba
Tenzon dell'alma mia; pur vinsi alfine,
E rotto ho il filo che ultimo alla terra
Mi stringeva tuttor.
MELV. Qual altro fallo
Ti grava?
MAR. Ahi che di sangue antica colpa,
Gi da gran tempo confessata, indietro
Torna con nuova spaventosa forza,
Or che dell'opre mie l'ultima volta
Rendo ragione, e orrenda mi s'affaccia
Sulle porte del cielo! Il re mio sposo
Uccidere ho lasciato, e al seduttore
Diedi la mano e il cuor! In van, con quante
Penitenze ha la chiesa, espiar volli
Tanto delitto, ch implacato ancora
Il verme roditor l'alma mi fiede.
MELV. N il pensiero t'appone altro peccato
Non confessato e pianto?
MAR. Ora t' noto
Ogni, misfatto, che sul cuor mi pesa.
MELV. Non iscordarti che ti st vicino
L'onniveggente Scrutator dell'alme.
I castighi rimembra onde minaccia
La chiesa chi sincero non disvela
Ogni fallir. Colpa di eterna morte
Che il Paracleto temeraria offende.
MAR. Com' io sciente nulla ti nascosi,
Cos di grazie l' inesausta Fonte
Mi dia vittoria nel conflitto estremo.
MELV. E al tuo Signor celare osi il delitto,
Ond'or tu sei dagli uomini punita?
Di Parry e Babington taci la trama
A cui ti trasse bramosia di sangue?
Perder vuoi per quest'opra anche l'eterna
Vita siccome la terrena perdi?
MAR. Io son disposta all' ultimo passaggio
Verso l'eternit. Prima che intero
Compia il suo giro lindice che segna
L'ore fugaci, io sar innanzi al trono
Del giudice supremo; eppur ripeto:
Tutto io gi, confessai.
MELV. Rammenta bene
Che il cuore inganna. Sotto ambigua scorza
Forse occult il tuo labbro la parola
Che colpevol ti rende, ancor che pronto
Fosse al delitto il tuo voler. Ma vana
astuzia d'uomo innanzi al folgorante
Occhio che le latebre ime penetra
Del cuore.
MAR. A trarmi dagli indegni ceppi
Tutti i re provocai; ma n collopra,
N colla mente della mia nemica
Tesi insidie alla vita.
MELV. E i scribi tuoi
Il falso hanno attestato?
MAR. Quel ch'io dissi
il ver. Di loro giudichi lEterno.
MELV. Dunque sali il patibolo sicura
Dell'innocenza tua?
MAR. Dio mi concede
Che colla morte immeritata io purghi
L'onerosa di sangue antica colpa.
MELV. (1) Vanne ora dunque, e colla morte intera
Penitenza ne compi. Innanzi all'ara
Vittima rassegnata ti presenta,
Ch delitto di sangue il sangue espia.
Per debolezza femminile errasti,
Ma non segue nel regno della luce
Fralezza umana l'anime beate.
E in virt del poter che m' concesso
Di sciorre e di legare, or io t'annunzio
Che rimesso t' in cielo ogni peccato.
Alla tua fede il guiderdon sia pari. (2)
Ricevi il corpo di Colui che al Padre
[1] Fa sopra Maria il segno della croce.
[2] Porge lostia a Maria.
Per te si offerse! (1) Ne ricevi il sangue
Sparso per te! Ricevilo! T'accorda
Questa grazia il pontefice. Anco in morte,
Partecipar t' dato al sommo dritto
De' regi, al dritto de leviti. (2) E come
Misticamente or colle membra frali
Sei congiunta al tuo Dio, cos nel regno
Dell' eterna letizia, ove non giunge
Colpa mortal, n pianto, angel di luce
Al tuo Signore t'unirai per sempre. (3)
Aspro conflitto a sostener rimanti.
Avrai fu forza a vincere gl'impulsi
Dell' odio e del livore?
MAR. Or pi non temo
Di ricader. Sacrificati ho a Dio
L'odio, e l'amor.
MELV. Dunque a veder t'appresta
Leicester e Cecilio. Eccoli.
[1] Prende dal tavolino il calice, lo consacra e lo porge a Maria, che esita ad accostarvi il labbro, e colla mano fa segno di allontanarlo.
[2] Maria beve dal calice.
[3] Ripone il calice sul tavolino. Si ode rumore. Melvil ricopre il capo, va verso la porta e ritorna. Maria continua a stare per qualche tempo in ginocchio con divoto raccoglimento.
SCENA VIII.
MARIA, MELVIL, DUDLEO, CECILIO, POWLET.
DUDLEO si ferma in distanza senza alzare gli occhi da terra. CECILIO bada al suo consiglio e si pone fra lui e MARIA.
CEC. Io vengo
A ricever, signora, i tuoi comandi
Estremi.
MAR. Ti ringrazio.
CEC. La regina
Vuol che si appaghi ogni tua giusta brama.
MAR. Nel testamento le mie brame ho aperte,
E a Powlet lo fidai. Prego che sieno
Fedelmente compiute.
POWL. Lo saranno.
MAR. A famigliari miei libero il passo
Ver la Francia, o la Scozia, ove pi a grado
Torni lor, si conceda.
CEC. Il tuo volere
Adempirassi.
MAR. E poich aver, riposo
Non deve la mia spoglia in sacra terra,
Lascisi almeno che il mio cuor trasporti
Questo servo fedele in Francia a' miei.
Ah! l fu sempre!
CEC. Il tuo desir fia pago,
Altro non brami?
MAR. All'anglica regina
Reca il fraterno mio saluto - Dille
Che di cuor la mia morte le perdono,
E, pentita, perdono anch'io le chieggo
Se jeri la mia lingua oltre trascorse -
Dio la conservi ad un felice regno!
CEC. Miglior consiglio non prendesti? Ancora
Il decano rifiuti?
MAR. Io sono in pace
Col mio Signore - A te, Powlet, cagione
Innocente son io di molto affanno.
Io dell'appoggio di tua stanca etade
Privo t'ho fatto. Deh sperar mi lascia
Che in odio non ti fia la mia memoria!
POWL. (1) Il Signore sia teco! Vanne in pace!
[1] Le porge la mano.
SCENA IX
MARIA, MELVIL, CECILIO, DUDLEO, POWLET, KENNEDY, CURLA, ROSIMUNDA, GERTRUDA, ALICE, BERTA, LO SCERIFFO.
Le donne entrano precipitose con segni di costernazione; lo sceriffo le segue tenendo in mano il baston bianco della giustizia, si vedono le guardie al di fuori.
MAR. Giana, che hai tu? Giunto il momento alfin!
Vien lo sceriffo per condurmi a morte.
Addio! N d'uopo separarci! Addio! (1)
Melvil, e tu, fida Kennedy, in questa
ultima gita mi starete al fianco.
Di tal grazia, o signor, non farmi niego!
CEC. Non m' dato assentirlo.
MAR. E che? Si lieve
Preghiera non m' accordi? Abbi riguardo
Al sesso mio. Chi quest'ufficio estremo
Mi prester? Non pu la mia sorella
Volere che il mio sesso in me si offenda,
E la ruvida man d'uomo mi tocchi.
CEC. Non lice a donna salir teco il palco;
[1] Le donne prese da vivo dolore si raccolgono intorno a Maria che si volge a Melvil, a Kennedy, poi a Cecilio.
Le sue grida... i lamenti
MAR. Non faranne,
Rispondo io stessa dell'intrepida alma
Della mia Giana. Deh! mi sii cortese,
Signore; ed or che muojo, la mia fida
Aja e nutrice non mi tor dal fianco.
Le prime aure di vita io respirai
Tra le lue braccia, e la sua mano amica
Or mi guidi alla morte.
POWL. (1) Lo permetti!
CEC. Il sia.
MAR. Pi nulla or non mi resta al mondo. (2)
Mio Salvator! mio Redentor! Le braccia
Apri, come le apristi sulla croce,
E nel tuo seno accoglimi. - (3) Mi serbi,
Conte Leicester, la gi data fede -
A trarmi dal mio carcere promesso
Tu m'avevi il tuo braccio, ed or mel porgi. (4)
S, Leicester! N solo alla tua mano
[1] A Cecilio.
[2] Bacia il crocifisso.
[3] Si volge per partire e incontra Dudleo che al suo muoversi si era involontariamente scosso e laeva rimirata. Maria trema e sta per cadere, non potendosi reggere sulle ginocchia. Dudleo la sostiene. Ella lo guarda co gravit per qualche istante, ed egli non pu sostenerne gli sguardi. Finalmente Maria parla.
[4] Dudleo tutto confuso. Maria gli parla in tuono affabile
Io di mia libert volli esser grata,
Tu renderla dovevi a me pi cara.
A te vicina, del tuo amor felice
Sperai goder di mia novella vita!
Or che dal mondo mi distacco, e l'ali
M'accingo a dispiegar spirto beato,
Cui non seduce affetto umano, io posso,
Senza coprirmi di rossor, la vinta
Mia debolezza disvelarti - Addio!
Vivi, se il puoi, felice! Era leletta
Fra due regine a te concessa: un cuore
Dolce e pieno d'amor, per un superbo,
Hai spregiato e tradito - Or vanne: ai piedi
DElisabetta prostrati, e non sia
La merc che ti attende, il tuo castigo!
Addio - Pi nulla or non mi resta in terra. (1)
SCENA X.
DUDLEO.
Ancor respiro? Ancor mi reggo in vita?
Con tutto il pondo suo non si scoscende
Su di me questo tetto? N si schiude
[1] Esce per discendere nel luogo del supplizio preceduta dallo sceriffo. Melvil e Kennedy le stanno ai fianchi. Cecilio e Powlet la seguono. Le altre donne costernate laccompagnano cogli occhi finch scomparisce; poi si allontanano per le porte laterali.
La terra ad inghiottir l'uomo il pi abbietto?
Che non perdei! Qual gemma non respinsi!
Qual fortuna del cielo io non sprezzai! -
Spirto di luce ella dispiega i vanni,
E disperato e reprobo io rimango.
Dov' il proposto mio di render mute
Del cuor le grida, e con immoto sguardo
Mirare il capo suo sotto la scure?
Il suo aspetto ridesta entro il mio seno
La gi spenta vergogna. E fa che possa
D'amor nei lacci avvincermi costei
Fin sul palco di morte? - Sciagurato,
A te pi non s'addice il molle pianto
D'impietosita femmina. Non guida
La via che premi ad un felice amore.
Di bronzo usbergo al petto cingi, e scoglio
Sia la tua fronte. Se dell'opra infame
Vuoi corre il prezzo, con ardire d'uopo
Sostenerla e compirla! Esci importuna
Piet dal cuor. Mutatevi in diaspro
Occhi miei. Vo vederla al suolo esangue -
Esser vo' testimonio (1) In vano! In vano!
Infernal raccapriccio il cuor minvade!
Regger non posso a s terribil vista!
Mirar non posso la sua morte! - Ascolta -
Che fu ci! - Gi discesero - Il tremendo
[1] Si avvicina con passo risoluto alla porta per la quale uscita Maria; ma si ferma a mezzo del cammino e retrocede.
Apparato sta sotto ai piedi miei -
Ascolto voci - Via, lungi da questo
Albergo del terrore e della morte! (1)
Come? - Un nume mi lega a questo suolo?
E m' forza d'udir quanto ricusa
Di sostenere inorridito il guardo?
La voce del decano - Ei lammonisce -
Ed ella l'interrompe - Odi! - Sta orando
Ad alta voce - e voce ferma - fatto
Silenzio - alto silenzio! Non ascolto
Che singhiozzi, che piangere di donne!
Le traggono le vesti - Odi! - Lo scanno
mosso - Sul cascine le ginocchia
Ha gi piegate - il capo appoggia (2)
[1] Vuol fuggire per unaltra porta ma la trova chiusa.
[2] Dopo aver pronunciate le ultime parole con angoscia sempre crescente, viene soprappreso da tremiti convulsivi, e cade fuori di sentimento. In questo mezzo sorge dalla sottoposta volta un cupo rumore di voci, che si fa udire per qualche tempo.
SCENA XI.
Stanza, interna dellatto quarto.
ELISABETTA che esce da una porta laterale. Al passo e agli atti mostra la pi grande inquietudine.
Ancora
Non veggo alcun? - Nessuna nuova? Il glomo
Non cade? In cielo arrest forse il sole
L'usato corso? - Ancor l'aspra tortura
Soffrir dovr dell'aspettare in darno -
compiuto? - O non l! - D'ascoltar temo
Qual ch'egli sia l'evento, e non mi regge
Il cuor di domandarne - Ancor non veggo
Leicester, n Burgley che al compimento
Della sentenza io preponea - Se Londra
Abbandonaro, consumato tutto:
La saetta scocc: vola" colpisce,
Ha colpito. Ove il regno anco perdessi,
Pi omai di trattenerla non m' dato -
Chi l?
SCENA XII.
ELISABETTA, un PAGGIO
ELIS. Tu riedi solo? Ove lasciasti
I grandi?
PAGG. Il tesorier supremo e il conte ....
ELIS. (1) S. Dove son?
PAGG. Essi non sono in Londra.
ELIS. No? - Dove dunque?
PAGG. Non sa dirlo alcuno.
Pria che sorgesse il di, celatamente
Abbandonaro la cittade in fretta.
ELIS. (2.) Regina d'Inghilterra or son davvero!l (3)
Va, mi chiama No, fermati... Ella morta!
Or luogo in terra mi son fatto - Io tremo?
Perch m' assale quest'orror? La tomba
Seppellir deve il timor mio per sempre.
Chi fia che il fatto osi imputarmi? Ii pianto
Non mancherammi a renderne il tributo
Alla caduta. (4) Ancor sei qui? - Sia tosto
A me chiamato Davison. Si cerchi
Salesbury - Ma gi qui giunge ei stesso.
[l] Ansiosamente.
[2] Con vivacit.
[3] Va su e gi tutta agitata.
[4] Al paggio che poi parte.
SCENA XIII
ELISABETTA, TALBOT
ELIS. Ben venuto, Talbot. Quali novelle?
Certo cosa non lieve a me i tuoi passi
Volge in ora s tarda.
TALB. Alta regina,
Per la tua fama angustiato e carco
Di cure il mio pensiero oggi mi trasse
Al Tower, dove di Maria rinchiusi
Son gli scrivani Curlo e Navo. Io volli
Sperimentar un'altra volta il vero
Di quanto essi deposero. Sorpreso,
Esitante, il custode della rocca
In pria negommi ai prigionier l'accesso;
E solo con minacce mi potei
Schiudere il varco - Oh Dio, qual mi si offerse
Terribil vista! Rabbuffato il crine,
Atterriti gli sguardi, lo scozzese
Curlo giacer vid'io sovra il suo letto
Come invasato dalle furie - Appena
Quell'infelice mi conobbe, ai piedi
Mi si gitt ululando, le ginocchia
Avviticchiommi, e disperatamente
Come verme torcendosi, il destino
Ansio mi chiese della sua regina;
Ch fin del Tower nelle oscure volte
Giunto era il grido della sua condanna.
Come il ver seppe e ud ch'ella venia
Tratta a cagion del suo deposto a morte,
Furibondo, rizzosi e sul compagno
Precipite spingendosi latterra
D'un forsennato coll'immensa foga,
E tenta di strozzarlo; a gran fatica
Strappar potemmo dalle man rabbiose
Quel miserando. Ei tutta allor converse
La sua rabbia in se stesso, e colla pugna
Il petto percotendosi, imprecava
Tutti a suo danno e lui compagno infido
I demoni d'averno. La sua lingua
Disse spergiura, e false le fatali
Lettere a Bahington che giur vere,
E che dalle malvage arti sedotto
Di Navo ei stesso vi mentia concetti
Da Maria non dettati. Indi slanciossi
Furente alla finestra, e spalancate
Le imposte a tutta forza ad affollato
Volgo grida, che egli era di Marfa
Lo scrivano, orditor di false accuse,
Un empio, uno spergiuro, un maledetto.
ELIS. Affermasti tu pur ch'egli insaniva.
Dun folle delirante alcuna prova
Far non posson le grida.
TALB. Eppure assai
Prova questa demenza. Io ti scongiuro,
Regina, indugia; altre ricerche imponi.
ELIS. Poich il brami il far; non ch'io de miei
Pari affrettato il giudicar presuma.
Per tua calma l'inchiesta ai rinnovi -
Felice me, che in tempo ancor ne sono!
Non vo' che di sospetto un'ombra sola
Oscuri il lustro del mio regio onore.
SCENA XIV.
ELISABETTA, TALBOT, DAVISON
ELIS. (1) La sentenza, signor, ch'io gi deposi
Nelle tue mani - ov?
DAV. Chef la sentenza?
ELIS. Quella che a custodir jeri ti ho dato.
DAV. Da custodire?
ELIS. Il popolo a firmarla
Stringeami, e nel compiacqui. A mio malgrado
Il feci, e alle tue man fidai lo scritto.
Guadagnar tempo io volli; e tu ben sai,
Quel che ti dissi. Or porgilo!
TALB. Lo porgi, Signor. Le cose hanno mutato aspetto.
Il giudizio rinnovasi.
ELIS. A me il foglio:
Non pensarvi pi a lungo.
DAV. (2) Sono morto!
[1] A Davisn che resta atterrito.
[2] In atto di disperazione.
Son rovinato!
ELIS. (1) Paventar, signore,
Non voglio
DAV. Io pi non l'ho. Sono perduto!
ELIS. Come' che dici?
TALB. O Dio del cielo!
DAV. in mano
Di Burgley fin da jeri.
ELIS. Ah sciagurato!
Cos tu m' obbedisti? Di serbarlo
Non t'imposi io severamente?
DAV. Imposto
Tu non l'hai, mia regina.
ELIS. A me, Impudente,
Una mentita? E quando io ti commisi
Di porgerlo a Burgley?
DAV. Non con aperti
Precisi detti ma
ELIS. Di mie parole
Farti interprete tu, vil uomo, ardisci?
Ed il tuo senso micidiale apporvi?
Guai se l'arbitrio tuo debba ministro
Essere di sciagura! Col tuo capo,
Il fio ne pagherai - Vedi qual fassi,
Conte Salesbury, del nome mio
Crudele abuso.
TALB. Io veggo O cieli!
ELIS. Che dici?
[1] Interrompendolo con impeto.
TALB. Dove a suo rischio il cavalier, te ignara,
Tanto abbia ardito, al tribunal de' pari
Tratto sia innanzi, ch il tuo nome espose
All'abbominio dell' et future.
SCENA XV.
ELISABETTA, TALBOT, DAVISON, CECILIO, in fine KENT.
CEC. (1) Regal mia donna, a te sia lunga vita,
E il fin della Stuarda abbiansi quanti
Son nemici a questisola! (2)
ELlS. Favella, Signore. Avesti tu dalle mie mani
L'ordin di morte?
CEC. No, regina, io l'ebbi
Da Davison.
ELIS. Tel diede egli in mio nome
CEC. Non in tuo nome
ELIS. E tu fosti s pronto
Ad eseguirlo, non chiarito in prima
Del mio voler? Fu giusta la condanna;
N pu biasmarci il mondo. Ma non era
Concesso a te di prevenire i moti
Del clemente mio cuor - Dal mio cospetto
[1] Piega il ginocchio.
[2] Talbot si copre il volto, e Davison fa fa atti di disperazione.
Per questo io ti proscrivo. (1) Assai pi grave
Pena attender tu dei, tu che malvagio,
I tuoi poteri siverchiando, hai fatto,
D'un sacro pegno a te fidato, abuso.
Al Tower sia condotto. Il vo' colpito
Da capitale accusa - O mio leale
Talbot! Te solo io ritrovato ho giusto
Nel mio consiglio; e or solo essere tu devi
La mia scorta, il mio amico -
TALB. Non dar bando
A tuoi pi fidi. Al carcere non danna
Chi per te oprando, per te sola or tace.
A me, grande regina, a me concedi,
Che a' tuoi piedi il sigillo omai deponga
Per dodici anni alla mia f commesso.
ELIS. (2) Conte SalesBury, tu non vorrai
Abbandonarmi adesso, ora ..
TALB. Perdona:
Troppo io son vecchio, e questa intemerata
Mano rigida troppo a por l'impronta
Alle tue nuove gesta.
ELIS. Lascerammi
Chi mi serb la vitaf?
TALB. Poco io feci
Ch non potei la tua pi nobil parte
Serbar del pari. Vivi, e sia felice
[1] A Davison.
[2] Con istupore
Il tuo regnare! La rivale spenta:
Nulla or pi ti conturba: da riguardi
Alfin sei sciolta. (1)
ELIS. (2) A me ne venga il conte Di Leicester.
KENT. Perdono egli ti chiede.
Gi ver la Francia di le vele al vento. (3)
[1] Parte.
[2] A Kent che entra.
[3] Elisabetta fa forza di mostrarsi tranquilla; e intanto cala il sipario.
- Questo copione è stato visto: