ETTORE
Commedia in un prologo, quattro atti ed epilogo
di GIUSEPPE VALENTINI
PERSONAGGI
ULISSE
AGAMENNONE
AIACE
PARIDE
MENELAO
ORESTE
TELEMACO
EGISTO
ETTORE
ACHILLE
PENELOPE
ELENA
CLITENNESTRA
DEOLICE
LEOCADIA
MIOREA - ERETE
CASSANDRA - DORANTE
EUTIMACO - INEURO
DUE RAGAZZE - DUE GUARDIE
Sala del Trono della reggia di Sparta. Un gran tavolo intorno al quale sono seduti i re.
Commedia formattata da
PROLOGO
Agamennone - (proseguendo un discorso) ... speriamo dunque, potenti e cari amici, che il sentimento fraterno che sempre ci ha uniti facendo dei nostri Stati il centro politico e commerciale del mondo, esca cementato e rafforzato da questo nostro convegno cui ci hanno chiamato gli alti eventi...
Ulisse - (interrompendo)... e i nostri fichi...
Menelao - Che cosa?
Ulisse - ... e le nostre ulive e le nostre capre.
Aiace - Laerziade, smettila, non sei in una bettola di Itaca. Questi discorsi non sono degni di un re.
Menelao - Anche a me pare cos. Aver in testa una corona per parlar di fichi.
Ulisse - Ci sono o non ci sono al mondo i fichi? E ci sono anche i buoi. Troppi fichi e troppi buoi. Non sappiamo a chi venderli, Menelao.
Menelao - Che vuoi dire?
Ulisse - (candido) Ho parlato di fichi, ho parlato di buoi.
Aiace - Abbiamo sentito, purtroppo, abbiamo sentito.
Agamennone - Come presidente di questa riunione prego i miei cari fratelli di procedere con ordine e di non interrompere chi sta parlando. (Proseguendo il discorso enfaticamente) Dicevo dunque: cui ci hanno chiamato gli eventi e l'amore verso i nostri cari popoli che, fidenti, ci hanno consegnato la tutela dei loro beni e dei loro interessi. Iniziando dunque i lavori, salutiamo le genti achee bene augurando ai loro destini.
Tutti - Viva!
Menelao - Viva Agamennone re dei re.
Ulisse - Meglio Agamennone. E' pi solenne, suona meglio. Si addice di pi alla barba violetta e alla voce imponente del nostro amatissimo - diciamo cos fratello maggiore.
Menelao - Perch fratello maggiore? E' pi giovane di te.
Ulisse - Ma tu stesso or ora l'hai chiamato re dei re.
Menelao - Si fa per dire. E' l'uso.
Egisto - E' dall'uomo che nasce il diritto. Agamennone il re dei re. Voi siete soltanto dei re.
Agamennone - Bravo, Egisto. Avete sentito?
Telemaco - (ingenuamente pedante) Consuetudine puramente onorifica. Manc sempre l'intenzione di dare alla frase re dei re alcun altro significato che non fosse l'omaggio dovuto alla pi antica e venerabile tra le Case regnanti achee.
Egisto - Vorrei sapere 'chi le ha dette a te, lattante, tutte queste fandonie.
Telemaco - (piccato) Le ho lette. E le so per averle lette.
Menelao - Leggere, leggere. La giovent oggi non sa dir altro.
Ulisse - Tu sai leggere, Menelao?
Menelao - (furente) Non permetto che si offenda un re nell'esercizio delle sue funzioni. Un re, inoltre, che il padrone di casa.
Agamennone - Miei cari fratelli, incliti fratelli.
Egisto - Silenzio, ascoltate il re dei re, ascoltate il presidente. Se no non decideremo nulla. Tutti parlano, tutti litigano. Dovr un semplice mortale come me insegnare a vivere a dei venerabili sovrani?
Aiace - Tu, Egisto, non hai da insegnarci proprio nulla.
Ulisse - Se non la ricetta della tintura dei tuoi capelli.
Agamennone - (ridendo) Ben detto, povero, povero Egisto.
Ulisse - Dunque, torniamo a parlare di cose serie. Per esempio, dei fichi.
Agamennone - Ma io non ho finito il discorso di apertura.
Ulisse - Diamolo per inteso.
Egisto - L'accenno alle condizioni precarie dellagricoltura di Itaca ti porta subito nel bel mezzo dell'argomento.
Ulisse - Precarie dappertutto, le condizioni dellagricoltura non solo in Itaca,
Aiace - Occorre che troviamo il modo di rimediare aiutandoci lun laltro con opportuni scambi.
Egisto - Anch'io. ...
Ulisse - E tu, Menelao?
Menelao - (imbarazzato) Io veramente non ce lho. Ma Elena al corrente di tutto quello che avviene nel mio regno, basta chiamarla.
Agamennone - Non mi pare che sia il caso in una riunione come questa di ammettere donne.
Ulisse - Le donne meglio lasciarle a casa.
Agamennone - A casa no. Ma al posto che loro conviene, nelle feste, nelle solennit.
Ulisse - A casa, a casa!
Menelao - Protesto. Elena pu stare in qualsiasi luogo.
Ulisse - Ah s? In qualsiasi luogo? Me ne compiaccio con lei, me ne compiaccio con te.
Menelao - Lasciami in pace, Ulisse. Del resto si sa come campa Penelope. Filare, filare, filare. Non so come abbi fatto questa volta a portarla fin qui.
Telemaco - Mia madre felicissima di filare. E basta.
Agamennone - Una giusta via di mezzo non guasterebbe. Clitennestra, per esempio... e poi dillo tu, Egisto.
Egisto - La savia regina d'Argo potrebbe essere d'esempio al mondo, attenta com' alle cure dello Stato e a quelle della famiglia.
Aiace - Lasciamo stare queste storie. Torniamo a parlare d'affari urgenti. Anch'io non ho statistiche, ma vedo ogni giorno Io sguardo amaro dei pastori cui nessuno compra la lana, dei contadini che non sanno cosa farsene dei loro buoi... Magnifica lana, meravigliosi buoi, e restan l, roba sprecata, a stringere il cuore a guardarla. A che serve allora la terra? E l'erba a che serve? E le braccia degli uomini? Qui ci vuol un rimedio e subito. Io non ho il coraggio di tornare laggi a rivedere quegli sguardi cupi che spengon anche il mare e accecano anche il cielo, se guardano il mare, se guardano il cielo. Chi di voi ha bisogno di lana? Chi di voi ha bisogno di buoi?
Agamennone - Io no. Ho da venderne. E lana migliore della tua, e buoi pi forti.
Aiace - Venuti su da che erba in Argolide? Erba tisica, secca, nata contro il vento e lontana dall'acqua. Non possibile paragonare la tua lana con la mia, n i tuoi buoi ai miei.
Menelao - Quanto ai buoi, non ce n' in nessun luogo del mondo migliori che a Sparta. (Risolino generale).
Ulisse - Ci crediamo, Menelao, ci crediamo.
Egisto - Evidentemente Aiace non mai stato in Argolide. Nelle nostre pianure i pascoli sono ricchi d'ogni erba buona: non c' bisogno di molt'acqua perch cresca erba.
Aiace - Gramigna.
Agamennone - Che gramigna! Bada come parli, Aiace.
Aiace - Dico la verit. Voi dovreste curarvi degli ulivi, non di far concorrenza a me.
Agamennone - E chi me lo compra l'olio?
Ulisse - Certamente non io. Con l'olio d'Itaca si possono domare tutte le tempeste del Mediterraneo.
Egisto - Sar un po' pi difficile condurre a Itaca un cespo d'insalata.
Ulisse - Spiritosissimo. Io per non mi occupo dei miei ulivi per l'esportazione. Dico solo che ho abbastanza olio. I fichi invece...
Menelao - E che ce ne facciamo dei fichi? Chi li vuole? Non c' frutto pi indigesto e inutile.
Ulisse ----------------- - Nessuno vuol niente. Lo sapevo. E a chi venderemo per comprare quello che nelle nostre terre non c'? I miei pescatori in Itaca han bisogno di poco: ma ogni tanto una manciata di fichi debbono pur darla via se non vogliono andare in giro nudi. Chi ce lo d il cotone? Chi il lino?
Egisto - (pensieroso) Gi. Andranno in giro nudi. Pure c' tanta terra nel mondo.
Telemaco - Tant'acqua, vuoi dire. Da tutte le parti, fatti cento passi c' il mare ch' glauco, splendente, odoroso, ma pi di quattro sgomberi non d. E quei cento passi per di pi tra rocce e dirupi. Dove la troveremo un po' di terra piatta, un po' di terra soffice che non ti stanchi il piede, che ci si affondi bene l'aratro, che sia qualcosa di vivente, di solido, di folto, una terra, vivaddio, da uomini.
Ulisse - Mezzi pesci siamo, Telemaco mio. Vedrai che uno di questi giorni affogheremo nell'aria.
Oreste - (entrando) Mezzi pesci? Che state dicendo?
Agamennone - Si diceva cos per dire.
Ulisse - Si diceva sul serio. Io almeno.
Menelao - Rivolgiamoci alle donne. Elena, vedrete, qualche consiglio sapr darlo.
Agamennone - E, dico io, anche Clitennestra.
Telemaco - (seguendo il suo pensiero) Pure le terre piatte ci sono. L'ho letto. E sono immense e hanno grandi fiumi e il cotone sembra un mare e l'oro del grano non finisce fino dove arrivano pupille d'uomo. Ci sono terre cos, l'ho letto.
Ulisse - Averlo letto, figliolo mio, non significherebbe nulla. Io ne ho sentito parlare dai commercianti fenici che ci sono stati in quelle terre. E l'Egitto sul fiume, e l'Assiria tra i fiumi, e l'Asia minore e la Persia...
Agamennone - Non divaghiamo, incliti amici, non divaghiamo. Queste son fantasie.
Oreste - Perch fantasie?
Aiace - Perch?
Egisto - Ulisse, le conosciamo da un pezzo le tue storielle. Oramai puoi raccontarle soltanto ai tuoi pescatori e soltanto quando sono ubriachi. Cosa che in Itaca deve avvenire spesso.
Ulisse - Certo, certo. Sentissi che vinetto da noi. Stuzzica il palato e accende le idee. Se avessimo da venderne certo di quello ne compreresti, Egisto. Ma ne abbiamo poco poco, appena per noi. Vigne che vengon su tra i sassi combattendo contro il libeccio. Vino faticato e aspro. I miei pescatori ubriacandosi fanno festa alla loro fatica, alla loro tenacia. Sbornie sacre, se non ti dispiace.
Menelao - Sempre lepido, Ulisse.
Ulisse - (seccato) Smettila, Menelao. Pensa... Be', non pensare a niente che stai meglio. Quando uno ha un'abitudine...
Menelao - Che vuoi dire, Ulisse? Spiegati.
Ulisse - Niente, niente. Nostalgia d'Itaca... Sassi, fichi, sbornie...
Oreste - (avvicinandosi ad Agamennone che s' addormentato) Babbo, senti.
Agamennone - Che c'? (Ricomponendosi) Dicevamo dunque...
Aiace - Non dicevamo nulla.
Telemaco - Pi di tre persone insieme (soffiandosi sulle mani) e tutto se ne va in parole.
Oreste - Babbo, io vorrei andarmene a fare un viaggio.
Agamennone - Dove?
Oreste - Fuori, per il mare.
Agamennone - Che ti viene in mente? E con chi vuoi andare?
Oreste - Con Pilade.
Agamennone - Pilade e sempre Pilade. Sembrate due innamorati.
Oreste - Ma cos bella una vela, babbo. Una vela bianca nel sole d'oro e i gabbiani e le onde e il vento amaro che ti sbatte in faccia. In Argo non c' mare: c' solo un ventaccio squallido, buono al pi a combattere con la polvere. Non c' acqua, babbo, da noi. Per questo siamo tutti cos cupi e fermi, come senza respiro. Lasciami andare, babbo, star fuori una settimana, finch voi siate qui.
Agamennone - Quante storie, cupi, fermi... Uomini siamo, e non ciarloni come Ulisse. Tutti pazzi questi marinai. E ti montan la testa. In ogni modo io non me ne impiccio. Chiedilo a tua madre.
Oreste - Ma babbo...
Agamennone - (alzando la voce) Chiedilo a tua madre e basta. Se lei dice di s, vai pure a romperti il collo tra le onde e i gabbiani con il degnissimo Pilade.
Egisto - Che c', Oreste?
Oreste - Niente, niente. (Oreste se ne va).
Agamennone - Questa giovent d'oggi... Non ha un briciolo di dignit. Appena finiti di crescere, via per il mondo, via per il mondo...
Ulisse - Cos fosse!
Egisto - Energia, Agamennone, energia. Ma quanto a voler viaggiare ha ragione Oreste: Argo non ha da offrire molti divertimenti a un giovanetto pieno di vita: piuttosto questa amicizia con Pilade non mi va.
Agamennone - Be', lasciamo decidere a Clitennestra.
Menelao - Le donne queste cose le capiscono subito. Elena per esempio...
Ulisse - (ironico) Non tutte le donne son figlie di Giove, Menelao.
Aiace - Ma che donne e donne...
Egisto - Ogni cosa al suo luogo. (S'ode di fuori un clamore di voci femminili).
Elena - (entrando) Il mio nastro, sciagurata, il mio nastro.
Erete - Ma l'hai portato con te uscendo, te l'assicuro.
Elena - Niente affatto, l'hai preso tu, l'hai preso. Ma ci penser Menelao.
Clitennestra - Lascia stare, Elena, sono riuniti per affari importanti.
Ulisse - (borbottando) Affari importanti, affari importanti.
Elena - Io voglio il mio nastro. Era una rarit, una bellezza. Costei deve ritrovarlo.
Erete - (con voce piagnucolosa) Ma dove, padrona?
Elena - (rivolgendosi a Menelao senza degnare gli altri d'uno sguardo) Menelao, il mio nastro.
Menelao - (inquieto) Che nastro, cara, che nastro?
Elena - Quello che comprai l'altro ieri da un mercante egizio. Quello bianco che par di spuma.
Ulisse - Ma calmati. Turbare il congresso dei re di Grecia per un nastro...
Egisto - Certo, salvo il rispetto dovuto alla divina Elena, mi pare che il suo nastro non abbia quella storica importanza che a questa riunione si addice.
Agamennone - Elena, considera (schiarendosi la voce e sempre pi alzandola) che noi qui stiamo decidendo sulla sorte futura di migliaia, anzi di centinaia di migliaia di Achei.
Menelao - (non badandogli, a Elena) Suvvia, amore, che vuoi? Dillo al tuo Menelao, vuoi che te ne compri un altro?
Elena - Da chi? Il mercante egizio partito e dove vuoi trovare in tutta Sparta, in tutta la Grecia un nastro simile? Pecore, puoi trovare in Grecia, straccioni e pecore, ecco che trovi.
Aiace - (secco e crucciato) Questi straccioni sono i tuoi sudditi e i tuoi figli, regina.
Agamennone - (severo) Sono Achei, i pastori di Sparta. Sobri, fieri, risoluti Achei: non dimenticarlo, Elena.
Menelao - Lo far cercare quel mercante. Dev'essere ancora vicino.
Elena - (non badandogli e rivolgendosi furente contro Aiace e Agamennone) Che sudditi! Che figli! Straccioni. Puzzolenti straccioni che sanno tessere soltanto un po' di ruvida lana e fabbricare quattro formaggi. E io, figlia di Giove, io, la pi bella donna del mondo, devo vivere fra questa gentaglia? Ah! Gli Egizi, quelli sono uomini! Senti qua (rivolgendosi ad Aiace e invitandolo a toccare la sua veste) che stoffe san fare gli Egizi.
Aiace - E va tra gli Egizi. E va tra i Caldei. E va dove vuoi, ma non offendere gli Achei in presenza di Aiace.
Elena - (mutando voce, calma) Eh, bel giovane, che furia! (Pausa) Quanti anni hai?
Aiace - (suo malgrado rasserenato) Ventidue.
Elena - In cos pochi anni hai gi messo insieme tanta superbia. (Imitandone il tono e la voce) In presenza di Aiace. (Ridendo) Diventeremo amici, bellissimo Aiace.
Menelao - (ancora angosciato) Allora mander via Erete almeno.
Elena - Ma no, povera Erete. (Gi dimentica) Che ha fatto? Ah, gi il nastro. Lo ritroveremo, Menelao, non ti arrabbiare.
Clitennestra - Cos va bene, Elena.
Penelope - (entrando calma e avvicinandosi a Ulisse) Ricordati anche delle mandorle.
Telemaco - Dicevamo dunque...
Egisto - Gi, dicevamo...
Clitennestra - Ho sentito dire che han visto su per le montagne un pastore e che era bellissimo. Dicono venga da una citt d'Asia e che sia figlio d'un re.
Menelao - Storie.
Agamennone - Un pastore figlio d'un re. (Incredulo) Non pu essere.
Elena - E come si chiama?
Telemaco - Sar forse il figlio del re di Troia, Paride. Si dice che Priamo, per scamparlo da non so quale pericolo, l'abbia fatto pastore.
Elena - Paride, un bel nome.
Clitennestra - E dicono che lui sia ancor pi bello.
Aiace - Dicono, dicono, favole.
Ulisse - Al mondo ci sono ancora degli uomini che si possono cavare il gusto di essere belli, Egisto.
Egisto - Per chi dici?
Ulisse - Per me, per me, solo per me.
Obeste - (che rientrato, avvicinandosi ad Agamennone) Dunque, babbo, mi fai partire? Un viaggetto, un piccolo viaggio.
Agamennone - Dillo a tua madre.
Clitennestra - Dove vuoi andare, caro?
Oreste - Un po' per il mare, ora che viene l'estate, con Pilade.
Clitennestra - E vai pure. Un piccolo viaggio con Pilade, vai pure.
Agamennone - Ma Clitennestra...
Oreste - Hai pur detto che ti rimettevi alla mamma.
Agamennone - E allora fate come volete.
Egisto - Dicevamo, dunque...
Elena - (astratta) Mah! Un pastore, figlio di re. Vien dall'Asia. E che bel nome! Paride!
Fine del prologo
ATTO PRIMO
Un ameno ed aspro sentiero in collina tra rocce e cespugli,
La prima Ragazza - Da dove verr quest'acqua? Sempre cos fresca. E tanta.. Qua la roccia, l la roccia. Cose dure. E in mezzo questo perenne allargarsi dell'acqua.
La seconda Ragazza - Venga di dove vuole la nostra fortuna. Se no ci toccherebbe d'andar a lavare al fiume e la distanza non sarebbe poca.
La prima Ragazza - (ridendo) E poi tu non potresti vedere il tuo Dorante. Qui invece ce l'hai sempre a portata di mano. Lavi e fai all'amore. Che bellezza! Si sporcasse pi presto la roba! Potresti venire pi spesso a farti ammirare' e ad ammirarlo. Mi meraviglio, anzi, che ancora non sia qui.
La seconda Ragazza - (allegra) Sarebbe meraviglioso se non ci fossi sempre anche tu.
La prima Ragazza - Se vuoi me ne vado.
La seconda Ragazza - No, no. In tre meglio. Dorante un caro ragazzo ma un po' troppo spiccio. Non mi fido. Ha certi muscoli!
La prima Ragazza - Va l che non sono i suoi muscoli che ti fan paura.
La seconda Ragazza - Paura no. Ma pericolo ce n sempre.
La prima Ragazza - Soprattutto pericolo che tu gli ceda senza che debba adoperare i muscoli.
La seconda Ragazza - Pu anche essere. Non bisogna fidarsi degli uomini con gli occhi verdi. E lui li ha verdi che pare un gatto.
La prima Ragazza - Allora io ci sto a fare un bel mestiere. Ma si pu fare anche questo. Tirocinio. Arriver prima o dopo qualcuno anche a me. Magari con meno muscoli. Magari con occhi d'un altro colore. (Maligna) Per lo vorrei che facesse qualcosa.
La seconda Ragazza - Il mio Dorante capace di far qualunque cosa.
La prima Ragazza - Gi, per non fa nulla. Si porta a spasso i muscoli e gli occhi verdi.
La seconda Ragazza - Questo non ti riguarda. (Rasserenata) Eccolo che viene.
La prima Ragazza - Come l'hai sentito?
La seconda Ragazza - Quando m' vicino Io sento subito. Vedrai anche tu quando sarai innamorata. (Entra Dorante).
Dorante - Salute a queste belle ragazze. Ancora lavate a quest'ora?
La prima Ragazza - Abbiamo quasi finito. Ma stavamo cos, indugiando. Non c' gran fretta. E l'acqua aiuta ad aspettare.
La seconda Ragazza - Stavamo aspettando qualcuno che arrivato con il comodo suo.
Dorante - Mai prendersela con furia. Questo mondo fatto per essere goduto con ogni tranquillit. (Si siede) Quest'acqua, per esempio, sempre arrivata e non mai arrivata. Come me.
La prima Ragazza - Quest'acqua, per, utile a qualche cosa.
Dorante - Io sono utile a me e a una bella ragazza.
La seconda Ragazza - (ridendo) E chi sarebbe questa bella ragazza?
Dorante - Va l che lo sai.
La seconda Ragazza - (brusca) Quando ci sposiamo?
Dorante - Vedi che lo sai? Anche troppo. Questo un discorso prematuro.
La prima Ragazza - Per voi uomini il discorso del matrimonio sempre prematuro.
Dorante - Hai mai sentito parlare d'un agnello che desideri di cadere in bocca al lupo?
La seconda Ragazza - (secca) Grazie per il lupo.
La prima Ragazza - E tu come agnello, Dorante, non c' male. Abbastanza ben piantato.
La seconda Ragazza - Finiscila di dire sciocchezze. Prematuro o no. Dimmi che cosa hai intenzione di fare.
Dorante - A proposito di che?
La seconda Ragazza - Se andrai sempre bighellonando, il nostro matrimonio sar sempre prematuro. E io ne ho abbastanza di vedermiti intorno a goderti il mondo con tranquillit.
Dorante - Ci ho pensato. E so gi che cosa far.
La prima Ragazza - Che cosa?
Dorante - Un bel mestiere pieno di variet e di complicazioni, dove occorrono buoni muscoli, parecchio fegato e non molta pignoleria. Un mestiere adatto a Dorante figlio di Euticchio.
La prima Ragazza - Quanta solennit.
La seconda Ragazza - Be', sentiamolo questo mestiere.
Dorante - (semplice) Voglio fare il guerriero. (La prima ragazza si mette a ridere. La seconda sconcertata).
La seconda Ragazza - Il guerriero! E vuoi sposarmi facendo il guerriero?
La prima Ragazza - Dove son le guerre? Fare il guerriero in tempo di pace proprio il mezzo migliore di seguitare a fare il Dorante, di seguitare a godere il mondo con tranquillit
Dorante - (calmo) Vedrete se prima o dopo verr qualche guerra. Ce ne sono sempre state, ce ne saranno sempre. Io, poi, mi contento di qualunque guerra.
La prima Ragazza - E soprattutto di una guerra stracca per guerrieri pigri.
La seconda Ragazza - (mettendosi a piangere) Mi doveva capitare un innamorato che pensasse a fare il guerriero. Ah, povera me, partirai, ne farai di cotte e di crude e di me te ne scorderai.
Dorante - (accarezzandole i capelli) Di te, anzi, mi ricorder sempre. Della tua pelle bianca e degli occhi tuoi neri, tra il sangue e la polvere, tra gli incendi e la morte. Una ragazza che mi aspetta, una ragazza che sar fedele. E il guerriero che torna le porta il bottino. Che preda vuoi che ti porti? Prede di paesi lontani. Tutte quelle che vorrai.
La seconda Ragazza - E se non torni?
Dorante - Sar morto da uomo, come accade ai guerrieri. (Mentre Dorante parlava sono entrati Eutimaco e Ineuro. Sono impolverati e vecchi. Evidentemente stanchi ma pur lieti).
Eutimaco - Bravo, giovanotto. Cos si parlava ai miei tempi.
La prima Ragazza - Adesso arriva un rinforzo.
Dorante - Non essere petulante.
Ineuro - Le donne ci accolgono sempre cos. Impolverati come siamo e vecchi non facciamo certo bella figura. Ma poi quando hanno sentito le nostre favole in genere ci sono pi favorevoli.
Eutimaco - Soprattutto la favola di Giasone. E quella di Teseo.
Dorante - (interessato) Siete cantastorie?
Eutimaco - Come vuoi. Ma nelle Corti ci chiamano aedi. Raccontiamo le storie del mondo all'uso di tutti, con parole per tutti. I re ci fanno sedere alle loro mense, ci regalano corone di lauro, ci chiamato aedi. Ma noi non restiamo nelle Corti. Una volta rifocillati partiamo e giriamo il mondo a raccontare a tutti le vicende del mondo. Vicende un po' inventate e un po' vere. Aedi per i re, e per te, giovanotto, cantastorie.
Ineuro - E anche tu, certo, poi, come potrai, penserai a rifocillarci. Perch oramai siamo vecchi e abbiamo fatto molta strada anche oggi, come sempre.
La prima Ragazza - (interessata) E avete raccontato molte storie?
La seconda Ragazza - E a chi?
La prima Ragazza - Raccontami la storia della nascita della nostra regina. Come fu che Giove conobbe sua madre?
Eutimaco - Non storia da raccontare a una ragazza come te. Ma ne ho altre pi gentili.
La seconda Ragazza - Raccontami quella d'Arianna. E' vero che il minotauro la voleva? E' esistito davvero il labirinto?
La prima Ragazza - Ed esistita Pasifae? Come fu l'inganno?
Dorante - Lasciate andar queste storie. Non d'inganni, ne di storie di donne dovete parlarci, aedi, ma di uomini in marcia, di guerrieri dal cuor risoluto, di gente tra la vita e la morte, ma pi viva perch minacciata.
Eutimaco - Di gente come te, Dorante.
La seconda Ragazza - (rapita) Di gente simile a Dorante dagli occhi verdi.
Ineuro - Come sarebbe pieno il mondo se ognuno volesse ricordarsi di tutto quel che avvenuto. Ma gli uomini si scordano e nell'oblio c' il deserto. L'unico vero deserto.
Eutimaco - Contro di lui noi combattiamo. Per questo non restiamo alle mense dei re a farci coronare di lauro, ma andiamo fra tutti gli uomini perch fra tutti sia vivo un po' di ricordo e non si spenga il periglioso fuoco di Prometeo.
La prima Ragazza - Cari vecchi! Sedetevi. Bevete quest'acqua. E' fresca. Lo sapete di dove viene? Io non lo so. Ma vorrei tanto saperlo.
Eutimaco - Dalla bont delle belle ragazze come te, viene, cos bella fresca, cos chiara. (Bevono).
Dorante - (alla seconda ragazza) E allora che mi dici?
La seconda Ragazza - (bisbigliando) Dorante, fa secondo il cuor tuo. Saremo prudenti quando saremo morti.
Dorante - Gi. La vita stessa un'imprudenza. Ogni passo che fai ti comprometti e io mi voglio compromettere del tutto. Allo sbaraglio. Guerriero.
Eutimaco - Dolce bere alla fine di una lunga giornata. L'acqua va al cuore e l'allarga.
La prima Ragazza - Adesso raccogliamo i panni e andiamo a casa. Venite a rifocillarvi con noi.
Ineuro - S. E intanto vi racconter una favola.
Eutimaco - Ne sappiamo una bella. Non proprio di guerrieri. Non proprio di donne. Ma una bella, mattutina, dove c' la nascita di donne e di guerrieri e d'altre cose infinite.
Ineuro i - L'origine di una citt sul mare, dell'azzurrina Atene.
La prima Ragazza - Dov' Atene?
Eutimaco - Non lontano. In Grecia. Una citt tra gli ulivi, dal cielo chiaro. Voleva il dio Poseidone, l'amico delle cose cupe e cave e umide, darle il suo nome. Sorse dagli abissi marini col tridente, radun tritoni e nereidi, sal tra le rocce, la sua voce era vasta, come ripercossa da mille conchiglie.
Ineuro - Ma dall'altro lato tra gli ulivi apparve calma, senza seguito alcuno, leggera e inerme, Pallade Atena. Anch'ella voleva che a quel luogo illustre restasse il suo nome. (Si avviano. Restano soli Dorante e la seconda ragazza).
Dorante - Allora, vuoi che io sia guerriero? Che vada a furia tra morte e vita?
La seconda Ragazza - S, Dorante, s.
Ulisse - (appoggiato a Telemaco entrando) Invecchio, caro Telemaco, invecchio. Sono tutto arrugginito. L'aria di mare... Fortuna ad Itaca quel nostro vinello. Ma gi tu sei astemio! (Intanto si siedono su di un sasso).
Telemaco - Stomaco. Il mio stomaco non vuol saperne di vino. Gi vuol saperne di poche cose.
Ulisse - Ho paura che tua madre sia stata troppo saggia con te.
Telemaco - Ognuno come vuol natura.
Ulisse - Ed io intanto non gliela faccio pi nemmeno a passeggiare in collina. Arrugginito sono... e vecchio. Ma i pensieri no, n vecchi n arrugginiti. Quelli vanno e vengono sempre a loro agio, svelti come saette. Certe volte mi portano chi lo sa dove. O mi porterebbero. Perch poi uno scapaccione e se ne tornan tranquilli. Ma certo una bella pena tenerli a posto.
Telemaco - E tu lasciali andare. Come hai fatto con me. Niente scapaccioni.
Ulisse - (ridendo) Gi. E poi i miei colleghi, gl'incliti fratelli, come li chiama Agamennone? Gi mi credono un po' toccato. Figurati che mi crederebbero se lasciassi andare i miei pensieri dove voglio. Pazzo e peggio che pazzo. E' un castigo aver fantasia tra questa gente.
Telemaco - (dopo una pausa) Babbo, raccontami quello che t'han detto i mercanti fenici...
Ulisse - Di che...
Telemaco - Delle terre di l dal mare, delle terre piatte, delle terre soffici.
Ulisse - Bench astemio sei figlio mio, Telemaco... Che m'hanno detto? Meraviglie. Cose vere certo e cose inventate. Contrade ricche in ogni modo han da essere.... Ma come smuoverli questi poltroni!
Telemaco - Smuovere che e per che cosa?
Ulisse - Gl'incliti fratelli. Agamennone, Menelao... Buttarli di l dal mare. Indurli ad allargare la Grecia. Se no crepiamo tutti un giorno o l'altro. Di fame crepiamo...
Telemaco - Si potrebbe commerciare.
Ulisse - Commerciare? E che vendiamo? Quattro ulivi. Quattro fichi. O i famosi buoi di Menelao? Di questa roba pieno il mondo. Poi li voglio vedere i mercanti Achei buggerare i Fenici e gli Egizi. Ci metton nel sacco tutti. Andiamo. Ci vuol altro.
Telemaco - E allora?
Ulisse - (placido e fermo) Fare la guerra. Prendere una di quelle contrade. Mandare gente nostra che mangi i nostri fichi e ci mandi il suo lino.
Telemaco - Ma babbo!!
Ulisse - Come li ha chiamati stamattina Elena gli Achei? Puzzolenti straccioni. In confronto agli Egizi certo. E anche agli Assiri e ai Troiani. Ma appunto per questo guerrieri, soldati. Abituali a ogni fatica. Affamati sempre e quindi sobri. Risoluti e magri. Ottimi soldati, ti dico. Vinceremo, potremo vincere.
Telemaco - Gi, babbo... La guerra. Com' la guerra?
Ulisse - Non l'hai mai letta sui libri? E' brutta. E' sghemba, la guerra. Puzza pi d'un pastore acheo. Patimenti sordi, privazioni opache. La battaglia il meno e poi vien di rado.
Telemaco - E allora?
Ulisse - La fame peggio, figlio. Anche se non puzza. La fame senza possibilit, la fame cieca. La guerra, se la vinci e se non muori, ti fa un altro uomo, un uomo come cento. Se poi muori non ci sei pi e muori bene. Di colpo, senza medici n medicine. Perderla... Ma non bisogna perderla mai la guerra. Mai, mai. Hai capito? Questo non sta scritto sui libri. Ma occorre saperlo e saperlo bene lo stesso.
Telemaco - (dopo una pausai - Perch non m'hai fatto altri muscoli, babbo, e altri occhi? Perch non m'hai fatto come Aiace?
Ulisse - (carezzandolo) Caro figlio mio... sei tanto giovane. Ti cresceranno i muscoli, vedrai.
Telemaco - Anche Aiace giovane. E gli occhi come faranno a vederci meglio?
Ulisse - Si nasce come Dio vuole. Io non t'ho voluto n miope n astemio. Ma intelligente s, che t'ho voluto.
Telemaco - Gi i libri... che sono i libri? (Si sentono rumori di campani. Appare qualche capra sbandata. Poi un pastore bellissimo e assorto che entra cantando lento a bassa voce).
Paride - Quando sono partito me lo disse e me lo ripet di non partire. Ci son stelle cadenti e stelle fisse, giorni passati e giorni da venire. Lei non voleva ed io sono partito. Adesso come faccio a ritornare? Tra questi monti mi sono smarrito, senza una vela non si passa il mare... Rocce, rocce. (Non vede i due) Diventassi anch'io un capra da contentarmene. E son nato tra mura, cittadino... Qua con una pelle indosso e con la zampogna. A cantare. Una capra o una cicala diventer. (S'appoggia al bastone, stanco).
Telemaco - Dove vai, pastore? Tra poco sera. Forse ti conviene raccogliere le capre e fermarti.
Paride - (trasalendo) Gentile giovanetto, chi sei a darti cura d'un pastore?
Telemaco - Un abitator d'isola, uno abituato alle rocce, che come te sa la stanchezza e la solitudine.
Ulisse - (come parlando Ira s) Paride.
Paride - (che non lo aveva visto riparato all'ombra di una roccia) Chi ha detto il mio nome? Chi sa il mio nome?
Ulisse - Finch nel mondo ci saran donne non ci saranno segreti, soprattutto segreti intorno ai bei giovani, ai figli di re che se ne vanno per il mondo, pastori.
Paride - Da qualche parte mio padre re. Da qualche parte lontana di l dal mare c' la mia casa, ma sar poi vero?
Telemaco - E' triste, lo so, esser figli di re.
Ulisse - E non allegro, ragazzi, esser re. Soprattutto essere un re che viene invecchiando. Un re con i reumatismi che ingrassa.
Paride - Mio padre non ingrassa. Mio padre non ha i reumatismi. Mio padre mio padre.
Ulisse - Va bene, Paride. Parli come deve parlare un figlio e un principe. Poi tu non sai cosa sono gli anni. Tu conosci solo il passare dei giorni. E' altra cosa. I tuoi giorni ancora non ti fan groppo, ti sono agevoli. Dolcemente malinconici anche. (Imitando la canzonetta e la voce di Paride) Giorni passati e giorni da venire . Passati? Qualcuno. Da venire? Tanti, una moltitudine. Te ne stancherai.
Paride - Chi sei tu?
Ulisse - Figlio mio, un re. Re d'un'isola... Ad aver gli occhi buoni in cima a un colle si pu veder tutto il mio regno. Un po' di rocce, un po' di pescatori. (Pausa) Qualche altra cosa veramente. Fichi, mandorle, vigne. Di tutto un poco. Un re povero, vedi, e che ingrassa. Ma i miei pescatori son magri... Magri come gli ulivi e conoscono tutto il mare fino all'Ellesponto; fino ai tuoi paesi... Tuo padre deve essere un re fatto in altra maniera. Un re vero con una bella reggia. Ma un vino come il mio non l'avete.
Telemaco - N il nostro sole.
Paride - Ma come si chiama la tua isola?
Ulisse - Itaca... Ma potrebbe avere anche un altro nome... Essere un'altra delle tante nostre povere isole che s'ostinano a nutrir gente come fosse gramigna. Ma che non son fatte per nutrire la gente. Per starsene al sole rifugio di gabbiani. (Cambiando tono di voce) Che vai cercando, Paride, da queste parti?
Paride - Cerco Apollo, il mio dio. Mi apparso tra queste rocce cinque giorni fa. Ma se n' andato senza parlare. Forse era crucciato con me.
Telemaco - Apollo... A me non mai apparso. Ne lui, ne altri di. Mi piacerebbe di vederlo apparire leggero, biondo, con una lira in mano.
Ulisse - Hai letto troppi libri, Telemaco, e sei astemio. Non ti apparir mai nessun dio.
Telemaco - E a te sono apparsi qualche volta?
Ulisse - Avrei voluto quando ero magro e giovane. Ma in Itaca non ci sono boschi. Qual dio vuoi che venga a gonfiarsi di sole per le nostre rocce?
Paride - Apollo il mio dio, il dio di Ilio. Le nostre mura le ha costruite lui, tutte, pietra su pietra. Nessuno potr espugnarle. Sta scritto.
Ulisse - Com' l tua citt, principe?
Paride - Chiamami pastore, chiamami. Non mi vedi? E non vedi le mie capre?
Ulisse - (ridendo) I veri pastori tu non li conosci. Non inventano canzoni e son poveracci. Puzzano i pastori, come ci ricordava stamattina la divina Elena.
Paride - Chi la divina Elena?
Ulisse - Non lo sai? Anche da noi gli di lasciano tracce qualche volta. Non tutta l'Eliade nuda come Itaca. Tracce animate lasciano da noi gli di, non mura. Elena figlia di Giove.
Paride - Figlia di Giove?
Ulisse - E' la pi bella di tutte le donne mortali. Elena. E' bella quanto te, pastore.
Telemaco - Peccato non abbia cervello.
Ulisse - Per quello che serve il cervello a una bella donna... E' la regina Elena, la moglie del re di Sparta.
Paride - Da quanto tempo non vedo una donna bella! E chi vorrebbe poi saperne di un pastore?
Ulisse - Va l che ti riconoscerebbe subito. Le bende di Cupido non sono poi tanto spesse.
Paride - Come ti chiami, re?
Ulisse - Ulisse mi chiamo, figlio di Laerte.
Telemaco - Ed io Telemaco.
Paride - Ora vado a raccogliere le mie capre che se ne sono andate ohi ilo sa dove. Poi tonno qua. Faremo due chiacchiere. E' la prima volta da che ho lasciato Ilio che mi incontro con un re. Oh, mi apparisse Apollo, che mi desse licenza di tornare... (Se ne va cantilenando come quando entrato): Apollo tu proteggi il pastore che va peregrinando e s' stancato, Paride inerme per il mondo armato, Paride amante dov' morto amore...
Telemaco - Vengo anch'io. Ti aiuter a trovare le capre.
Ulisse - (rimasto solo, sbadigliando) Quello le canzonette, questo i libri... Giovent... A me non resta che dormire... Le ha fatte Apollo dunque le mura, le mura di Ilio. Hum, sar... Io degli di poco mi fido. Prima di tutto non li ho mai visti, poi se fossero come dicono sarebbero ben buffi. Mettere al mondo Elena, fortificare Ilio. Essere immortali per occuparsi di tali sciocchezze. Sar. Ma da queste ossa i reumatismi a me oramai non me li cava nessun dio. (Entrano Deolice, Leocadia e Miorea litigando tra di loro).
Deolice - Ed io ti dico che guardava me.
Miorea - Ma che te ne importa? Chiunque guardasse, un bel tomo.
Leocadia - - Che ne sai tu chi era? Con tutti i re che ci sono in giro a Sparta in questi tempi poteva anche essere un principe.
Miorea - S, con tutte quelle lentiggini?
Deolice - Perch, un principe non pu avere le lentiggini?
Leocadia - I re che sono in giro. Un branco di avari. Quelli che vorrebbero spendere non hanno quattrini.
Deolice - Pilade un bel ragazzo e anche Oreste. Ma di donne non vogliono saperne.
Miorea - Smettetela di dire queste cose.
Deolice - Telemaco sembra che abbia novant'anni. Poi con quel padre.
Leocadia - Io credo che il padre ci starebbe pi del figlio. Ma quanto a mollar quattrini un altro affare.
Ulisse - (che stato a sentire, sorridendo e immobile) Dipende, dipende.
Miorea - (spaventata) Chi l?
Ulisse - Quel vecchio avaro di Ulisse. (Tutte e tre gli si fanno d'intorno).
Deolice - Chi si vede!
Leocadia - Che stai facendo qua, solo?
Ulisse - Medito affari di Stato e mi concilio il sonno.
Deolice - Alzati, su, accompagnaci a Sparta. (Facendogli l'occhiolino) Poi se vuoi sceglierai. Non abbiamo tante pretese. Oramai s' visto che da queste parti non ci faremo ricche.
Miorea - Sono gli ultimi giorni, poi ce ne andiamo in Egitto e chi s' visto s' visto... Questa terra non fatta per noi.
Ulisse - Cos diceva anche la divina Elena.
Deolice - Onoratissime. (Ridendo) Credo che sia lei in fondo a rovinarci.
Miorea - Taci, dunque, si pu essere pi insolenti?
Ulisse - Lasciala parlare, parola di bella donna non offende nessuno.
Miorea - Torniamocene piuttosto. Chi lo sa perch siamo venute quass.
Ulisse - Gi. Perch ci siamo venuti. Quest'arietta non va per i miei reumatismi. ,
Deolice - Anche i reumatismi adesso... Reumatismi alla borsa.
Ulisse - (sorridendo a un suo pensiero improvviso) Che ne direste, ragazze, se il vecchio Ulisse vi facesse guadagnare qualcosa?
Miorea - (affettuosa, prendendolo per il braccio) Bene, bene, a tua disposizione.
Ulisse - Non per me... I reumatismi purtroppo sono veri. Non per me.
Miorea - E per chi dunque?
Ulisse - Per un bellissimo giovanotto... altro che Pilade. Vedeste, roba fine.
Deolice - Ma tutte e tre?
Ulisse - Tutte e tre, sissignori... ma non per quello che vi credete... Cose nuove, cose grandi. (Esaminandole bene) SI, non c' che dire, tre belle ragazze, da poter figurare anche come dee.
Leocadia - Dee... che dici?
Ulisse - Dee, sissignore (Con tono cattedratico) Non lo sapete che esistono anche le dee e che vengono in terra e che appaiono ai mortali?
Miorea - Ma a chi dobbiamo apparire?
Ulisse - Al pastore che tra poco torner qui. Ma solennemente dovete apparire.
Deolice - E che dobbiamo dirgli?
Ulisse - (pensoso) Dunque, vediamo. (Rivolgendosi a Miorea) Tu cos seria e attenta e prudente e anche cos magrolina puoi benissimo esser Pallade Atena... la dea della sapienza, corbezzoli. Su, datti un po' di tono.
Miorea - Ma come? Io Atena? Scherzerai.
Deolice - (divertita e lusingata) Non scherza affatto. Benissimo, tu Atena. (Rivolgendosi ad Ulisse) E io?
Ulisse - Tu rotonda e perentoria come sei. Giunone, la moglie di Giove, la prima di tutte le dee.
Deolice - (pavoneggiandosi e guardando in tono di superiorit Leocadia) Dunque io Giunone. Simpatico questo vecchio Ulisse. Non dubitare che poi te li far passare io i reumatismi.
Ulisse - Non Cercare di corrompermi. Tu, Leocadia, voltati. (Leocadia ridendo si volta. Ulisse la esamina da ogni lato) S, le proporzioni ci sono, il color della pelle ambrato, il volto regolare e luminoso, sarai Afrodite.
Deolice - Come? Come? Afrodite!
Miorea - Ma non vedete che uno scherzo? Mi meraviglio di te, Ulisse, alla tua et. Accompagnaci piuttosto a Sparta che la notte ci coglier per il cammino e, da queste parti, si possono fare brutti incontri.
Ulisse - No, parlo sul serio... Questa volta vi nomino dee. Venite che vi spiego. Sar meglio fare due passi che qui oramai torner qualcuno. Vieni qui, Deolice. Io da quel vecchio che sono amo l'abbondanza, sto con Giunone. (Un momento di pausa. Poi si sente suonare la zampogna. Entrano in scena Paride che suona la zampogna con Telemaco).
Telemaco - Suoni bene, Paride. Ma sei troppo triste. I nostri pastori d'Itaca suonano cose svelte, scandite. Forse perch suonano soltanto quando hanno bevuto. Si vede che la tua terra vasta, fatta di grandi pianure, e la musica vien di lontano e va lontano e non c' a ogni passo una roccia, a ogni passo il mare. M'hai detto che hai un fratello che si chiama Ettore.
Paride - E un nipotino che si chiama Astianatte. Ma non lo conosco. E' nato dopo che io son partito. Me lo disse uno che incontrai. Uno che, fortunato lui, veniva allora da Ilio.
Telemaco - Io la prima volta che lascio casa mia. E son qui con mio padre e mia madre. Pure intendo quello che dici. Come si chiama il fiume che m'hai detto?
Paride - Scamandro.
Telemaco - E' un nome fatto per apparire in un libro. Un nome lungo e chiaro.
Paride - Come quello di mia sorella, Cassandra.
Telemaco - Personaggi di libri... Gli unici che saranno veri sempre.
Paride ----------------- - Personaggi di canzoni. Oh lo vedessi Ettore!
Telemaco - Dove sar mio padre? L'ho lasciato qui poc'anzi... Forse m'andr cercando, bisogna che ti lasci, Paride, e che lo trovi... E non stupirti ch'io non possa vivere senza mio padre. Sono miope, io, e la vita la vedo con gli occhi degli altri. Buona fortuna! Possa tu presto tornare ad Ilio, ai tuoi.
Paride - Ti saluto, Telemaco, e resta come sei, al margine delle cose. (Telemaco se ne va salutando. Paride resta in silenzio, poi scuote la testa) Le mie capre lass gi dormono. Quando dormir io?
(E' il tramonto. Appaiono in alto sopra una roccia, con lento incedere, le tre ragazze. Paride le guarda, contro il sole morente, incerto).
Deolice - Pastore, t'ho sentito suonare poco fa... E ho sentito una tua cantilena. Di che ti lamenti?
Miorea i - E' un bel giovane... Avr vent'anni.
Paride - Chi siete? Donde venite?
Leocadia - Da molto lontano veniamo.
Deolice - Da un luogo che tu non conosci.
Leocadia - Stavamo appunto ragionando tra di noi.
Deolice - E tu ci servirai.
Paride - A che posso servire io?
Leocadia - Tu sei figlio di re, pastore, e sei bello e sei giovane.
Paride - Come fate a sapere che sono figlio di re?
Deolice - Veniamo da un luogo dove tutto si sa. Chi siamo noi secondo te?
Paride - (smarrito) Oh non so, non so. (Il sole viene lentamente morendo).
Deolice - Chi sono io?
Paride - Una regina sei.
Deolice - S, una regina. Ma non di questa terra. Non della terra.
Paride - (sempre pi smarrito) Una dea.
Deolice - Giunone.
Paride - (prosternandosi) Giunone.
Deolice - E questa Pallade, e questa Afrodite.
Paride - E io un povero pastore, e io Paride figlio di Priamo, sbandito da Ilio, un povero mortale sono. E non v'ho salutato subito. E subito non v'ho capito. Ma in cuore mi tremava qualcosa a vedervi. Perdonate. E' tanto che trema il mio cuore. E diffido oramai d'ogni tremore.
Miorea - Caro pastore.
Leocadia - Si stava ragionando. Abbiamo visto un pomo. Uno solo, bello sull'albero spoglio. Un pomo roseo che dev'essere una delizia ad affondarvi i denti. L'abbiam visto insieme. Chi deve mangiare quel pomo? Abbiamo sete tutte e tre. Tutte e tre abbiamo desiderio di quella polpa. Non lo abbiamo colto. E' rimasto laggi sull'albero. Abbiamo pensato di lasciare la decisione alla prima persona che incontrassimo.
Miorea - Abbiamo incontrato te, pastore, te bello come quel pomo, te giovane come quel pomo.
Deolice - Ma spetta a me che sono la potenza, a me che sono la sposa di Giove.
Miorea - Io sono l'intendimento, Giunone. Io sono colei che coltiva lo spirito umano. Pallade che d luce a ogni cosa. La mia sete la pi sacra di tutte le seti. Il pomo mio.
Leocadia - Amiche, e Afrodite? Da me nasce tutto. Io sono la passione, il legame, il senso che fa vive le cose inermi. Quando io rido, ride il mondo, quando io bevo, beve il mondo. Paride, dammi quel pomo.
Deolice - Io ti far potente, pastore. Le case di tuo padre saranno le pi ricche del mondo. Nessuna citt potr contendere con Ilio. Quale reame vuoi? C' altra terra al di l della tua, che non conosci, che nessuno conosce. Vuoi averla? E' tua.
Miorea - Io non ho da offrirti cose. Ma la conoscenza delle cose. Ma quello che sotto la scorza, dietro un velo e che non appare e pi si cerca e pi si nasconde. Le chiare immagini, i chiari pensieri, la conoscenza e la poesia, Paride.
Leocadia - Io ti prometto due labbra... L'umidor di due labbra sotto le tue... Il perdersi d'ogni potere e d'ogni conoscenza tra due braccia umane, tra due braccia di carne, Paride. Avrai la pi bella donna del mondo.
Paride - (che stato assorto a sentirle) Chi?
Leocadia - La regina di queste terre, Elena.
Paride - Il pomo tuo, Afrodite.
Miorea - Povero pastore, povero Paride! (Nel frattempo s' fatto buio).
Fine del primo atto
ATTO SECONDO
Sono in scena Clitennestra, Penelope ed Elena.
Clitennestra - Pare, accanto a quello dei re, il congresso delle regine. Curiose tre donne sole. Ci pensate che sarebbe un mondo di donne? La vita scivolerebbe via e non accadrebbe nulla.
Elena - Veramente, mi pare che non accada nulla nemmeno essendoci gli uomini.
Penelope - Qualche cosa accade se vero che queste mura esistono, se noi esistiamo.
Elena - (crucciata e inquieta) Io non l'ho chiesto a nessuno d'esserci.
Penelope - Ma ci sei.
Clitennestra - Che cos'hai oggi, eh?
Elena - Niente, niente. Ogni tanto i pensieri si fermano, fanno gruppo. Si adunano senza che ce ne accorgiamo per giorni e giorni, poi eccoceli davanti squallidi, minacciosi.
Penelope - Occorre lavorare, Elena, aiutarci con le opere. Anche se piccole, anche se irrilevanti.
Clitennestra - Non mi piacciono le cose irrilevanti, non mi piacciono le cose piccole.
Elena - Si vede che sei la moglie dei re dei re.
Clitennestra - (secca) Non mi parlar di Agamennone.
Penelope - Perch?
Clitennestra - I mariti ci sono ma non contano, sempre l a portata di mano, esseri familiari e usati in procinto di diventar cose.
Elena - (amara) Magari fossero cos, ma esistono e ingombrano.
Penelope - Elena, si vede che sei giovane e ancor non sai niente della vita. I mariti, si sa, sono pieni di difetti. Ma chi amerebbe un uomo senza difetti? Io voglio bene a Ulisse perch brontola, perch ha i reumi, perch di quando in quando mi tradisce e pi spesso ancora mi vorrebbe tradire. Per questo appunto gli voglio bene. Perch Ulisse e non un altro.
Elena - La perfetta Penelope.
Penelope - Non sono perfetta. Se lo fossi Ulisse non mi amerebbe. Anch'io brontolo, anch'io sono avara... E vorrei sempre tenermelo in casa come se fosse un pulcino. Ma lui non un pulcino. Ha fantasia Ulisse. Sempre vorrebbe andarsene. Magari soltanto per poter ritornare.
Elena - Ma non se ne va.
Penelope - Sono io, cara, che lo trattengo. Perch nonostante tutto mi vuol bene. E' una fatica, per.
Clitennestra - Non so come tu abbia avuto la pazienza di studiar tanto tuo marito. Io di Agamennone so solo che un bell'uomo, che ha la barba viola, che si addormenta spesso e che ha la voce tonante. Per il resto lo lascio ai suoi sonni e alle sue parole.
Elena - Beata te che puoi lasciarlo. Menelao invece ha la infelice idea di essere innamorato cotto di me e non mi lascia un momento in pace ed fastidioso pi d'una mosca. E meno ne voglio sapere e pi mi si appiccica.
Penelope - Perch l'hai sposato?
Elena - Perch una donna sposa un uomo? Perch capita.
Penelope - Io invece non avrei potuto sposare altri che Ulisse.
Clitennestra - Beata te. Mah, alla fine potevo capitare con un marito peggio di Agamennone. Almeno fin che dorme e fin che parla mi lascia in pace.
Elena - (maligna) Poi ha dei ministri simpatici.
Clitennestra - Che vuoi dire?
Elena - Niente. Solo hai qualcuno che intorno fa accadere qualcosa. Non ti lamentare della monotonia.
Clitennestra - Ma io vorrei che accadessero cose non d'ogni giorno. Cose alte, cose non verosimili.
Penelope - Quale cosa pi inverosimile del nascere della prima stella? Guardatela l che trema e il cielo ancor chiaro. Trema leggera, leggera. Una piccola fiamma che un gran vento vuol spegnere. E non pu spegnerla. Quale cosa pi alta e pi inverosimile? Eppure accade ogni giorno e nessuno di noi se ne accorge.
Elena - Io me ne accorgo. E certe sere le piango le stelle. E nelle stelle mi piango.
Penelope - Oh senza pianto, Elena! Guardar le cose con un po' d'umilt. Solo questo. E potremo essere felici per quel poco che si addice alle condizioni umane.
Elena - Ma io sono la figlia di Giove. Non mi parlare di condizioni umane.
Clitennestra - E non parlarne a me, Penelope. La reggia d'Argo ha un alto fato.
Penelope - Alto e triste.
Clitennestra - (confermando) Alto e triste.
Elena - E intanto Espero in cielo ha vinto. Guardatela lass. Il gran vento s' quietato. Non vuole pi spegnere la piccola fiamma. Tristezza d'essere cos, Penelope. Cos limitati e pesanti, pesci in fondo all'oceano dell'aria senza nemmeno poter volare. E pensa che un'allodola pu volare. Una piccola cosa come un'allodola.
Erete - (entrando, timida) Regina, debbo preparare per il congresso dei re? Tu sai, continuer stasera.
Penelope - (alzandosi) Io me ne vado. Voglio vedere dov' Ulisse, che non prenda freddo. Gli uomini sono grandi, grossi e sventati, capaci di scrivere un poema, di vincere una battaglia, di fondare una citt ma non atti a tenere in ordine un cassetto, o a guardarsi da un raffreddore.
Clitennestra - (ironica) E tu tieni in ordine i cassetti e proteggi Ulisse dai raffreddori.
Penelope - Infatti, Clitennestra, cerco di farlo. (Esce).
Clitennestra - Ti saluto, Elena, vado a veder le stelle nel bosco.
Elena - Ti saluto, cara.
Erete - (timorosa ad Elena) Quel nastro, poi, l'ho trovato. E' di l.
Elena - Puoi tenerlo, sai. Non mi va pi.
Erete - Adesso che l'ho trovato! L'ho cercato tanto...
Elena - Sempre cos. Passiamo la vita a trovar le cose. Ma chi ti dice che le cose vogliano essere trovate? Cercarle, s. Cercarle...
Erete - E' un bel nastro. E t'era tanto dispiaciuto averlo perso.
Elena - Vorrei perdere Sparta, vorrei. E le mura di questa casa, ed ogni casa. Perch gli uomini hanno inventato queste prigioni? E le han messe anche insieme, una vicina all'altra, una a ridosso dell'altra. Bene insieme che si sbattano. La pensi la noia delle pietre? Sempre l. E l'odore degli uomini ch' un triste odore penetra in loro e le infradicia eppure non le distrugge. Altro che un nastro, Sparta avrei voluto perdere.
Erete - Non dire cos, regina. Tu hai tutto. Amore e ricchezza.
Elena - L'amore... Ma come fai a voler bene agli uomini? Tu li vedi, pesanti, rugginosi, piena sempre la bocca di parole che non hanno dietro di loro alcun volto, alcun sangue, alcuna cosa creata. (Una pausa) Hai notato che i pezzi grossi tra gli uomini, quelli che contano, quelli che hanno ingegno, quelli, per intenderci, che hanno costruito le mura e le citt, sono tutti brutti? Chi calvo, chi gonfio, chi miope. Tu li vedi i re, tu lo vedi il congresso. E qualcuno ha i capelli tinti e tutti hanno tinte le parole.
Erete - Ma Menelao non n gonfio, n calvo, ne tinto.
Elena - Menelao non ha difetti ne virt. Non esiste. Un mondo pieno di uomini come lui sarebbe il deserto. Anche se brulicasse. E forse, sarebbe meglio.
Erete - Se ti pesan le case, vieni un po', regina, tra i miei. Povera gente ma buona gente. E non c' citt intorno. N pezzi grossi. Con tutto il cuore, regina.
Elena - Dove vivono i tuoi, Erete? Sotto la tenda?
Erete - No, regina. La tenda una cosa di lusso, venuta su insieme alle citt e forse dopo. Vivono da buoni pastori, protetti dalle rocce.
Elena - Vedi, Erete, che il mondo il nemico? Le rocce non le ha inventate nessuno, eppure pesano pi delle mura e anche loro non mutano... A me piaccion le tende. Deve averle inventate una donna. Oggi, qui, domani l, si smontano, sono agevoli e inaccessibili come il respiro, che non lo tocchi, che non lo vedi, ma c'. Un uomo sotto la tenda non legato a nessuna parola e a nessuna memoria. Pu anche essere innamorato. Pu anche morire solo cos perch ne ha voglia, per nessun motivo, senza render conto a nessuno, cos com' venuto al mondo.
Erete - Sotto la tenda ci stanno i guerrieri.
Elena - Quella gente, i guerrieri... Ma i nostri incliti re riuniti a congresso sono tutti pacifisti. Va a parlar di guerra con loro. Forse Aiace ci andrebbe. Quello un uomo davvero. Giovane, schietto. Ma puntiglioso. Crede nelle parole, ci si attacca... E' un magnifico giovane dall'impassibile animo.
Erete - Sta tranquilla, regina. Tu sei figlia di Giove. Le cose del mondo ti toccano e non ti toccano.
Elena - Ma morir anch'io. Avr la bocca piena di terra e non avr vissuto e sar passata nel mondo senza che nessuno abbia visto la mia bellezza. Passata come per una stanza al buio. (Pausa) Va, Erete, va. Lasciami sola un momento prima che qui si raduni la seduta notturna del congresso, prima che questa stanza si riempia della vuota voce di Agamennone. E fa che ogni giorno io perda un nastro e che ogni giorno possa arrabbiarmi per le piccole cose e mi pesino meno le grandi.
Erete - Vado, regina. E grazie per il nastro. (Se ne va. Elena resta un attimo in silenzio).
Elena - Le stelle... Con che grazia leggera appaiono. Come ferme e come volubili. Il giorno non degno di guardarle. Alla notte si affidano leggere. (Ora s'ode una voce che vien cantilenando. E' la voce di Paride).
Paride - Ho trovato la strada del ritorno, Camminer con il mio vivo amore. Folto di luce mi sar ogni giorno E tutto il mondo mi star nel cuore.
Elena - Hanno una voce, le stelle? Ho sempre pensato parlassero cos se dovevano parlare. (Alla finestra appare Paride. S' fatto quasi buio).
Paride - (quieto, sereno, deciso) Andiamo, regina.
Elena - (stupita, ma dolcemente stupita) Chi sei tu, dove vuoi andare?
Paride - Sono uno straniero e tu devi seguirmi.
Elena - Debbo, e perch?
Paride - Per ordine di Afrodite, per voler del tuo sangue. Tu non lo sapevi, ma mi stavi aspettando. Non eri qui in attesa di qualcuno?
Elena - Delle stelle parlo. E della sera. E dell'odore del buio. Quell'odor caldo che ti prende il sangue, non sai perch n da che. E forse attendevo anche te, Paride, hai ragione.
Paride - Come sai il mio nome?
Elena - L'ho saputo stamattina, per caso. Un bel pastore figlio di re che girava per queste montagne.
Paride - Ora non girer pi. Torner alla mia patria e tu verrai con me, regina.
Elena - Come hai dormito questi anni? Dove hai lasciato il tuo gregge?
Paride - Dormivo a cielo sereno. Ma non ero dove dormivo. Ora ho lasciato il mio gregge. Sono diventato il cattivo pastore. Puoi venire con me, Elena.
Elena - Come la tua citt?
Paride - E' una citt di alte mura, fatte da un dio. Dalle mani di un dio, come tu, Elena, sei nata da una fantasia di Giove. E' una citt illustre Ilio, che si merita una principessa come te, una luce come la tua. Andiamo.
Elena - Andiamo. Anch'io, dunque, lascer il mio gregge. Saremo due cattivi pastori, ma, Paride, c'intendono le stelle e ci aiuteranno anche. E' lungo il cammino da qui a Ilio?
Paride - E' lungo, occorre passar larghi fiumi, scalar alte vette, passare sul mar cilestrino. Ma con l'aiuto di Afrodite arriveremo, Elena, arriveremo.
Elena - (semplicemente) Eccomi.
(Apre la porta, si appoggia al suo braccio e se ne vanno).
Paride - Il mare puoi passarlo senza vele E senza sangue puoi restare in vita, Purch una donna ti segua fedele, Purch ti baci una bocca fiorita.
(La scena resta un istante buia. Poi entra Erete con due servi; si viene illuminando. A gruppi entrano i re).
Egisto - Speriamo di concludere qualcosa stasera.
Agamennone - Se non sar oggi, sar domani.
Aiace - (brusco) Meglio oggi.
Menelao - Stasera, dunque, sembra che parli Ulisse.
Egisto - Allora non si combiner gran che. (Entrano Telemaco e Ulisse).
Ulisse - Di chi stavate parlando male?
Aiace - Di nessuno.
Ulisse - Sar...
Agamennone - Sediamoci, dunque. E mi raccomando un pochino pi d'ordine di oggi. Cominciamo con regolarit. Egisto nominato segretario. Avete niente in contrario?
Telemaco - E che deve fare il segretario?
Agamennone - Scrivere ci che si dice e dirigere il dibattito.
Aiace - Non ce n' gran bisogno. Ma... come volete.
Egisto - Chi chiede la parola?
Aiace - Io. E per dirvi di smetterla con le parole inconcludenti e di decidervi a far qualcosa.
Egisto - (annoiato) Questo non un discorso, queste non sono proposte. Ognuno deve esporre un programma, deve far presente qualcosa di concreto.
Ulisse - Allora lo far io il discorso, per quanto non sia molto abituato a parlare e, qualche volta, parlando mi venga sonno. Come ascoltando, del resto. Perdonate, dunque, se una persona poco piacevole, come il vecchio re d'Itaca, questa sera s'impanca a dare spettacolo di s.
Egisto - Veniamo al fatto. Ascoltiamo le tue proposte, Laerziade.
Ulisse - Questa mattina abbiamo parlato, a proposito d'un nastro, delle terre piane, delle terre ricche. Avete un'idea di quello che sia l'Egitto? Il fiume allaga la pianura una volta all'anno e inonda ogni cosa di fango. Fango ch' ricchezza... E quando l'acqua s' ritirata quella diventa la terra di tutte le cose. E ci sono le palme. Avete mai mangiato dei datteri?
Menelao - Che cosa sono?
Ulisse - A Itaca ce li port una volta un mercante egizio. E' un frutto dove immagazzinata tutta la ricchezza del mondo, un frutto pieno di sole. E' meglio dei miei fichi.
Aiace - (seccato) Tutto meglio dei tuoi fichi, Ma adesso non ci seccare coi datteri. Non riusciamo a vender la roba nostra, figuriamoci se abbiamo il tempo di pensare alla roba degli altri.
Ulisse - L'Egitto un grande paese, Aiace. Parlo sul serio.
Aiace - Non si direbbe.
Egisto - Concludi, Ulisse. Non abbiamo tempo da perdere.
Ulisse - E della Fenicia avete sentito parlare? Porti pieni di navi e il vento che va su e gi tra le vele e le barbe dei mercanti e il tintinnio delle monete. La Fenicia. Un mare che d denaro sonante, un mare che non come il nostro.
Menelao - E fatti fenicio!
Ulisse - Ma non c' solo l'Egitto, non c' .solo la Fenicia, c' anche la piana d'Ilio, un paese fra terrestre e marino, che apre la via del Ponto, che apre le strade d'Asia. Un paese dove noi potremmo vivere, al riparo delle rocce; una seconda patria per tutti gli Achei.
Egisto - Che diavolo vai dicendo? Nessuno di noi stato a Ilio e nessuno ci vorr andare. Lasciamo da parte le favole e decidiamo tra di noi il mezzo d'aiutarci. Tu, dunque, Aiace, vuoi vendere i tuoi buoi. Quanti ne hai?
Ulisse - (che, pensoso, non ha udito l'interruzione) Io vi dico che penso a Ilio da anni. E che venuto il momento di pensarci tutti.
Aiace - In che modo, per farne che?
Ulisse - A questo mondo c' anche la guerra. (Semplicemente) Potremo anche espugnarla Ilio e aprirci la via del Ponto, le strade d'Asia.
Agamennone - (che si era quasi addormentato) La guerra? Chi parla di guerra?
Egisto - Sono fantasie di Ulisse, re dei re.
Aiace - Ti puoi anche riaddormentare, Agamennone.
Agamennone - (protestando) Io non mi sono mai addormentato.
Ulisse - Dormi, che almeno sognando pu darsi che ti venga in mente qualcosa di utile.
Agamennone - Bada come parli.
Menelao - E' un'indegnit.
Ulisse - Sissignori, stavo parlando della guerra. Credo che sia l'unica soluzione possibile. O i nostri figli finiranno per morire di fame.
Aiace - Ma perch dovremmo fare la guerra ad Ilio? Nessuno da quelle parti ci ha fatto niente di male. Io non ho mai conosciuto nessuno di loro.
Ulisse - Io s, invece, uno.
Telemaco - Il pastore.
Menelao - Quale pastore?
Telemaco - Il figlio di Priamo, Paride.
Aiace - E t' parso cos odioso?
Ulisse - Al contrario, simpaticissimo. Un bel giovane. Come te, Aiace. Pi gentile, senza quest'aria tua corrusca. Senza i tuoi denti feroci. Un bel giovane che voleva tornare al suo paese e andava cercando un'innamorata.
Aiace - E tu vuoi fargli la guerra?
Ulisse - I miei in Itaca mi sono pi simpatici di lui anche se meno gentili. Sono i miei quelli, il mio sangue. Non possono morire di fame. Del resto per fare la guerra a qualcuno non necessario che si tratti di gente antipatica. I soldati poi dovranno crederlo. Quelli che dovranno morire.
Egisto - Morire per morire, meglio morire in pace. Poi di fame non mai morto nessuno.
Ulisse - Questo lo dici tu che alla Corte d'Argo mangi quanto vuoi. Poi sono le pecore a morire senza nessuno sforzo, cos come capita. L'uomo, almeno, pu scegliersi la sua morte.
Menelao - Non se la sceglieranno certamente in guerra.
Ulisse - Loro no. Ma siamo noi che dobbiamo dar loro questa possibilit. E' un duro mestiere quello di re, crudele anche, Menelao dal cuor tenero.
Menelao - (preoccupato) A proposito di tenerezza, che innamorata andava cercando Paride?
Ulisse - Non so. Qualcuna. Parlava d'aver visto tre dee. Parlava d'una promessa d'Afrodite.
Aiace - Mi meraviglio che proprio tu, Ulisse, vada parlando di Afrodite. Tu non credi che esista niente al di fuori delle rocce d'Itaca e della tua pancia.
Ulisse - Anche ai miei reumi sono obbligato di credere, Aiace. Magari potessi non crederci.
Agamennone - Mi sembra dunque, riepilogando le impressioni generali, che la proposta di Ulisse sia da rigettare in pieno, anzi da non prendere nemmeno in considerazione, come contraria a ogni senso di umanit, e come assolutamente irrealizzabile. Propongo che il segretario non ne prenda nessun atto.
Egisto - Giusto. Come non detto. Uno scherzo d'Ulisse e di cattivo genere e fuor di luogo.
Ulisse - Io invece intendo che sia posto a verbale.
Menelao - Bella figura che ci farai.
Telemaco - Non si pu fare che quello che stato detto non sia stato detto. Per me, mio padre ha ragione.
Ulisse - Bravo, Telemaco.
Menelao - Anche questo l'hai letto nei libri?
Telemaco - Leggere i libri una gran cosa, Menelao. E i libri dicono che le guerre ci sono sempre state dal tempo dei tempi, tra gente che non si disprezzava perch degno di disprezzo solo chi non intende di battersi in nessun modo.
Aiace - Non vero che io non intenda di battermi in nessun modo. Ne io ne i miei. Che qualcuno ci venga a stuzzicare e vedrete. Non consiglio a nessuno di avere per nemici i miei pastori.
Ulisse - Lo credo. I tuoi pastori prenderebbero Ilio.
Aiace - E dagli con Ilio. Come ti viene in mente di far la guerra a gente che non conosci? A gente che non ti ha fatto alcun male?
Agamennone - Se fossimo offesi, tutti faremmo la guerra.
Egisto - (seguendo un improvviso pensiero) Certo per, re dei re, una spedizione vittoriosa oltre i mari affermerebbe la tua potenza, darebbe nuova luce al tuo prestigio.
Agamennone - Io ho gi abbastanza potenza, ho gi abbastanza prestigio. Non faccio spedizioni oltremare per divertimento.
Egisto - Facevo per dire... Ma staresti bene alla testa di un esercito in terra straniera.
Menelao - (preoccupato) Che razza di promessa ha fatto Afrodite a quel pastore? Non mi piace che i vagabondi scorrazzino per il mio regno anche se sono figli di re. Soprattutto anzi se sono figli di re. Lo far arrestare dalle mie guardie.
Ulisse - Se pure non troppo tardi.
Menelao - (irato) Che vuoi dire?
Ulisse - (con aria distratta) Dov' la divina Elena? Pu darsi che la sua bellezza basterebbe ad illuminarci.
Aiace - Che vai dicendo? Ulisse in vena di galanterie. E' persino comico. Ma certo che tutti desideriamo di vedere la bella Elena.
Menelao - (brusco) Elena nelle sue stanze. Lasciatela in pace.
Ulisse - Pure stamattina ogni momento volevi chiamarla.
Menelao - Era per averne consiglio. Ma adesso inutile interpellarla sulle buaggini di Ulisse.
Agamennone - E' ora ,di ricominciare le discussioni sul serio. E' indegno di re perdere il tempo in questo modo.
Ulisse - (testardo) Io in ogni modo desidero di bere qualcosa. Se non ce lo offrir la regina, ce lo. porter Erete. E desidero anche che beva Penelope.
Agamennone - Allora anche Clitennestra.
Menelao - (furioso) Questo significa che devo chiamare anche Elena.
Ulisse - Come vuoi.
Menelao - E' strano per questo tuo improvviso desiderio di bevande e di donne. Lo sdegnoso Ulisse, il sobrio Ulisse. A parlar dell'Egitto s' fatto raffinato. (Entra Erete e dice qualcosa nell'orecchio a Menelao).
Menelao - (rosso in volto, esitante, confuso) Sar in giardino.
Ebete - (fa un cenno di diniego).
Ulisse - E' una bella sera. C' la luna. Odore amaro d'oleandro, odor dolce di pesce. Cuore e stomaco appagati. Pi il cuore, a dir il vero, che lo stomaco.
Menelao - Non possibile.
Agamennone - Che ti succede, Menelao?
Menelao - - Niente. Debbo andare un momento. (Esce in fretta con Erete. La voce di Clitennestra che chiama Elena, Elena ).
Ulisse - Tua moglie, Agamennone. La tua regina, Egisto. Chiss che gli prende in queste notti alle donne. D'accordo con la luna a farci penare. Non dico per me e per Penelope. Vecchia roba tranquilla da buttar via. Ma le giovani, ma le altre!...
Clitennestra - (entra) Dov' andata Elena? La cerco da mezz'ora.
Penelope - (ch' entrata silenziosamente) Dev'essere andata via.
Agamennone - Via?
Penelope - A passeggio. L'ho vista poco fa con un giovane pastore.
Egisto - Che cosa?
Telemaco - Se n' andata con Paride.
Oreste - (che entra) Ho visto poco fa Elena che scendeva al fiume e non sola.
Ulisse - Anche lei ama viaggiare come te, Oreste. Vorr farsi un viaggetto per mare. Come dicevi stamattina? Le vele, il sole, la spuma e altre diavolerie. (Canticchiando ironico) Senza una vela non si passa il mare ...
Agamennone - Non il momento di scherzare, mi sembra.
Aiace - (che nel frattempo andato su e gi nervoso)
- Che storie! (Rivolgendosi a Telemaco) A te chi l'ha detto che quel giovane Paride?
Telemaco - Immagino, un bel pastore da queste parti... Non il primo venuto che possa portarsi via Elena.
Aiace - (violento) Chi te l'ha detto che l'abbia portata via?
Egisto - Certo Elena non sarebbe scesa al fiume con uno sconosciuto, sola, di notte, cos, solo per fare una passeggiata.
Menelao - (entra affranto, quasi piange) Se n' an-data, se n' andata.
Agamennone - Ma che dici!
Aiace - (imperioso) La regina di Sparta non pu essersene andata. Non pu essere fuggita con uno straniero. Non pu. Alla figlia di Giove non concesso far questo.
Ulisse - E come ebbe quella figlia Giove? Legalmente? Lascia andare, Aiace. Forse appunto perch figlia di Giove se n' andata. Il padre la concep vestito di piume, soffice e vuoto, un cigno leggero. La vedi come ti guarda la luna, Aiace? Le sa da sempre queste cose la luna.
Aiace - Ma con uno straniero, con un vagabondo, con un pastore.
Ulisse - Un pastore figlio di re. Quanto agli stranieri tutta la sera che parlo e voi non mi ascoltavate.
Menelao - (seguitando a piangere) Ma ho mandato le guardie, la prenderanno. E prenderanno lui. E li far rotolar dalle rocce e li far sbranare dai cani.
Ulisse - (dolce) Non li prenderanno. Nessuna guardia pu arrestare due che se ne vanno, braccio nel braccio, cuore nel cuore. Resterai solo, Menelao.
Menelao - Povero me!
Agamennone - (secco) Non il caso di piangere, Menelao. Paride dovr ridarti Elena. Manderemo un ultimatum a Ilio.
Aiace - (violento) Faremo la guerra.
Telemaco - (calmo) Faremo la guerra.
Agamennone - Se occorrer, certo, faremo la guerra.
Ulisse - E va bene, e va bene. La guerra.
Fine del secondo atto
ATTO TERZO
Sono in iscena Oreste, Clitennestra e Penelope.
Oreste - Dunque, mamma, io penserei di partire domani.
Penelope - Per dove, Oreste?
Clitennestra - Un viaggio per mare.
Oreste - Da isola a isola. Per questo nostro mare che a forza d'esser mescolato alla terra quasi terra.
Penelope - No, figlio mio, la terra che diventata mare.
Clitennestra - Non la stessa cosa?
Penelope - No. Avessi un marito come il mio lo vedresti; tutti i suoi pensieri sono d'origine marina. Anche se mangia fichi ha il salso in bocca. Ed fedele solo alle sue stramberie, fedele solo all'infedelt, come una vela che cede a ogni vento, che sa ogni orizzonte, ma che pur resta quella. Nonostante tutto il suo peso, Ulisse alle volte mi par possa volarsene via come una piuma. Via, via. '
Oreste - Be', questi son discorsi. Allora mettiamoci d'accordo. Parto domani all'alba e faccio vela verso Creta.
Clitennestra - Cos lontano? E poi occorrer pensarci ancora. Questi nuvoloni di guerra che si sono levati non mi fanno pensare niente di buono. Aspetta le decisioni, ad ogni modo. Le decisioni del consesso dei re.
Penelope - Oh, non preoccuparti! Elena torner. Le donne ogni tanto variano, ma tornano. Menelao sar paziente.
Clitennestra - Menelao, s, ma Elena? E' mia sorella. La conosco. Io non tornerei. Perch Elena dovrebbe tornare? (A Penelope) Tu l'hai visto il pastore?
Oreste - Che pastore?
Clitennestra - Il principe, Paride. Mi pare pi bello dire il pastore. Un mestiere che c' e non c'. Le pecore sciamano in pace e il pastore suona e il pastore sogna. La poesia nata cos da un pastore, mentre i capretti s'andavan perdendo in qualche valle, per qualche collina... L'hai visto?
Penelope - No, ma sar un bel giovane come un altro. A me i bei giovani vanno e non vanno.
Oreste - Infatti, Ulisse non deve esser mai stato bello.
Penelope - Gi, aveva solo dei bei capelli ed era un uomo. Ed un uomo.
Clitennestra - Avrei voluto conoscerlo quel Paride.
Penelope - Non mancano i Paridi nel mondo. Ne conoscerai quanti ne vorrai.
Clitennestra - Lo dici tu... Lo dici tu...
Oreste - Allora?
Clitennestra - Aspetta che si decida qualcosa, aspetta domani.
Oreste - Domani e sempre domani. Voglio decidere oggi. Se la guerra ci sar, durer certo finch io ritorni e anche dopo.
Clitennestra - No, non voglio saperti per il mare in questi giorni. No, figlio mio, aspetta.
Oreste - Ma io mi son gi inteso con Pilade. E la nave pronta. E le vele son nuove. E questa luna buona. Vento vivo e tranquillo, mare da navigare e cuore acceso.
Clitennestra - (testarda e ansiosa) No, ho detto che no. (Entra Egisto).
Egisto - Che dice la mia augusta sovrana? Contro chi incollerita? Labbra cos dolci debbono sempre esser liete, regina.
Clitennestra - E' questo ragazzaccio che mi vuol lasciare, che vuol partire. Sono vecchia, Egisto, ho gi un figlio che crede che il mondo sia in vendita e gi lo vuole comprare.
Egisto - Tutto il mondo, regina, pu in ogni momento essere in vendita. (Ambiguo) Dipende da quello che il mondo per noi. Un cuore innamorato pu credere che sian due labbra. E quelle si possono anche conquistare, regina. Da un momento all'altro o in lunghi anni. D'assalto o per assedio. Meglio, forse, per assedio, meglio, forse, in lunghi anni.
Oreste - (seccato) Ma io non voglio ne il mondo ne due labbra. Solo che mi si dia un po' di mare. Una vela nel vento, una prua tra le onde.
Penelope - T'ascoltasse Ulisse ne sarebbe felice. Vele, onde, mare. Il suo mondo. Per sua disgrazia e mia fortuna ha un figlio gracile e debole che con le onde potr scherzarci poco.
Egisto - Dunque, mia leggiadra sovrana, il nostro aquilotto sta mettendo le ali. E lasciagliele adoperare. Lascia che se ne vada. E' il destino dei giovani.
Oreste - (secco) Le ali e le unghie sto mettendo, Egisto. E i discorsi mi piaccion leali.
Egisto - E i miei sono lealissimi, figliuolo. Ti aiuto. Vuoi andartene per il mare? Benissimo. Tua madre si convincer. Anzi, regina, non ne eri gi convinta?
Clitennestra - Si, ma adesso questa guerra... Che ne dici tu, Egisto, ci sar?
Egisto - (cauto e grave) Mah, attendiamo per oggi Ettore che viene da Ilio a trattare con i re di Grecia. Io credo che si possa accomodare tutto. Elena finir per tornare. Una reggia non la si lascia per sempre. Menelao innamorato, perdoner.
Clitennestra - Elena non torna. La conosco. L'ho vista com'era la sera che part, prima che giungesse il pastore. Te la ricordi, Penelope? C'era la luna e volle restar sola a guardarla. Ed era pallida. Ed la figlia di Giove, ed mia sorella, Penelope. Non torner.
Oreste - Non torner perch tua sorella, mamma?
Clitennestra - Perch mia sorella e perch innamorata.
Egisto - Affar serio, l'amore. E tu, regina, ci credi. Hai ragione di crederci. Affar serio e affar lento o fulmineo. Per Elena fu fulmineo. (Pausa) Per te come sar?
Oreste - Come fu, dirai.
Clitennestra - Gi, come sar... No, no, figlio, come fu. (Una pausa) Ha ragione Egisto, forse la guerra non ci sar. Puoi andare domani.
Oreste - No, non ci vado pi.
Clitennestra - Come?
Oreste - Non ci vado pi. Il mare ci sar sempre e giorni di vento e di sole non mancheranno.
Egisto - Perch?
Oreste - Ci sono tanti perch e nessun perch. Ma tu, se t'interroghi, puoi capire. Ti dicevo poco fa che l'aquilotto ha messo le ali ma anche le unghie. Ricordatene. (Rivolgendosi a Clitennestra) E tu, mamma, ricordati che tuo padre, Giove, sta in cielo e noi siamo in terra. In una povera terra, ma secca, ma dura. Siamo gente d'Argolide, mamma. Quello che conta in noi il sangue terreno. Molto ne fu sparso tra i nostri. Ricordati di questo e non di Giove. (Esce).
Egisto - La giovent un male curioso. Quando nasce e quando muore. In Oreste sta nascendo e vien su a sghimbescio, alla brava.
Penelope -------------- - Non tanto a sghimbescio, Egisto. Io me ne vado, Clitennestra. M'aspetta Ulisse. E' un uomo d'a bitudini. A quest'ora, suol fare due passi con me da anni. Per scordarsi poi di camminar con me e rannuvolarsi e star zitto e ridere chiss a che o per parlare al cuor suo delle sue fantasie. Ma io debbo esserci, testi-morie. Vieni anche tu, Clitennestra, con me. Far due passi ti far bene.
Egisto - Con tutto il rispetto che gli debbo, i sorrisi, i silenzi, le fantasie di Ulisse non debbono essere molto interessanti.
Clitennestra - Gi, Penelope, preferisco non venire.
Penelope - Ma cos bello! Vieni con me. Ci sono le ginestre tra le rocce. Se Ulisse ti secca, noi le andremo cogliendo senza preoccuparci di lui. Poi ci faremo raccontare qualche storia. La racconta bene, sai, quando vuole.
Egisto - Le ginestre si colgono anche in Argo.
Clitennestra - E non sono simpatiche le ginestre. Ce ne son troppe al mondo. E troppo fitte.
Penelope - Ma facevi meglio a venire, facevi. Ma se non vuoi... Arrivederci, Clitennestra. Arrivederci, Egisto. (Esce).
Clitennestra - E adesso cosa faccio? Qui sola. I re non si vedono. N Ettore. Come sar questo Ettore? Bello come Paride?
Egisto - Non so. Ma non sei sola, regina, ci sono io.
Clitennestra - Ah, ci sei tu. A ogni mia solitudine ci sei tu e solo tu.
Egisto - Io non sono Paride. Io non ti ho presa e non ti prender d'assalto, ma per assedio, regina. Io non posso rinunciare a te e tu lo sai. Per assedio. Dopo, vedrai, sar meglio. Non un urto improvviso, sangue contro sangue. Ma il mio amore ti avr. Sei troppo bella. Sei troppo sola.
Clitennestra - Non sar mai tua, Egisto. Mai, mai... Come sar questo Ettore?
Egisto - Non esiste la parola mai. Mi domandi di Ettore? Sar un giovane come un altro. Sangue in fiore e pensieri spenti. Non t'illudere troppo, regina. Oh Clitennestra, che cara! Ogni fiume deve giungere al mare, anche se i giri saranno molti, anche se la prender lunga. Il mare paziente, aspetta. Il mare antico e giovane, lento.
Clitennestra - E tu saresti quel mare? Tu non sei mai stato giovane.
Egisto - Lo sar il giorno che imi cederai, regina. Tutta la mia vita ha preparato e sta preparando quel giorno. Oh Clitennestra, oh cara! (Esce).
Clitennestra - (sola) E adesso sola, senza nemmeno lui, senza nemmeno Egisto, quest'ombra cupa che mi schiaccia, ma che pure la mia ombra. Prima o dopo arriver a quel mare davvero, anche se invece di mare dovr essere una palude. Ma un arrivo in ogni modo. (Entra Ettore).
Ettore - (semplicemente) Scusa, questo il palazzo di Menelao?
Clitennestra - S, non hai visto le sentinelle?
Ettore - Non c'erano. Ma bene il palazzo d'un re, questo. Anche se diverso dai palazzi del mio paese. A Ilio non s'entrerebbe certo con tanta semplicit nella reggia.
Clitennestra - Sei Ettore?
Ettore - S. E tu?
Clitennestra - Non importa. Una donna. Ma strano che non ci fossero le sentinelle.
Ettore - C'era confusione fuori. Gente che entrava e usciva. Gente che guardava in su alle finestre.
Clitennestra - Oggi un gran giorno. S'attendeva Ettore... (Guardandolo) Ed ecco Ettore... Pace o guerra?
Ettore - Pace. Qui siamo un uomo e una donna soli. Quindi pace.
Clitennestra - Anzi, un uomo e una donna soli tendon piuttosto alla guerra... Sangue... Sangue non sparso, sangue cieco, affar sordo, ma guerra, no?
Ettore - Come vuoi intenderla. Per me pace. Sono posato da due anni e ho trovato la quiete. Certo, per, pu essere una guerra. Dipende.
Clitennestra - Beato te. Io vado cercando. Che begli occhi che hai, Ettore, grigi, fermi, senza macchia. Somigli ad Aiace.
Ettore j - Chi Aiace?
Clitennestra - Uno dei nostri re. Il pi giovane. Ma troppo fatto di carne, Aiace.
Ettore - Un uomo dev'essere fatto di carne. Di solida carne aggrappata a solide cose. E allora la donna per lui la sua quiete. E c' possibilit d'ogni pace.
Clitennestra - (rapida) Io amo altre cose... Ma anche certo potrei amare gli occhi tuoi.
Ettore - (sorridendo) Sono gentili le donne di Grecia. Come ti chiami? Chi sei?
Clitennestra - Non sono una donna di Grecia.
Ettore - E di dove?
Clitennestra - Ho un fato incerto, sono destinata al cruccio. Non badare, Ettore, a quello che dico. Mio padre avrebbe fatto bene a star nell'Olimpo, a non mescolarsi a gente precaria. (Semplicemente) Sono la figlia di Giove.
Ettore - Come Elena? Le somigli. Ma lei ha trovato in Ilio la sua pace e tu no, tu la cerchi.
Clitennestra - Sono la sorella di Elena, Clitennestra, regina d'Argo.
Ettore - Scusami, regina, se ti ho parlato cos alla buona. Ma in una reggia senza sentinelle, con intorno questa gran primavera, anche la figlia di Giove, anche la regina d'Argo pu preferire essere una donna soltanto e parlare cos come abbiamo fatto finora. (Sorridendo) Tanto pi quando si bella come te, Clitennestra.
Clitennestra - Sono quasi vecchia, ho un figlio che quasi un giovanotto. Lasciamo da parte i complimenti.
Ettore - Ma vai cercando ancora, non ti sei quietata.
Clitennestra - Mettiti cos, Ettore, con gli occhi contro luce, cos, ch'io ti veda fermo ed acceso e con una gran voglia d'andar chiss dove. Ma fermo, contro il tuo cuore fermo. Ch'io legga negli occhi tuoi le mura d'Ilio e la pianura col fiume e la reggia sopra la rocca, la gran reggia di tuo padre dove vive la mia felice sorella... (Mutando voce) Come vive Elena?
Ettore - In pace, serena, lieta.
Clitennestra - Ch'io veda tutto questo negli occhi tuoi e il mare che ride vicino, e la citt che sostiene il cielo... Ma c' anche tua moglie negli occhi tuoi. C' anche tua moglie che ti tien fermo. E ti tien fermo a un fato che sar triste. Triste come il mio.
Ettore - Tu parli come Cassandra. Guarda intorno che giornata chiara. Dove sono i re?
Clitennestra - I solennissimi re. (Brusca) Lasciali, Ettore. Fuggiamo il destino che ci attende, la vuota morte che ci guata, dimenticati d'essere principe e ch'io dimentichi d'esser regina. Facciamo come Elena, facciamo come Paride.
Ettore - Io non canto canzoni, regina, ne fui pastore. Sono un principe fedele alla sua legge. Vengo qui a portare la parola d'Ilio, a parlare con la voce di mio padre. Non cedo io, sono Ettore. Ma come sei bella, Clitennestra. Odori d'un odore remoto, di fiore cresciuto in ombra. I tuoi occhi hanno tutti i colori. (Scuotendosi) Ma ora sono vuoti come gli occhi di Cassandra... Clitennestra, non guardarmi cos.
Clitennestra - Io la so la tua sorte. Non l'indovino. La so. E' come la mia. E' una sorte vuota, una sorte nera. Fuggi a tutti. Vieni con me.
Ettore - L'hai detto tu stessa, io son fermo. E a casa c' Andromaca e Astianatte ha tre mesi. Un uomo non fugge. E' fuggito Paride che era un adolescente. Io non ho avuto adolescenza. Non ho potuto averla. N incertezza. Clitennestra, non tentarmi. Regina, quieta il tuo sangue.
Clitennestra - (carezzandogli i capelli) Pure sarebbe cos dolce, noi due soli, dove ci condurranno i nostri passi, a qualche quieta pianura lontana o in una casa in riva a un fiume e l'acqua passa e noi sempre nuovi rifatti ogni momento dall'alacre corrente. Ho ancora degli anni di giovent da regalarti e tutta la mia vita che non ho vissuto.
Ettore - Mi parla in te una voce troppo antica. L'uomo da sempre combatte contro di lei. Abbiamo inventato, per difenderci, mura, arnesi, precetti. Abbiamo creato eserciti e fondato citt e siamo andati morendo un po' ovunque, le armi in pugno, per difenderci contro quella voce che ci voleva soltanto natura. Noi non siamo pi soltanto natura, soltanto sangue, soltanto carne. Apparteniamo ad altro, ad altri. Tu a tuo marito in Argo, io a mio padre in Ilio... E anche Andromaca bella e vive perch io vivo. Occorre essere leali, occorre essere quali ci volle, il fegato roso dall'avvoltoio, Prometeo. E non occorre nemmeno essere vittoriosi. Ma solo essere stati vivi ove e come dovevamo essere.
Clitennestra - Tu non sarai vittorioso, Ettore. Faranno scempio di te, di questi occhi.
Ettore - (sorridendo) Cos dice Cassandra... Di questi occhi e dice anche che la mia carne sar lacerata sui sassi, trascinata dietro un carro, frantumata e persa. Ma Cassandra un po' fissata. Non finir cos, vedrai, Clitennestra. Datti pace.
Clitennestra - Io vorrei darmi pace. Ma non in mio potere. In Argo la gente intossicata dalla polvere e dai ricordi. La mia sorte mi attende calma come un serpente e fredda come un serpente. Non si fugge. Tu potevi essere la mia fuga. Non hai voluto, Ettore bello, Ettore fiero. Tu che sei la negazione del serpente, tu dai begli occhi grigi. Pu essere che mi sia sbagliata.
Ettore - Regina, certamente ti sei sbagliata. (Pausa) O no. Non sono lieto io. Non' riesco ad essere lieto. Sereno. E' un'altra cosa. Ma tra me e le apparenze un muro. Oltre alle mura, agli arnesi e ai precetti, gli uomini hanno inventato, per difendersi dalla natura, l'erma malinconia. Malinconia d'Ettore! Del difensore di tutto che da s si perderebbe, di tutto che troppo in alto per restar vivo, della sola sua vita. Senza fantasie sono. E ho poche speranze. Forse non ti sei sbagliata, regina, n' s' sbagliata Cassandra. Ma ih ogni caso occorre che restiamo tutti al nostro posto, all'ombra delle nostre parole. Addio, Clitennestra. E grazie d'essere stata con me una donna, d'avere avuto fantasia anche per questo minacciato straniero. (Esce).
Fine del terzo atto
QUARTO ATTO
l re sono ancora riuniti; insieme a loro ci sono Clitennestra e Penelope.
Ulisse - E com' questo Ettore?
Aiace - Simpatico. Un giovane schietto. Due occhi grigi.
Clitennestra - E malinconico, anche bello.
Menelao - (agitato) Che c'entra adesso la bellezza?... Mettiamoci d'accordo su quello che dobbiamo dirgli. Io esigo che mi sia ridata Elena.
Egisto - Bisogna vedere se vuol tornare. Pare di no, che non voglia.
Menelao - Che storie! La terran prigioniera. (Risa-tina generale).
Penelope - (semplicemente) Non si tien prigioniera una donna.
Clitennestra - Tanto pi Elena.
Agamennone - (tossendo imbarazzato) Gi, poi non l'han mica rubata alla fine. Se n' andata.
Aiace - (impaziente) Qui non si tratta di Elena.
Menelao - Come, non si tratta di Elena?
Aiace - Si tratta di lavare un'offesa. Ci hanno fatto un'offesa.
Ulisse - Pare anche a me. Il sangue degli Achei non acqua.
Egisto - Al tuo eroismo, Ulisse, ci credo poco.
Telemaco - Io ci credo pi che al tuo.
Penelope - (sempre semplicemente) Io ci credo senz'altro.
Menelao - Sei curioso, Aiace. Ci hanno offeso. Mi pare che hanno offeso me e che spetti a me stabilire la riparazione. Io voglio indietro Elena.
Aiace - (stizzito) Tu c'entri e non c'entri. Come Menelao, per me tua moglie pu fare quello che vuole. Come re di Sparta, nessun Acheo pu permettere che uno straniero ci offenda.
Agamennone - Appunto, vediamo quale riparazione debba ritenersi sufficiente all'onore non tuo, Menelao, ma nostro, degli Achei tutti. Io credo che se Elena torna possiamo ritenerci soddisfatti.
Aiace - Io dico di no.
Ulisse - E anch'io.
Penelope - Io, se fossi Menelao, una moglie simile non la vorrei nemmeno se si inginocchiasse, nemmeno se si trascinasse in terra, nemmeno se mi piangesse innanzi dieci anni.
Clitennestra - Non esagerare, Penelope. Cose che accadono. Fai bene a perdonare, Menelao.
Menelao - (lamentoso e quasi piagnucoloso) Io, insomma, la voglio. Perdonare o non perdonare, degna o indegna. Sono un pover'uomo, io, abbandonato. Non un re offeso, non un Acheo in furore. Un pover'uomo solo. E la gente che ride di me. E la gente che rider.
Ulisse - Tutti siamo pover'uomini. Ma ci dobbiam travagliare per qualcosa ch' pi di noi.
Telemaco - Per qualcosa che poi saranno i libri. E sar storia. E sar vita fatta eterna.
Penelope - Bisogna resistere alla natura, Menelao. La natura ci vuol falsi e vigliacchi. Noi siamo di pi e di meno che natura.
Menelao - (testardo) Sar, ma io voglio Elena.
Aiace - (risoluto) E io voglio vendetta.
Agamennone - Oggi arriver Achille.
Clitennestra - Quello che in Sciro viveva da donna, tra le donne?
Ulisse - Gi, l'eroe invulnerabile.
Agamennone - Allora che cosa dovremo dire Ettore?
Ulisse - Intanto chiediamogli se Elena vuol tornare. Non certo.
Menelao - Come non certo?
Ulisse - Ecco Ettore, sentiremo. (Entra Ettore).
Agamennone - In nome dei re Achei saluto Ettore, figlio di Priamo. Sii il benvenuto tra noi se porti pace.
Ettore - Il mio cuore pacifico, .re dei re. E come amico vi saluto tutti e vi reco i saluti di mio padre e di tutti che vivono serenamente tra le mura serene di Ilio.
Menelao - (ansioso) E dimmi, che n' di Elena?
Ettore - (evasivo) Sta bene.
Menelao - Dove vive?
Ettore - (imbarazzato) Nella reggia. C' con lei anche mia madre... e mia moglie Andromaca.
Ulisse - (a mezza voce) Gi, la nuova cognata.
Ettore - (imbarazzato e irritato) Cos'hai brontolato su mia moglie?
Egisto - Non ci far caso.
Agamennone - (a bruciapelo) Torner a Sparta Elena?
Ettore - (calmo) No, non torner.
Agamennone - Come?
Ettore - Ho detto che non torner. L'amore degli uomini governato dal fato. L'amore di Elena in Ilio. Ella vi saluta tutti e prega Menelao di dimenticarla.
Aiace - (furioso) Per questo sei venuto? Per buttarci in faccia queste parole? E dicevi di venire a portar pace?
Ettore - (fermo) Io ho detto di essere venuto con l'animo pacifico a dirvi le cose cos come sono, "non modificabili da parole, non modificabili da volont alcuna. Noi non possiamo cacciare da Ilio la donna che venuta per amore passando il mare. Se ella fosse voluta tornare, con ogni piacere io l'avrei condotta qui al suo perdono o al suo castigo.
Menelao - Al suo perdono, Ettore, al suo perdono!
Aiace - (scattando) E non avvilirti cos davanti al fratello di chi ti ha offeso, davanti a uno straniero. Mi vergogno di te. E capisco come Elena ti abbia lasciato.
Menelao - Non mi cimentare, Aiace. Sono capace di tutto, oggi. Non sono pi il mite re di Sparta ma qualcuno disposto a contendere il suo amore e con tutti i mezzi, i pi nobili e i pi ignobili.
Aiace - Ma certo sceglierai i pi ignobili.
Menelao - Bada come parli!
Agamennone - (alzandosi in tutta la sua imponenza) Vergognatevi di dare questo spettacolo. La seduta sciolta. Ettore, ti daremo la risposta pi tardi, dopo che ci saremo di nuovo, da soli, e pi calmi, riuniti. (Esce).
Ulisse - (a Telemaco) Vedi, Telemaco, come facile? Quasi non ho dovuto parlare. Le cose quando cominciano a sdrucciolare non le tien pi nessuno, non occorre spingerle. Arrivan da s. Come gli anni che ti sbattono alla morte e non te ne accorgi.
Penelope - (uscendo, a Ettore) Non essere cos malinconico, straniero. Fissa alle cose le tue pupille grigie. Alle piccole cose del mondo, voglio dire. Ogni ora pu aver la sua gioia.
Clitennestra - Non pensare a Cassandra. Non pensare a quello che ti dicevo. Le donne in genere hanno torto. Buona fortuna. Resta vivo.
Penelope - Ogni ora deve avere la sua gioia. (Escono).
Aiace - Tu sei un uomo, Ettore. Combatteremo nella piana di Ilio, sotto le mura.
Ettore - Se ci sar da combattere, combatteremo.
(Sono usciti tutti meno Egisto ed Ettore. Ettore fa per uscire ma Egisto lo trattiene e gli dice)
Egisto - Due parole, Ettore, solo due parole.
Ettore - Sono inutili le parole, Egisto. Occorrono atti ed atti crudeli tra gente che non s'odia, tra gente che non si conosce.
Egisto - Io credo che la cosa si possa accomodare.
Ettore - (secco) E' difficile.
Egisto - Lasciami parlare. M'interrompi sempre. Certi affari occorre condurli in porto con ponderazione e abilit. Anche perch guadagnar tempo la prima condizione per evitar tragedie. Tu sai che noi siam poveri. Non piove mai in Argo. E c' una polvere secca che ammazza ogni cosa. Voi siete ricchi; cosa sarebbe per voi addolcire un poco la nostra miseria? Ben s'intende, che di queste cose puoi parlarne a me, non ad Agamennone. Ma alla fine lo stesso.
Ettore - Ma se Elena non vuol tornare? Potremo cacciarla noi di casa? Potremo affidarla ai gendarmi, lei che nostra ospite, nostra sacra ospite?
Egisto - Queste parole sono bellissime, ma non evitano la guerra. Del resto poi Menelao, alla fine, secondo me, potrebbe smetterla di far tanto chiasso. Forse potreste tenervela anche Elena. Per gli Achei non sarebbe un gran danno. Ma, capisci, ci vorrebbe un compenso.
Ettore - (sprezzante) Quanto? Combiniamo subito.
Egisto - Non cos. Si vede che sei giovane. Occorre negoziare. Non posso dire ad Agamennone e a Menelao cosi improvvisamente che siamo venuti ad un accordo simile. Capirai, c' di mezzo l'onore. Si sono montati la testa. E quello che grida pi di tutti il vecchio Ulisse, uno che non crede nemmeno all'ombra sua. Ma adesso sbraita. Lui certo lo fa per tener alto il prezzo. Ma gli altri no... Menelao, Agamennone, Aiace ci credono davvero. Sar difficile in ogni modo, ma con un po' di pazienza ci si potr arrivare.
Ettore - Ti ammiro, Egisto.
Egisto - Perch?
Ettobe - Hai lo stomaco buono. Io sono pi schifiltoso. Ma insomma io alla guerra con voi non ci vengo. Se con denaro si pu accomodare l'accomoder. Occupatene tu, in ogni modo. E tienti pure la percentuale. (Entra Achille, giovane, baldanzoso e irruento).
Achille - Non c' nessuno in questa casa? Avr girato venti sale, salette e saloni e non c'era anima viva.
Egisto - Ci siamo noi.
Achille - E chi siete?
Ettore - Veramente chi sei tu, giovanotto.
Achille - Giovanotto? (Inghiottendo amaro) E va bene. Sono Achille.
Ettore - E chi Achille?
Achille - Il figlio di Peleo. E tu chi sei?
Ettore - Ettore d'Ilio.
Achille - D'una bella gente, sei. Rapitori di donne, mancatori di fede.
Ettore - Bada come parli.
Achille - Canaglie di stranieri, gente rustica e barbara. (Ettore gli si avventa. Egisto si mette in mezzo).
Egisto - Calma, calma. Ragioniamo.
Telemaco - (entra) Che c'?
Egisto - (mentre tenta dividerli) C' Achille.
Ulisse - (che sta entrando) L'invulnerabile Achille di dove vien fuori? (Lo prende per le spalle. Telemaco che entrato nel frattempo tiene stretto Ettore).
Ettore - Invulnerabile o non, mi render conto.
Achille - Sotto le mura d'Ilio.
Ettore - Dove vorrai.
Aiace - (entrando. Grave) Questo, dunque, Achille.
Achille - Gi, vengo da Sciro. Non ne potevo pi di stare tra le donne. Ho sentito parlar di guerre e sono venuto. E trovo qui costui.
Agamennone - (solenne) E' un parlamentare. Gli devi onore e rispetto.
Ettore - Vi ho gi conosciuti abbastanza. Prima Egisto, poi Achille. Ci rivedremo sotto le mura d'Ilio. Non c' altro che la guerra, ormai. Cosa dura. Io sono sposato da un anno. (A denti stretti) Ma cosa necessaria. Ci rivedremo, Achille. Tu, Egisto, hai sempre diritto a ci che ti spetta. Quanto?
Agamennone - Cosa?
Egisto - (confuso) Niente, discorsi che s'erano fatti.
Ettore ; - Gi, s'erano fatti. Tu, Egisto, alla guerra non ci verrai. Bei topo di pace, tu. Rosicchia in Argo. Noi tutti ci rivedremo, invece. Laggi c' posto per il sangue di ognuno. Larghe pianure, rapidi fiumi. Sar tragico ma anche allegro.
Menelao - (entra) E cos, Ettore, Elena?
Ettore - Vientela a pigliare con i tuoi. (Esce).
Achille - (tendendo il pugno) Ci verremo.
Tutti - (confusamente gridando) Ci verremo.
Ulisse - (guarda amaro in disparte) Sar una cosa terribile. I carri che schiantano le ossa, le falci che recidono le vene, l'olio bollente che trita la pelle. Fortunato Telemaco che poco ci vede e non vedr che il bello.
Telemaco - (che ha udito elettrizzato) Di questi fatti si parler poi tra centinaia d'anni, tra migliaia d'anni, in tutta la terra, per tutte le discendenze.
Ulisse - Sar, ma le madri hanno una vita sola, fatta di pochi anni.
Aiace - Dunque, Ulisse, ci siamo alla guerra. Avevi ragione tu: contro tutti. Occorreva farla. Gliela daremo a questi stranieri.
Ulisse - (pensoso) Gi, avevo ragione. (Scuotendosi d'improvviso) E se mi muori, Aiace? Te non ti rif nessuno. Con quegli occhi e quei denti e quel sorriso leale e quell'indomito cuore. E' un miracolo la tua vita, Aiace. Contro tante nere difficolt, tu cos chiaro. Nel mondo ambiguo, tu tanto schietto. Aiace, nessuno ti rifar, se muori. E pu anche ammazzarti una qualunque freccia venuta da chiss dove, da un braccio che non vedi. Non c' solo un'asta vibrata da una mano, un'asta contro un'asta, ma anche la cieca freccia che viene chiss da dove.
Aiace - Ulisse, a ogni sbaraglio son pronto. E' il destino dell'uomo essere pericolante.
Ulisse - E' vero. Ma se ti guardo mi pento di quel che ho detto, mi pento di quel che ho fatto. Se ti guardo, giovane Aiace.
Aiace - Che hai fatto?
Ulisse - Niente. Che pu fare un pescatore? Calar la rete.
Achille - (ad alta voce) Andiamo a bere qualcosa. Alla rovina dei nostri nemici, alla nostra salute. (Tutti escono. Resta solo Ulisse. Ora da una porta entra, dimessa e serena, Penelope).
Penelope - Non vai con gli altri, Ulisse?
Ulisse - Mi pesa il cuore. Sono stanco.
Penelope - Pure questa la tua guerra. Solo tu l'hai voluta. E hai fatto bene a volerla. Hai fatto il tuo dovere.
Ulisse - Cara Penelope. Ora lasciami un po' qui solo. Che veda morire il giorno insieme ai miei pensieri. Piuttosto va' da Telemaco e bada che lui, astemio, non beva troppo. Ha sentito il passo della storia, quel nostro figliolo. E n' fuor di se di quell'alta ebbrezza che consentita solo agli astemi.
Penelope - Vado. Mettiti questo mantello. (Gli tende un mantello che aveva sul braccio) Verr il freddo. Pensa ai tuoi reumi. (Gli passa la mano sui capelli) Hai i capelli di un giovane, Ulisse. Fini, fini... Come quando ci sposammo, vent'anni fa. E anche il tuo cuore, forse, giovane come allora. (Esce. Pausa. Un attimo di silenzio. Entrano sommesse e trepidanti le tre donne del primo atto).
Leocadia - Se non veniamo a stanarli nella reggia, questi re non li vedremo mai.
Miorea - Ma che facciamo? Le guardie ci arresteranno.
Leocadia - (ridendo) E poi ci lasceranno andare. Ma io almeno Aiace voglio vederlo.
Deolice - Ed io Oreste.
Miorea - Io vorrei vedere quel vecchio re. Quello dell'altra sera.
Deolice - Il re d'Itaca? Ulisse?
Leocadia - Fu stranamente generoso quella volta.
Deolice - E quel pastore ve lo ricordate? Quello era matto. Ci ha prese per dee. S' bevuto tutto quello che gli abbiam detto. Bello per. Che occhi scuri! Quasi quasi parlandogli io credevo d'essere Giunone.
Miorea - (semplicemente) Io gli ho parlato come fossi Minerva. In quel momento ero Minerva.
Deolice - Qua non c' proprio nessuno.
Ulisse - Ci sono io, ragazze.
Deolice - Oh! il nostro vecchio re! Come va, Ulisse? Quel tuo amico pastore dove se n' andato?
Ulisse ----------------- - Lontano.
Miorea - Peccato sia stato soltanto uno scherzo.
Ulisse - Gi uno scherzo. Quasi mi pento d'averlo combinato.
Deolice - Per quei pochi soldi che hai speso... (Scherzando) Avaraccio, dove sono i tuoi giovani colleghi?
Ulisse - Stanno bevendo.
Leocadia - Bella giovent! Sbevazzano e noi donne nemmeno ci guardano. Soltanto quel pastore ci ha guardate.
Deolice - Gi, ma per crederci dee. Non conta.
Leocadia - (avvicinandosi a Ulisse) Vieni con noi, Ulisse. Scegline una. Credici anche tu dee.
Deolice - Ma con argomenti umani.
Leocadia - Per pochi soldi. Liquidazione. Domani, se Dio vuole, lasciamo questa terra tenta e andiamo in Egitto.
Deolice - Vedessi che bella parrucca che mi son fatta! Sembra un monumento.
Ulisse - Gi. Gli Egizi vi vogliono cos, con le parrucche. Tutte artificiali, quasi morte.
Deolice - Scegli me, Ulisse. Un'occasione. Ti passano i reumi.
Leocadia - Con me ti passano reumi e malinconie.
Ulisse - Io sono attaccato ai miei malanni. Non voglio che me ne passi nessuno. Se non altro per seguitare a lamentarmi.
Miorea - (carezzandolo) Io non voglio niente, Ulisse, se vuoi venire con me, ne sar lieta.
Ulisse - No, non per avarizia, cara. E con te ci verrei davvero volentieri, ma che adesso da un'ora un'altra cosa. Sono diventato giovane, ragazze. Da un'ora c' la guerra e m'attendono avventure, viaggi, fantasie. Tutto quello che non ho avuto. E anche regine, e forse dee. Dee davvero, questa volta. Adesso sono tutto ai dardi e alle vele. Non tempo di pensare a voi, ragazze. Me ne dispiace.
Deolice - (stupita) Che c'? Che novit son queste?
Ulisse - (alzandosi ilare) r Mi son passali i reumi, mi son passati gli anni. Debbo andare. C' la guerra. (Esce).
Deolice - S' impazzito il vecchio.
Leocadia - Gi, si impazzito.
Miorea - Chi lo sa?
Fine del quarto atto
EPILOGO
Paride - (entrando) Addio, Elena.
Elena - Dove vai Paride?
Paride - Laggi alla pianura.
Elena - Sempre laggi.
Paride - E' il dovere mio, Elena. (Pausa). Questa gente sta morendo per me.
Elena - E anche per me. Ma io non posso combattere. Che dar io loro in compenso?
Paride - Non hai da compensarli di nulla. Tu sei Elena e basta.
Elena - E perch basta? Che se ne sono fatti di me? Che se ne fanno di me i [giovani feriti laggi, i moribondi, i morti? Non credevo che la morte fosse cos. Assoluta. Ferma. Pietre sembrano i morti. E il sangue pare che non venga da loro. Cos' mai la carne? E la mia cos'? Questa poca carne cui tocc d'esser desiderata?
Paride - Non parlare cos. Tanto non c' niente da fare. Il fato questo. Non farti contagiare da Cassandra. Lei cieca. (Pausa). Ti ricordi, Elena, quella notte a Sparta? C'era la luna
Elena - Purtroppo. Non mi pare pi che nel mondo ci sia la luna. A Ilio non mi sono mai accorta che ci sia. La guerra l'ha sommersa. E ha sommerso anche me la guerra. E ti ha mutato, Paride. Non sei pi il pastore che cantava. Paride inerme per il mondo armato, Paride amante dov' morto amore . Ora non sei pi inerme e nemmeno pi innamorato.
Paride - Oh, non dirlo!
Elena - S, caro, la verit. Perch negarlo? Eri un adolescente allora. Oggi sei un uomo. Un uomo ama una donna solo se diventa la sua radice. Solo se l'unisce al suo futuro e al suo passato. Tu allora non pensavi a questo. Eri un adolescente che pascolava il suo gregge. H suo gregge sulle rive dell'Eurota. Ora sei un uomo e invidi Ettore per il suo Astianatte. Che cos' Elena dove c' Andromaca? Che cos' il pastore Paride dove c' Ettore guerriero?
Paride - Oh, non tormentarti, Elena! Tutto questo avvenuto fuori di noi. Che volevamo noi? Che quella luna durasse, eterna, che il mondo fosse sempre un trascorrer di nuvola, un frusciar di foglia, uno svolar d rondine. Volevamo che il mondo fosse dell'amore. Non cos, non cos. Non ci resta che prenderne atto serenamente. Io sto al campo tutto il giorno per questo.
Elena - Prenderne atto tu dici? Penso che sarebbe meglio farne ammenda, dico io. Ma tu puoi combattere. Io che posso fare? Attendere. Vedere i giorni che passano, i mesi che franano, gli anni che si inabissano. E sempre quelle tende di fuori. E sempre le grida furenti degli Achei. E sempre il sangue, sempre i giovani morti, sempre la carne che diventa pietra. Anch'io diventer di pietra, anch'io. (Ridendo scorata) Sar una bellissima statua. Questa fui sempre: una bellissima statua. Ma da me non uscir sangue. Ho sangue io?
Paride - Certo, cara. E un dolce sangue, un tenero sangue che non meriterebbe la guerra. Ma ci siamo noi, i maschi massicci. Ero cos leggero a Sparta! Ora vado, Elena! E non ti crucciare. Chiama Erete. Tu le vuoi bene. E' una vecchia amica del tuo tempo felice. Perch a Sparta, Elena, eri felice.
Elena - Allora non esistevo. Mi lasciavo andare. E la vita forse questo vorrebbe essere. Un lasciarsi andare. E trovai te e ti credetti il mio mare. E fosti il mio mare. Io una giovane corrente che balzava tra i sassi. Tu laggi il mare sereno. Poi venuta la burrasca. Tal sia di noi. Chiamiamo Erete. (Chiamando) Erete!
Paride - Torner domani, non esser triste, Elena. Tornerai serena. Se ne andranno le tende, se ne andranno gli Achei. Non credere a Cassandra. Anche noi non le crediamo, lo sai.
Elena - Addio, Paride. Gli di ti siano propizi. Tornami. Non diventare anche tu laggi, tra le pietre, una pietra.
Paride - Addio, cara. (Si abbracciano. Paride esce. Entra Erete. Una pausa).
Elena - Chi ti ha fatto venire fin qua, Erete? Te le ricordi le rocce di Sparta? E il fiume Eurota? Te le ricordi le cose d'allora? Perch sei venuta fin qua, Erete?
Erete - Come stare senza di te, regina? Sono venuta via appena tu eri partita e passo dietro passo sono arrivata fin qua. Credevo di no, di non arrivarci. Ma ci sono arrivata.
Elena < - Ora non puoi pi andartene. Assediati. Guarda laggi lontano quella vela. Come chiara e gonfia. Ulisse saprebbe da dove viene. (Sorridendo) Ti ricordi d Ulisse, Erete? Un vecchio uomo sapiente e bonario.
Erete - Maligno anche, regina.
Elena - (pensosa) Maligno anche. Gi. Vedi laggi le tende achee? Sempre l da mesi, da anni ormai. Non si muovono. Noi testardi, loro testardi. Ma noi chi, Erete? Non siamo di Grecia anche noi?
Erete - (dolce) Non pensare, regina. Sei venuta dietro al tuo amore. Dunque...
Elena - All'amore, s. Grande parola. E poi? Non basta, non basta.
Cassandra - (entrando) Che cos' che non basta, Elena?
Elena - Non so, tutto e nulla.
Cassandra - Solo la mia sfortuna basta. Basta a riempire il mondo. Avrei potuto salvarli tutti, capisci, tutti se mi avessero ascoltato. E non mi credono, Elena, non mi credono.
Erete - Calmati. Perch ti crucci di tutto? Sta quieta, Cassandra, sta quieta.
Cassandra - Devi essere buona tu, anche Elena buona. Ma non giovate, non giovate. E a che giovo io? Come si fa a stare zitti con tanto sangue che sgorga dal futuro, con tanta rovina? Io sono cieca, non vedo il tuo volto, non so di che colore sono i tuoi capelli n quello dei tuoi occhi. Ma io cieca vedo la disgrazia d'Ilio, il sangue dei miei, di tutti i miei. Come sono i tuoi capelli, Elena? E i tuoi occhi?
Erete - Sono biondi i capelli, e gli occhi azzurri. I pi bei capelli e i pi begli occhi del mondo.
Cassandra - Lo so. Tutto doveva avvenire. E i tuoi capelli e i tuoi occhi, Elena, hanno servito a che tutto avvenisse. E i miei resteranno senza sangue tutti, e d'Ilio non rester pietra su pietra perch i tuoi capelli sono biondi, perch i tuoi occhi sono azzurri.
Elena - Non dire cos ancora, Cassandra. Non ripetermelo. (Rabbiosa) Non ci credo, sai, non ci credo a quello che dici, ma non ripeterlo.
Cassandra - Nemmeno tu mi credi. Ma forse hai ragione, non fu colpa dei tuoi capelli n degli occhi tuoi. Fu colpa d'altro. Dimmi, Elena, che cosa vedi nelle tende degli Achei?
Elena - Polvere vedo, agitazione. Che avviene?
Cassandra - Polvere, agitazione. (Ansiosa) Dov' Ettore? E' sceso al campo?
Erete - No, era qui poco fa.
Cassandra - Che non scenda oggi, che non scenda.
Elena - Perch?
Cassandra - Lo so io perch, lo so io. Non chiedermi altro e credimi, Elena. Non far scendere al campo tuo cognato oggi.
Elena - E che posso io su di lui?
Cassandra - Molto tu puoi su tutti gli uomini, Elena. (Entra Ettore).
Ettore - Addio, Cassandra. Addio, Elena.
Cassandra - Dove vai?
Ettore - Al solito. A dare un'occhiata al campo.
Cassandra - Dimmi, c' grande polvere laggi, grande polvere tra le tende achee. C' qualcosa di nuovo, Ettore. Non scendere al campo oggi. Io vedo, vedo il tuo sangue. Non scendere.
Ettore - Non possibile.
Elena - No, Ettore, non andare.
Ettore - Anche tu, ora. E perch?
Elena - E' vero che hai ucciso Patroclo?
Ettore - E' vero, in battaglia. Ne ho pena. Era un giovane schietto, un eroe. Ora morto. Fu mio dovere ucciderlo, lo sai. i
Elena - Lo so. Ma Achille dev'essere furibondo. Era suo amico Patroclo.
Ettore - So anche questo. Mi ha mandato una sfida.
Cassandra - E tu?
Ettore - Cosa pu fare Ettore quando qualcuno lo sfida? Deve accogliere la sfida. Oggi combatteremo.
Elena - Non andare, non andare.
Ettore - Non mi ha trattenuto Andromaca. E piangeva, sai, piangeva e nelle sue braccia piangeva Astianatte. N mi ha trattenuto mio padre, n mia madre. E ora, straniera, vuoi essere tu a trattenermi?
Cassandra - Anch'io voglio trattenerti. Non andare. I miei occhi, che non vedono, vedono il rosso del tuo sangue, il violento rosso del tuo sangue sano.
Ettore - Cara sorella, sempre sangue hai visto. Quietati, consolati in altro modo della tua cecit, dell'immeritata disgrazia. Lascia le profezie.
Cassandra - Ma io vedo, io vedo.
Elena - Io ti credo, Cassandra. Sono la prima a crederti. Non andare, Ettore. Fallo per me. Non accrescere il mio rimorso di straniera, il mio pentimento d'intrusa. Non fare che sulle mie notti gravi il tuo sangue. Sta qui, quieto. Vedrai che gli assediami se ne andranno, che un giorno si stancheranno e toglieranno le tende. Sei troppo prezioso tu perch possa gettarti allo sbaraglio.
Ettore - Io sono un uomo come un altro. Soltanto sono figlio di Priamo e se Achille mi sfida debbo accogliere la sfida. Del resto, Elena, gli ho ucciso l'amico. E' giusto che gli dia la possibilit di vendicarlo. Poi c' gi una sfida fra noi, dai tempi di Sparta, dal giorno che a Sparta fu decisa la guerra. Il sangue fatto per venire alla luce prima o poi e pi il sangue buono pi presto viene alla luce. Lo sento certe notti che si lamenta nel suo buio, che non vuole pi starci, che chiede di uscire. Forse, d'altronde, non sar il mio a uscire. Forse, Cassandra, hai veramente torto.
Cassandra - (testarda) Non ho torto, non ho torto.
Elena - Ma Achille, lo sai, invulnerabile.
Ettore - Quasi invulnerabile, Elena. Basta quel quasi perch io debba accettare la sua sfida. Vedi, Elena, com'io sono sereno. Se non avessi accettato la mia sorte, l'avrei rifiutata quel giorno a Sparta, quel giorno che Clitennestra, tua sorella, mi offr di fuggirla. E' bella tua sorella, Elena, quasi come te. E il suo destino pi denso, i suoi pensieri pi angosciati e profondi. Le cose non le saranno facili. (Scuotendosi) Adesso debbo andare. (Abbracciando Cassandra) Non piangere.
Cassandra - Gli occhi miei han perduto la vista ma, ahim, non le lacrime. Non fammi piangere ancora. Resta. Ettore.
Ettore - Anche Andromaca piangeva dianzi. E' il destino delle donne di piangere.
Elena - Io sola non riesco a piangere. Ma vorrei tanto, Ettore.
Ettore - Tu sei troppo bella per piangere. Affidati alla vita, Elena. Il tuo compito vivere. Il compito di Ettore di essere fedele al suo sangue e di buttarlo alla luce se un giorno alla luce vorr andarsene. Ti saluto. Elena, ti saluto. (Si sente rumore di fuori, come di una colluttazione. Entra, sospinto da due guardie armate, ferito e impolverato, Dorante).
Dorante - Ammazzatemi, vi dico, ammazzatemi. Un uomo di Sparta non pu vivere prigioniero. Trafiggetemi dunque. L'ho meritata,' mi pare, la morte. Non colpa mia se sono vivo e voi lo sapete.
Ettore - Calmati e rispondi. Come ti chiami?
Dorante - Non ti risponder. Non risponder a nessuna domanda. Per questo mi tenete prigioniero. Per questo non mi uccidete, per interrogarmi. Ma io non risponder a nulla, io, guerriero di Sparta.
Elena - Oh, parlami di Sparta!
Dorante - (raddolcito) Chi sei tu che mi chiedi della mia terra? Somigli alla mia ragazza, sei bionda anche tu. Hai gli occhi azzurri. Chi sei tu?
Elena - Una che conosce Sparta.
La prima Guardia - (brusca) Come osi parlare senza essere interrogato alla divina Elena?
Dorante - La mia regina! Oh scusa! Non vero che tu somigli alla mia ragazza. Sei molto pi bella, molto pi bella. Solo il colore degli occhi e dei capelli. Oh, scusa!
Ettore - (con fredda voce militare) Quanti sono gli armati achei nel campo? Quante navi sono giunte l'altro giorno? Rispondi.
Dorante - Sono un soldato. Ti dir il mio nome. Dorante. Altro non ti dir. E ti ho detto il mio nome perch c' qui la mia regina. Perch la mia regina sappia che i soldati di Sparta non tradiscono.
Elena - Ma io ho tradito, io la regina, io Elena.
Dorante - Tu sei troppo bella per aver tradito qualcosa. Poi tu sei la regina, tu sei la figlia di Giove. Io sono Dorante, figlio di Eutichio: non mi concesso di tradire. Non tradir. I guerrieri nel campo sono una moltitudine infinita. Le navi sono millanta e pi che millanta.
Ettore - (proseguendo con la fredda voce militare di prima) Tu mi dirai quanti guerrieri ci sono, quante navi ci sono. Che rinforzi si attendono, che rinforzi sono stati chiesti. Me lo dirai o sapr costringerti a dirlo.
Elena - No, non dirlo, Dorante.
Dorante - Sei ben tu la mia regina, Elena. Qualunque cosa accada, non parler.
Ettore - (amaro) Cos vuole Elena. Molto vuoi da noi, Elena, molto. Ma sia fatta la tua volont. Io scendo al campo e non ti serbo rancore. (Esce).
Cassandra - (con un urlo) No, Ettore, no. (Un silenzio) Se n' andato e non mi ha n risposto n salutata. Oh, Elena, perch i tuoi capelli erano cos biondi e gli occhi tuoi cos azzurri? (Esce. Un altro silenzio).
Dorante - Grazie, regina, d'avermi aiutato. Ti assicuro per che non avrei parlato lo stesso in nessun caso. In nessun modo. L'ho promesso alla mia ragazza partendo che sarei stato un guerriero esemplare. E a due vecchi. A due vecchi che san la storia di Grecia. La storia e tutte le storie. A una donna giovane e a due vecchi poeti l'ho promesso. Dorante, figlio di Eutichio, non tradisce.
Elena - Io ho tradito, io ho tradito. Credevo che la mia bellezza potesse bastare a un uomo e che a me potesse bastare l'amore. Non cos, non cos.
Dorante - Ora ti prego, regina. Affretta la mia morte. Io non voglio restare prigioniero.
Elena - (alle due guardie, brusca) Voi uscite. (Le guardie escono. Elena concitata, si rivolge a Dorante) Io ti far fuggire, Dorante. Far in modo che mani achee curino la tua ferita. Che tu torni a specchiarti nell'Eurota e a baciare la tua ragazza. Erete, accompagna Dorante per la porta segreta, poi per i sotterranei finche non esca oltre le mura, al sicuro, tra i suoi compagni achei.
Erete - S, regina.
Elena - E tu, quando sarai tornato, di' che Elena s' pentita d'aver tradito, s' pentita, s' pentita.
Dorante - Grazie, regina, grazie. Grazie per me e per la mia ragazza. (Esce con Erete. Un attimo di silenzio. Poi un grido e la voce d Dorante che grida subito spezzata: Assassini! ).
Elena - L'hanno preso e l'hanno ucciso. Non gli ho portato fortuna. Non porto fortuna a nessuno. (Rientra scarmigliata Erete).
Erete - Il cammino segreto sorvegliato. L'han preso subito. Non si fidano pi di te, regina.
Elena - Han ragione di non fidarsi.
Erete - Ma Ettore poco fa ti ha salutata e Cassandra ti parla come una sorella.
Elena - S. Ettore, Cassandra. Il cavalleresco Ettore, la sventurata Cassandra. (Esce. Dopo un attimo rientra Cassandra).
Cassandra - (a bassa voce) Elena.
Erete - Non c', se n' andata.
Cassandra - Dimmi, Erete, non piangeva poco fa Elena?
Erete - S, piangeva.
Cassandra - (concitata) Lei mi crede. Io non posso pi nemmeno piangere. Ma sento ch' giunta l'ora e che la vita di Ettore minacciata. Che i due, nella pianura, sono di fronte. Che si aggrediscono e si ghermiscono. Sono furibondi e forti tutti e due. Achille ed Ettore. Tutti e due. Ma che pu Ettore contro Achille invulnerabile? Che pu? Si alza la polvere. Contemplano gli uomini dai due campi, i nostri e i loro. Occhi contro occhi. Contemplano, e i due si rotolano nella polvere. I due si azzuffano tra le tamerici, tra gli oleandri, quasi sul mare, quasi sul mare. (D un urlo). Ettore finito! Ettore finito! Oh, snaturato Achille! L'ha ucciso, l'ha ucciso! (Scoppia in pianto dirotto. Entra Elena).
Elena - Che c', Cassandra? Che c'?
Cassandra - E' morto Ettore, morto. E trascinano il suo cadavere per il campo. E Achille non lo render e Achille ne far scempio. Lo snaturato Achille. Achille che vuole aver vendetta di Patroclo. Oh, povero sangue mio! Oh giorni funesti! (Si ode dal di fuori un clamore).
Voci - E' caduto Ettore! E' caduto Ettore! Gloria a lui! L'hanno ucciso! Sar vendicato! Morir Achille!
Cassandra - (improvvisamente calma) Hai sentito?
Elena - Lo sapevo che tu avevi ragione. Lo sapevo. Oggi ho imparato a piangere. E ho pianto e pianger ancora tanto finch avr occhi, finch avr vita.
Cassandra - Io che non ho occhi pianger, io. Tu anche di questo ti consolerai, anche di questo. Ma io non dimenticher. Non dimenticher Ettore, simile a una torre. Ettore impeccabile e altero. Ettore gentile e svelto. N dimenticher il pianto di Andromaca, ne il lamento di Astianatte, n la grande ruga che d'ora in poi sempre rester nel volto macilento di Priamo, nel sacro volto d'Ecuba. Tu sei una donna, una donna bella e sola, una donna giovane e straniera. Straniera ovunque. Io sono Cassandra. Qualcosa che non conta se non legata ad altri. Un anello della mia famiglia, la coscienza della mia stirpe, quella che vide e non fu creduta, quella che seppe e non fu intesa. Io pianger in eterno. Tu... (Elena piange a dirotto)' Non ostante tutte le apparenze, non fu colpa tua. Sarebbe avvenuto anche se i tuoi capelli fossero stati ruvidi e i tuoi occhi spenti. Sarebbe avvenuto in tutti i modi. No, tu non ne hai colpa, Elena, non ne hai colpa. (Cambiando tono) Gli uomini, vedi, hanno le loro ferme ragioni. Ragioni che non luccicano, che non piangono, ragioni che sono nemiche di Cassandra, che sono nemiche di Elena. Gli uomini sono approssimativi e precisi, capaci di creare cose invisibili e di crederci. Dovevano venire qui gli Achei, dovevano. Consolati e serba gli occhi tuoi e i tuoi capelli per quelli che sono rimasti vivi, per quelli che hanno avuto ragione. La mia famiglia, il mio popolo hanno avuto torto. Non potevo farci niente. Non potevo che piangere io esperta di lutti, e ho pianto. Funesto privilegio intendere la voce del futuro. Un rabbioso fragore diventa quello che agli altri speranza distesa. Mi franano i giorni che pur dovrebbero nella luce salire. Asciugati le lacrime, cara. Lascia piangere me che sono cieca. (Cambiando tono) Tu che l hai visti, dimmi com'erano, scendendo al campo, gli occhi di Ettore? Com'era il fratello mio caro?
Elena - Alto. E svelto e leggero e ardito. L'impeccabile Ettore con i suoi malinconici occhi grigi. Era qui Ettore e ti credeva, Cassandra, quando tu parlavi. Sapeva, come tu sapevi, che sarebbe morto. Ma andato, sceso in campo. E' sceso senza guardarmi, senza salutarmi. L'attendeva la polvere laggi, l'ira d'Achille. Non mi ha salutata, non mi ha vista. Hai ragione, Cassandra. Quando il fato urge io non conto. Ettore morto che io non lo vedevo. Il suo sangue gli venuto fuori alla luce. Bel sangue caldo di giovane sano. E' morto sulla nuda terra, all'ombra di un oleandro tra le tamerici, tra la polvere e le grida. E' morto nell'odor del mare e nell'odor del sangue. (Piangendo a dirotto) E' morto. E io, sciagurata, sono ancor viva.
Cassandra - (calma) Per sempre poi gli uomini diranno che dalla bellezza di Elena venuta la morte di Ettore. Non sar vero. Ma tutti crederanno cos e lamenteranno insieme i tuoi occhi e il suo sangue. Pronti sempre a rapirti Elena, pronti sempre a uccidere Ettore. E' l'armato desiderio umano, l'unica cosa eterna. L'armato desiderio umano d'alti lutti cagione... e d'ogni luce.
FINE
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