Adolfo, o della magia

Stampa questo copione

ADOLFO

O DELLA MAGIA

Due tempi

di ANTON GAETANO PARODI

PERSONAGGI

Adolfo

Eugene

Walter

Mara

Due ragazze

Il giudice

Il commissario di polizia

Il direttore delle carceri

Il cancelliere

Il padre e la madre di Adolfo

Il professor Motke

La donna delle visioni

5 cacciatori vestiti di bianco

Commedia formattata da



PRIMO TEMPO

Quadro primo

(L'ufficio del direttore delle carceri. Due guardie in divisa ai lati della porta sul fondo. All'alzarsi del sipario sono in scena il direttore, il giudice, il cancelliere e il commissario. Il cancelliere ha deposto il registratore su un tavolo accanto alla scrivania del direttore e vi armeggia attorno per metterlo a punto. Dalle posizioni dei personaggi evidente che il commissario giunto da poco tempo. Pausa. Il giudice restituisce al commissario il fonogramma che ha finito di leggere).

Il Giudice - Eugene Tisset. Non vi sono dubbi. E' quel ragazzo. In che punto esatto del parco stato trovato il corpo?

Il Commissario - Dietro le siepi, vicino all'uscita di servizio del museo.

Il Giudice - Chi lo ha trovato?

Il Commissario - Un guardiano.

Il Giudice - Lei lo ha veduto?

Il Commissario - S, signor giudice. Aveva una posizione innaturale come se fosse stato abbandonato quando la rigidit era gi iniziata.

Il Giudice - Non mancano le prove che non stato ucciso nel parco.

Il Commissario - No. Non mancano.

Il Giudice - (dopo una pausa) Da quanti giorni era scomparso?

Il Commissario - Una ventina.

Il Giudice - L'ho interrogato l'ultima volta, vediamo...

Il Cancelliere - Il quattro settembre.

Il Giudice - Ai primi di settembre, appunto. (Breve pausa) Se ne avessi ordinato il fermo forse gli avrei salvato la vita. Non un rimprovero che faccio a lei, signor commissario. In questo maledetto imbroglio lei ha fatto tutto quello che ha potuto. E' un rimprovero che rivolgo a me stesso. Quel giorno, durante l'ultimo interrogatorio, Eugene Tisset pareva fuori di s. Non parl quasi mai di Adolfo Meningher: lo ricordo benissimo. Mi raccont una strana storia di cacciatori. Era soltanto un testimone. Non avevamo il minimo elemento a suo carico...

Il Commissario - Neanche adesso ne abbiamo.

Il Giudice - Avrei dovuto insistere, avrei dovuto andare pi a fondo, capire che quel ragazzo era sull'orlo di una crisi e stava per crollare.

Il Commissario - Come pu dirlo?

Il Giudice - Qualcuno ha avuto tanta paura che crollasse da farlo sparire e da restituirlo con due proiettili nella testa.

Il Commissario - Non c' niente di certo, ancora.

Il Giudice - Ho letto sul fonogramma che il corpo presenta tracce evidenti di iniezioni soprattutto alle braccia e alle gambe.

Il Commissario - Era un drogato. S.

Il Giudice - Congratulazioni a me e a lei, signor commissario. Due uomini come noi, che pure dovrebbero avere molta esperienza in materia, si sono lasciati mettere nel sacco da un ragazzo di diciannove anni.

Il Commissario - Lo ha detto lei stesso che contro di lui non potevamo fare nulla.

Il Giudice - Ma dovevamo accorgerci che era un tossicomane.

Il Commissario - Non li ho fatti io i regolamenti di polizia. Fosse dipeso da me avrei tenuto Eugene Tisset in guardina fino a quando si fosse deciso a dire tutto quanto sapeva del suo amico.

Il Giudice - Anche Adolfo Meningher ha tracce di iniezioni. (Al direttore) Ma lei, signor direttore, ha sempre sostenuto che il suo comportamento in cella non mai stato quello di un tossicomane.

Il Direttore - Lo confermo, signor giudice. Un ragazzo molto tranquillo. Un detenuto esemplare.

Il Commissario - Gli faremo avere un diploma al merito. Al pi presto. Mi scusi, signor direttore.

Il Direttore - Non fa niente. Siamo tutti un po' nervosi, stasera.

Il Giudice - Se avessimo potuto far visitare Eugene Tisset da un medico avremmo avuto un'altra prova che tra lui e Adolfo Meningher vi erano pi che rapporti di amicizia.

Il Commissario - Se avessimo potuto. Il fatto che non abbiamo potuto.

Il Giudice - (dopo una pausa) Chi ha dato la notizia alla famiglia?

Il Commissario - Non aveva famiglia. Soltanto una vecchia zia.

Il Giudice - Mi riferivo a lei.

Il Commissario - Ci sono andato io. La conoscevo gi. Una donna sui settant'anni.

Il Giudice - Che cosa ha detto quando ha saputo?

Il Commissario - Niente. Mi ha ringraziato.

Il Giudice - Non capisco.

Il Commissario - Mi ha ascoltato, rimasta un po' in silenzio e finalmente mi ha detto: grazie di essere venuto. L'ho convocata per domattina alle dieci nel mio ufficio. Tutto qui. (Trilla il telefono. Il direttore solleva il microfono).

Il Direttore - (al telefono) S, sono io. Benissimo. Attenda. (Al giudice) Il detenuto in anticamera.

Il Giudice - Lo faccia attendere ancora per qualche minuto.

Il Direttore - (al telefono) S, sono io. Benissimo. (Posa il ricevitore).

Il Giudice - Dobbiamo decidere cosa dirgli, se annunciargli subito o no la fine di Eugene Tisset...

Il Commissario - (interrompendolo) Signor giudice...

Il Giudice - Dica.

Il Commissario - Io ho arrestato Adolfo Meningher. Due mesi di fatiche sprecate prima di deferirlo alla magistratura. L'assassino colto in flagrante e non riuscire a trovare il movente del delitto...

Il Giudice - Non stato soltanto lei a sprecare fatica.

Il Commissario - Ma dopo l'uccisione di Eugene Tisset le cose sono cambiate. Prima avevamo solo dei vaghi sospetti. Adesso abbiamo la certezza di esserci imbattuti in qualcosa d molto pi grave del delitto stesso.

Il Giudice - Lei pensa agli stupefacenti.

Il Commissario - A questo punto siamo autorizzati a ritenere che il padre di Adolfo Meningher avesse scoperto che il figlio era entrato nel giro e forse qualcosa di pi. Questo potrebbe essere il movente del delitto.

Il Giudice - Potrebbe esserlo.

Il Commissario - Sta a noi provarlo.

Il Giudice - Certo, sta a noi. La sua ipotesi, signor commissario, assai ragionevole e probabilmente si riveler quella giusta. Non quadra, ecco, signor commissario, la ragione della mia perplessit; non quadra con la figura psicologica di Adolfo Meningher.

Il Commissario - Se quadreranno i fatti...

Il Giudice - Me lo auguro, signor commissario.

Il Commissario - Ho imparato a memoria la lettera che egli le ha scritto per invitarla qui stasera. La giudico un documento per uno psichiatra, non per un magistrato. Adolfo Meningher ha scritto che stanotte a mezzanotte (solleva lo sguardo all'orologio) tra poco pi di due ore, egli sparir...

Il Giudice - Non ha usato il verbo sparire...

Il Commissario - Ha scritto: ... n lei, n nessun altro uomo sulla terra avranno pi potere su di me. Io sar diventato il pi grande di tutti e il pi forte .

Il Giudice - Conosce veramente quella lettera a memoria.

Il Commissario - Adolfo Meningher, tutto sommato, un ragazzo come Eugene Tisset. Non pu essere il duro che ha voluto farsi credere. Secondo me quella lettera rivela che egli sta cercando la strada per alleggerirsi la coscienza, salvandosi la faccia. Le sue resistenze interne stanno cedendo. La notizia della morte dell'amico comunicata al momento opportuno, pu essere il colpo di grazia.

Il Giudice - Lei ne parla come se avesse un conto personale con quel ragazzo.

Il Commissario - Forse ha ragione, signor giudice. Ma non come poliziotto. Come uomo. Io voglio sapere perch ha ucciso, io voglio conoscere il movente del suo delitto...

Il Giudice - (al direttore) Lei che ne pensa?

Il Direttore - Mi pare che il signor commissario abbia ragione.

Il Giudice - (al cancelliere) E' pronto con il registratore, signor cancelliere?

Il Cancelliere - Prontissimo. Mi sono permesso di portare anche il nastro che il signor commissario ha inciso all'ospedale.

Il Giudice - (colpito) Perch? Io non gliel'ho ordinato.

Il Cancelliere - Pu essere utile, signor giudice.

Il Commissario - Signor giudice, anch'io ho cercato di vedere le cose con la pi grande obiettivit. Ho cercato di fare appello a tutta l'umanit che questo mestiere mi ha lasciato dopo vent'anni che lo faccio.

Il Giudice - (al direttore) Vuol dare ordine che entri il detenuto?

Il Direttore - Immediatamente. (Le due guardie escono assieme e rientrano poco dopo con Adolfo Meningher. Nell'attesa, i tre personaggi sulla scena sono rimasti quasi immobili. Soltanto il cancelliere ha controllato ancora una volta il registratore. Adolfo entra e osserva a lungo i presenti).

Adolfo - (al giudice) Avevo chiesto di incontrarmi soltanto con lei.

Il Giudice - Chi ti ha fatto credere di essere in grado di dettare condizioni?

Adolfo - Non ho inteso porre condizioni.

Il Giudice - Desidero farti notare che sono le dieci di sera, che tutti noi abbiamo avuto una giornata faticosa e che nonostante questo abbiamo deciso di ascoltare quanto hai da dirci nell'ora e nel luogo che tu hai indicato. Avrei potuto rispondere alla tua lettera che se avevi intenzione di incontrarmi sarei stato io a decidere quando. Com' mio diritto. Ti posso assicurare che non avrei scelto quest'ora.

Adolfo - Perch venuto, allora?

Il Giudice - Perch, anche se tu lo dimentichi, io mi sforzo di trovare la verit e non aspetto e non pretendo che sia essa a venirmi a cercare. Perch sorridi?

Adolfo - (indica il commissario) Anche lui cerca la verit?

Il Commissario - Pi di quanto immagini. E smettila di ghignare.

Adolfo - Sto cercando di immaginare lei, signor giudice, e lei, signor commissario, se trovassero la verit che cercano.

Il Giudice - E sarebbe cos buffa la situazione?

Adolfo - S. Sarebbe molto buffa. Ma lei, signor giudice, non pu capirla perch pensa alla sua verit, quella dei codici, che la sola che le interessi.

Il Giudice - E tu, invece, a quale verit ti riferisci?

Adolfo - All'ora che le ho indicato nella lettera, ne scoprir una piccola parte e se sapr riconoscerla avr fatto un buon passo in avanti.

Il Commissario - (al giudice) La perizia psichiatrica in corso, non vero?

Il Giudice - Da due settimane.

Il Commissario - (ad Adolfo) Forse sei un maledetto furbo.

Adolfo - Non ho bisogno di ricorrere ad espedienti. Sono sanissimo di mente. Ho cercato di farlo capire anche a quell'imbecille che vuole sapere che cosa sogno alla notte.

Il Giudice - In che cosa speri? Nella migliore delle ipotesi quando uscirai di prigione sarai un vecchio e inutile rottame d'uomo. Hai commesso un delitto che ha ucciso anche te, vuoi rendertene conto?

Adolfo - La predica sul mio avvenire me l'hanno gi fatta in cinquanta. (Al direttore) Anche i suoi guardiani. (Al giudice) La prego di credermi. Ne ho abbastanza.

Il Commissario - Fin da bambino il tuo hobby era l'ergastolo, non cos?

Adolfo - (al giudice) Anche il signor commissario fa parte dell'avvenire che dovrei rimpiangere?

Il Giudice - Mi domando che cosa c' dentro di te. Un minimo di nozione del bene e del male dovrebbe esserti rimasta.

Adolfo - No, signor giudice, per piacere. Non ricominciamo.

Il Giudice - Mi sono riletto alcune delle tesine che avevi preparato per gli esami universitari. Fino a pochi mesi fa...

Adolfo - (interrompendolo) Fino a pochi mesi fa sonnecchiavo.

Il Giudice - E in seguito che cosa ti accaduto?

Adolfo - Mi sono destato.

Il Giudice - A che cosa ti sei destato? al delitto?

Adolfo - E' cos importante per lei il mio delitto?

Il Giudice - E' importante per te.

Adolfo - A me sembra che sia pi importante per lei. Non capisco perch lei debba ritenere cos importante un solo delitto quando tutti i giorni se ne commettono centinaia e migliaia. Se del mio delitto se ne occupasse un altro giudice a questa ora lei sarebbe a casa sua, felice e soddisfatto, e mi ignorerebbe. Tutt'al pi, pensando al suo collega, direbbe: bella rogna gli capitata con quel mascalzone di giovane.

Il Giudice - (dopo una pausa) Abbiamo gi perduto troppo tempo. Non sono venuto per discutere con te. Se hai qualcosa da dire che sia pertinente all'istruttoria, benissimo, altrimenti ce ne andremo.

Il Commissario - Non hai mai detto perch hai ucciso ed soltanto questo che ci interessa.

Adolfo - Lo dir questa sera.

Il Giudice - rosso chiederti perch, finalmente, ti sei deciso?

Adolfo - Perch ho pi poche ore di tempo. A mezzanotte in un modo o nell'altro, non sar pi qui.

Il Commissario - Tu sei pazzo se pensi di poter evadere.

Adolfo - Chi ha parlato di evasione? (Al giudice) Lei, signor giudice, probabilmente sonnecchier tutta la vita. Non s dester mai. Ma l'unico individuo ricettivo, estremamente ricettivo, che io, in questa situazione, potessi avvicinare prima di mezzanotte. Fino a quel momento io le racconter tutto quanto potr servirle a chiarire quello che lei chiama movente del mio delitto e lei non mi creder. Dopo quell'ora sar diverso. Ma, a meno che lei e il signor commissario non vogliano passare per pazzi non potranno ripetere quanto io avr detto. (Indica il registratore) Non mi riferisco alle parole. Mi riferisco a ci che le parole avranno suscitato dentro di lei, signor giudice. Sar qualcosa che ad un certo momento lei confider al suo amico pi intimo, il suo amico, a sua volta, lo trasmetter ad altri e cos via. Le affider un messaggio, signor giudice, che finir per arrivare alle orecchie giuste e un altro dormiente si dester. Nelle mie condizioni non posso fare di pi, ma quanto devo fare.

Il Giudice - E poi, che cosa accadr?

Adolfo - I destati continueranno ad aumentare di numero.

Il Giudice - Adolfo, ho letto anch'io dei romanzi di fantascienza.

Adolfo - Io, purtroppo, non ho mai avuto interesse per quel genere di letteratura. Ma so che piace ai dormienti ricettivi. Questo conferma il mio giudizio su di lei.

Il Commissario - Signor Giudice, ci stiamo facendo prendere in giro da questo...

Adolfo - Signor giudice, inviti il commissario a moderare il suo tono. Ne ho avuto abbastanza di lui in questura. E poich siamo in argomento devo aggiungere qualcosa. (Al commissario) Pu darsi che lei si ritenga al servizio di chiss quale ideale superiore. Per me lei soltanto uno dei cani che corrono attorno al gregge per farlo marciare in ordine sulla strada che deve percorrere. Se uno di quei cani potesse pensare, si riterrebbe altrettanto importante e investito di responsabilit trascendentali di quanto si giudica lei. (Al giudice) Anche per lei il discorso non cambia. Forse non un'immagine troppo felice quella del gregge e penso che sia anche logora per l'uso, ma non posso farci nulla se in questo momento non ne trovo un'altra. Lei, signor giudice, ha la funzione di punire l'animale che tenta di fuggire dal gregge o che non ne accetta le leggi.

Il Giudice - Ancora una parola e ti lasciamo ai tuoi farnetichi.

Adolfo - E' da mesi che io ascolto senza protestare i suoi, quelli del commissario, degli agenti, dei guardiani. Anche stasera lei aveva cominciato il discorso sul bene e sul male come se fosse depositario di una scienza assoluta in proposito. Per me, lei, signor giudice, e lei, signor commissario, contano soltanto per quello che ho detto. (Al cancelliere) Ed ora, signor cancelliere, io sono pronto. (Il cancelliere apre il registratore. Si sente, leggermente amplificato, il fruscio del nastro).

Quadro secondo

(Lo scantinato elevato a rango di cave . La cave congegnata in modo da occupare una parte della scena. La porta a destra immette in una stradetta che sar illuminata quando Adolfo e Eugene usciranno. I due giovani, adesso, sono seduti attorno ad un tavolino. Musica dal ritmo velocissimo. Su alcuni tavolini ravvicinati, Walter e Nora stando ballando incitati dagli altri giovani. La riunione va avanti da un pezzo e l'atmosfera tesa).

Walter - (ballando si toglie la camicia) Che caldo... (Si toglie la maglietta) Che schifoso caldo...

La prima Ragazza - Avanti, Walter, avanti...

La seconda Ragazza - Con i pantaloni non vale...

Walter - (si toglie i pantaloni e rimane in slip) Che maledetto caldo...

Il primo Giovane - Nora, scoppierai per il caldo...

Nora - (continuando a ballare si toglie il maglioncino) Che caldo... (Eugene si alza di scatto).

Adolfo - Dove vai?

Eugene - Esco. Non ne posso pi di quest'aria puzzolente. (Eugene si avvia all'uscita e Adolfo lo segue. Mara sta per fare altrettanto, ma qualcosa nell'atteggiamento di Adolfo nei suoi confronti, la ferma. La ragazza siede al posto abbandonato da Adolfo. Mentre i due giovani escono).

Nora - (cominciando a sfilarsi la sottana) Che schifoso caldo... (Buio nella cave . Adolfo e Eugene sono seduti sui gradini della porta che si apre sulla stradetta. Un lampione. Muri).

Eugene - Non riuscivo pi a respirare l dentro. Perch mi sei venuto dietro?

Adolfo - Neanche io riuscivo pi a respirare.

Eugene - Avrei fatto meglio a restarmene a casa stasera. (Stizzito) Quando sono a casa non vedo l'ora di essere fuori, quando sono fuori...

Adolfo - Dove abiti?

Eugene - All'inferno. Una casa cos vecchia che sembra di sentirla rantolare. Un giorno o l'altro ti ci porter.

Adolfo - Tua zia...

Eugene - Mia zia non dir niente. Non dice mai niente. Non parla mai. Una volta, qualche anno fa, sono stato malato per un mese e avevo preso l'abitudine di parlare da solo. La mania di sentire una voce.

Adolfo - In casa mia diverso. Mia madre non fa che parlare e mio padre... Dio, quando torna alla sera quante cose dice.

Eugene - Preferisco mia zia che tace.

Adolfo - A volte mi sembra di essere avviluppato nelle parole. Come un pesce nella rete. (Breve pausa) Hai voglia di discorrere, adesso?

Eugene - Se tu ne hai voglia, parla pure.

Adolfo - Ho pensato molto a quello che mi hai detto l'altra sera.

Eugene - Che cosa ti ho detto?

Adolfo - Lo sai bene.

Eugene - E cos?

Adolfo - Non sono state novit per me.

Eugene - Ne ho piacere.

Adolfo - Prima credevo di averle scoperte io. Credevo di avere scoperto io che viviamo in mezzo a cose vive, anche se le nostre vite sono apparentemente diverse e se la mia carne , apparentemente, diversa dal mattone, dalla pietra, dall'albero.

Eugene - Ti ho detto questo, io?

Adolfo - Non solo questo. Ma ho cominciato a riflettere su quello che ho compreso di pi.

Eugene - Perch non ritorni dentro? A quest'ora Nora ha finito lo spogliarello. E' meglio che fare questi discorsi. A te piacciono le ragazze.

Adolfo - Non voglio tornare dentro. Voglio parlare.

Eugene - D'accordo. Allora avevi gi scoperto di essere come una cimice su un elefante. E dopo?

Adolfo - Perch usi quel tono con me? Non intendevo affatto quello che hai detto.

Eugene - E che cosa intendevi?

Adolfo - Che tutto vive, ecco, che sono diverse soltanto le misure e le intensit delle diverse esistenze. Che noi uomini viviamo in un modo del tutto particolare.

Eugene - Non noi uomini. Qualcuno tra noi.

Adolfo - Hai ragione. La maggioranza vive come le cose.

Eugene - La stragrande maggioranza.

Adolfo - Fino a qualche tempo fa anch'io vivevo cos.

Eugene - E ora?

Adolfo - Ora non so se sono cambiato o se sono ancora come prima.

Eugene - Se tu fossi cambiato, come immagini che te ne saresti accorto?

Adolfo - Non riconoscendo pi quello che ero.

Eugene - Sciocchezze. Quello che eri continuerai ad esserlo sempre. Ogni giorno che passa diventi sempre qualcosa di diverso, ma non butti via niente del giorno prima. (Con un po' pi di animazione) Io immagino dentro di me come una grandissima piazza affollata di gente. Milioni di personaggi. Ognuno di essi come sono stato un minuto fa, un'ora fa, ieri, il mese scorso, l'anno scorso. Questi personaggi, vedi, questi milioni di me, anche se sono nati in epoche diverse sono tutti contemporanei. Ogni minuto qualcuno sale sul podio, fa il suo bravo comizio alla folla e, quindi, discende e si mischia con essa, mentre un altro prende il suo posto e cos via. Non cos che ti accorgerai di essere cambiato.

Adolfo - Come me ne accorger?

Eugene - Ognuno se ne accorge in modo diverso. Non c' una cosa eguale per tutti e neanche un modo per rendersi conto se si cambiati o no che sia eguale per me e per te.

Adolfo - Tu come ti sei accorto di non essere pi quello che eri?

Eugene - Non stiamo parlando di me.

Adolfo - (dopo una breve pausa) Ancora qualche anno fa ero molto religioso e per me una casa era una casa, un albero un albero, una pietra una pietra. Tutto ordinato. Come in un archivio. Ogni cosa al suo posto. Io, in quanto uomo, creatura perfetta, in cima alla piramide. Perch vogliono farti credere che sia cos, mentre, un po' alla volta, ti accorgi che tutto differente? Una cosa sudicia, Eugene. Non c' niente che sia ordinato, niente che sia al suo posto. Altro che creatura perfetta! Ti annoio?

Eugene - No.

Adolfo - Mio padre un gran brav'uomo. Io non credo che esistano altri uomini come lui. A suo modo anche colto. Quando gli dissi a che punto ero arrivato, mi rispose: non pensare troppo. E' inutile. E' come perdersi in un mondo che non conosci. Anche se tu non vai a cercare le conclusioni un poco alla volta saranno loro a cercare te e a trovarti e tu vedrai, con l'esperienza che intanto ti sarai fatta, se ti converr o meno accettarle. In genere tutti le accettano, ma si guardano bene dal rivelarlo ad altri. Finirai per accorgerti che tutti pensano allo stesso modo e ognuno parla in modo diverso dall'altro. Una vera, torre di Babele. Non giusto, gli dissi, pensare una cosa e dirne un'altra. Be'! rispose mio padre, dipende dai punti di vista, ma senza l'esperienza che ti d la vita non puoi comprenderlo.

Eugene - (ironico) Evirazione indolore.

Adolfo - Mi propose di pensare assieme. Lui e io. Ti immagini due che pensano assieme?

Eugene - Non posso immaginarli.

Adolfo - Neanch'io. Comunque, alla fine cessai di essere religioso. Appartengo ad una specie animale tra le tante, mi dissi, e per tanto che cerchi di uscirne ci sar sempre dentro.

Eugene - Cos ora ti consideri un animale.

Adolfo - No. Anche se hanno fatto di tutto per convincermi di esserlo. Anche se nessuno di quelli che si spaventa all'idea che un uomo possa ritenersi un animale mi ha dato un solo argomento contrario. Ma se sono un animale, una specie straordinaria la mia, visto che posso immaginare il tempo e lo spazio e perfino il mondo che sfugge ai miei sensi. Un animale straordinario. Troppo straordinario.

Eugene - Ti sei avvicinato alla porta.

Adolfo - Quale porta?

Eugene - Non hai pensato altro? Non hai concluso altro, dopo questo?

Adolfo - S. Ma temo che mi prenderai per un presuntuoso.

Eugene - Non avresti dovuto cominciare, se mi giudichi cos male.

Adolfo - (dopo una breve pausa. Esitante) Ho la sensazione, confusa sai, nient'affatto chiara, ai non rassomigliare a nessuno, di essere unico, come se appartenessi a...

Eugene - A che cosa?

Adolfo - Non lo so.

Eugene - Hai anche bussato alla porta, ma finora non ti stato aperto.

Adolfo - Non capisco che cosa vuoi dire.

Eugene - Ti senti solo, non vero?

Adolfo - Ecco, questo. Prima credevo di avere molti amici. Ora li ho ancora, ma come se non li avessi perch non so pi come parlare con loro. Anche poco fa, l dentro.

Eugene - Che cosa intendi per amici?

Adolfo - Qualcuno che pensa quello che pensi tu e con il quale puoi parlare delle cose di cui stiamo parlando noi adesso.

Eugene - Ti piacerebbe vivere in un mondo senza pi uomini-cose e uomini-animali, fatto tutto di gente come te.

Adolfo - Certo che mi piacerebbe. Come potrebbe esistere un mondo cos?

Eugene - E' stato fatto un grande tentativo per farlo esistere quando tu e io dovevamo ancora nascere. Ma fallito. Non era il primo, ma stato il primo veramente grandioso. Per questo, forse, non riuscito. L'errore, secondo me, stato quello di poter pensare che era possibile eliminare gli uomini-cose e gli uomini-animali, un po' alla volta. Ma l'esperienza servita.

Adolfo - Chi ha fatto il tentativo?

Eugene - Pensaci un po'.

Adolfo - (dopo una breve pausa) A chi servito?

Eugene - Come a chi? Non crederai mica che sia stata fatta terra bruciata. No, mio caro. Nessuna terra bruciata. Anzi.

Adolfo - Non so se comprendo bene ci che dici.

Eugene - Importante che comprendi che non parlo di politica. La politica il modo di cercare di far capire certe cose agli uomini-cose e agli uomini-animali. Perch anche se poi dovrai farli fuori, non ti riuscir mai niente se non ti servi di essi. Il primo esperimento fall perch dovevi usare milioni di uomini-cose e uomini-animali e contemporaneamente ucciderne altrettanti milioni. Un popolo solo non fu sufficiente per portare a termine il tentativo anche se fece del suo meglio. La patria, il partito, lo spazio vitale, il diritto della razza... Forse fu sbagliata l'impostazione. Fu sbagliato tutto dall'inizio. Non bisognava fare della politica un muro attorno a quel popolo. Bisognava seminare l'idea in mezzo a tutti i popoli e al momento buono chiamare a raccolta coloro che aveva destato. Adesso loro hanno capito e lasciano trapelare un po' alla volta la verit e non tra un popolo, ma tra tutti i popoli perch in tutti i popoli c' chi la comprende, uomini veri, non cose e animali, e sono soltanto essi che contano.

Adolfo - Chi sono loro ?

Eugene - Vorrei saperlo anch'io. Molti vorrebbero saperlo.

Adolfo - Dove sono?

Eugene - Chi?

Adolfo - Quelli che hai chiamato loro .

Eugene - Io non ho parlato di nessuno.

Adolfo - Non ti fidi di me.

Eugene - Perch non dovrei fidarmi di te? Non ho mica segreti da confidarti.

Adolfo - Mi pareva di avere finalmente compreso. (Breve pausa) Io vorrei un mondo come quello che hai detto.

Eugene - Perch non ci rinunci e non ti metti a pensare assieme a tuo padre?

Adolfo - Se me ne hai parlato vuol dire che...

Eugene - Non vuol dire niente. Parole.

Adolfo - Sento che non cos. Tu non sei come gli altri, ma non sei nemmeno come me. Tu sai.

Eugene - Bada bene di non farti udire dagli altri. Sono stupidaggini quelle che dici.

Adolfo - Perch me ne hai parlato se non esiste?

Eugene - Ma anche se esistesse e tu ci entrassi, pensi che saresti felice dopo?

Adolfo - Non m'importa del dopo.

Eugene - Per entrarci devi... (Dal fondo della stradetta entra un cacciatore che indossa un abito tutto bianco. Non fa alcun rumore camminando. Passa dinanzi ai due, saluta festoso Eugene che si immobilizzato e ha taciuto alla sua vista, e gli fa cenno che non lo disturber, che non ne ha alcuna intenzione, che non interromper la sua conversazione con Adolfo. Questi non vede l'uomo e guarda stupefatto Eugene paralizzato).

Adolfo - Eugene...

Eugene - (con voce soffocata) Hai veduto niente, tu? Un uomo... quell'uomo...

Adolfo - Non ho visto nessuno. Non c'era nessuno.

Eugene - Maledizione, c'era. (Si alza nervosissimo) Anch'io mi sento solo, maledettamente solo, se proprio vuoi saperlo io ci sono entrato in quel mondo, c'entro quando voglio, una volta pagato il biglietto d'ingresso sei libero di entrarne e uscirne a volont, ma il biglietto costa caro, se vuoi pagarlo, benissimo, ti dar una mano... (Mara esce, rinchiude la porta. Guarda i due).

Mara - Che cosa succede? State litigando?

Adolfo - Che cosa fai qui tu?

Mara - Io... (Siede su un gradino e comincia a piangere. Eugene, dopo il violento sfogo verbale che ha avuto, siede anch'egli, come se si accasciasse).

Adolfo - (a Mara) Che cosa vuoi? Non vedi che sei di troppo?

Mara - (piangendo) Dovr andare da uno psica-questo non sei sbagliata, perch non sei donna, sbagliata.

Adolfo - Cosa successo?

Mara - L dentro... quando... non riesco. Mi disgustano.

Adolfo - Smettila di frignare e vattene.

Mara - (lentamente si rialza) Anche tu mi dici che sono una donna sbagliata.

Eugene - (cattivo) Non sei una donna sbagliata. Non sei donna. Sei frigida, vero? Sei frigida. Per questo non sei sbagliata, perch non sei donna. Una donna frigida non donna. (Mara, con dignit, si allontana).

Adolfo - Perch sei stato cos cattivo con lei?

Eugene - E' una cosa qualunque. Non m'interessa.

Adolfo - Smettila. (Si allontana seguendo Mara che intanto scomparsa. Poco dopo si ode la sua voce) Mara!... Mara!... (Si fa buio sulla scena della stradetta. Ancora luce all'interno della cave . / giovani, stanchi, riposano. Eugene seduto al solito tavolo. Entra Adolfo. Raggiunge Eugene. Siede).

Eugene - L'hai trovata?

Adolfo - No. Perch non mi hai aspettato fuori?

Eugene - Non ne avevo voglia. Non sono fatti tuoi. (Walter si porta vicino ai due. Ha i pantaloni, ma a torso nudo).

Walter - C' ancora un po' di vino. Non avete voglia di bere, voi due?

Eugene - No.

Walter - (ad Adolfo) Neanche tu?

Adolfo - No. Non ho voglia di bere.

Il primo Ragazzo - Lasciali perdere, Walter. Non vedi che sembrano due vecchi?

Eugene - (a Walter) Che cosa aspetti per lasciarci perdere?

Walter - (a Eugene) Cristo, sei tutto spine. (Ad Adolfo) Che cosa successo a voi due?

Adolfo - Niente.

Walter - Eravamo amici. Ora mi guardi come se ti facessi schifo. Non un gran male divertirci un po', dopo avere sgobbato sui libri. Anche a te piaceva divertirti prima di conoscere quelli l. (A Eugene) Ehi! Vuoi dirmi a che setta religiosa appartieni?

Eugene - (stridulo) Io non appartengo a nessuna setta.

Walter - Io dico di s. Non sei neanche capace di ridere.

La seconda Ragazza - Non dirglielo, poverino.

Eugene - (alla ragazza) Tu stai zitta.

La seconda Ragazza - Accidenti! Neanche la voce di una donna sopporti pi?

Eugene - All'inferno tutti quanti... (Si alza e si avvia all'uscita).

Adolfo - Eugene... (Si muove per seguirlo).

(Lo studio del professor Motke. Completamente fasciato di nero. Poca luce. Il professore, Adolfo e Eugene).

Motke - (a Eugene) Che cosa possiamo fare per il tuo giovane amico?

Eugene - Gli ho parlato di lei, professor Motke, e mi ha chiesto di conoscerla.

Motke - (ad Adolfo) Adesso mi conosce. Si segga pure. Si metta comodo. (Indicando il nero delle pareti) Niente di allusivo. Trovo che il nero riposante. Cos, giovanotto, lei ha voluto conoscermi. Penso che il nostro comune amico Eugene le abbia parlato anche di qualcosa di pi importante e interessante della mia persona.

Adolfo - Me ne ha parlato.

Motke - (va a sedere dietro la scrivania, prende un foglio e legge) Adolfo Meningher, diciannove anni. Primo anno di universit. Facolt di lettere. Suo padre direttore di una filiale della banca nazionale. Buon funzionario, ma piuttosto alieno da iniziative personali. Politicamente neutro. Sua madre si chiama Savia. Diploma di maestra. Negli ultimi anni ha sofferto di una forma acuta di annessite. I rapporti tra i suoi genitori, a seguito di questa malattia, si sono - come dire? - deteriorati. Non sono mai stati eccellenti per il carattere piuttosto, sto cercando la parola, piuttosto difficile di sua madre. Nulla di grave, ma a sufficienza per mettere a disagio il marito. Suo padre deve pagare ancora otto rate dell'appartamento acquistato cinque anni orsono...

Adolfo - (con uno scatto irato) Tutto questo pu averlo appreso (indica Eugene) da lui.

Motke - Sua madre, prima di conoscere suo padre, ebbe una relazione di cui, all'insaputa del marito, conserva un buon ricordo. Lei lo ha scoperto un paio di anni fa.

Adolfo - No!

Motke - Posso dirle nome e cognome del... scusi, del ricordo?

Adolfo - No. Non voglio saperlo. (S alza).

Motke - Segga. Il nostro non un gioco da ragazzi. (Passando brutalmente al tu) E se credi che io abbia voglia di perder tempo, sbagli. Puoi andartene anche subito. Eugene, portalo via!

Eugene - Andiamo, Adolfo.

Adolfo - (torna a sedersi. Al professore) Mi perdoni.

Motke - Pi che naturale la tua reazione. E adesso dimmi la vera ragione per cui hai voluto conoscermi.

Adolfo - Io... Mi scusi, ma sono molto imbarazzato.

Motke - (a Eugene) Dagli un bicchierino di cognac. Ha bisogno di rinfrancarsi, il tuo amico. (Eugene obbedisce e Adolfo beve).

Adolfo - (riponendo il bicchiere) Grazie. Eugene mi aveva detto che lei potrebbe aiutarmi...

Motke - Certo che posso. Ma prima devi sapere di che cosa hai bisogno.

Adolfo - Anche adesso, vede professore, anche adesso mi sembra di avere perduto i contatti con la realt.

Motke - Ti succede spesso?

Adolfo - Troppo spesso.

Motke - A quale realt ti riferisci?

Adolfo - Quale realt?

Motke - Ti ho fatto una domanda troppo difficile. Ti faccio un esempio banale. Dall'Universo giungono ai nostri occhi luci di stelle spente da milioni di anni. Noi non sappiamo se quella luce proviene da una stella ancora viva o da una gi morta. Qual in questo caso la realt? La logica umana molto difettosa. Direi che ancora ad uno stadio elementare. La realt, secondo il suo significato corrente, ci che ci circonda. Ma per l'uomo comune questa realt appare in un modo diverso da quello con cui si presenta, ad esempio, ad uno scienziato o ad un filosofo. L'uomo comune, ad esempio, non potr mai credere che questo tavolo non cos come egli lo vede. Un uomo di scienza non si porr neppure il problema del tavolo cos come gli appare.

Adolfo - Forse questo che provo.

Motke - Non credo. Tu non sei n un uomo di scienza, n un filosofo. Sei un dormiente che in-travvede appena la possibilit del risveglio. Appena, ho detto. Anche se tu fossi uno scienziato potresti rimanere per sempre un dormiente pur ponendoti il problema della realt da un punto di vista diverso da quello dell'uomo comune. Che cosa pensi degli scienziati i quali affermano che la realt conoscibile soltanto attraverso simboli matematici e che questi simboli sono niente di pi di una convenzione?

Adolfo - Lei ha la risposta che mi occorre.

Motke - Potrei anche averla.

Adolfo - Ne ho bisogno.

Motke - Perch la chiedi a me? Non hai forse tuo padre pronto a dartela? E i professori di scuola, la radio, la televisione, i libri? Non viviamo forse in una grande e bella democrazia? Non sei, forse, libero di porre la domanda a chi Vuoi? Ma, forse, non l'hai mai rivolta a nessuno. Te la sei tenuta per te, come se ne avessi paura e ora vieni a importunarmi solo perch Eugene ti ha detto che sono uri uomo paziente.

Adolfo - L'ho fatta quella domanda. L'ho fatta mille volte. Deve credermi.

Motke - Se lo dici ti creder. Anche perch non sei l'unico giovane al quale non stata data la risposta.

Adolfo - Eugene mi ha parlato degli uomini-cose e degli uomini-animali.

Motke - E ti avr detto che essi hanno studiato le domande sulla misura delle risposte che volevano, intendi bene, dico volevano, darsi e dare. Eugene mi ha detto che tu non sei religioso.

Adolfo - No.

Motke - E' un errore rifiutare le religioni e la religione. Un uomo intelligente le affronta e le studia tutte. Non ne esclude nessuna. Cerca di vedere al fondo di ognuna di esse.

Adolfo - Perch?

Motke - Prova a pensare che le religioni siano il ricordo sbiadito e tradito di avvenimenti di un passato cos lontano da noi da non poter neanche essere immaginato. E prova a pensare che questi avvenimenti si riferiscono all'incontro, non importa per ora se occasionale o voluto, tra gli uomini e la verit. Quale verit e come essa si presentata un altro discorso. Prova a vedere le religioni da questo punto di vista. Mi comprendi?

Adolfo - Come pu essere avvenuto l'incontro?

Motke - Le possibilit sono infinite. Esistono, mio caro, pi incognite nel nostro passato di quante ne riservi il nostro avvenire. Acquisterai la giusta dimensione dell'uomo quando ti sarai destato e avrai acquistato la piena coscienza del tempo come presente infinito o infinito presente. (Pausa) E' di questo che hai bisogno, non vero?

Adolfo - Di questo. (Il professore spegne le luci, un attimo di buio sulla scena, poi, sulla parete nera di fondo, ma sfumata alle pareti laterali, una grande croce uncinata. Lunga pausa).

Motke - (solenne) Osserva questo simbolo spogliandolo dai suoi significati banali. E' il pi antico della storia dell'uomo. Lo trovi anche nel passato pi remoto laddove, ancora, non dovrebbe esistere che animalit. Dalle rive del Gange alla pianura cinese, dalle montagne del Tibet alla foresta nera, appare all'improvviso come una grande luce nelle tenebre. Questo simbolo appartiene ai popoli ai quali l'umanit deve la sua ricchezza spirituale. I popoli semiti lo hanno ignorato per millenni e quando lo hanno conosciuto ne sono diventati nemici implacabili.

Adolfo - (ansioso) Prosegua, la prego.

Motke - Tu cerchi la realt, tu vuoi la realt, io ti ho chiesto quale realt? Che cosa significa questa parola? Soltanto ci che i tuoi sensi possono percepire? No. Non pu essere quella perch il tuo cervello, perch la tua ragione, ne intuisce e ne prevede un'altra ben pi vasta e complessa. E se il tuo cervello, se quella che tu chiami la tua ragione, alimentata soltanto dai sensi, come puoi immaginare che esista qualcosa oltre ad essi? Chi ha impresso nel tuo cervello l'immagine di una realt cos diversa da quella che i tuoi occhi possono vedere, le tue orecchie udire, il tuo olfatto e il tuo tatto scoprire? (Si china su Adolfo) Tu sei venuto da me perch io rispondessi alle tue domande.

Adolfo - S.

Motke - Non esiste una risposta. Ne esistono molte risposte, come una scala. Io posso darti la prima. Questa. C' stato un istante, all'inizio della nostra storia, nel quale abbiamo vissuto pienamente, concretamente, tutta la realt. La verit. Ti ho gi detto che sciocco respingere le religioni. Rifiutarsi di riconoscerle e di studiarle. Nelle religioni, confuse e sbiadite, l'uomo conserva il ricordo di quell'istante. Il paradiso terrestre. Il paradiso perduto. E' da quel paradiso nel quale siamo vissuti che proviene questo simbolo. Lo ritrovi ancora oggi nel suo significato antico l dove il ricordo si mantenuto pi puro. Ti dar dei libri nei quali quanto ti sto dicendo confermato e provato.

Adolfo - Non ancora tutta la risposta promessa.

Motke - No. Hai ragione. (Breve pausa) Dove e come abbiamo vissuto l'istante che le religioni chiamano paradiso perduto? Rifletti ancora sulle religioni. Non vi religione che non abbia un mediatore tra gli uomini. (Breve pausa) La religione cattolica quella che pi chiaramente conserva i ricordi. Il figlio di Dio scende dalle stelle sulla terra e si fa uomo. Guarda dentro le parole. Risali nel tempo. Da millenni gli uomini adorano qualcuno o qualcosa - come possiamo saperlo? -disceso dalle stelle. E' questo che io chiamo il grande incontro e aggiungo che ignoro - vedremo poi questo - se esso avvenuto tra entit arrivate dal cielo o uscite da una dimensione del reale che negata ai nostri tempi. Io so con matematica certezza che questo il simbolo dell'incontro. Ti ho parlato dei popoli semiti che lo ignorano. Mi riferivo agli ebrei. La loro la religione dell'angoscia. L'attesa del loro Messia che si prolunga inutilmente nei millenni la tragedia dell'incontro mancato. Gli ebrei, s, gli ebrei veramente posseggono la realt dei loro sensi e non c' da stupirsi se qualcuno tra di essi arrivato a guadagnarsi la fama di grande scienziato. Ma non questo, per il momento, che mi interessa che tu comprenda. Devo ancora dirti qualcosa. (Si china verso di lui) Devo ancora dirti che vi sono degli uomini i quali, attraverso i millenni non hanno mai perduto i contatti con colui, con coloro o con la cosa di cui le religioni serbano un ricordo tanto annebbiato. Devo ancora dirti che questi uomini sono pochissimi... (Dal fondo, come se uscisse dalla parete, entra il cacciatore vestito di bianco che abbiamo veduto nel quadro precedente. Egli fa cenno a Eugene che star zitto, che non disturber e si mette al suo fianco. Eugene appare sconvolto dalla paura che il professore e Adolfo possono vedere il suo visitatore) e che essi cercano affannosamente, disperatamente i loro simili per destarli. Ora cominci a sapere. (Voltandosi verso Eugene) Che cosa hai tu? Che ti succede?

Eugene - Niente.

Motke - Forse ti senti male.

Eugene - Sto benissimo.

Motke - Cerca di stare bene di salute.

Eugene - Ho bisogno, ho bisogno...

Motke - Vedremo. Ne parleremo. Non il momento questo.

Eugene - Ma io non posso pi attendere. (Il cacciatore vestito di bianco lo incoraggia a segni a farsi le sue ragioni).

Motke - Ti ho detto che non questo il momento.

Eugene - Per me lo . La prego, professore...

Motke - (senza curarsi di lui, si volta verso Adolfo) Domattina, quando ti sveglierai, tutto ci che ti ho detto ti sembrer una favola. Ma poi ci ripenserai. E tornerai da me. Non qui, in questa casa. In un'altra. Io abito in mille posti. Di volta in volta saprai dove. (Mentre egli parla il cacciatore vestito di bianco si sforzato di consolare Eugene. Ed Eugene ha fatto di tutto, silenziosamente, per fargli comprendere di allontanarsi, di non farsi vedere. A Eugene) E ora andatevene. Mi avete rubato gi troppo tempo. (I due giovani, lentamente, in silenzio, si avviano verso la porta. Il cacciatore vestito di bianco li ha preceduti).

Quadro quarto

(La stanza dove studia Adolfo, nella sua casa. Adolfo seduto dietro il tavolino. Mara davanti a lui).

Adolfo - Sto studiando, vedi?

Mara - E' da molti giorni che non vieni a lezione!

Adolfo - E con questo?

Mara - Vuoi che me ne vada?

Adolfo - Ormai sei qui.

Mara - Posso sedermi?

Adolfo - S. Prego. Scusami, non aspettavo visite.

Mara - Non sono dispense quelle che hai davanti.

Adolfo - (frettolosamente fa sparire il libro che ha dinanzi) E' un libro. Che cosa ti prende? Che cosa vuoi?

Mara - Io... mi sento molto imbarazzata. Avevo pensato che avrei dovuto dirti dell'altra sera. Ho sentito quando mi chiamavi. Mi sei corso dietro.

Adolfo - Dov'eri?

Mara - Nascosta in un portone.

Adolfo - Perch?

Mara - Perch sono una stupida. Perch non sono capace di vivere come tutti gli altri. Perch complico tutto e rovino tutto. Perch ho paura di tutto.

Adolfo - Non cominciare a piangere, per piacere.

Mara - No. Non voglio piangere. Io ci ho pensato e mi sono detta che una ragazza, un'altra ragazza, al mio posto sarebbe venuta da te per spiegarti.

Adolfo - Non era il caso.

Mara - Mio Dio! Sbaglio sempre.

Adolfo - Non riesco a comprenderti. Che cosa hai sbagliato stavolta?

Mara - Ho sbagliato a venire da te.

Adolfo - Non ne vorrai fare un dramma. Non ho tempo per queste storie.

Mara - Tu mi avevi detto... (brevissima pausa) io avevo creduto... (Si alza).

Adolfo - (toccato) Non te n'andare. Rimani ancora un momento. Chiariamo questa faccenda.

Mara - Non c' pi nulla da chiarire. Ho capito.

Adolfo - Ti ho detto di non piangere.

Mara - Non pianger. Non temere.

Adolfo - E va bene. Sono il tuo primo amore. Con questo? Hai preso calda una ragazzata. Alla tua et le bambine sono romantiche. Io non lo sono. Mi sei piaciuta e ho cercato di fare all'amore con te. Tu non ci sei stata. Punto e basta. Adesso non ne ho pi voglia io.

Mara - Era la prima volta che mi succedeva. Mi pareva una cosa troppo bella. Avevo paura che non fosse vera. (Si appoggia al tavolo) Ma io non ti credo ora. Ora che dici che non ne hai pi voglia. Ti accaduto qualcosa.

Adolfo - Sei ammattita?

Mara - Sei molto amico di Eugene, vero?

Adolfo - Gli sono amico quanto mi pare. Che cosa hai contro di lui?

Mara - Io niente. Tutti dicono che un tipo strano.

Adolfo - Non strano affatto. Non Mister Universo, come Walter e gli altri.

Mara - Dicono...

Adolfo - Che cosa dicono? Sentiamo.

Mara - Niente.

Adolfo - Aspetta che ti aiuto. Dicono che non gli piacciono le ragazze e le donne in genere. Non vero?

Mara - Io non so di queste cose.

Adolfo - Si che le sai. Non fare l'ipocrita. Del resto, neanche a te piacciono troppo gli uomini.

Mara - Oh! No! Non in quel senso. Mio Dio! Mi farai diventare matta sul serio se pensi questo di me.

Adolfo - Non ti preoccupare d quello che penso io.

Mara - No. Non me ne preoccupo.

Adolfo - Che cosa dicono d'altro di Eugene?

Mara - Non ho pi voglia di parlare di lui.

Adolfo - E bada bene a non parlarne mai, con nessuno.

Mara - (dopo una breve pausa) Prestami un libro, Adolfo.

Adolfo - Che libro?

Mara - Uno qualsiasi. Non ha importanza quale.

Adolfo - Che significa uno qualsiasi?

Mara - Non capisci? Devo giustificare davanti a me stessa di essere venuta da te. Anche davanti a tua madre. Ma di me che m'importa di pi.

Adolfo - Ho capito benissimo. Sei venuta a chiedermi un libro in prestito, io te l'ho dato e amici come prima. (Adolfo si alza e nella libreria prende un volume a caso. Mara senza neanche guardarlo lo mette sottobraccio. Da una tasca toglie delle lettere che posa sul tavolino).

Adolfo - Che cosa sono?

Mara - Le lettere che mi hai scritto.

Adolfo - Gi. Ma non ricordo che tu mi abbia mai risposto.

Mara - Non fa niente. Adesso come se non le avessi mai scritte. (Gli volta le spalle ed esce. Adolfo prende le lettere, le sfoglia, le strappa e le getta nel cestino. Quindi si avvicina alla finestra, appoggia la fronte sui vetri e guarda fuori).

Quadro quinto

(Uno spaccato di scena: la camera da letto di Adolfo. Adolfo sul letto. Ai piedi del letto il padre).

Il Padre - Neanche stamattina andrai a lezione?

Adolfo - No.

Il Padre - Ieri ho parlato con il professor Dezin. E' venuto in banca per un'operazione e mi ha detto di te. E' preoccupato. (Aspetta una risposta che non viene) Sei malato, Adolfo?

Adolfo - Affatto. Mai stato bene come adesso.

Il Padre - Questo importante. Che cosa ti sta succedendo, dunque?

Adolfo - Niente. Proprio niente.

Il Padre - Non direi. Non puoi dire che non ti sta succedendo niente.

Adolfo - Che cosa te lo fa pensare?

Il Padre - Non credermi cos sciocco. Come si chiama quella ragazza?

Adolfo - Quale?

Il Padre - Quella che venuta qui ieri. La mamma dice che avete litigato.

Adolfo - Litigato? No.

Il Padre - Io ho pensato che forse hai combinato un guaio con lei. Non so. Alla tua et facile combinare guai del genere.

Adolfo - Non incinta. Non l'ho mai toccata neppure con un dito.

Il Padre - Be'! Anche questa una bella fortuna. Avevo creduto che si trattasse di quella cosa l.

Adolfo - Non hai molta immaginazione, pap.

Il Padre - E' vero! La fantasia mi ha sempre difettato. In compenso mi aiuta un po' l'esperienza.

Adolfo - Quale? Quella fatta dietro gli sportelli della banca?

Il Padre - Oh! No. Sono anni che non sto pi dietro gli sportelli. Ma non disprezzerei neanche quella che si fa dietro gli sportelli. Impari a conoscere gli uomini molto rapidamente.

Adolfo - Gli uomini che vengono a versare e a prelevare denaro.

Il Padre - Non dirlo con quel tono. Non sono pochi e non sono quelli che contano meno.

Adolfo - Io non ho niente contro chi ha denaro. Mi piacerebbe essere uno di quelli ai quali lo portate a casa.

Il Padre - Non hai idea di quanti pochi siano i clienti ai quali portiamo il denaro a casa. L'esperienza, poi, non te la fai soltanto nel luogo dove lavori.

Adolfo - E dove?

Il Padre - Dappertutto. Per la strada. Nei bar. Al cinema. Con la gente che incontri e che conosci e con quella che incontri e non conoscerai mai. In casa. Con la moglie. Con i figli. Il tempo stesso che ti si accumula dentro diventa esperienza.

Adolfo - E a che serve averne tanta? A te che cosa serve?

Il Padre - Toccato. Cos, su due piedi, non saprei risponderti.

Adolfo - Non ti arricchisce la fantasia e non ti suggerisce iniziative.

Il Padre - Che cosa c'entrano le iniziative?

Adolfo - Non sei forse un buon funzionario, ma incapace di iniziative?

Il Padre - Con chi hai parlato di me, Adolfo?

Adolfo - Con nessuno. Certe cose ho finito per capirle da solo.

Il Padre - Io non ho mai cercato di farmi passare ai tuoi occhi per ci che non sono. Quando eri piccolo e mi consideravi un gigante io ti dicevo: anche tu crescerai e forse diverrai pi alto e robusto del tuo pap. Quando hai cominciato ad andare a scuola e credevi che io sapessi tutto quello che c' da sapere al mondo, soltanto perch ti aiutavo a fare le addizioni e le sottrazioni, io ti dicevo: fra qualche anno sarai tu ad insegnare al tuo pap. Non vero, forse?

Adolfo - (scosso e tormentato) S, pap.

Il Padre - E allora? Ti ho sempre detto perfino che non sono coraggioso, che mantenere la calma nei momenti difficili mi costa uno sforzo enorme. Molte volte l'ho perduta e ho fatto quello che mi ordinava la paura. (Breve pausa) Capisco, per, che duro per un figlio, per un giovane, misurare all'improvviso il proprio padre e il proprio ambiente e accorgersi che... l'esperienza pi dura di ogni generazione. Nessuno, per, mai morto per questo, n si tirato indietro. E' andato avanti cercando di fare meglio dei propri padri salvo, poi, alla fine, di essere messo via a sua volta dalla generazione che lo ha seguito. Il mondo va avanti cos. Io, vedi, in fondo sono contento che tu, alla tua et, possa gi giudicare tuo padre. Non m'importa molto neanche se lo disprezzi. Questo vuol dire che sei due o tre passi davanti a lui.

Adolfo - Non questo. Vuoi capire o no che non questo?

Il Padre - Che cosa c', allora?

Adolfo - C' che mi hai sempre trattato come un bambino, come un minorato che ha continuamente bisogno di qualcuno che lo assista, c' che finalmente sono adulto e voglio fare a modo mio...

Il Padre - Chi ti impedisce di fare a modo tuo?

Adolfo - Chi mi impedisce? Tu, la mamma, questa casa maledetta, tutto.

Il Padre - Capisco. (Breve pausa) Non hai alcun obbligo verso me e verso tua madre.

Adolfo - (nuovamente toccato) Pap...

Il Padre - Non credere di dire cose nuove. Anche io ho detto a mio padre le stesse cose anche se con un tono e con parole diversi. La prima nascita quando vieni al mondo. E fai un male terribile a tua madre che pure ti accoglie con gioia. La seconda nascita quando ti accorgi che puoi fare a meno di tuo padre e di tua madre. Soltanto che nella seconda nascita il male di tutti, anche del neonato. Ma la seconda fatale come la prima. Non c' nient'altro da fare che lasciar libert alla natura.

Adolfo - Anche se...

Il Padre - Lo sai le gatte come fanno? Per un mese, un mese e mezzo allevano, difendono e coccolano i loro gattini. Scaduto questo tempo li scacciano e se li dimenticano. Noi genitori avremmo molto da imparare dai gatti. (Accorgendosi che Adolfo sta piangendo) Adolfo... (Si china sul figlio) Adolfo, che cosa ho detto? Che cosa ti ho fatto?

Adolfo - (cercando di superare la somma di emozioni che ha dentro e di ribellarsi ad essa) Niente. Non hai detto niente e non mi hai fatto niente. Solo che... (Cambiando tono) Non riuscir mai a liberarmi di te, non riuscir mai a nascere, come dici tu, per la seconda volta. Avanti, perch non mi batti? perch non mi pigli a schiaffi come fanno tutti gli altri padri, che cosa aspetti? se mi battessi potrei liberarmi di te, ma cos... vattene... fammi il piacere; vattene,., io voglio fare a modo mio da ora in avanti... nessuno dovr pi chiedermi niente... anche se volessi tagliar la corda da questo sporco mondo... (Si abbatte sul letto. Il padre, in silenzio, esce).

Quadro sesto

(Ancora l'ufficio del direttore delle carceri. O anche un suo spaccato. Tensione nei personaggi che ascoltano il racconto di Adolfo).

Adolfo - ... parola per parola. Ricordo tutto benissimo.

Il Giudice - Ma tu, tu, tuo padre lo amavi...

Adolfo - Mi pareva di essere una sola persona con lui. Era la mia radice nella terra. Mi teneva incatenato alla terra. (Breve pausa) C' una particolare tortura che mi ha atterrito sin da quando l'ho appresa dai libri di scuola. L'abitudine di certi popoli di legare un prigioniero nemico vivo al cadavere di un proprio guerriero caduto in combattimento. Tra me e mio padre c'era qualcosa di simile. Il vivo ero io. Ma anche se glielo avessi detto non avrebbe capito. Mi avrebbe detto: liberati di me nel modo che ritieni migliore. Eccoti del denaro. Va pure. O avrebbe potuto dirmi: non vuoi del denaro? No? Fa niente! Dopo tutto giusto che tu voglia dar battaglia con le tue sole armi. Anche se me ne fossi andato da casa, ovunque fossi andato, non mi avrebbe perduto di vista un istante, mi avrebbe sempre seguito, avrebbe sempre saputo ci che facevo e ci che non facevo e al momento giusto, quando avessi avuto bisogno di lui, mi sarebbe comparso davanti.

Il Giudice - Era questo un motivo sufficiente per cominciare ad odiarlo? Per odiarlo tanto?

Adolfo - Perch parla di odio? Io non ho mai odiato nessuno. Non si tratta di odio o di non odio. Si tratta di guardare freddamente le cose come stanno e decidere che cosa bisogna fare. Senza sentimentalismo.

Il Giudice - (dopo una pausa) Continua pure. (Mentre Adolfo s accinge a riprendere il racconto).

Quadro settimo

(Lo studio del professore Motke. Diverso da quello precedente, immerso in pochissima luce. Soltanto quella diffusa da una lampada posata sul tavolo che illumina Adolfo seduto. Motke spesso cammina nervosamente per lo studio e la sua ombra si proietta sul fondo).

Motke - ... messaggi, decine, centinaia di messaggi attraverso i secoli... molti li hanno ricevuti e non li hanno compresi, altri li hanno compresi, ma sono stati scoperti e mandati ad ardere sul rogo o sono stati impiccati o fucilati. Pochi quelli che hanno potuto raccoglierli e farne buon uso. Quei pochi hanno fatto la storia. Nessun altro. (Gira attorno al tavolo e si china su Adolfo) Anche tu hai ricevuto il messaggio, ma non sai ancora decifrarlo. Se non superi la prova non avrai mai la chiave per decifrarlo. Ancora qualche tempo e poi sarai chiamato alla prova. E' la pi grande fortuna che possa toccare ad un uomo. Se la supererai non sarai pi eguale a nessun altro. Sarai solo te stesso. Apparterrai ad un altro mondo e ad un'altra specie.

Adolfo - (in preda ad un'esaltazione mentale che sfiora la morbosit) Voglio sapere, voglio sapere...

Motke - In nessun altro momento della storia abbiamo corso un periodo tanto grave come in questo. Una rossa e ardente ondata minaccia di sommergerci. (Eccitato, nervoso) Cento anni fa, poco pi di cento anni fa, un piccolo e sporco ebreo si avvicin talmente alla nostra verit, se ne impadron a tal punto da deformarla a suo piacimento e da farla diventare un'arma contro di noi. Egli ha cominciato col negare che vi sono uomini i quali appartengono ad un'elite che ha il diritto, il sacrosanto diritto, di esercitare il suo potere sulle masse. Egli ha fatto credere che questo potere solamente economico, che frutto di rapina e di furto, che stato usurpato. Ma noi sappiamo che questo potere oltre la sua apparenza economica o politica, nasconde una verit pi profonda. La verit dei destati. Ed anch'egli, anche quel piccolo e sporco ebreo, lo sapeva. Lo sapeva cos bene che ha attaccato le religioni, tutte le religioni che, pure, nulla hanno a che vedere col potere economico. E perch si sarebbe rivolto contro ad esse se non per condurre la battaglia sui due fronti? Distruggere l'elite e, nel contempo, ogni ricordo, anche il pi debole e confuso, del grande incontro nelle menti delle masse? Da allora la guerra che sempre esistita tra noi e gli altri . entrata in una fase nuova. Il simbolo del grande incontro riemerso dai millenni ed diventato una bandiera. Ora tu sai perch quel simbolo signific la morte di milioni di ebrei e di altri esseri inferiori. Puoi comprendermi?

Adolfo - S. La comprendo.

Motke - Se vai indietro nel passato, se arrivi fino a dove la mente umana si pu spingere, scopri che la guerra di cui ti sto parlando inizia da quando il paradiso fu perduto. Da quel momento non c' pi pace tra i pochi che tentano di ricostruire la gerarchia che li riconduca all'origine, all'incontro, e tra coloro che non sospettano neppure l'esistenza di questo grande progetto e che se lo conoscono ne hanno paura, oppure lo avversano perch sanno che essi saranno sempre esclusi dal simbolo. Anche tra i dormienti vi stato chi ha intuito i termini esatti d questa guerra. In tutti i secoli si parlato della lotta tra il cielo e la terra, tra lo spirito e la materia. Vai dentro le parole, ripeto, non ti stancare mai, d entrare nelle parole, di vedere il loro contenuto ultimo. Cielo e terra, spirito e materia, hanno un contenuto infinitamente pi grande, complesso e misterioso di quanto immaginano gli stessi che ne parlano. Fino a ieri avevamo dinanzi un avversario di poco conto. Ma non fu preso sul serio nonostante l'allarme e il ritorno del simbolo. Attualmente un avversario potente, terribile.

Adolfo - (sempre come in trance) Eugene mi ha parlato del tentativo, del grande tentativo...

Motke - Anche di questo, per il momento, posso dirti poco. Furono loro a volerlo quando il nemico divenne cos forte che non fu pi possibile ignorarlo e quando si accorsero che il mondo non se ne rendeva ancora conto. Il simbolo, allora, torn alla luce del sole nelle mani della razza prescelta. Soltanto una razza mantenutasi pura attraverso i secoli, depositaria delle testimonianze, poteva levarlo su tutti gli altri popoli. I soldati del simbolo portavano inciso su una piastrina Dio con noi . Ancora una volta entra nella parola. Dio una parola, ma dentro c' di pi di quanto immaginabile. Per quei soldati, Dio erano loro , erano colui, coloro e la cosa con la quale un gruppo di uomini s erano incontrati all'origine ricevendone le rivelazioni. Fu un tentativo all'apparenza sfortunato. Guardati attorno oggi, rifletti su ci che sta succedendo nel mondo, ti accorgerai che grazie a quel tentativo stato gettato un seme che cresciuto, diventato albero possente, ricco, a sua volta, di nuovi e pi vigorosi semi...

Adolfo - Quando?...

Motke - (dopo una pausa) Quando la data della prova sar decisa anche tu sarai ammesso. Te lo prometto. Ancora non sei pronto.

Adolfo - Lo sono... lo sono... le giuro che lo sono...

Motke - (tornando a sedere dietro il tavolo, freddo) La conoscenza diretta ti faciliter il superamento della prova. Ma tutto avverr quando sar il momento.

Quadro ottavo

(Ancora l'ufficio del direttore delle carceri. Il cancelliere sta cambiando il nastro al registratore).

Adolfo - (indicando il registratore, ironico) L'amministrazione della giustizia nemica degli sprechi. E' piuttosto antiquato quel registratore. (Al commissario) Come si sente lei, signor commissario?

Il Commissario - (turbato da ci che ha udito) Come dovrei sentirmi?

Adolfo - (al giudice) E lei, signor giudice?

Il Giudice - (china il capo e non risponde).

Adolfo - (al commissario) Fumerei volentieri una sigaretta se non fosse contro il regolamento.

Il Commissario - (gli porge una sigaretta e gliela accende).

Adolfo - Grazie. Sono le undici, signor giudice. A mezzanotte in punto toglier il disturbo.

Il Giudice - (un po' trasognato) Ne parli come se ne fossi matematicamente certo.

Adolfo - Ne sono matematicamente certo. (Al commissario) E non penso ad una evasione. Anche lei ha una fantasia modesta. Una fantasia elementare. (Al giudice) A me interessa che lei non perda una parola di ci che ho detto e di ci che dir.

Il Giudice - Non la perdo.

Adolfo - Tra un'ora dovr ricordarsele tutte. Una ad una. E non attraverso l'incisione.

Il Giudice - (piano) Come te n'andrai?

Adolfo - Potr sembrarle strano, ma non lo so. So soltanto che me n'andr. Il modo non mai eguale per tutti. E ognuno lo esperimenta in forme diverse ad ogni uscita.

Il Giudice - (dopo una breve pausa) Tu sei gi uscito altre volte?

Adolfo - S, parecchie volte. E' la cosa pi bella del mondo. Non ci sono parole per descrivere ci che si prova. Provi ad immaginare di essere... No. Non possibile. (Breve pausa) Mi devo sforzare di farlo capire. Deve almeno intuire ci che voglio dire. Immagini di poter volare da desto come vola quando sogna. Penso che sar capitato anche a lei di sognare qualcosa di simile. Moltiplichi la stessa sensazione per un numero infinito di volte. Si avviciner all'emozione che s prova quando l'uscita prossima.

Il Commissario - (duro) Perch non dici, invece, dove possiamo trovare quel tuo professor Motke?

Adolfo - Motke non il suo vero cognome.

Il Commissario - Quali sono le sue precise generalit?

Adolfo - Non le conosco.

Il Commissario - Non conosci neanche uno degli indirizzi dove lo hai incontrato?

Adolfo - No. Non m'interessavano.

Il Commissario - (al giudice) Lei non pu prenderlo sul serio. Lei non pu prendere sul serio quanto ci sta raccontando.

Adolfo - (al commissario) lo non lo racconto a lei.

Il Commissario - Non m'importa niente di quello che vuoi e che fai.

Adolfo - Perch grida?

Il Commissario - Perch sei un assassino, perch hai ucciso tuo padre e vuoi prenderci in giro con le tue favole...

Il Cancelliere - Il nuovo nastro a posto.

Adolfo - (al commissario, con dolcezza) Comunque non deve perdere la calma.

Il Giudice - (dopo una lunga pausa, indica il registratore e poi ad Adolfo) Proseguiamo.

SECONDO TEMPO

Quadro primo

(Ancora lo studio di Adolfo. Sulla scena Adolfo, Walter e due ragazze.

Walter - L'idea stata sua. Quando stamattina ha finito la lezione mi ha chiamato e mi ha detto: va' a vedere cosa combina quello l. A me i tuoi affari personali non interessano pi neanche da lontano. Se ti avessi trovato qui dentro impiccato, mi sarei detto: bene, un altro fesso che si tolto di mezzo.

Adolfo - E ora, visto che non mi avete trovato impiccato, levatevi dai piedi.

La prima Ragazza - Non ci dai niente da bere?

Adolfo - No.

La prima Ragazza - Potresti essere un po' meno villano. Una volta non lo eri. (Gli si avvicina) Io, invece, sono venuta per parlarti di Mara.

Adolfo - Che c'entra Mara?

La prima Ragazza - E' una stupida quella ragazza.

Adolfo - Walter, portatele via.

La prima Ragazza - Un momento. Portatele via: ma che modi! (Alla seconda ragazza) Ci ha scambiato per pacchi. O per valigie.

La seconda Ragazza - Ancora un po' che bazzica Eugene...

La prima ragazza - (fingendo meraviglia) Perch? Eugene?...

La seconda ragazza - (prestandosi al gioco) Ma come? Non lo sai? Poverino. Scambia per pacchi tutte le donne. Tutte, dico, capisci? Dalle neonate alle vegliarde.

La prima Ragazza - Guarda, guarda... e tu pensi che(indica Adolfo) quello, s, insomma, anche lui possa... Oh! No. Un fusto come lui, no.

La seconda Ragazza - Io non dico niente. Certo che se fossi sua madre o suo padre comincerei a preoccuparmi.

Adolfo - (in piedi, livido) Basta, ora!

La prima Ragazza - Smettila di fare il gradasso. Hai aperto bene le orecchie? Lo hai ascoltato il nostro discorsino? Bene. Da domattina ti fischie-ranno le orecchie anche se te le tapperai. Lo ripeteremo a tutti quelli che conosci e ti conoscono e anche agli altri. Ci faremo sentire perfino dai professori.

Adolfo - (torna a sedere, con voce diversa) Che cosa volete da me?

La prima Ragazza - Ecco come si parla. Con quel tono. Voglio dirti una cosa. Tu non conosci Mara come la conosco io. E' una bambina. Anche se l'hai chiamata cos, l'altro giorno quando venuta qui. Me lo ha detto lei. Tu non sai cosa possono combinare le bambine quando sono come lei e si trovano nel suo stato d'animo.

Adolfo - Io non le ho fatto niente.

La seconda Ragazza - Scusa se mi intrometto. Non puoi dire di non averle fatto niente. Le hai fatto la corte e le hai scritto perfino delle lettere.

Adolfo - Ragazzate. Sta a vedere che l'ho sverginata con un paio di lettere..

La seconda Ragazza - Non essere volgare quando non ce n' bisogno.

La prima Ragazza - Sei diventato leggermente ripugnante, Adolfo. 0 forse lo sei sempre stato e non me ne sono mai accorta.

La seconda Ragazza - Comunque, ci sono molti modi di fare ad una ragazza quello che hai detto. Molti. Lei un tipo speciale. Ci sta facendo una malattia.

Adolfo - Io non capisco niente di quello che dite. Non accaduto nulla, ma proprio nulla, tra noi due. Se una pazza che cosa posso farci?

La seconda Ragazza - Non una pazza. E' una stupida, come ha gi detto lei. (Indica la prima ragazza) Una povera stupida. Non colpa sua, d'accordo, ma lo .

La prima Ragazza - E' nata nell'epoca sbagliata.

Adolfo - Non m'interessa niente di lei. Potete dirglielo. (A Walter) Hai mai sentito qualcosa di cos ridicolo?

Walter - (serio) S.

Adolfo - (alle due ragazze) Statemi bene a sentire... (S'interrompe perch si apre la porta. Eugene entra. Quando vede gli altri giovani ha un moto di disappunto).

La prima Ragazza - Eccolo qui, il nostro. (Gli si avvicina) Sei ancor pi dimagrito dall'ultima volta che ti ho visto.

La seconda Ragazza - Non sei mai stato una gran bellezza, ma ora fai spavento.

La prima ragazza - (ad Eugene, indicandogli Adolfo) Che cosa gli hai combinato?

Eugene - Io che c'entro?

La seconda Ragazza - Qualcuno insinua che fate all'amore, voi due.

Eugene - Adolfo...

Adolfo - Rispondile che sono affari nostri.

La seconda Ragazza - Bravi! (Con comica gravit) Gli imputati non negano di camminare sull'altro marciapiede.

Walter - State esagerando, ragazze.

Eugene - (con voce ironica, stridula) Diglielo, Walter. Mi stanno facendo sentir male.

La seconda Ragazza - Ma se sei appena arrivato. Dio, come sei fragile, bello di mamma. (Lo prende per mano per accompagnarlo a sedere. Ritrae la mano) Hai la mano bagnata di sudore.

Walter - Forse sta male davvero.

Eugene - (si siede) Sono stanco. Mi sento benissimo, ma sono stanco. Ho fatto una lunga passeggiata a piedi.

La prima ragazza - (alla seconda, indicando Adolfo e Eugene) Ehi? Ce li vedi quei due giocare ai carbonari?

La seconda Ragazza - Mah! Ti dir. Silvio Pellico doveva essere un tipo come lui. (Indica Eugene) Una ragazzina in pantaloni.

Adolfo - (ai tre) Adesso avete veduto, avete detto tutto ci che volevate dire. Andatevene. (A Walter) Di' al professor Dezin che vada all'inferno. (Alle due ragazze) E voi due non andate in giro a raccontare sciocchezze.

La seconda Ragazza - Che sciocchezze, caro?

Adolfo - Santo Iddio, Walter, un incubo sentire ancora le vostre voci. Perch non ve n'andate?

Eugene - Falli andare via... te ne prego... falli andare via. Ero venuto qui per stare un po' in pace, per non vedere nessuno, (leggermente svanito, distante) ho bisogno di starmene un po' ad occhi chiusi, sto male, molto male (lamentoso) non m'importa niente di tutto quello che dite, cose - vero, Adolfo? - soltanto cose, un giorno non ci sarete pi e potr andare dove voglio senza incontrarvi, un giorno via tutti, il mondo pulito, bello, senza cose e senza animali, piccole cose, piccoli animali, se ne sono andati, Adolfo?

Adolfo - ( corso accanto a Eugene, ora lo scuote) Che cosa stai dicendo? Che cosa ti ha preso?

Eugene - Non farmi male anche tu. Non stringere. Mi soffochi.

Walter - (intenso, a Adolfo) Lascialo stare. Sta male davvero.

La seconda ragazza - (vicina a Eugene, lo osserva a lungo) Walter...

Walter - S...

La seconda Ragazza - Guardagli gli occhi. Le mani bagnate. Per quel poco che ne so, Eugene drogato... (Sta per chinarsi ancor pi su di lui, ma Adolfo l'afferra per un braccio e l'allontana).

Adolfo - (fuori di s) Andatevene... andatevene... via... (/ tre giovani, sopraffatti dalla violenza che sentono nella voce di Adolfo, indietreggiano).

Quadro secondo

(La stessa scena del I quadro. Lo spaccato dello studio, per, si ampliato e ora si vede anche il letto di Adolfo. Su di esso steso Eugene. Adolfo sta rinchiudendo la porta alle spalle della madre).

Adolfo - Se avr ancora bisogno di te ti chiamer, mamma. (Si avvicina al letto. Siede accanto a Eugene su uno sgabello. Lunga pausa).

Eugene - Mi avevano innervosito. Mi sentivo il sangue alla testa. Ora sto meglio.

Adolfo - (piano) Sei troppo imprudente, Eugene. Ti stavi per tradire.

Eugene - Non dirlo a lui. Non dirglielo.

Adolfo - Non glielo dir.

Eugene - (tormentato) Come posso esserne sicuro? E' accaduto altre volte, di'?

Adolfo - Altre volte.

Eugene - Se lui viene a saperlo, per me finita. Non deve saperlo. Tu tacerai. (Con energia insospettata) Se non tacerai io inventer su di te cose orribili. Sar finita per me, ma anche per te.

Adolfo - Non ti agitare. Non dir nulla.

Eugene - Abbi piet di me. Far tutto quello che vorrai. Tutto, Adolfo, carissimo Adolfo, tutto. Vienimi un po' pi vicino. Dammi un po' del tuo calore.

Adolfo - Ecco. Ti sono vicino.

Eugene - Ancora pi vicino.

Adolfo - Cos?

Eugene - Cos. Le tue mani. Come sono calde. Devo sempre ricordarmi che ci spiano. Dobbiamo imparare a controllarci, a controllare ogni nostra parola, ogni nostro gesto. Non possiamo fidarci di nessuno. Fino a quando non saremo un grande esercito dobbiamo non esistere per gli altri. Ma tu hai gi imparato. Io no. Io non ancora. Qualche volta, anche in mezzo alla gente, mi pare di essere solo. Non vedo nessuno attorno a me. Mi sento in mezzo a cascate di luce e sono alto, alto... Ma tu non devi ancora sapere questo.

Adolfo - Io voglio sapere tutto. Sono vicino alla prova, Eugene,

Eugene - Ma non posso parlare. (Breve pausa) Molte volte mi sembra di morire.

Adolfo - Tu la prova l'hai superata.

Eugene - Puoi ricadere tra le cose in qualsiasi momento. Loro possono ricacciarti indietro quando vogliono. Devi imparare adesso a stringere i denti. Non devi dire ci che pensi, ci che senti. Nascondi tutto. Comportati come sai che loro si aspettano da te. Dopo, dopo sar un'altra cosa.

Adolfo - Dopo, quando? Dopo la prova?

Eugene - Oh! No. Dopo la prova sar mille volte peggio di adesso. Dopo: quando non ci sar pi bisogno di nasconderci. (Breve pausa) Ora che ti conosco meglio, mi rincresce per te.

Adolfo - Perch ti rincresce?

Eugene - Non avrei dovuto... Ma eri cos tranquillo tu.

Adolfo - (dopo una pausa) Mi fai male alle mani.

Eugene - Mi pareva di odiarti per la tua tranquillit. Ti prego. Ridammi le mani. Ora siamo tutti e due sulla stessa barca. No. Ancora non del tutto. Non hai idea di quanto sia doloroso. Qualcosa che la tua stessa vita e tu devi strappartela, altrimenti non sarai mai libero. Questa la prova. Loro sanno gi di te. Sanno gi che cosa ti tiene legato.

Adolfo - Avevo capito che si trattava di questo. Ma non so trovare niente dentro di me che debba strappare, gettare via.

Eugene - Perch si nasconde. Lo hai nascosto cos profondamente che non ne avverti neppure l'esistenza, ma quando te lo diranno lo vedrai chiaramente e saprai che loro non sbagliano mai. E ti scoppier la testa per quello che dovrai fare. Devi prepararti ora se non vuoi fallire. E tu vuoi riuscire, non vero? Noi due resteremo sempre assieme. Dimmelo, Adolfo. Te ne prego.

Adolfo - Io mi sto preparando.

Eugene - Siamo circondati da macerie. Dobbiamo diventare subito un grande esercito e cominciare a costruire se non vogliamo essere inghiottiti. Posso dirti una cosa se mi prometti di non parlarne con il professor Motke.

Adolfo - Te lo prometto.

Eugene - (piano) Noi non avremo bisogno di astronavi. (Spaventato) Giurami che non mi tradirai. Sono veramente pazzo a fidarmi tanto di te.

Adolfo - (lo accarezza) Io ti voglio bene, lo sai. Puoi fidarti di me come di te stesso.

Eugene - Accarezzami. Cos. Piano.

Adolfo - Perch non avremo bisogno di astronavi?

Eugene - Astronavi?

Adolfo - Eugene, Eugene caro, voglio sapere qual stata la tua prova.

Eugene - (con uno scatto, in un'impeto di energia che si spegne subito) Hai detto di volermi bene... Sporco bugiardo. Traditore. (Ricade. Piagnucoloso) Non permesso parlare della prova. E' proibito. Non devi chiedermi di sapere questo.

Adolfo - E' stata molto difficile?

Eugene - (dopo una pausa) Difficile, hai detto?... Non voglio ricordarla. Non voglio. (Da questo momento in poi Adolfo non vedr il seguito del quadro che vissuto da Eugene. Questi si alza mentre la scena si illumina. A destra una viuzza di montagna che sale e su un piccolo spiazzo, un tumulo. Eugene raggiunge quest'ultimo e come se compisse un'azione che ha fatto un milione di volte, cerca affannosamente di trasformarlo in qualcos'altro, in qualcosa che non rassomigli pi. a una tomba. Entra il cacciatore vestito di bianco).

Il Cacciatore - (festoso) Buongiorno. (Si guarda attorno) Una fatica che valeva la pena di fare. E' bellissimo quass. Uno splendido panorama. (Indica il tumulo) Ma lei che cosa sta facendo? Che cosa quello?

Eugene - (spaventato, finge di non capire) Che cosa?

Il Cacciatore - Il mucchio di terra che ha davanti. Sembra un tumulo.

Eugene - Questo? No. S. E' un tumulo.

Il Cacciatore - Accidenti. Chi ha sotterrato?

Eugene - Il mio cane.

Il Cacciatore - Ed venuto fin quass per sotterrarlo?

Eugene - E' morto qui. Poco fa. Gli piaceva questo posto. Ci venivamo spesso.

Il Cacciatore - Non se la prenda troppo per la morte di un cane, via! Non creder mica alla storia del cane amico dell'uomo! Io sono un cacciatore, come vede. Ebbene, sa che cosa le dico? Quando inventeranno qualcosa che sostituisca i cani io ne sar felicissimo.

Eugene - E' sicuro di quanto dice?

Il Cacciatore - Sicurissimo. Il cane le amico fino a quando lei gli d da mangiare, poi addio e sta bene. Chi lo ha visto lo ha visto. Un po' come gli uomini.

Eugene - Lei lo dice per consolarmi.

Il Cacciatore - Affatto. Vuole un po' di cognac?

Eugene - S. Grazie.

Il Cacciatore - (porgendogli la borraccia) Beva direttamente dalla borraccia. (Mentre Eugene beve) Comunque la capisco. Anch'io ho avuto un cane, a suo tempo, il miglior cane da caccia che sia mai esistito. Si chiamava Fedro. Nome buffo per un cane. Il suo come si chiamava?

Eugene - (restituendogli la borraccia) Il mio, che cosa?

Il Cacciatore - Il suo cane.

Eugene - Non lo so. Non ricordo, Si chiamava Bobi.

Il Cacciatore - Un nome come un altro. Sa se c' della selvaggina qui in giro?

Eugene - No. Non lo so.

Il Cacciatore - Beva ancora un po' di cognac. Le far bene. (Eugenio beve. Riprendendosi la borraccia) Se la morte di un cane l'ha colpita fino a questo punto, lei deve essere un ipersensibile. Mi fa quasi pena. Be'! Arrivederci... (Il cacciatore vestito di bianco si allontana. Eugene si asciuga il sudore e china il capo tra le mani. Ritorna il cacciatore con altri quattro cacciatori, tutti vestiti di bianco come il primo. I cinque gli si fanno attorno).

Il prtmo Cacciatore - (agli altri) Non ci credevate. Eccolo. Sta piangendo perch gli morto il cane.

Eugene - (di scatto) Non piango.

Il secondo Cacciatore - Pu piangere quanto vuole. Noi comprendiamo benissimo.

Il terzo Cacciatore - Di che colore aveva i capelli il suo cane?

Eugene - Neri. Erano neri.

Il terzo Cacciatore - Magari crespi. O ondulati. Non mi sono mai piaciuti i cani dai capelli neri.

Il quarto Cacciatore - E la pelle? Come aveva la pelle?

Eugene - Rosa. Era molto giovane. Un bambino.

Il quinto Cacciatore - Ora capisco il suo dolore. Quando muore un cane giovane, un bambino come dice lei, con i capelli neri e la pelle rosa, sempre un dramma. E' atroce la morte dei bambini. E ci scommetto (a Eugene) che a lei piacciono.

Eugene - Sono la cosa pi bella che esiste al mondo. Come raggi di sole all'alba.

Il primo Cacciatore - Aveva gi tutti i denti?

Eugene - Oh! Dio! Questo non lo so.

Il secondo Cacciatore - Era un cane che studiava?

Eugene - Non credo. Non aveva ancora l'et della scuola.

Il primo Cacciatore - Ma dica un po' la verit: era proprio suo quel cane?

Eugene - Sicuro.

Il primo Cacciatore - Mi sembra cos esitante. La propriet d sempre sicurezza. Invece lei, mah!, se dice che il cane era suo sar cos senz'altro.

Il secondo Cacciatore - Si fa presto a saperlo. Ha la medaglietta?

Eugene - La medaglietta? No.

Il secondo Cacciatore - Possibile? Non vorr mica dire che l'ha sotterrata assieme al cane?

Eugene - E' cos. L'ho sotterrata assieme al cane.

Il primo Cacciatore - Finir per non capirci pi nulla in questa storia.

Il terzo Cacciatore - (ad Eugene) Ha rinunciato a qualsiasi ricordo di lui.

Eugene - S.

Il secondo Cacciatore - Almeno i vestiti poteva levarglieli. Ci sono tanti bambini che hanno bisogno di tutto a questo mondo.

Il primo Cacciatore - Io continuo a dubitare che fosse il suo. Magari lo ha incontrato per caso e adesso viene a dirci che gli apparteneva. .

Il secondo Cacciatore - Ma a te che importa, dopotutto?

Il primo Cacciatore - Ammettiamo per un istante che il cane non appartenesse a questo giovanotto e che egli lo abbia incontrato per caso. Lo incontra e chiss per quale ragione lo uccide. Ecco spiegato perch lo sotterra in fretta, senza spogliarlo e senza serbare di lui alcun ricordo.

Il secondo Cacciatore - Andiamo! Come pu un uomo incontrare un bambino e ucciderlo, cos, senza motivo?

Il primo Cacciatore - Motivi possono essercene a migliaia. Ce ne possono essere pi di quanti servono. (S china su Eugene) Giovanotto, ci sono certe forme di libidine...

Eugene - No. Questo no. Io sono normalissimo. Potete chiederlo a chi volete. Potete sottopormi a tutte le prove che volete. Non ho mai pensato...

Il primo Cacciatore - Per, poco fa, ha detto che i bambini sono i raggi del sole all'alba.

Eugene - Che cosa vuol dire? Sono rimasto orfano assai presto e sono cresciuto solo. Il secondo Cacciatore - (al primo cacciatore) E' ragionevole quello che dice. E' cresciuto desiderando un fratello, oppure di giocare con altri bambini e non gli stato permesso neanche questo.

Il primo Cacciatore - Io non credo a queste bubbole.

Il secondo Cacciatore - Quando gli morto il cane deve avere perduto la testa. Forse era il primo che aveva. Noi ragioniamo a mente fredda, a noi, tutto sommato, non importa nulla di quanto gli accaduto, ma lui c' dentro,..

Il primo Cacciatore - Potrebbe avere rubato il cane. In questo caso lo sapremo perch il proprietario lo cercher.

Il terzo Cacciatore - (a Eugene) Giovanotto, mi auguro che lei non abbia fatto nulla di simile. E' la peggior cosa rubare il cane degli altri. Tanto pi se un bambino.

Il secondo Cacciatore - Non siate cos maledettamente duri. Se il cane non fosse stato suo perch avrebbe dovuto prendersela tanto a cuore?

Il primo Cacciatore - Be'! poteva essere il cane di un suo vicino di casa. (A Eugene) Ci sono. Era un cane che abbaiava troppo e le dava fastidio. Lei lo ha preso, lo ha condotto qui, e...

Eugene - (interrompendolo) No. Non cos. No conoscevo nemmeno. Voglio dire... non lo avevo mai veduto prima d'oggi quel bambino.

primo Cacciatore - Straordinario. Era morente quando lo ha trovato?

Eugene - No. S.

Il primo Cacciatore - No o s?

Eugene - S. Era morente. Io stavo risalendo il sentiero...

Il primo Cacciatore - Perch?

Eugene - Ci vengo spesso qui.

Il primo Cacciatore - Allora?

Eugene - Camminavo, quando vedo il cane. Io sapevo che avrei dovuto incontrarlo, ma speravo ardentemente che non avvenisse oggi. Domani, mi dicevo, domani sar pi preparato.

Il primo Cacciatore - Non capisco. Lei sapeva che avrebbe dovuto incontrare un cane e che questo cane sarebbe morto?

Eugene - (dopo una pausa) Non mi faccia tante domande. Non le sopporto. Non le sopporto pi.

Il primo Cacciatore - A questa deve rispondere. Perch doveva morire?

Eugene - Lui non lo sapeva. Saltellava qui attorno e raccoglieva fiori. Poi cominciava a diventare pallido, a sudare, tentava di gridare ma non riusciva I e, finalmente, cadde a terra, senza far rumore. Allora, allora l'ho sotterrato.

Il primo Cacciatore - Senza neanche accertarsi I che fosse morto davvero?

Eugene - Era morto. Di questo sono certo.

Il secondo Cacciatore - (al primo cacciatore) Io non capisco la tua mania di complicare le cose. Che cosa accaduto, dunque? E' accaduto che questo giovane ha incontrato un cane morente e che quando morto lo ha sotterrato.

Il primo Cacciatore - Sar. Ma ci sono troppe contraddizioni in quello che racconta.

Il terzo Cacciatore - E' meglio che ce n'andiamo, Stiamo perdendo un sacco di tempo. Caro giovanotto, si faccia animo. Ha tutta la mia simpatia. Le dir di pi. L'ammiro per avere sotterrato subito quella bestia. Le carogne puzzano maledettamente. Arrivederci. (I cacciatori salutano ed escono. Luce come all'inizio. Eugene torna a sdraiarsi sul letto).

Adolfo - Mi era sembrato che avessi perduto i J sensi. Eri diventato cos freddo!

Eugene - Non mi chiedere mai nulla. Nulla. Nulla,

Adolfo - Riposati, ora.

Quadro terzo

Il buio che divide questo quadro dal precedente dura appena qualche secondo. I quadri che segui- ranno: Il III, il IV e il V, sono collegati dai brevissimi attimi di pausa che li dividono e perch, possibilmente, le azioni devono svolgersi su piani diversi della scena. (La scena del quadro III la stessa del II: Eugene nuovamente steso sul letto e Adolfo chino su j di lui).

Adolfo - Perch hai gridato, Eugene?

Eugene - Ho gridato? Non ricordo. Mi sono addormentato.

Adolfo - Hai bisogno di qualcosa?

Eugene - No. Grazie. Tu non sei ancora entrato. Non puoi sapere. Una volta entrato non vorresti pi uscire. Vorresti rimanere per sempre. Non giusto che ti richiamino. Mi sento soffocare. Mi manca l'aria.

Adolfo - Un giorno ci rimarremo per sempre.

Eugene - Ma io voglio adesso. Subito. (Spaventato) Non posso pi rimanere qui. Devo andarmene. Glielo dir. Soltanto Motke ha la chiave.

Adolfo - Perch non gliela rubi? Ce n'andremo assieme.

Eugene - (dopo una pausa) Se quelle ragazze tornassero.

Adolfo - Non torneranno. Non oggi, almeno.

Eugene - Ti hanno parlato di lei...

Adolfo - Di chi?

Eugene - Mara.

Adolfo - S.

Eugene - Non devi pensare pi a lei. Apri un po' la finestra. Ti prego. (Adolfo esegue. Eugene si alza e lentamente raggiunge la finestra. Dopo una pausa) Adolfo! (Con voce bassa) Se le vuoi bene non pensarci pi. Cancellala dalla tua mente. Se dovessi ucciderla perch le vuoi bene...

Adolfo - Perch dovrei ucciderla?

Eugene - (continuando il discorso, senza ascoltarlo) Se loro vengono a sapere che tu le vuoi bene... (Si volta di scatto) Accidenti a te! Non mi fare parlare della mia prova! Mai, mai, mai...

Quadro quarto

(Adolfo, il padre e la madre. Bisogna rendere evidente il fatto che i genitori e Adolfo parlano lingue diverse. Le battute della madre possono essere sostituite, ad esempio, da una musica elettronica tremolante, irritante; quelle del padre da una musica elettronica pi sostenuta).

Adolfo - (al padre) Che cosa vuoi da me, insomma?

Il Padre - (musica come abbiamo detto).

La Madre - (c.s.)

Adolfo - Anche a te lo dico.

La Madre - (c.s.)

Adolfo - Niente. Ti dico che non capisco pi niente di quello che dici. Chiacchiere. Chiacchiere vuote. Suoni senza senso.

Il Padre - (c.s.)

Adolfo - (al padre) Anche le tue parole sono soltanto suoni. No. Non una crisi giovanile, come pensi tu. Ma come potresti capire? Ti sei mai occupato di me? Oh! Certo. Te ne sei occupato per rendermi tutto pi facile, un padre esemplare, ma io non avevo bisogno di un padre esemplare, avevo bisogno di un nemico con il quale misurarmi, per strappargli i segreti, per conoscere attraverso lui quello che volevo, che voglio conoscere. Quante volte mi sembrato di essere arrivato e quante volte mi hai umiliato. Che cosa mi hai dato in cambio di ci che mi hai tolto? In che cosa credi che posso credere anch'io? Che diritto hai su di me? Sto nascendo per la seconda volta. E questa una nascita pi vera della prima perch io la vivo e perch io la voglio cos com'.

La Madre - (c.s.)

Adolfo - Non m'interrompere. (Al padre) Poich sei stato tu a cominciare voglio dirti che c' stato un momento nel quale ti ho disprezzato. Quando ho compreso quale occasione gli uomini come te hanno perduto e hanno fatto perdere. Adesso non ti disprezzo pi. Adesso mi sei indifferente. Non potevi fare altrimenti. Non potevate fare altrimenti.

La Madre - (c.s.)

Adolfo - Tu capiresti meno di chiunque. Meno ancora di pap. (A tutti e due) L'avete voluto voi. Io non avrei mai parlato di queste cose. Ora, vi prego, andatevene di l a raccontarvi le vostre favole. Io non ho pi l'et di starle a sentire...

Quadro quinto

(Spaccato di un bar. Mara ad un tavolino. Entra Adolfo e le si avvicina).

Adolfo - Eccomi qui, davanti a te. Tutto intero.

Mara - Ti ringrazio di essere venuto.

Adolfo - Non sono venuto per farti piacere, ma per dirti di smetterla.

Mara - Mi giudichi troppo stupida per te, non vero?

Adolfo - Non stupida. Attaccaticcia. Una carta moschicida. Credevo che l'altro giorno, in casa mia, tu avessi capito e invece no. Mi hai mandato le truppe...

Mara - Che truppe?

Adolfo - Walter e quelle due sciocche.

Mara - Non le ho mandate io.

Adolfo - Prendiamo un caff.

Mara - Aspetta un minuto. (Brevissima pausa) E' possibile che io sia una stupida. Ma ti sbagli se mi giudichi dagli anni che ho. Non sei il solo ragazzo che conosco. Con te, per, diverso. Mi pare di averti sempre conosciuto. Io amer una sola volta, Adolfo.

Adolfo - Te lo verr a chiedere tra una ventina di anni quando sarai una grassa e tranquilla signora, madre di cinque o sei bambini.

Mara - Non riesci ad offendermi. Io sento che non sei tu che parli cos, lo sento tanto che non mi vergogno di correrti dietro, di dirti quello che ti dico. Cos come da te sarei pronta ad accettare tutto, cos, finalmente, ho capito che di me non c' nulla di cui mi debba vergognare. Non siamo degli estranei l'uno all'altra. (Breve pausa) Adolfo, l'ho compreso troppo tardi.

Adolfo - Pi niente da fare, allora.

Mara - (breve pausa) Adolfo, ho paura per te.

Adolfo - Per me?

Mara - S. Per te. Lasciami dire. (Gli posa una mano sul braccio) Ho sentito di giovani che... Non so neanch'io perch ho paura.

Adolfo - Tu devi avere paura soltanto per te. (Si libera il braccio) E devi ringraziare il tuo Dio, se ne hai uno, che io non sono stato al gioco. Perch avrei potuto starci, venire a letto con te tutte le volte che volevo e poi mandarti all'inferno. Non l'ho fatto. Esci da quest'avventura, che ti sei voluta tu, vergine come ti ha fatto mamma. Di me non ti preoccupare. Non corro alcun pericolo. Ed ora mi hai stancato. Alzati e taglia la corda. (Mara, in silenzio, si alza ed esce. Si imbatte in Eugene che sta arrivando. Eugene si porta vicino ad Adolfo. E' irritato).

Eugene - Mi avevi dato la tua parola...

Adolfo - Come hai fatto a sapere che ero qui?

Eugene - Ti ho spiato. Se vuoi saperlo. E' da molti giorni che ti spio. Mi avevi giurato che non l'avresti pi rivista.

Adolfo - Siediti e non fare storie.

Eugene - (siede) Io lo faccio per lei e per te. E anche per me.

Adolfo - Ti senti nuovamente male.

Eugene - Non molto.

Adolfo - Se tu mi avessi telefonato sarei venuto a trovarti.

Eugene - Avevo voglia di uscire. Volevo sapere...

Adolfo - Cameriere!

Il Cameriere - Eccomi, signore.

Adolfo - Due cognac.

Il Cameriere - Subito, signore. (Si allontana).

Adolfo - (a Eugene) Dovresti andare da un medico. Non puoi continuare cos.

Eugene - Impossibile. Non potr mai andare da un medico.

Adolfo - Perch?

Eugene - Lo saprai anche tu. Presto. (Angosciato) Adolfo, pi dura di quanto avessi previsto. (Breve pausa) Quando anche tu avrai superato la prova ce ne andremo. C' un mucchio di posti, oggi, nel mondo dove possiamo andare. Il professre Motke mi ha detto che molti dei nostri sono gi nel Congo. Altri nel Sud Africa. Ma ce ne sono anche in Florida. Un po' dappertutto. (Il cameriere depone i due bicchieri sul tavolo e si allontana).

Adolfo - Bevi, ora.

Eugene - Non posso pi restare qui.

Adolfo - Bevi. (Eugene si guarda attorno spaventato, come se avvertisse la presenza dei suoi persecutori, invisibili agli altri, poi beve. Entra il primo cacciatore. Fa un amichevole cenno di saluto a Eugene. Si ferma ad osservarlo).

Eugene - (terrorizzato) Adolfo!

Adolfo - Vuoi che usciamo di qui?

Eugene - (piano, guardando il cacciatore) No. Ormai non possiamo pi. Abbi pazienza. (Mentre il cacciatore si avvicina ad Eugene, Adolfo rimane immobile. Per dare il senso dell'irrealt della scena nello stesso momento si potrebbe interrompere un'eventuale musica di sottofondo che si immagina proveniente dal juke-box del bar. Il cacciatore siede accanto a Eugene).

Il Cacciatore - Che bella sorpresa! Chi si aspettava di trovarla qui. Spero che non se la sia presa con me per quanto ho detto l'ultima volta che ci siamo incontrati. Lei deve sapere che ho un carattere molto sospettoso. Quando ero piccolo volevo fare il poliziotto. Un'idea un po' stramba. Non vero? Ma lei triste. E' ancora addolorato per il cane, ci scommetto. Mi rincresce di avere sospettato di lei. Si vede che lei un giovane sensibilissimo. Soffrire tanto per la morte di un cane che, in fondo, conosceva appena. Ma, forse, la capisco, lei non soffre tanto per il cane, per quel cane, quanto per la morte in s, questa fine spaventosa, questo nulla a cui siamo condannati. La capisco, eccome la capisco. Non si lasci ingannare dal fatto che vado sempre a caccia. Io penso. Ho scoperto anch'io che attraverso ognuno di noi, attraverso ogni essere vivente, passa l'asse dell'universo e che quando uno di noi, una qualsiasi creatura muore, l'universo che muore con lui. Rimangono gli altri, vero, ma quell'universo morto. Irrimediabilmente finito. Deve farsi coraggio. E' ineluttabile.

Eugene - Io la ringrazio. Ma ora il mio amico ed io dobbiamo andare.

Il Cacciatore - Rimanga ancora un poco. Non le ho detto tutto.

Eugene - Che cosa ha da dirmi ancora?

Il Cacciatore - Ricorda quei miei amici cacciatori?

Eugene - S. Certo.

Il Cacciatore - Ebbene, abbiamo parlato a lungo di lei, della sua tristezza, del suo dolore. Le stiamo preparando una sorpresa.

Eugene - Quale sorpresa?

Il Cacciatore - Non posso rivelargliela. Non sarebbe pi una sorpresa.

Eugene - Per piacere, mi dica di che cosa si tratta.

Il Cacciatore - Non faccia cos. Le dir tutto a patto che lei non mi tradisca con i miei amici.

Eugene - Glielo giuro.

Il Cacciatore - (abbassa la voce) Quel povero cane bambino dai capelli neri e dalla pelle rosa, non pu rimanere sepolto sul cocuzzolo di quella collina. Sole, neve, pioggia, vento. Quando sar inverno e lei sentir infuriare la bufera, non potr prendere sonno pensando a quel tumulo abbandonato.

Eugene - Allora?

Il Cacciatore - Ma stia calmo. I miei amici ed io abbiamo deciso di dissotterrare quel bambino e di farlo seppellire in un vero cimitero assieme agli altri morti. Sotto i cipressi.

Eugene - (si alza di scatto, pieno di angoscia) No. (Grida) No. No. (Adolfo accanto all'amico. Accorre il cameriere. Il cacciatore, nella confusione, si allontana).

Adolfo - Eugene...

Eugene - Non devono, non devono farlo... lo impedir.

Adolfo - Eugene...

Eugene - Vattene, Adolfo, vattene fino a quando hai tempo, fuggi, nasconditi... non voglio che anche tu...

Il Cameriere - Si sente male il suo amico?

Adolfo - Non so. Ma ora ce n'andiamo. Un po' d'aria gli far bene. Star subito meglio. (Adolfo mette del denaro sul tavolino poi, sorreggendo Eugene, si avvia verso la porta).

Quadro sesto

(Ancora il professor Motke e Adolfo. Nessuna particolare indicazione per la scena).

Motke - (continuando il discorso) Qual la nostra missione? Noi abbiamo il compito di difendere e conservare il nostro sistema sociale perch esso il riflesso, la materializzazione, di un mondo infinitamente superiore. Spetta a noi farlo progredire rapidamente e liberarlo dai suoi nemici. Una sola razza di uomini ha il diritto di vivere. Il resto dell'umanit ha il dovere di servire e solo fino a quando sar necessario. Poich sei alla vigilia della prova posso cominciare a rivelarti il grandioso progetto che siamo chiamati a realizzare. La societ del futuro avr al suo vertice gli uomini della razza superiore. Coloro che comunicheranno direttamente con i superiori. Apparterr a questi uomini la dimensione dell'universo percettibile dai sensi e saranno accolti come fratelli dai superiori nell'altra dimensione. Al di sotto di essi saranno i destati. Una grande aristocrazia. Vi saranno poi i servi. E, infine, gli schiavi. Gli schiavi saranno privati della facolt di procreare e della volont individuale. Entro un breve periodo di tempo essi diventeranno inutili perch saranno sostituiti da macchine perfette. Poi sar la volta dei servi. Anche essi finiranno per diventare inutili. La terra sar quindi, un grande meraviglioso giardino. L'Eden perduto sar finalmente ritrovato. (Motke volta le spalle a Adolfo. Immobile. Lunga pausa). Lo scontro decisivo vicino. La guerra. L'arma atomica. Quando penso alla storia di quest'arma io mi convinco che quello del passato non fu un tentativo fallito. Fu la prima fase di attuazione di un disegno troppo grandioso per essere compreso da coloro che la vissero, che ne furono protagonisti o la subirono. Se quel tentativo fosse riuscito il suo successo sarebbe stato limitato ad una sola parte del mondo e forse la sua durata sarebbe stata breve. Mentre gli avversari apparenti si combattevano e andavano intrecciando tra essi quei legami allora segreti, ignoti perfino agli iniziati, che oggi sono ben visibili e che li pongono sulla stessa linea da una parte all'altra del mondo contro il vero e irriducibile loro nemico. Ma, forse, troppo difficile per te che sei giovane, quanto ti sto dicendo.

Adolfo - (lento, serio) No. Io comprendo ci che lei dice. E' come se dentro di me tutto si schiarisse un po' alla volta. (Si alza, anch'egli immobile) Io so adesso di essere nato all'inizio dei tempi. Io so, adesso, di possedere dentro di me l'infinito. Io so adesso che le mie sofferenze e le mie angosce sono provocate dagli ostacoli che m'impediscono di diventare me stesso e che questi ostacoli sono rappresentati dagli egoismi, dalle meschinit, dalla cattiveria dei piccoli uomini che mi attorniano. Io comprendo adesso la ragione della mia solitudine. io sono straniero in mezzo a questi piccoli uomini ed essi si frappongono tra me e i miei fratelli. Io non ho pi paura di dire che devo distruggere tutto ci che sta tra me come sono e come dovr essere, com' nella mia natura di essere.

Motke - Oggi inizierai la preparazione alla prova che ti attende.

Quadro settimo

(Un alto praticabile in mezzo alla scena di cui illuminata soltanto la piattaforma. Il resto della scena al buio. Sul praticabile un divano di forma classica sul quale giace Adolfo che sta ridestandosi. Al suo fianco una giovane donna avvolta in veli. Sul fondo una gigantesca armatura).

La Donna - (china su Adolfo) Ti sei destato, finalmente.

Adolfo - (si rizza su un gomito, si guarda attorno) Dove sono?

La Donna - Dove ti era stato detto.

Adolfo - Chi sei?

La Donna - Guardami.

Adolfo - Non ti conosco.

La Donna - Dentro di te mi conosci. Mi hai gi posseduta nei tuoi sogni.

Adolfo - E' vero.

La Donna - Io sono venuta spesso a trovarti quando il sonno apriva la tua mente. Ma adesso sono reale. (Gli accarezza la fronte) Io ti conosco bene. (Appassionata) Oh! Quando saprai da quanto tempo ti attendo.

Adolfo - Anch'io ti ho sempre cercata.

La Donna - Le tue mani sono fresche e il tuo sorriso giovane.

Adolfo - Tu sei bellissima.

La Donna - Come mi hai desiderata.

Adolfo - (si alza, la luce, lo abbaglia, la luce d la sensazione dell'infinito) Che cosa c' attorno a noi oltre questa luce?

La Donna - Ancora luce.

Adolfo - (vede l'armatura) Di chi quell'armatura?

La Donna - Tua.

Adolfo - No. E' troppo grande per me.

La Donna - Tu ti misuri ancora con gli occhi della realt da cui provieni.

Adolfo - Vuoi dire che se l'indossassi...

La Donna - Ti ho detto che tua. (Adolfo si lascia andare sul letto, si nasconde il volto tra le mani) Se vuoi puoi provarla. Ti consentito. (Adolfo si rialza esitante, si avvia verso l'armatura). (Musica elettronica in crescendo. Mediante un siparietto l'armatura scompare, mentre la donna guida, per mano, Adolfo verso di essa. Anche la donna e Adolfo scompaiono. Istanti di vuoto sulla scena riempiti dalla musica in crescendo. Adolfo ricompare indossando un'armatura che, beninteso, adatta alla sua reale altezza).

La Donna - Te l'avevo detto che tua.

Adolfo - Ma allora...

La Donna - Questa la verit di te stesso che dovevi scoprire. L'hai scoperta.

Adolfo - Non avverto neppure il peso dell'armatura.

La Donna - Lo so. Eppure essa ti schiaccerebbe con il suo peso nella realt da cui provieni.

Adolfo - (si muove per la scena, cautamente dapprima, poi sempre pi sciolto, infine si ferma) Attorno a noi, hai detto, vi soltanto luce.

La Donna - Soltanto luce.

Adolfo - Ma siamo soli.

La Donna - (soffocando un risolino) Non siamo soli. Tu ancora non puoi vedere i tuoi fratelli. Essi sono qui, attorno a te, attorno a noi.

Adolfo - Tu li vedi?

La Donna - Li vedo.

Adolfo - Quando potr vederli anch'io?

La Donna - Quando tra loro e ci che tu sei non vi sar pi alcun impedimento. (Gli si avvicina) Ora ti ricordi di me.

Il Cacciatore - Era diventato ci che nella radice della sua vita.

Eugene - S.

Il Cacciatore - Un'operazione dolorosa. (Pausa) Rifarebbe la prova se la minacciassero di non farla pi tornare qui dove non ha paura e dove un gigante?

Eugene - (agitato) Lei non ha alcun diritto di rivolgermi queste domande. Lei troppo curioso.

Il Cacciatore - Insomma, tornerebbe o no su quel sentiero?

Eugene - Le ho detto di non farmi domande.

Il Cacciatore - Mi scusi. Sono troppo curioso, io. Gliel'ho detto, per, che nel mio carattere e che quando ero giovane volevo diventare un poliziotto.

Eugene - Mi lasci solo.

Il Cacciatore - Subito. Ero venuto per dirle che i miei amici si danno da fare per quella sorpresa di cui le ho parlato. Il terreno, per, duro. Maledettamente duro. Si danno il turno a scavare ma, creda, una fatica. Vedr che anche lei sar pi contento quando lo seppelliremo in un cimitero vero, sotto i cipressi, tra gli altri morti a tenergli compagnia. E adesso la lascio solo, come vuole lei. Arrivederci. (Esce. Eugene tenta ripetutamente di alzarsi. Non vi riesce. Rimane immobile. Le luci, un poco alla volta, si oscurano).

Quadro nono

(Un cono di luce illumina Adolfo, immobile a destra della scena. Il professor Motke gli parla accanto, ma non viene veduto dal pubblico).

Motke - Questo quanto ti chiediamo. Questa la tua radice. Egli dentro di te e tu non potrai mai liberartene se non a patto di ucciderlo. Ancheagli uomini che compirono il primo grande tentativo furono chieste prove sovrumane. Fu chiesto ad essi di liberarsi dei sentimenti, di trasformarsi in spade, in incendi, nel caos. A noi j che impugneremo l'arma assoluta viene chiesto di pi. A noi che siamo il presente infinito viene chiesto d diventare il nulla. Non potremo usare l'arma assoluta se il nulla non sar dentro di noi. Gli uomini-cose e gli uomini-animali urleranno per l'angoscia e il dolore del loro annientamento, e noi non dovremo udirli. Le citt di questi uomini ; diventeranno cimiteri e noi non dovremo vederle. Il nostro respiro dovr essere regolare e la nostra voce tranquilla quando trasvoleremo sul grigio deserto del mondo. Arrivederci tra un mese. (Luce nella camera da letto-studio di Adolfo. Il padre di Adolfo davanti al figlio).

Il Padre - Se t'interessa puoi partire anche domani.

Adolfo - Non ti ho seguito.

Il Padre - Benedetto ragazzo. Un mese di campagna. Ecco tutto. Ospite del dottor Venz. Ti ci troverai benissimo. Venz un ottimo amico.

Adolfo - Perch pensi che abbia bisogno di campagna?

Il Padre - Non lo penso. Lo so. Lo vedo. Forse stato un eccesso di studio o forse un'altra cosa.

Adolfo - (sinceramente convinto) S.

La Donna - Te l'ho letto negli occhi. (Lo abbraccia) Noi siamo l'amore. Togliti quest'armatura. (Mentre Adolfo sta per eseguire) No. Un istante solo. Cos poi saremo ancor pi amore. Vieni. (La donna conduce Adolfo sul ciglio della piattaforma) Guarda! (A destra s'illumina un secondo praticabile, ad un'altezza inferiore a quella del primo, sul quale, in scala ridotta, vi l'interno della camera da letto, che fa anche da studio, di Adolfo. Questa immagine deve convincere Adolfo di essere un gigante) Quella la realt dalla quale provieni. (Si spegne subito la luce sul secondo praticabile di destra e qualche secondo dopo si spengono tutte le . luci in scena).

Quadro ottavo

(L'intervallo tra questo quadro e quello precedente brevissimo. Luci sfumate e cangianti su un praticabile a sinistra. Un divano accoglie Eugene. Entra il primo cacciatore).

Il Cacciatore - Ci incontriamo nei luoghi pi impensati, lei e io.

Eugene - S. E' vero.

Il Cacciatore - Sono contento che stavolta non l'ho spaventata.

Eugene - Quando sono qui nulla mi fa paura. Qui non esiste nulla all'infuori della luce. Dentro di me vi la quiete.

Il Cacciatore - Tutto ti stato rivelato. Questa la quiete.

Eugene - La mia forza grande.

Il Cacciatore - Infatti quasi non la riconoscevo pi. Lei un gigante. Per piacere non si alzi. Se si alza sar io a spaventarmi. Il suo corpo sembra il tronco di una quercia. No, prego, non si alzi. Rimanga dove si trova.

Eugene - Non mi alzer. Non resisterebbe a vedermi.

Il Cacciatore - Grazie. (Dopo una pausa, con un tono insidioso) E' stata dura la prova. Non vero?

Eugene - S, dura.

Il Cacciatore - La pi dura che potessero inventare per lei. Lo so. Anch'io conosco il principio. Individuare ci che nella radice dell'individuo ed estirparlo. Una operazione dolorosissima. Mi parli di quel bambino.

Eugene - Lo incontrai un giorno che andavo su quella collina. Raccoglieva bacche. Lo incontrai altre volte. Feci amicizia con lui. Giocavamo spesso insieme, di nascosto perch io temevo che pensassero di me cose non vere. Tutti i giochi che non avevo fatto quando ero bambino, l'aria verde che non avevo mai respirato, le cose verdi che non avevo mai veduto, queste cose, su quella collina, lui e io. Anche lui non aveva fratelli. Ha veduto la casa dove abitava? Una cascina nella valle. Un giorno scopersi che quel bambino era...

Il Cacciatore - Non si affatichi a cercare le parole. Comprendo benissimo che cosa le accadde. Si affezion a quel bambino.

Eugene - Non pu immaginare quanto. Come se fossi stato suo fratello. 0 suo padre. Ma un po' di riposo lontano da noi e dalle tue solite cose, non potr farti che bene.

Adolfo - Io non ho bisogno di riposo.

Il Padre - Non intendo importelo. Te lo consiglio. (Breve pausa) Anche per tua madre e per me. Dopo l'ultima discussione con te la mamma si sentita male.

Adolfo - (freddamente) Se la mamma morisse per te sarebbe una bella fortuna.

Il Padre - Adolfo!

Adolfo - Assieme siete due infelici. Come hai fatto ad innamorartene?

Il Padre - Adolfo, ti prego!

Adolfo - Non mi dirai che sbaglio. L'ho capito molto tempo fa che eravate due estranei. E ho capito che vi sopportate a fatica soltanto perch non ne potete fare a meno. Tu e lei abitate due rive opposte.

Il Padre - Siamo sposati da ventuno anni.

Adolfo - Che cosa significa questo?

Il Padre - Significa che dopo tanto tempo le parole felici e infelici non hanno pi senso. Anche se fosse vero ci che pensi di tua madre e di me, ormai non possiamo pi dividerci. Ci siamo abituati l'uno all'altra e abbiamo accettato inconvenienti, anche rinunce, che possono sembrare grandi e che, invece, sono piccole cose in confronto a ci che d in cambio una cos lunga vita in comune.

Adolfo - Sei di un'ipocrisia convincente.

Il Padre - Non ipocrisia. E' la verit. E' difficile per te comprendere. Di questo mi rendo conto.

Adolfo - Molte cose sono di difficile comprensione per noi giovani, per questo che ve le tenete per voi, non vero?

Il Padre - (dopo una pausa) Non importa. Bene o male, cos come sei, qualsiasi cosa diventerai e farai, tu sarai sempre la mia perpetuazione.

Adolfo - Diventer anch'io un bravo funzionario di banca o un bravo insegnante. Chiss! Vivr per il mio lavoro e per la mia famiglia. Ad una certa et comincer a pensare che i giovani non capiscono molte cose ma finir per affidarmi ad essi per convincermi della mia immortalit. Cos ti continuer?

Il Padre - Non lo so. Perch usi quel tono? Che cosa presumi di essere diventato tutto ad un tratto?

Adolfo - Niente. Non ti sono venuto a cercare. Ho detto che voglio essere lasciato in pace. Non me n'importa del tuo amico Venz e non ho bisogno di riposo in campagna. Non sono una ragazzina.

Il Padre - E di che cosa hai bisogno?

Adolfo - Vuoi proprio saperlo? Vuoi saperlo? Ho bisogno di essere libero, di diventare quello che sono, di non dover sacrificare neanche pi un secondo della mia giornata al cumulo di sciocchezze senza senso a cui fra tutti mi costringete.

Il Padre - E che cosa sei, dunque?

Adolfo - Ecco finalmente qualcosa che se anche ti spiegassi tu non capiresti. Lascia anche ai giovani la loro parte di segreti.

Il Padre - (si avvia alla porta) Ero venuto per parlarti della campagna. Rifiuti di andarci, d'accordo, io non ti obbligher. Voglio, per, che tu sappia che ti impedir di commettere atti di cui domani ti pentiresti. Qualsiasi cosa tu abbia in mente puoi rinunciarvi fin d'adesso. (Il padre esce. Buio in quel settore della scena. Luce in uno spaccato di bar. Lo stesso bar che abbiamo gi veduto. Eugene sta aspettando Adolfo. Adolfo entra).

Eugene - (si alza e gli va incontro, lo prende per le mani, lo accompagna a sedere) E' molti giorni che non ti vedo. Dove sei stato? Che cosa hai fatto? Non devi lasciarmi mai pi solo. Non lo voglio. Non posso sopportarlo...

Adolfo - (siede) Eugene...

Eugene - Scusami. So bene che cosa significa il tempo che ti divide dalla prova. Sono gi passati dieci giorni da quando il professore ti ha parlato. Dieci brutti giorni per te, non vero? Per me furono terribili.

Adolfo - Eugene, io vorrei tornare...

Eugene - Non si pu. Soltanto lui pu. Dopo la prova potrai tornare quante volte vorrai. Una piccola iniezione ed fatta.

Adolfo - lo voglio tornare senza iniezioni.

Eugene - Non possibile. Ma non si tratta di stupefacenti. Sta tranquillo. E' una sostanza arrivata da molto lontano. (A bassa voce) Nessun medico saprebbe riconoscerla. Il tuo corpo si addormenta. Questo corpo, intendo, che non il tuo. E tu riacquisti quello vero. Il tuo corpo vero. Cos entri. O torni, come dici tu.

Adolfo - Ho bisogno di ritrovarmi l, anche solo per un minuto.

Eugene - Alcuni, prima della prova, vi vengono ammessi pi volte. Altri soltanto una. Per i migliori basta una sola volta.

Il Cameriere - I signori ordinano?

Adolfo - Porti quello che vuole.

Il Cameriere - Il signore vuole scherzare.

Adolfo - Va' all'inferno. Portaci due cognac.

Il Cameriere - Sissignore. (Esce).

Eugene - E' molto difficile quello che devi fare?

Adolfo - Non credo che ne sar mai capace.

Eugene - Anch'io lo pensavo. Anch'io credevo che non ci sarei mai riuscito.

Adolfo - Ma io non riuscir.

Eugene - Riuscirai. Se non riuscirai non vi sar pi alcuna scelta per te. Il professor Motke scomparir per sempre e anch'io non potr pi vederti. Nessuno ti risollever, mai pi. Una volta, Motke, prima della mia prova, mi spieg il mito di Lucifero. Egli era un angelo. Come te, come noi. Motke mi disse che dovevo ricordarmi di quel mito quando sarei stato sulla collina.

Adolfo - Quale collina?

Eugene - (turbato) Nessuna collina. E' un modo di dire. Dimenticalo. (Il cameriere rientra e posa due bicchierini sul tavolo, quindi si ritira. Eugene, sempre pi turbato) Mio Dio! Perch ho parlato della collina? (Stringe una mano ad Adolfo, concitato) Sono stato io a trascinarti in tutto questo. Rinuncia. Fuggi. Non sar facile n prima, n dopo. Tanto meno dopo. Tutto diventer un incubo. Un lungo incubo. Io ti perder comunque, ma almeno non mi odierai. Ti prego. Non fare nulla. Dir io a Motke che hai rinunciato. Non sarai il primo e neanche l'ultimo.

Adolfo - (si libera la mano) Anche quanto mi stai dicendo fa parte della prova, non vero? Hai imparato a memoria le battute.

Eugene - No. Ti giuro di no.

Adolfo - Se tu sei riuscito, perch io non dovrei?

Eugene - Se avessi saputo in precedenza, io... io avrei rinunciato. Non posso dirti nulla, non posso parlarti di ci che ho fatto, ma da allora come se lo rifacessi ad ogni istante. Anche nel sogno continuo a fare la stessa cosa e non voglio, non voglio pi farla.

Adolfo - Ho fatto male a confidarmi con te. (Lo prende per un braccio e lo scuote) Io non ho scelta, capisci? Tu stesso me lo hai detto. Ma non sai fino a che punto hai ragione.

Eugene - (calmo) E va bene. Io ti ho avvertito. Non potrai dire che non ho cercato di farti comprendere. Io non so e non voglio sapere quale prova vogliono da te, ma qualunque essa sia ho cercato di dirti che cosa ti aspetta dopo. Anche tu avrai la tua collina e dopo, non sarai pi lo stesso.

Adolfo - Basta, Eugene. Non sopporto pi.

Eugene - (dolce) Io sono contento che tu non voglia rinunciare. Io ho paura di rimanere solo. Una grande paura. Anche perch quando sono solo mi assale il sospetto di avere sbagliato tutto. E' il nemico pi terribile quel sospetto. Gli altri li combatti. Quello no. Se non sono solo allora posso vincerlo. Anche io non avevo scelta. Nessuno di noi l'aveva. Come ti puoi rassegnare a vivere in un mondo come questo, nel quale niente di ci che ti insegnano, di ci in cui devi fingere di credere, vero? Siamo ancora degli adoratori di statue di legno e di pietra. (Vivace, energico) Quando lo hai capito devi metterti all'opera e spazzare via tutto. Le statue e chi le fa e chi ti costringe a inginocchiarti davanti a esse. Spazzare tutto, distruggere tutto, le statue dentro di te e quelle fuori di te... (Entrano il primo e il secondo cacciatore. Il tempo si ferma come nelle apparizioni precedenti).

Il primo Cacciatore - (mostrando il secondo cacciatore a Eugene) Buon giorno, buon giorno. Come sta? Mi sono permesso di portare con me questo mio amico che, del resto, lei dovrebbe ricordare. Il nostro patto non vale pi. Ho confessato ai miei amici di averle rivelato la sorpresa che le stavamo preparando.

Il secondo Cacciatore - Un mattacchione! Veramente un mattacchione quest'uomo. In fondo ha fatto bene a dirle tutto. Cos almeno lei si tranquillizzato. Devo dirle, per, che stiamo ancora scavando. Ma a che profondit dunque arrivato lei? Non riusciamo a capacitarci, i miei amici e io, che lei sia riuscito a vincere quel terreno cos duro. Sembra fatta di acciaio quella terra sulla collina. Abbiamo gi fatto un bel buco. Non ci ringrazi per la fatica. E' un piacere per noi. Se non si aiuta chi ha bisogno... Pensi che abbiamo comperato perfino una carriola per portar via la terra che mano a mano gettiamo fuori.

Adolfo - (piano, sbigottito dall'atteggiamento assunto ad un tratto dall'amico) Eugene...

Eugene - Silenzio.

Il secondo Cacciatore - Silenzio? Lo ha detto a me?

Eugene - No. Al mio amico.

Il secondo Cacciatore - Quale amico? Non vedo nessuno vicino a lei.

Il primo Cacciatore - Neanch'io.

Il secondo Cacciatore - (con un sospiro di comprensione) La sua mente sempre turbata, a quanto vedo. Sono proprio contento della decisione che abbiamo preso. Io, adesso, ho finito il mio turno. Andr a riposarmi. Continueranno gli altri.

Il primo Cacciatore - Digli tutto.

Il secondo Cacciatore - E' vero. Dimenticavo. Molti altri scavano su quella collina e anche nella valle. E' scomparso un bambino sa, e molti pensano che qualcuno lo abbia ucciso e lo abbia sotterrato l nei dintorni. Un bambino di sei anni. Aveva i capelli neri e la pelle rosea. Anche l polizia lo sta cercando.

Eugene - (alzandosi, tremante) Non possibile.

Il secondo Cacciatore - Ma lei non deve preoccuparsi. Anche se il suo cane aveva i capelli neri e la pelle rosea come quel bambino sempre un cane. Non possibile confondersi. Non le pare? (/ due cacciatori si alzano) La lasciamo.

Il primo Cacciatore - La terr informato dei nostri risultati. (/ cacciatori escono).

Eugene - (dopo una pausa) Adolfo... (Duro, cattivo) Quello che devi fare, fallo subito. Qualsiasi cosa sia. Anche se ti avessero ordinato di uccidere tua madre, o tuo padre.

Adolfo - (gridando) Eugene...

Eugene - (comprende di essere andato vicino alla verit, dopo un attimo) Qualsiasi cosa. (Trionfante) Qualsiasi cosa devi fare, falla subito. Pi ti sembra terribile e pi falla presto. Cos poi nessuno potr pi dividerci. Sono tutte sciocchezze quelle che ti ho detto prima. E' stato il professore a ordinarmi di dirtele. Avevi indovinato. Ti chiedo perdono. Ma ora sar sempre sin! cero con te, purch tu faccia presto e non mi lasci pi solo. (Euforico) Quando tu sarai pronto chiederemo di essere impiegati subito. Motke pu mandarci dove vogliamo. Te ne ho gi parlato, mi pare. Possiamo andare in Africa, in Asia, in America o in un altro qualsiasi paese dell'Europa, Ovunque nel mondo c' bisogno di noi. Hai capito? Cominceremo a vivere. La nostra vera vita Adolfo... (A voce bassa) Adolfo, anch'io ho gi indossato quell'armatura. Ognuno di noi ne ha una che lo attende. Quando l'hai indossata una volta nessuna forza al mondo ti far pi rinunciare ai essa. (Indicando gli invisibili clienti del bar o i senso lato il pubblico) Se questa gente che abbiamo attorno sapesse veramente chi siamo. Se ci potessero vedere nella nostra realt. (Pausa) Si sta bene in questo bar. Ma il tempo passa veloce. Sono gi quindici giorni che hai parlato con Motke e ancora non hai fatto nulla. Motke vuole vederti. Dobbiamo andare.

Adolfo - Gli hai detto che voglio entrare ancora una volta? Gli hai detto che non posso farne a meno?

Eugene - Gliel'ho detto.

Adolfo - Pensi che... credi che almeno una sola volta ancora...

Eugene - E' quel mondo che cerchi, l'armatura o la tua anima? Quella donna?

Adolfo - Andiamo, Eugene. Andiamo. (Buio nello spaccato del bar. Luce sulla scena. Al centro ancora l'alto praticabile. Davanti ad esso una scala che porta alla sua sommit. Adolfo inquadrato in un cono di luce sale lentamente la scala. Quando arriva sulla piattaforma luce pi intensa. Sullo sfondo la gigantesca armatura. Adolfo si guarda attorno cercando la donna. Egli solo. La piattaforma nuda. Adolfo si avvicina all'armatura. Appare chiaramente che essa stata fatta per un gigante e che Adolfo non pu indossarla. Il giovane tenta disperatamente di sollevarla, ma essa troppo pesante. Non vi riesce. Rinuncia. Si aggira per la piattaforma, disperato).

Adolfo - (gridando) Dove sei? Dove sei? Perch non rispondi? Perch non vieni? (Si ode il respiro affannoso di Adolfo. Il giovane discende le scale e all'ultimo gradino si accascia per terra. Si spengono le luci sulla piattaforma. Un cono di luce illumina Motke).

Motke - Questa stata l'ultima volta. Non avrai altre occasioni. Rialzati. (Adolfo si rialza lentamente e guarda in alto. Non vede che il buio. Tenta di risalire la scala, ma respinto indietro da una forza invisibile).

Adolfo - Far tutto quello che vorr, ma la prego, la scongiuro, ancora una volta. Una volta sola.

Motke - Non possibile. Non ci sar pi nulla di ci che cerchi e di ci che vuoi fino a quando non avrai portato a termine il tuo compito. (Si china su Adolfo) Fino a quando riderai e piangerai, non sarai ancora pronto. Le tue mani dovranno seminare la morte e niente dovr fermarle. Tu dovrai ridurre la terra ad un deserto di rovine perch essa rinasca paradiso degli eletti. Tu devi distruggere ci che ti ha dato la vita per poter rinascere in un mondo nuovo. Devi annientare chi ti ha imposto la statura di pigmeo se vuoi tornare ad essere gigante. (Adolfo adesso in piedi. Immobile. Rigido).

Quadro decimo

(Uno spaccato del salotto della casa di Eugene. Mobili antichi. Anche quel poco che il pubblico vede, deve dare la sensazione di un passato quasi mummificato delle cose. Eugene e Adolfo sono seduti vicini, sul divano).

Eugene - Motke ha detto che non puoi rimanere. Che devi tornare subito a casa. Hai ancora una settimana di tempo. Qualsiasi cosa tu debba fare non devi mutare in nulla le tue abitudini. Dice Motke che hai gi combinato un mucchio di stupidaggini non andando a lezione. Da domani dovrai ricominciare.

Adolfo - Ha ragione.

Eugene - Motke sa meglio di qualsiasi altro ci che bisogna fare.

Adolfo - Non ti ho mai chiesto chi Motke.

Eugene - Non lo so.

Adolfo - Come lo hai conosciuto tu?

Eugene - Attraverso un conoscente.

Adolfo - Chi?

Eugene - Non abita pi in questa citt. Se n' andato.

Adolfo - Era uno come noi?

Eugene - S.

Adolfo - Dov' adesso?

Eugene - Un giorno scomparso. (Dopo una pausa) Motke sa che tu hai cercato di sapere chi . Io ignoravo che tu eri tornato a quell'indirizzo.

Adolfo - Che cosa ha detto?

Eugene - Nulla.

Adolfo - Tu non hai mai cercato di indagare sul suo conto?

Eugene - No. Non m'interessava lui.

Adolfo - Hai fatto bene perch io non sono riuscito a sapere nulla.

Eugene - Non senti freddo, Adolfo?

Adolfo - No. Non fa freddo.

Eugene - Vienimi pi vicino, ti prego. Io speravo che tu stasera potessi rimanere qui. Che tu avresti dormito qui. Con me. E' tanto tempo che desidero averti una notte tutto per me. La notte la pi difficile. Ma proprio vero che non senti freddo?

Adolfo - No.

Eugene - E' come se si fosse spalancata la porta ed entrasse una corrente d'aria gelida. (Mentre parla entrano dal fondo il primo, il secondo e il terzo cacciatore).

Il primo Cacciatore - Il lavoro prosegue, caro amico. (Indicando il terzo cacciatore) Anche lui ha finito il suo turno. Vedr che tra poco tutto sar sistemato. Non si scomodi, per carit. Non ci fermiamo. Il nostro amico casca dal sonno. Arrivederci. (/ tre attraversano lo spaccato della scena ed escono).

Eugene - Usciamo, Adolfo. Andiamo via di qui. Ti accompagno a casa. Presto, Adolfo.

Adolfo - (si alza) Io sono pronto. (Mentre stanno per muoversi entra il quarto cacciatore).

Il quarto Cacciatore - Buon giorno! Buon giorno! Non mi conosce? Ah! S. Vedo che sa chi sono. Ha veduto passare i miei tre amici? Anch'io ho finito il mio turno. Abbiamo quasi finito. Quando ho lasciato la collina nella buca si vedevano gi gli abiti. Entro domani sar tutto fatto. (Salutando con la mano, esce. Eugene cade a sedere sul divano).

Adolfo - Eugene, avevi tanta premura... (Eugene si rialza e come svuotato si avvia verso la porta).

Quadro undicesimo

(Ancora un quadro di scene che si susseguono seguendo l'andamento del racconto di Adolfo al giudice. La camera di Adolfo. Adolfo e il padre).

Il Padre - Bene. Sono contento che tutto sia finito. E' stata una grossa crisi. Un temporale di aprile. Dir a Venz che ti sei deciso ad andare con lui. Non ti preoccupare. Non gli avevo ancora dato una risposta. Non immagini com' contenta tua madre. Tra quanto vuoi partire?

Adolfo - Una settimana. Dieci giorni.

Il Padre - Hai bisogno di qualcosa?

Adolfo - No.

Il Padre - Ho veduto una bellissima giacca di pelle. Ti sarebbe utile in campagna.

Adolfo - Certo. Mi sarebbe utile.

Il Padre - Se la vuoi, oggi pomeriggio andremo a comprarla. Non siamo molto organizzati per un ritorno alla natura, noi.

Adolfo - Non ha importanza. Me la caver.

Il Padre - Fammi sapere qualcosa a mezzogiorno quando ci rivedremo. In quanto agli esami non ti preoccupare. Li darai nella prossima sessione. (Posa una mano sulla spalla di Adolfo) Ora dimentichiamo quanto ci siamo detto nei giorni scorsi.

Adolfo - D'accordo.

Il Padre - Io l'ho gi dimenticato. (Buio mentre il padre esce. Spaccato dello studio di Motke. Motke e Eugene).

Motke - (indicando i giornali che ha davanti) Ne parlano anche i giornali oggi. Pareva che la cosa fosse stata dimenticata e invece eccola qui di nuovo. Ehi'. Dico. Non farai mica qualche bestialit?

Eugene - No.

Motke - Se continuano a scavare sulla collina finiranno per scoprirlo.

Eugene - Ho paura che possano scoprirlo da un momento all'altro.

Motke - E chi dir che sei stato tu? Come faranno a metterti in relazione con quel bambino?

Eugene - Un cacciatore mi vide quel giorno.

Motke - Oh! Il tuo cacciatore. Come puoi essere sicuro che ti abbia veduto? E se anche cos fosse, come puoi pensare che colleghi la tua faccia, che non ricorder pi, a quella cosa? (Dopo una breve pausa) Tutto questo perch non ti sei attenuto agli ordini.

Eugene - Ho fatto del mio meglio.

Motke - Non vero. Ti avevo indicato dove avresti dovuto preparare la fossa e tu non hai obbedito. Ne hai parlato al tuo amico?

Eugene - No.

Motke - Sarebbe imperdonabile da parte tua. Il tuo amico ha ancora quattro giorni d tempo.

Eugene - Che cosa debbo fare io?

Motke - Niente. Non devi avere paura. Se ti prende la paura sei perduto. Sarebbe pericoloso per te e per noi. Soprattutto per noi. Quando sentirai di non poterne pi, entrerai e vi resterai. Se anche gli altri saranno d'accordo, vi resterai per sempre.

Eugene - Grazie. Lei non sa, professore, che cosa significa questo per me.

Motke - Non devi ringraziare nessuno. (Dopo una pausa) Secondo te il tuo amico sarebbe pi sicuro di s se sapesse che anch'egli pu contare sul nostro aiuto? Finora non gli ho detto nulla di questo. Non sa che dopo la prova non sar pi solo. Qualsiasi cosa avvenga.

Eugene - Certo. Lo aiuterebbe molto.

Motke - Domani sera mandalo qui. (Gli d un biglietto) Il nuovo indirizzo. Hai letto? (Si riprende il biglietto e lo fa a pezzi)

Quadro dodicesimo

(Lo studio del professor Motke. Entra Adolfo. Il professore si alza e gli fa cenno di sedersi).

Adolfo - Buona sera, professor Motke.

Motke - Mancano due giorni allo scadere del mese. Come hai impiegato questo tempo?

Adolfo - E' trascorso veloce.

Motke - I due giorni che ti rimangono saranno ancor pi veloci. Io ho riposto molta fiducia in te.

Adolfo - Grazie.

Motke - Non devi ringraziarmi. Io devo ringraziare te per avermi ascoltato e per esserti preparato. Tu hai capito che i tempi ci incalzano. Nelle conversazioni che abbiamo avuto abbiamo imparato a guardare dentro gli avvenimenti, a cogliere in essi il movimento delle forze che si stanno predisponendo alla battaglia finale. Io ho la sicurezza matematica che questa battaglia sar vinta da noi. L'arma assoluta sterminer pi uomini-cose e uomini-animali di quanti di noi potr ferirne. Noi sopravviveremo, il nostro nemico no. Mi segui?

Adolfo - S.

Motke - Ognuno di noi prezioso. Gli altri uomini possono essere riprodotti come articoli in serie. Noi, no. Ti stata chiesta una prova che tu personalmente potrai superare, ma che potr rivelarti agli altri. In questo caso noi ti salveremo. (Prende un foglio e comincia a tracciarvi sopra dei segni) Esattamente fra tre mesi vi sar nella no- atra galassia una situazione particolarmente favorevole. Se tu sarai in pericolo, alla mezzanotte in punto del venticinque di questo mese, leggi il no me del mese e non dimenticarlo pi, ovunque tu ti troverai e in qualsiasi circostanza, nessuno potr pi niente contro di te. Non posso dirti come uscirai. Io stesso non lo so. Uscirai, questo certo. Ed ora penso che tu desidereresti...

Adolfo - Non osavo chiederlo...

Motke - (gli indica un divano) Stenditi. (Adolfo si stende. Motke gli si avvicina e gli inietta quali cosa. Buio. Luce. Buio. Luce fortissima sulla scena. Entra la donna avvolta in veli. S'inginocchia accanto a Adolfo).

La Donna - Sei tornato, finalmente. Sei tornato. (Appassionata) Amore! (Lo abbraccia) Ecco, orali accanto a te, torno a respirare, a vivere...

Adolfo - (trasognato) Mi sei vicina...

La Donna - Ti sono vicina. Voglio non lasciarti pi. L'attesa dolorosa. Piena di ansie. Forse non torner pi. Forse non lo incontrer mai pi. Vieni, amore, vieni e non lasciarmi pi. I tuoi capelli, la tua fronte, i tuoi occhi...

(Improvvisamente buio. Da lontano, esile, il grido della donna, una voce che si allontana negli spazi: Amore! Amore!... Nuovamente la luce normale. Motke, che da quando tornata la donna rimasto invisibile al pubblico, si avvicina al divano. Buio sulla scena. Luce nello spaccato del bar. Eugene solo. Entra il primo cacciatore trafelato).

Il primo Cacciatore - Meno male che qui. Abbiamo finito, finalmente. Ma ci attendeva una brutta sorpresa. Non abbiamo trovato un cane. (Con voce altissima) Abbiamo trovato il cadavere di un bambino.

Eugene - Zitto, per carit. Non gridi.

Il Cacciatore - Un bambino dai capelli neri e la pelle rosea.

Eugene - Che cosa ne avete fatto? Dov' ora?

Il Cacciatore - I miei amici lo stanno portando qui. Da lei. Desideriamo che lei lo veda. Potremmo anche esserci sbagliati. Lei insiste a dire di avere sotterrato un cane? Se lei ha sotterrato un cane, quel bambino stato sotterrato da altri. Le dir di pi. La polizia stava cercando il bambino non so pi da quanto tempo. Giorni, mesi, un anno forse.

Eugene - Lo stanno portando qui, ha detto?

Il Cacciatore - S. Soltanto lei pu dire che cosa ha sotterrato. Pu darsi che a lei era sembrato un cane e invece era un bambino. O possiamo sbagliarci noi: vedere un bambino, dove, invece, dovremmo vedere un cane. Sa, gli occhi, a volte, fanno certi scherzi... Ma dove va?... Rimanga qui. I miei amici non tarderanno a venire... torni indietro... torni indietro... (Buio. La camera di Adolfo. Eugene ancora ansante per la corsa fatta).

Eugene - E' l'ultima volta che ci vediamo. Domani me ne vado. Esco.

Adolfo - No.

Eugene - Esco. Motke me lo ha promesso. Stasera vado da lui. Non posso pi aspettare. Impazzir. (E' nervoso, eccitato).

Adolfo - Una volta mi hai parlato di una collina...

Eugene - Non vero.

Adolfo - Ho letto qualcosa sui giornali che riguarda una collina.

Eugene - Non so di che cosa parli.

Adolfo - I giornali hanno scritto di un bambino scomparso. Di ricerche in corso.

Eugene - Non c'entro niente io. Come puoi pensare che io c'entri qualcosa?

Adolfo - Non lo so. Mi sono ricordato che tu hai parlato di una collina.

Eugene - Un caso. Una parola come un'altra.

Adolfo - E' una storia vecchia, comunque. Chiss perch tornata a galla adesso.

Eugene - Ti prego. Smettila. Anche tu mi costringi ad uscire. (Dopo una breve pausa) Posso rimanere in casa tua fino a stasera?

Adolfo - Certo.

Eugene - Non dire a nessuno che sono qui. A nessuno.

Adolfo - D'accordo. (Bussano alla porta. Prima che Adolfo possa rispondere entra sua madre).

La Madre - Adolfo...

Adolfo - Che cosa vuoi?

La Madre - Ha telefonato la madre di Mara...

Adolfo - Ebbene...

La Madre - E' accaduto qualcosa...

Adolfo - A chi?

La Madre - A Mara.

Adolfo - Che cosa c'entriamo noi? Che cosa c'entro io?

La Madre - E' ancora al telefono. Vuole parlare con te.

Adolfo - Io non voglio parlare con lei. Diglielo.

La Madre - Adolfo, accaduto qualcosa di grave a Mara...

Adolfo - Non voglio sapere. Non m'interessa.

La Madre - (breve pausa) Va a parlare con quella donna...

Adolfo - No. Per piacere, vattene.

La Madre - Che cosa posso dirle io?

Adolfo - Che noi non possiamo farci nulla.

La Madre - Mi sembrata disperata...

Adolfo - Tutti lo siamo.

La Madre - Non vuoi parlarle? Te lo chiedo io, per piacere...

Adolfo - No.

La Madre - Le parler io. (Si avvia per uscire. Si volta) Non so che cosa le dir, ma finir per trovare le parole. Tu, per, tu... hai la coscienza a posto, vero? Tu non sei responsabile di lei, che cosa per te? Niente, proprio niente, per questo hai la coscienza a posto, ma che cosa sai di lei? Una parola, a volte, sarebbe sufficiente una sola parola per... per... (La donna s'interrompe ed esce).

Eugene - Non posso rimanere. Devo andarmene anch'io.

Adolfo - Perch?

Eugene - Tra poco riceverai visite. (Si avvia alla porta) Arrivederci, Adolfo. Sarei stato felice se avessi potuto rimanere un po' qui, vicino a te.

Adolfo - Dove andrai? A casa?

Eugene - No. In giro. Forse in un cinema. O al parco. Non lo so.

Adolfo - Posso venire con te.

Eugene - No. Devi rimanere tu. Non invidio neanche te, adesso.

Adolfo - Quando ci rivedremo?

Eugene - Quando anche tu potrai uscire. Oh! Dio, come confondiamo le parole. Prima dicevamo entrare ed ora uscire. Ma la stessa cosa. Non ti pare? Quando ci rivedremo avremo dimenticato tutto questo...

Adolfo - Eugene...

Eugene - Dimmi soltanto arrivederci. Arrivederci come in un giorno qualsiasi.

Adolfo - Arrivederci, Eugene... (Mentre Eugene si avvia alla porta).

Quadro tredicesimo

(L'ufficio del direttore delle carceri. Estrema tensione negli uomini che hanno ascoltato il racconto di Adolfo. Il commissario chino sul giovane).

Il Commissario - Il nome di quell'uomo. Voglio sapere come si chiama quell'uomo.

Adolfo - Lo ignoro.

Il Commissario - Dobbiamo mettere le mani su quella canaglia.

Adolfo - Non sar facile.

Il Commissario - (al giudice) Abbiamo elementi sufficienti per riaprire l'inchiesta. Continuer ad occuparmene io. (Ad Adolfo) Mi dovrai dire il suo nome e uno degli indirizzi. Dove ti sei incontrato con Motke?

Adolfo - (sorridendo) Domani. Le dir tutto domani. Va bene?

Il Commissario - (al cancelliere) Metta quella bobina, signor cancelliere. Fino adesso abbiamo ascoltato le tue favole. Ora ti far ascoltare io qualcosa che non una favola. Tuo padre rimasto in vita qualche ora con i proiettili che gli hai ficcato in corpo. (Il giudice che era sembrato volesse intervenire per impedire al commissario di eseguire quanto ha detto, si alza, si avvicina alla libreria dell'ufficio e volta le spalle al pubblico. Fruscio del registratore. Il respiro affannoso del padre di Adolfo in agonia. Due volte, chiaro, la domanda: Perch? ) Ascolta, ascolta...

Adolfo - (dopo aver tentato invano d resistere) No.

Il Giudice - (si volta, al cancelliere) Basta. (La registrazione cessa. Al commissario) Trover tutti i professori Motke che vuole se solo si guarda attorno.

Il Commissario - Signor giudice, la prego...

Il Giudice - (ad Adolfo) La tua storia del messaggio...

Adolfo - (ansioso) Signor giudice...

Il Giudice - La tua maledetta storia del messaggio. Era questo il messaggio? (Al commissario) Non l'ha capito lei? Non ha capito che anche lei e io siamo il professore Motke? Ci pensi, ci pensi, signor commissario... (Al cancelliere) Metta via il registratore, non ci serve pi.

Il Commissario - (ignorando il giudice, ad Adolfo) Non parlerai, vero?

Adolfo - No. Non parler.

Il Commissario - Tu sei matematicamente certo che a mezzanotte non potremo pi farti niente?

Adolfo - (reagendo, con violenza) L'ho gi detto. L'ho anche scritto. (Corre alla finestra) Guardi il colore della luna. Non come tutte le altre sere. Questo colore la conferma che aspettavo. Ma io soltanto so che cosa sta avvenendo.

Il Commissario - Sai anche che abbiamo ritrovato il tuo amico Eugene?

Adolfo - Eugene se n' andato venti giorni fa.

Il Commissario - E' tornato. Lo hanno fatto tornare. Con due buchi nella testa.

Adolfo - (al giudice) E' vero? (Il giudice annuisce).

Il Commissario - Non mi chiedi dove lo abbiamo trovato?

Adolfo - Dove?

Il Commissario - Nel parco, oggi pomeriggio. E se pu aiutarti, ti dir che era pieno di stupefacenti fino agli occhi. Eravate tutti e due nel giro della droga. Tuo padre lo ha scoperto e tu lo hai ucciso. Eugene stato ucciso perch quel vostro Motke ha avuto paura che parlasse.

Adolfo - Lei pazzo. (Al giudice) Non gli creda. Gli dica di smetterla. Non vero.

Il Commissario - E' vero. Tutta la storia adesso di una semplicit lineare. (Si avvicina ad Adolfo, afferra per il petto) Ecco la verit della tua schifosa favola. Ma mi dirai dove posso trovare Motke, me lo dirai a costo di...

Giudice - Signor commissario... (Il commissario si stacca da Adolfo, si riprende; volta le spalle al giudice per nascondergli i sentimenti che lo agitano. Dopo una lunga pausa, ad Adolfo) A che ora hai detto che dovr avvenire quanto aspetti?

Adolfo - A mezzanotte.

Il Giudice - (gli porge il proprio orologio) Mezzanotte passata.

Adolfo - E' un trucco. E' un suo miserabile trucco.

Il Giudice - Avrei preferito che fosse veramente accaduto qualsiasi cosa piuttosto che...

Adolfo - Non pu essere. Il colore della luna, era scritto accante alla data, quella sar la conferma.

Il Giudice - La luna stasera non ha un colore diverso da quello di ieri sera.

Adolfo - Lei lo dice perch lei non pu vederlo, lei non vedr nulla, lei tenta d'ingannarmi...

Il Giudice - (gli mostra il telefono) Chiedi tu stesso l'ora.

Adolfo - E' una trappola questa e io che mi ero fidato di lei...

Il Giudice - Non dire sciocchezze. Telefona a chi vuoi. Chiedi l'ora a chi vuoi.

Adolfo - (esitante dapprima alza il ricevitore, compone il numero del servizio orario, ascolta, il ricevitore gli cade di mano, il giovane si accascia) Non possibile. Non possibile. (Fuori d s, in un crescendo di delirio, si alza, torna alla finestra, poi, accanto al giudice, sembra volergli chiedere qualcosa. Dall'inizio dei suoi movimenti dapprima lievissimo in sottofondo, il ritmo del tempo scandito attraverso il microfono del telefono lasciato penzolante. La voce che annuncia i minuti soverchiata dal ritmo, quest'ultimo andr crescendo. Il tic-tac ossessiona Adolfo che si porta le mani alle orecchie. Egli poi, sale su una sedia, alza le braccia).

Adolfo - Sono qua. Sono qui. Vieni... Vieni... Venite...

La voce del microfono - Sono le ore. zero e trentacinque minuti. (Adolfo s'immobilizza poi, d schianto, cade a terra).

FINE

    Questo copione è stato visto: